il reinserimento lavorativo

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IL REINSERIMENTO LAVORATIVO
Esperienza e modello di accompagnamento al lavoro nel veneziano
M. Zotta(1), L. Suardi(2), M. Zamarchi(3), M. De Angeli(4)
(1) Responsabile Unità Operativa di Riabilitazione delle Dipendenze Ser.T. Az. Ulss 12 Veneziana
(2) Medico tossicologo, Ser.t. Dolo Az. Ulss 13
(3) Responsabile Centro Studi Ce.I.S. Don Lorenzo Milani, Mestre
(4) Centro Studi Ce.I.S. Don Lorenzo Milani, Mestre
Nell’articolato mondo dell’intervento socio sanitario e assistenziale delle tossicodipendenze, quello legato al
reinserimento sociale e lavorativo appare come uno dei settori più complessi e per questo, tranne in pochissimi casi, il
meno esplorato nelle sue possibili implicazioni operative e terapeutiche.
Sino ad oggi le esigue riflessioni proposte, hanno riguardato prevalentemente gli aspetti socio economici o
legislativi, legati alla problematica del reinserimento.
I servizi pubblici per le tossicodipendenze hanno preferito, nella stragrande maggioranza, delegare al privato la
ricerca e la sperimentazione in tale settore contribuendo a creare l’idea di un ambito marginale, secondario, forse meno
scientifico rispetto alla cura e alla prevenzione.
Il privato, rappresentato quasi totalmente dalle comunità terapeutiche o da organizzazioni ad esse collegate
(cooperative sociali), é stato fortemente condizionato dal produrre sbocchi occupazionali, funzionali alla conclusione
dei programmi comunitari, costituendo comunque una delle forme avanzate di riflessione su tale tematica.
Nella condizione storica attuale del fenomeno, ci sembra di fondamentale e cruciale importanza ripensare al
rapporto possibile tra tossicodipendenza e mondo “vitale”, rappresentato dall’esperienza del lavoro. Tale operazione
diventa una necessità al fine di recuperare non solo il valore sociale, ma soprattutto la valenza terapeutica del lavoro
inteso come incontro tra una “domanda” manifesta o latente che sia, posta dal tossicodipendente e da un’offerta
rispettosa delle potenzialità e dei limiti dell’individuo.
Partendo dall’analisi dell’utenza afferente ai servizi Ser.t dell’Asl. 12 veneziana, anche sulla scia delle riflessioni
proposte dall’esperienza del privato sociale sul reinserimento socio lavorativo nel nostro territorio, si propongono
alcune riflessioni ed esperienze di attività lavorative realizzate nel veneziano, in una sinergia tra pubblico e privato, in
un continuum tra terapeutico e riabilitativo.
L’ESPERIENZA DEI SER.T.
Il problema del reinserimento socio-lavorativo sta sempre più assumendo un ruolo prioritario nell’ambito del lavoro
terapeutico con le persone tossicodipendenti. Non a caso, la stessa definizione di tossicodipendenza secondo i criteri
diagnostici del DSM-IV segnala il fatto che essa produce una significativa “interruzione o riduzione di importanti
attività sociali, lavorative o ricreative” (1).
Ciò che sorprende è lo scarso interesse che l’attività lavorativa ed il reinserimento nel mondo del lavoro del
dipendente da sostanze suscitano negli operatori che si occupano della cura e della ricerca scientifica sull’argomento.
A questo proposito la bibliografia riguardante tossicodipendenza e mondo del lavoro appare limitata a singole
ricerche focalizzate su ristretti ambiti lavorativi e quindi poco sistematiche e di scarsa rilevanza statistica (2).
Nell’ambito del territorio nazionale, per contro, esistono innumerevoli ricerche focalizzate sul problema alcol-mondo
del lavoro. Le persone alcol-dipendenti hanno un costo economico maggiore per gli istituti previdenziali ed assicurativi
e risultano essere più facilmente individuabili dal medico competente, deputato a produrre il giudizio di idoneità alla
mansione lavorativa (3). La stessa normativa ha chiaramente stabilito i criteri laboratoristico-tossicologici per il rilievo
del consumo di alcol, ma tuttora sussistono delle incertezze per il rilievo della presenza di altre sostanze stupefacenti
(D.P.R. N. 309/90).
Dalla letteratura sul rapporto tra dipendente da sostanze stupefacenti ed ambiente di lavoro emerge, come dato
uniforme, la frequente irregolarità nella condotta lavorativa degli assuntori di sostanze psicoattive (4).
