Burma Campaign UK Rapporto informativo

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Burma Campaign UK Rapporto informativo
Documento tradotto dall'originale inglese - http://burmacampaign.org.uk/images/uploads/Burma-Briefing-1.pdf
Burma Campaign UK
Rapporto informativo:
Birmania
La transizione della Birmania
verso la dittatura civile
N° 1
agosto 2010
Commento di Burma Campaign UK
I generali birmani hanno finalmente annunciato la data delle loro “elezioni” che si terranno
domenica 7 novembre.
Il fatto stesso che queste “elezioni” abbiano fino ad ora generato molto più interesse da parte della
comunità internazionale che dei cittadini birmani chiarisce più di ogni altra cosa quali effettive
possibilità vi siano che le elezioni indirizzino il paese verso un cambiamento significativo.
Non si tratterà di elezioni per la scelta di un nuovo governo, quanto piuttosto di elezioni con
l’obiettivo di insediare un Parlamento fantoccio straripante di alleati della dittatura. È assai
probabile che il potere reale venga gestito da un Consiglio Nazionale per la difesa e la sicurezza
(NDSC), composto principalmente da militari e da ex militari.
Per la Birmania si tratta di una sorta di ritorno al passato. Nel 1974 il Generale Ne Win introdusse
anch’egli una nuova costituzione il cui obiettivo consisteva nel legalizzare il suo governo del paese,
dotandolo di una facciata civile. Il Generale rimase al potere per oltre un decennio prima che una
nuova dittatura, addirittura più brutale della precedente, assumesse il controllo del paese.
Le elezioni birmane non comporteranno nessun cambiamento democratico. Il loro obiettivo
consiste nell’agevolare la transizione da una dittatura militare a una dittatura civile, nella speranza
che un parlamento almeno di facciata e funzionari di governo in abiti civili e che indossano i tipici
longyi piuttosto che uniformi militari siano sufficienti a persuadere la comunità internazionale a
revocare le sanzioni e ad allentare la pressione diplomatica.
Nulla è stato lasciato al caso: le figure dell’opposizione sono state arrestate, è stata redatta una
nuova costituzione per preservare il regime dittatoriale indipendentemente da chi si aggiudicherà le
elezioni, mentre una quota del 25% dei seggi parlamentari verrà destinata ai militari, ciò che
renderà impossibile qualunque emendamento della costituzione.
Le norme elettorali sono state progettate in modo tale da rendere la vita ancora più dura per
chiunque intenda opporsi alla dittatura. Esse richiedono infatti ai partiti di difendere la costituzione,
ciò che un qualunque partito impegnato nei confronti della democrazia non potrebbe
assolutamente fare senza rinunciare ai propri principi. Le norme elettorali richiedono inoltre ai
Commento, rapporto informativo e analisi di Burma Campaign UK
partiti di espellere i loro membri che siano stati condannati a pena detentiva. Non è chiaro se ciò
significhi effettivamente che la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) debba espellere il suo
leader, Aung San Suu Kyi, tuttora agli arresti domiciliari, ma appare invece certo l’obbligo a carico
della NLD di espellere oltre 400 membri attualmente in carcere in ragione delle loro attività
pacifiche. Si tratta di condizioni appositamente progettate per impedire alla NLD di costituire un
vero e proprio partito politico. In seguito al suo rifiuto di rinunciare ai propri principi e di iscriversi
sulla base di queste nuove regole, la dittatura ha messo al bando la NLD.
Elementi chiave
•
Le elezioni birmane non introdurranno quella tipologia di cambiamenti di cui la Birmania
necessita.
•
Gli appelli a elezioni libere ed eque non centrano il problema alla radice. La Costituzione
comporta l’instaurazione di una dittatura civile.
•
La possibilità di minimi miglioramenti dopo le elezioni è stata di gran lunga
sopravvalutata.
•
In Birmania non si evidenzia nessuno degli indicatori normalmente registrati in un regime
in fase di riforma. La repressione diventa sempre più diffusa.
•
È giunto il momento di distogliere l’attenzione dalle elezioni. La comunità internazionale
dovrebbe piuttosto unirsi nel sostegno ad un’iniziativa condotta dalle Nazioni Unite volta
a garantire l’avvio di negoziati tra regime dittatoriale, movimento democratico e
rappresentanti dei gruppi etnici.
Nel tentativo di escludere l’opposizione democratica le norme elettorali si spingono addirittura oltre.
