catechesi nr 127

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catechesi nr 127
PARROCCHIA DI BOVOLONE
CATECHESI CFE N° 127 ANNO PASTORALE 2008 – 2009
(settimana dal 15 al 21 dicembre 2008)
Gesù: La consolazione di Dio.
Cari Fratelli, siamo all’inizio del tempo liturgico dell’Avvento che ci prepara alle celebrazioni
della manifestazione del Signore Gesù: il suo Natale, la visita dei Magi, il suo Battesimo al
Giordano.
È sempre un tempo molto caratteristico e molto ricco di calore, “intimo” vorrei dire, perché
attendiamo Gesù, nostro Salvatore, che si fa vicinissimo nella tenerezza del Bambino di Betlemme.
Con una preghiera presa dalla liturgia dell’Avvento entriamo nella meditazione di stasera, una
preghiera che raccoglie i nostri gemiti a volte di gioia e speranza, altre di tristezza e sfiducia:
Dio onnipotente, che ci chiami
a preparare la via a Cristo Signore,
fa’ che per le debolezze della nostra fede,
non ci stanchiamo di attendere
la consolante venuta del medico celeste.
Abbiamo chiamato “consolante” la venuta del “medico celeste”, cioè capace di portare la
Consolazione di Dio. Il tema della consolazione percorre tutta la Bibbia per dirci quanto l’uomo sta
a cuore a Dio. La narrazione della Bibbia ci dice come Dio le abbia provate tutte affinché l’uomo
potesse sperimentare la sua vicinanza premurosa e apportatrice di salvezza, e così consentire
all’uomo di trovare motivi per progredire con serenità e fiducia il cammino della vita fino
all’incontro con Lui.
Tra i tanti testi possibili, vogliamo stasera meditare sul testo del profeta Isaia, un testo
emblematico,:
“Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio.
Parlate al cuore di Gerusalemme
e gridatele che è finita la sua schiavitù” Isaia, 40,1-2
È Dio che, con vigore, si rivolge al popolo che si trova a Babilonia, lontano dalla sua terra, cioè
in esilio. Il popolo è stato infedele, ha abbandonato Dio, che era il suo amore di un tempo, e ora si
ritrova ad essere schiavo. Ma Dio non smette di amare il suo popolo, il suo è un amore fedele.
Questo è il motivo di questo annuncio di liberazione.
Proviamo a meditare alcune espressioni del testo.
“Parlare al cuore”
È espressione che designa un atto d'amore e di intimità che risana una relazione ferita, una
situazione di peccato: soprattutto importante è Os 2,16 dove il Signore-sposo promette che nel
deserto attirerà di nuovo a sé il popolo-sposa infedele e «là parlerà al suo cuore». Ed è appunto nella
desolazione del deserto che Gerusalemme (presentata come sposa in Is 54) si sente raggiunta dalla
Parola di Dio che la consola annunciandole che la sua iniquità è stata scontata, che i suoi peccati,
per cui ha ricevuto doppio castigo, sono stati rimessi. La grande consolazione è il perdono dei
peccati, la misericordia di Dio!
“Parlare al cuore di Gerusalemme”.
Ma chi è Gerusalemme? È la nostra vita, la coppia, la famiglia, la comunità.
Dio dice: “gridatele”, non per usarle una certa forma di violenza, ma perché tutta la città possa
udire, anche le borgate più nascoste e anche le più lontane;
perché tutta la comunità, cioè ogni persona,possa udire questo annuncio;
perché tutta la persona possa udire, ognuno di noi possa udire; anche l’angolo più oscuro e
chiuso del nostro cuore possa essere raggiunto da questo annuncio, anche la dove noi diciamo al
Signore: “No! Qui tu non c’entri. Signore, lasciami stare, nei miei compromessi, nei miei calcoli
interessati”
L’annuncio fa riferimento ad un ritorno dall’esilio. Possiamo domandarci: Quando può capitare
che io sia come in esilio, cioè lontano? Quali sono le situazioni del mio esilio?