Se da alcune ricerche degli anni ‘80 emerge una percentuale di occupazione dei pazienti tossicodipendenti che varia,
a seconda dei diversi studi (5) dal 16% al 30%, nella nostra esperienza di questi ultimi anni ‘90, il rapporto lavorotossicodipendenza appare profondamente modificato. Ci sembra che il numero degli utenti afferiti ai due Ser.t della Asl.
12 (Venezia e Mestre), con un’occupazione lavorativa, saltuaria o stabile, sia maggiore rispetto ai dati della letteratura.
Abbiamo ritenuto opportuno partire dai dati della realtà dei due Ser.t, osservando la loro utenza negli anni ‘97 e ‘98,
focalizzandone alcuni aspetti di tipo socio-lavorativo: l’età, la scolarità, l’attività lavorativa, distinta in attività stabile o
precaria, intendendo con questo termine attività part-time, a tempo determinato, contratti di tipo stagionale, lavoro nero.
Vorremmo prendere in esame solamente alcuni dati quantitativi che ci sembrano offrire uno spunto di riflessione.
Il primo di questi è l’aumento dell’età media degli utenti dei due Ser.t. Negli ultimi due anni, la fascia di età più
rappresentata è ormai quella che va dai 30 ai 34, segnata da un maggior numero di anni di dipendenza, le cui cause
sono molteplici. Tra queste vanno annoverati: gli interventi di prevenzione sulla diffusione delle malattie infettive più
strettamente legate all’uso di sostanze per via iniettiva, le nuove terapie antiretrovirali, - che hanno prodotto un notevole
allungamento dell’aspettativa di vita dei sieropositivi- la maggiore disponibilità di terapie farmacologiche, per il
trattamento dei tossicodipendenti da eroina, con farmaci sostitutivi (metadone, buprenorfina) o con farmaci antagonisti
(6).
Il secondo dato è il numero degli utenti con un’attività lavorativa precaria o stabile, che supera ampiamente il dato
della letteratura. Nell’anno 1997 gli utenti in carico al Ser.t di Mestre con un’occupazione precaria erano il 13,9%,
mentre nell’anno successivo il 16,7%. A fronte del dato che vedeva negli anni ‘96 e ’97 un incremento del numero degli
utenti con un’attività lavorativa stabile, passati da una percentuale del 19,2% al 23,9%; nel ’98, tale percentuale è
ridiscesa al 18,1% (questo dato è da mettere in relazione con il calo degli utenti del Ser.t, passati da 474 a 436 unità nel
giro di tre anni). La situazione lavorativa degli utenti del Ser.t di Venezia appare ancora più interessante da questo punto
di vista, poiché la percentuale degli utenti con un’occupazione stabile varia dal 32% del ‘97 al 37,1% del ‘98, con una
lieve riduzione dei lavoratori precari, che passano dall’8,4% al 7,8%. Questo dato probabilmente risente della
particolare situazione economica veneziana, che apre prospettive lavorative soprattutto nel settore turistico e nel
terziario.
Una delle possibili ipotesi che spieghino l’incremento dei tossicodipendenti che tentano una “compatibilità” tra
sostanza ed attività lavorativa, è l’utilizzo del metadone in entrambi i Ser.t, da circa tre anni, con un progressivo
incremento del numero dei pazienti in trattamento. Aldilà dei dati numerici, ciò che colpisce è la presenza di un sempre
maggior numero di tossicodipendenti occupati in attività lavorative precarie e “sommerse”, realtà che apre tutta una
serie di implicazioni connesse alla sicurezza sul lavoro, all’ipotetica “idoneità” alla mansione da essi svolta, alla
difficoltà di poter essere curati in modo adeguato.
Queste problematiche richiedono delle risposte terapeutiche che non siano esclusivamente medico-farmacologiche,
ma che si integrino con interventi di tipo sociale-riabilitativo e che tengano conto dell’importanza che ha il fattorelavoro in un percorso terapeutico; tanto più quando si assiste ad un prolungamento dell’aspettativa di vita della
popolazione dei tossicodipendenti.