Qualunque partito che intenda partecipare alle elezioni deve versare diritti per importi ingenti. Per
la semplice presentazione di candidati alle elezioni un partito deve versare la somma di circa
250.000 dollari. Si tratta di importi che i partiti alleati del regime possono permettersi agevolmente,
potendo attingere ai fondi pubblici e al sostegno degli imprenditori amici del regime.
L’autorizzazione allo svolgimento di riunioni pubbliche deve essere richiesta con almeno una
settimana di anticipo a quattro autorità differenti, comunicando il numero dei partecipanti previsti e
le biografie di coloro che prenderanno la parola. Le pubblicazioni dei partiti politici sono sottoposte
a censura. Per fare un raffronto, nel caso delle elezioni del Regno Unito tenutesi quest’anno
Conservatori e Liberaldemocratici avrebbero dovuto ottenere il consenso dei Laburisti per
pubblicare manifesti e materiale elettorale.
Come previsto, l’Associazione Unione Solidarietà Sviluppo (USDA), un’organizzazione politica
sostenuta dal regime, si è trasformata nel principale partito che rappresenta il volto civile della
dittatura. Il nuovo Partito Unione Solidarietà Sviluppo (USDP) è guidato dall’attuale primo ministro
Thein Sein, il quale, come altri ministri del governo, ha già rassegnato le dimissioni dalla sua carica
militare. Secondo le norme elettorali promulgate dal regime, i funzionari del governo non possono
costituire partiti politici, ma questa regola, come pure altre contenute nelle norme elettorali, non si
applica all’USDP.
Fu proprio l’Associazione Unione Solidarietà Sviluppo ad attaccare il convoglio sul quale Aung San
Suu Kyi si trovava in viaggio il 30 maggio 2003 in un tentativo fallito orchestrato dal regime di
assassinarla. Aung San Suu Kyi scampò all’attentato, ma decine di suoi sostenitori furono
malmenati fino alla morte da parte di delinquenti al soldo della USDA.
Candidati potenziali dell’USDP si preparano alle elezioni già da due anni. Facoltosi imprenditori
locali arricchitisi sotto il dominio militare e che ora aspirano ad un seggio in Parlamento hanno
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finanziato la costruzione di ospedali locali e di altri edifici pubblici. Molti di questi imprenditori locali,
pur di secondaria importanza tra i sostenitori del regime, vedono un seggio in Parlamento quale
un’ottima opportunità di fare affari. E per convincere definitivamente i cittadini locali, l’USDP è in
grado anche di garantire “prestiti” agli elettori.
È probabile che molti in Birmania partecipino alle elezioni, ma si può certamente affermare che la
stragrande maggioranza del popolo birmano non vede nessuna speranza che le elezioni portino
cambiamenti significativi. Alcuni voteranno per la paura di non farlo, altri perché vedono una
qualche speranza, per quanto minima, mentre altri ancora non avranno nemmeno bisogno di
votare perché, come già accaduto in occasione del referendum, i generali voteranno per loro.
Nonostante la messa al bando della NLD, un processo elettorale truccato e una costituzione
progettata per perpetuare la dittatura, alcuni governi e osservatori stranieri stanno tentando
disperatamente di trovare un qualche elemento positivo nelle elezioni, sostenendo che qualcosa è
pur sempre meglio di niente, o che si creerà comunque un più vasto spazio politico. Tutto ciò
nonostante una costituzione che vieta ai parlamentari di intervenire a favore di un effettivo
cambiamento politico, avendo essi per legge l’obbligo di difendere la costituzione. Le leggi
repressive che permettono alla dittatura di arrestare chiunque adducendo una qualsivoglia accusa
permangono in vigore. Un parlamentare che si esprimesse in Parlamento in un modo che non
risultasse apprezzato dal governo potrebbe essere arbitrariamente arrestato dal governo stesso.
La nuova costituzione prevede addirittura un articolo che garantisce la cancellazione dai verbali
ufficiali del Parlamento di quanto sostenuto da un tale parlamentare; il tutto in un contesto in cui
non esistono mezzi di comunicazione di massa liberi che possano rendere note le sue posizioni.
Nessuno degli indicatori chiave che normalmente si registrano quando un regime ha avviato un
processo di riforme, come fu il caso del Sudafrica e dell’Unione Sovietica, è presente in Birmania.
Non vi è stata nessuna riabilitazione dei partiti politici; al contrario, la NLD è stata messa al bando.