Possiamo andare in esilio da noi stessi quando non ascoltiamo più la nostra coscienza.
Possiamo andare in esilio dagli affetti familiari quando la casa è ridotta ad un albergo.
Possiamo andare in esilio da un vivo amore coniugale quando l’abitudine se non addirittura
l’indifferenza prende il sopravvento.
Possiamo andare in esilio dall’onestà nell’impegno professionale quando il lavoro è fatto solo
per il denaro.
In queste esperienze di esilio ci può cogliere la rassegnazione: oramai è cosi! Cosa ci vuoi fare!
E allora non c’è più posto per la speranza in noi. L’annuncio di liberazione suona stonato se non
fastidioso alle orecchie del nostro cuore.
Il popolo in esilio viveva in schiavitù, da essa viene liberato.
Così anche per noi, nel suo Natale, è Dio che ci raggiunge per poterci liberare, per dare a noi la
speranza che possiamo venie liberati dalle schiavitù che ognuno ha, piccole o grandi che siano,
consapevole o meno di averle; schiavitù che ci mangiano molte energie: fisiche, affettive,
intellettive e , talvolta, anche economiche, impedendoci di riuscire ad amare nella verità e nella
libertà e, così, poter sperare in un progresso.
Di fronte a questo annuncio, il popolo opponeva qualche resistenza, perché affascinato dagli
idoli di Babilonia. Così anche noi possiamo avere ancora diversi altari nel nostro cuore sui quali
collochiamo i nostri idoli, che si possono chiamare: successo professionale, ricerca di un’estetica
solo del corpo, smania dell’apparire, volontà di primeggiare a tutti costi. A questi idoli, spesso
bruciamo l’incenso di relazioni vissute superficialmente, il tempo da dedicare alla famiglia e al
coniuge, la disponibilità ai bisogni della comunità.
Ma, di fronte a queste nostre resistenze, Dio non si ritira. Se noi siamo ostinati e duri di testa,
Lui lo è ancora di più. Ci manda suo figlio Gesù, che nel suo amore misericordioso, è la vera
consolazione di Dio per noi. È lo stesso Gesù che si definisce così, quando, parlando dello Spirito
Santo dice: “Pregherò il Padre che vi mandi un altro consolatore” Gv 14, .Ciò vuol dire che prima
dello Spirito Santo un consolatore era già presente, e questa era proprio Lui.
Quanti infatti sono gli episodi del Vangelo dove si narra di Gesù che ha fatto ritornare le
persone dal loro esilio:
le guarigioni, il ritorno dall’esilio della malattia;
i racconti di vocazione: il ritorno dall’esilio di una vita vissuta in un senso limitato,
verso una vita vissuta in un senso pieno e illimitato;
i racconti di conversione: la vicenda di Zaccheo, che si libera dagli idoli del denaro, del
prestigio e del potere verso la libertà da tutto ciò perché ha accolto Gesù nella
sua casa;
Ma l’esilio più nefasto e grave è quello del peccato, e Gesù è venuto proprio per questo, perché
è venuto a liberarci da esso. Nel suo stesso nome è contenuta tutta la sua missione. Quando l’angelo
dice a Giuseppe come si sarebbe chiamato il bambino, si esprime così: “Lo chiamerai Gesù, perché
salerà il suo popolo dai suoi peccati.” Mt. 1,21.
A questo fa eco S. Giovanni, che nella sua prima lettera dice: “Se qualcuno ha peccato, abbiamo
un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto”. 1 Gv. 2,1.
Il Natale davanti a noi, dà, allora, consistenza, potremmo dire “carne”, alle parole di Isaia. Gesù
nasce per richiamarci dai nostri esili, liberarci dalle nostre schiavitù per ridonarci la vita, libera e
capace di amare.
Ringraziamo Dio che le prova tutte per salvarci, lasciamoci raggiungere e toccare da Lui e il
nostro cuore si dilaterà a dismisura e la gioia sarà incontenibile.