Anche a livello istituzionale si inizia ad intravedere un’attenzione maggiore rivolta al legame tra tossicodipendenza
e mondo del lavoro. Infatti, presso la nostra Asl, ha trovato formalizzazione (maggio 99), l’Unità Operativa di
Riabilitazione delle Dipendenze, che già da alcuni anni operava nel territorio dell’ex Asl. 36 terraferma veneziana,
preposta agli interventi finalizzati alla riabilitazione e al reinserimento sociale dei tossicodipendenti residenti
nell’ambito territoriale dell’Azienda stessa. L’Unità Operativa ha il compito di raccordarsi con il Servizio di
Integrazione Lavorativa dell’Azienda per favorire i programmi di inserimento nel mondo del lavoro di soggetti
tossicodipendenti e collabora e si integra con altre Istituzioni (Enti Locali, Ministero di Grazia e Giustizia e Ministero
del Lavoro e della Previdenza Sociale) e con il Privato Sociale e il Volontariato per la realizzazione delle attività di
riabilitazione e di reinserimento sociale.
L’importanza dell’integrazione tra vari soggetti istituzionali è una “conditio sine qua non” per poter efficacemente
rispondere a questa complessa realtà, tenendo conto di tutte le sue variabili, per poter elaborare delle nuove strategie per
un corretto inserimento lavorativo di questi soggetti, che consentano un’adeguata valorizzazione delle loro risorse
attitudinali e garantiscano anche i necessari controlli ai fini della sicurezza del lavoro.
Questo è un passaggio importante, passare dal piano dell’isolamento o dell’omertà ad una visibilità in modo tale che
l’ambiente di lavoro diventi una reale risorsa del proprio percorso riabilitativo.
Inoltre, ci sono delle ulteriori variabili in gioco, infatti, negli ultimi anni 90, il quadro della tossicodipendenza è
andato rapidamente modificandosi (7).
Cambiano le sostanze, i pazienti diventano sempre più poliassuntori di alcol, eroina, cannabinoidi, amfetamine,
metamfetamine, inalanti, cocaina, psicofarmaci, con inizio dell’assunzione in età sempre più precoce.
Il pattern di uso delle sostanze è cambiato, la via di somministrazione preferenziale sta diventando quella orale o
endonasale e non più quella endovenosa (8), interessando soggetti sempre più giovani o giovanissimi, che riescono a
controllare la frequenza di assunzione anche per lunghi periodi, subendo un apparente minor deterioramento sociale,
secondo il modello del tossicodipendente “integrato” o del week-end (9).
Ipotizziamo che molti di questi soggetti riescano a rimanere “nascosti” nel proprio ambito lavorativo anche per
lungo tempo perché questa modalità di consumo permette di allontanare il momento della “perdita di controllo” e della
dipendenza vera e propria (o meglio, tentando di prolungare l’illusione di evitarla), con la completa negazione delle
possibili conseguenze personali e sociali che causa questo loro poliabuso (10).
L’ESPERIENZA DEL PRIVATO SOCIALE
L’inserimento socio lavorativo degli ex-tossicodipendenti, almeno per quanto riguarda il mondo delle comunità
terapeutiche, è divenuto un’esigenza emergente attorno alla seconda metà degli anni ottanta per divenire prioritario
all’inizio di questo decennio. Durante la fase di avvio e consolidamento del sistema riabilitativo delle
tossicodipendenze, la questione “impiego” non si è posta in modo preminente; sia per la più giovane età degli utenti
afferenti ai servizi, sia per una maggior attenzione degli operatori all’ambito della diagnosi e cura. Il carico di problemi
sollevato dagli utenti che si presentano inizialmente ai servizi spesso pone la tematica del lavoro in una fase temporale
successiva e relativamente distante dalla cura. La questione lavoro viene ad allontanarsi ulteriormente quando il
paziente segue programmi residenziali o semi residenziali, che pretendono una frequenza quotidiana e quindi la
sospensione dell’attività lavorativa. A conclusione di questi percorsi se da un lato si assiste alla risoluzione della
tossicodipendenza, dall’altro permangono difficoltà e problemi che rendono complesso e delicato il reinserimento nel
mercato del lavoro. Spesso le difficoltà si traducono in bassa scolarità, scarsa qualifica professionale, timore di essere
“riconosciuti”, mancata abitudine ai tempi e ritmi del lavoro. Sovente questa situazione si trasforma in un vero e proprio
svantaggio sociale che può contribuire al riattivarsi del sintomo. Il lavoro si evidenzia come uno dei fattori protettivi
della ricaduta, l’integrazione socio- lavorativa rientra negli interventi di prevenzione alle recidive. Gli elementi che
maggiormente sottolineano la valenza positiva del lavoro sono: l’acquisizione di uno spazio sociale riconosciuto, il
rispetto di un contratto, il raggiungimento di autonomia economica, una maggior definizione di sé. In quest’ottica è
sorta l’esigenza di accompagnare il reinserimento lavorativo, non tanto per dilatare il tempo della terapia ma piuttosto
per agire in termini di post – intervento terapeutico. Lo strumento della cooperativa sociale è sembrato il più idoneo
anche e soprattutto come possibilità di creare un vero sbocco d’integrazione sociale nel mondo del lavoro. Si tratta di
una scelta supportata da pregressi autorevoli in altri ambiti, basti per tutti l’istituzione, nel 1972 presso l’ospedale
psichiatrico di Trieste, della Cooperativa Lavoratori Uniti di Franco Basaglia(11).