Non si è registrata nessuna riduzione dell’entità delle operazioni militari, mentre proseguono gli
attacchi contro le minoranze etniche. I prigionieri politici sono ancora in stato di detenzione in
numeri che stanno abbattendo tutti i record precedenti. La presa della censura sui media non si è
affatto allentata, mentre i giornalisti birmani sotto copertura sono sempre più considerati un
obiettivo.
Alcuni partiti politici schierati con i gruppi etnici partecipanti alle elezioni auspicano un maggiore
spazio nei parlamenti regionali affinché i gruppi etnici siano in grado di attivarsi per la protezione
delle rispettive culture, utilizzando inoltre la propria lingua nelle scuole. È possibile che ciò accada
in una qualche misura, ma di certo la costituzione non lo garantisce affatto. Al contrario, la dittatura
ha esplicitamente respinto queste proposte durante la stesura dei principi della costituzione.
Il fatto che la costituzione redatta dai dittatori non sia affatto intervenuta sui diritti e sulle aspirazioni
dei gruppi etnici della Birmania, i quali secondo una stima rappresentano non meno del 40% della
popolazione, costituisce una chiara garanzia del fatto che le elezioni e gli indirizzi futuri della
dittatura non possono affatto essere considerati quali catalizzatori per l’introduzione di
cambiamenti positivi nel paese. Si tratta di elementi che già dall’indipendenza della Birmania
raggiunta nel 1948 hanno costituito causa di instabilità nel paese.
Le entusiastiche affermazioni di alcuni osservatori stranieri in merito al ricambio generazionale che
avverrebbe con il ritiro dalla vita pubblica dei generali in ragione della loro età non portano affatto
speranza al popolo birmano, memore di come fino ad ora ciascun dittatore sia stato sostituito da
un altro di brutalità addirittura maggiore.
Anche l’osservatore più ottimista non può non concordare sul fatto che anche se un qualche
cambiamento vedrà la luce si tratterà comunque di trasformazioni minime, ben lungi da una
qualsivoglia forma riconoscibile di democrazia in cui i diritti umani vengano effettivamente
rispettati. Le elezioni birmane potrebbero costituire l’equivalente politico del tentativo di sfamare un
uomo che stia per morire di fame con un chicco di riso.
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La grande rilevanza assegnata da alcuni osservatori a quelli che tutto sommato non costituiscono
altro che minimi miglioramenti della situazione politica del paese appare del tutto sproporzionata
rispetto all’effettivo significato.
Burma Campaign UK ritiene che sia giunto il momento di spegnere i riflettori sulle elezioni – che
non risolvono minimamente i problemi del paese – e di tornare invece a concentrarsi su quella che
la comunità internazionale ha già concordato essere l’unica strada verso il futuro: quella del
dialogo.
Da anni il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il
Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, l’Unione
Europea, l’ASEAN, gli Stati Uniti e addirittura la Cina, dichiarano che la strada per il futuro della
Birmania sta nel dialogo tra i movimenti democratici, inclusa la NLD, i veri rappresentanti dei
gruppi etnici e la dittatura, tramite quello che in gergo viene definito dialogo tripartito. Un tale
dialogo dovrebbe condurre alla riconciliazione nazionale e alla transizione verso la democrazia.
Sul fatto che sia questa la strada verso il futuro sussiste un accordo generale; NLD e gruppi etnici
sono pronti a partecipare a questo dialogo, ma la dittatura si rifiuta di avviarlo. Benché venga
talvolta dimenticato, gli appelli per l’introduzione di sanzioni economiche mirate non sono stati
formulati nel tentativo per abbattere la dittatura, ma principalmente quale modalità per spingere la
dittatura ad avviare il dialogo. Tuttavia, nonostante il consenso generale a favore del dialogo e
sebbene l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite abbia addirittura conferito mandato al suo
Segretario Generale affinché si adoperasse in tal senso, pochissime iniziative politiche sono state
assunte dal 2003 al fine di esercitare pressione nei confronti dei generali affinché avviassero il
dialogo tripartito.
