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Quando gli amministratori comunali si chiamavano ediles e duoviri. Le campagne elettorali dell’antichità nelle iscrizioni dipinte di Pompei ed Ercolano Al di là dell’eccezionale conservazione di due reperti archeologici unici che chiamano semplicemente "Scavi di Pompei e di Ercolano", l’aspetto più interessante di queste due antiche cittadine vesuviane, lungamente rimaste sepolte dalla pioggia di fuoco e cenere che Iuppiter Vesuvius riversò su uomini e cose quel fatale 29 agosto del 79 d.C., è rappresentato dall’immensa ricchezza del loro patrimonio di oggetti d’uso quotidiano eccezionalmente tramandatici proprio in virtù di quel nefasto sigillo. Un patrimonio che va dai letti finemente niellati ai mobili, dalle lucerne ai candelabri di squisita fattura e splendide raffigurazioni, dai bracieri alle casseforti, dal copioso vasellame ai meravigliosi oggetti di bronzo e vetro. Sicché si può affermare, senza ombra di dubbio, che attraverso i reperti pompeani ed ercolanesi si può studiare la vita quotidiana degli antichi in tutte le sue forme e nel suo processo di evoluzione. E ancora, accanto a tali eccezionali reperti va aggiunta la ricchezza della documentazione epigrafica che illustra quali potevano essere le complesse funzioni politiche, economiche, commerciali e ludiche che regolavano la vita di una città nei primi secoli dell’età cristiana. Numerosissime, sia pur non sempre di agevole lettura, sono, infatti, sui muri esterni e interni delle case e degli edifici pubblici (soprattutto nei cosiddetti Scavi nuovi di Pompei) i graffiti incisi o le epigrafi che attraverso date, ricordi, versi celebri e poemetti, ma anche imprecazioni oscene, ingiurie e proclami elettorali, documentano qual era la vita di tutti i giorni, anche negli aspetti più insoliti. Fornendo, così, altre preziosissime informazioni sulla storia del costume. Particolarmente utili al riguardo, sono, ad esempio, le scritte di raccomandazioni in favore dei candidati alla carica di duoviri e di ediles, di due cioè delle più importanti cariche pubbliche di Pompei. I duoviri erano, infatti, i due magistrati supremi che oltre ad esercitare il potere giudiziario nelle vertenze di carattere civile e commerciale, custodivano le casse pubbliche, convocavano e presiedevano l’Assemblea Popolare e il Consiglio Municipale, di cui nominavano, peraltro, i membri. Gli ediles erano invece i due magistrati che pur condividendo le prerogative e gli onori dei duoviri, fra cui il diritto di far parte del Consiglio Municipale, avevano compiti più specificamente amministrativi quali il controllo della vita cittadina negli edifici pubblici, la sorveglianza dei mercati, la cura dell’annona, il controllo dei pesi e delle misure, l’organizzazione degli spettacoli, la concessione dei permessi per l’utilizzo del suolo pubblico. Allora, come oggi, gli amministratori erano eletti dal popolo, e anche allora, come ora, gli strumenti principali di propaganda elettorale erano costituiti dai programmi o manifesti elettorali; i quali, in mancanza di carta non ancora inventata- erano realizzati con iscrizioni a lettere capitali dipinte mediante una vernice rossa o nera su una velatura di calcio precedentemente distesa sui muri. Il testo si svolgeva secondo un formulario molto semplice che si limitava a indicare il nome e la carica ambita dal candidato. Solo qualche volta appariva qualche espressione, per lo più in forma abbreviata, che Iscrizione elettorale su un muro di una casa di Pompei alludeva ai meriti dello stesso. In ogni caso questi manifesti contenevano una perorazione finale [oro vos faciatis = vi prego di farlo, oppure rogat = raccomanda]. Essi erano commissionati a oppositi pictor che - secchio di vernice in una mano, la scala sulle spalle - li realizzavano nei punti nevralgici della città: lungo le vie principali, presso le sedi delle associazioni religiose e delle corporazioni dei lavoratori, sui muri degli edifici pubblici, nei pressi degli abituali luoghi di riunione dei cittadini. I circa 1500 manifesti elettorali rinvenuti a Pompei [non va dimenticato, per spiegarsi una così massiccia presenza d’iscrizioni e graffiti, che l’anno della distruzione della città era anno di elezione] ci offrono utili indicazioni circa gli umori e le passioni degli antichi pompeiani nei riguardi della politica. Apprendiamo così che la propaganda era sostenuta oltre che dai candidati, da gruppi di persone o anche da singoli cittadini appartenenti, ad esempio, a uno stesso quartiere o a una stessa corporazione, e quindi motivati, pertanto, da una serie di stessi interessi: che non fossero, però, quelli di arricchirsi alle spalle dei cittadini com’è capitato di assistere purtroppo, e più volte, in un recente passato. Esemplari in proposito sono due iscrizioni: una sulla fullonica [tintoria] Stephani in via dell’Abbondanza sulla quale si legge: Fullones universi rog(ant) ... cioè i follatori uniti raccomandano ...; o ancora quella sulla facciata della casa di Asellina, dove in calce ad una perorazione si legge la firma di Asellina e di alcune altre donne (forse prostitute) che lavoravano per lei. Quest’ultima iscrizione appare ancora più singolare laddove si tenga presente che alle donne, pur non essendo ammesse al voto, era comunque data la possibilità di parteggiare per i candidati. A Ercolano, invece, la campagna elettorale si svolgeva in un clima di maggiore tolleranza: almeno a voler dar conto di pochi graffiti lasciati sui muri della città, raccolti e interpretati tra il 1929 e il 1941 da Matteo Della Corte. Il noto epigrafista riuscì, infatti, a comporre, da sciolti e mutili avanzi di programmi elettorali solo due titoli. Il primo recila così: Municipes iuvate Caesarem (O concittadino favorite Cesare); l’altro è il seguente: Felicitati Caesaris (Felicità a Cesare). Pezzella Franco