Nell’arco degli ultimi sette anni le Nazioni Unite e numerosi governi si sono lasciati distrarre dal
regime attraverso la sua cosiddetta roadmap verso la democrazia. Piuttosto che concentrarsi sulla
necessità di spingere i generali a sedersi al tavolo negoziale, l’attenzione si è concentrata sul
tentativo di riformare la roadmap stessa. Quando fu istituita la Convenzione Nazionale, organo che
ha redatto i principi della costituzione, l’attenzione si concentrò sulla possibilità di rendere il
processo più aperto e con la possibilità di parteciparvi da parte di NLD e altri. Qualunque proposta
delle Nazioni Unite fu respinta. Quando fu costituita la commissione incaricata di redigere la
costituzione, le Nazioni Unite chiesero che il processo fosse maggiormente inclusivo, ma anche
questa proposta fu ignorata. Quando fu celebrato il referendum le Nazioni Unite chiesero che lo
stesso fosse libero ed equo, ma così non fu. Le Nazioni Unite richiesero inoltre che le elezioni
potessero essere libere ed eque e che i prigionieri politici fossero rilasciati e potessero
parteciparvi. Al contrario, le norme elettorali sono tali che risulta impossibile che le elezioni siano
libere ed eque, mentre i prigionieri, compresa Aung San Suu Kyi, rimangono in stato di detenzione.
Le Nazioni Unite chiesero anche di poter inviare osservatori alle elezioni, ma anche questa
richiesta fu respinta.
Per sette anni la dittatura è riuscita con successo a distogliere l’attenzione delle Nazioni Unite da
quella che era riconosciuta quale la giusta strada verso il futuro. Gli sforzi dell’ONU si
concentrarono sul tentativo di riformare il processo avviato dalla dittatura piuttosto che garantire lo
svolgimento di un dialogo tripartito. Dopo la repressione delle manifestazioni del 2007 l’Inviato
delle Nazioni Unite Ibrahim Gambari ottenne l’autorizzazione del regime a incontrare Aung San
Suu Kyi, ma all’incontro fu inviato solamente un funzionario del governo di basso rango, privo di
qualsivoglia autorità per concludere un accordo. Ai rappresentanti dei gruppi etnici non fu in
nessun modo permesso di partecipare. Gambari ha incontrato alcuni rappresentanti dei gruppi
etnici in stato di cessate il fuoco con la dittatura e alcuni selezionati dalla dittatura stessa allo
scopo di incontrarlo, ma non ha mai incontrato i leader di organizzazioni quali ad esempio il Karen
National Union, il Karenni National Progressive Party, o il Restoration Council for Shan State, e ciò
per non dispiacere alla dittatura. Se nemmeno l’inviato delle Nazioni Unite si incontra con questi
leader, come possono le Nazioni Unite persuadere la dittatura a negoziare e a portare la pace nel
paese?
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Nel giugno del 2010 l’organizzazione The Elders, fondata da Nelson Mandela e che vede quale
suo membro l’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, ha lanciato un urgente
appello alla comunità internazionale, sostenendo che le elezioni non potranno essere libere ed
eque e richiedendo alla comunità internazionale di appoggiare un’iniziativa condotta dalle Nazioni
Unite volta a garantire il dialogo. Il messaggio è chiaro: è ora di andare avanti.
Alla fine di giugno a questo appello si è unito quello del G8, che ha richiesto il dialogo quale
soluzione ai problemi della Birmania, addossando specificamente alla dittatura le responsabilità
per l’assenza di dialogo.
Negli ultimi 20 anni sono state oltre 40 le visite degli inviati delle Nazioni Unite in Birmania senza
che ciò abbia portato a qualsivoglia risultato. È necessario invece un impegno diplomatico ad alto
livello sostenuto da pressioni efficaci, mirate e coordinate a livello politico ed economico. È
necessario che il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon conduca personalmente lo
sforzo delle Nazioni Unite nel tentativo di persuadere i generali ad avviare il dialogo. Il Segretario
Generale dispone dell’autorità per rivolgere un appello ai leader di tutto il mondo, a oriente come a
occidente, insistendo affinché essi gli garantiscano il loro appoggio cosicché per la prima volta la
comunità internazionale possa presentarsi con un approccio comune nei confronti della Birmania.
Si tratta di una sfida enorme che sarà tutt’altro che semplice raccogliere, ma che ha certamente
maggiori probabilità di permettere il progresso in Birmania piuttosto che rimanere in attesa nella
speranza che le elezioni farsa dei generali portino un cambiamento nel paese.
Pubblicato da The Burma Campaign UK, 28 Charles Square, London N1 6HT
www.burmacampaign.org.uk [email protected] tel: 020 7324 4710
Burma Campaign UK
Per i diritti umani, la democrazia e lo sviluppo in
Birmania
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