Attualmente le cooperative sociali svolgono un ruolo determinante nella fase di reinserimento dell’ex
tossicodipendente permettendo di verificare il raggiungimento di alcuni obiettivi terapeutici. La continuità e la tenuta
dell’impiego, l’autonomia, la capacità di collaborare, di adeguarsi agli imprevisti, sono solo alcuni degli indicatori
d’osservazione che si possono evidenziare in tale ambito. L’attenzione del “datore di lavoro” a questi aspetti può
aiutare a dipingere il percorso di reinserimento.
Negli ultimi anni, almeno nell’esperienza veneziana, assistiamo ad un maggiore incontro e scambio tra le
cooperative sociali di tipo b e i servizi per le tossicodipendenze, che nasce da una acquisita sensibilità rispetto alle
tematiche del lavoro e del reinserimento. Laddove la rete tra questi soggetti è più consolidata sono stati pensati progetti
propedeutici al lavoro e di avviamento all’impiego. Nel quadro di queste iniziative progettuali uno spazio particolare
dovrà essere dedicato all’inserimento in cooperativa di tossicodipendenti in trattamento con metadone. La percezione
negativa del metadone, il fatto che sia erroneamente considerato nel panorama dei possibili interventi come sinonimo
sempre di cronicità, continua a relegare i pazienti in trattamento con tale farmaco in un’area che mal si coniuga, con gli
inserimenti lavorativi protetti. Il luogo comune del metadone come obnubilante delle capacità percettive è ancora molto
radicato all’interno delle cooperative sociali di tipo b che si occupano di reinserimenti lavorativi, anche se si fa strada
un’idea diversa (12). Per comprendere l’eventuale rifiuto o diniego al metadone è fondamentale comprendere la storia
di ogni singola cooperativa sociale ed il percorso che ha condotto i soci a cooperare. A differenza di qualsiasi altra
situazione lavorativa nella cooperativa la coesione tra i soci si basa su una serie di riferimenti che gli stessi riconoscono
e che si riassume nella “mission”. Nel caso di cooperative, dove trovano impiego ex-tossicodipendenti, fortemente
orientate sul concetto del “drug free” e del lavoro come occasione liberante, la collaborazione su progetti che riguardino
il metadone è estremamente difficile. Si tratta di superare il luogo comune per giungere ad una obiettività scientifica
rispetto all’utilizzo del farmaco. E’ necessario chiedersi se è possibile far coesistere il lavoro e il trattamento
metadonico e quale sia la soglia di accettabilità.
LA SFIDA DEL FUTURO, IL PROGETTO “CONTATTI” A VENEZIA.
Il Progetto Contatti si articola in una serie di iniziative affidate dalla Regione Veneto ai Ser.t della nostra Az.Ulss
12 veneziana in particolare alle Unità Operative della Prevenzione e della Riabilitazione – Reinserimento. Queste
iniziative hanno come obiettivo quello di organizzare risorse pubbliche e private della comunità locale intorno alla
realizzazione di esperienze diversificate, innovative ed integrate di prevenzione, accoglienza e reinserimento sociale,
valorizzando le specificità territoriali.
Per quanto concerne la riabilitazione e reinserimento il progetto elaborato mira ad aumentare la coscienza, sia a
livello istituzionale che sociale sulle tematiche relative al reinserimento dei tossicodipendenti. Questo attraverso la
creazione di un tavolo di lavoro con coinvolgimento di tutti i possibili attori: dalle istituzioni socio sanitarie a quelle
assistenziali agli Enti Locali, alle forze del privato sociale e man mano alle forze imprenditoriali e sindacali che siano
interessate ad un lavoro di ricerca ed approfondimento della dimensione mondo del lavoro e tossicodipendenza nel
territorio.
Si tratta di un lavoro sul modello della ricerca/intervento che si realizza attraverso due percorsi paralleli. Da un lato
è stata effettuata una ricerca statistica epidemiologica sui soggetti in trattamento metadonico seguiti presso i due Ser.T.
dell’Ulss 12 Veneziana.
I soggetti della ricerca sono stati 250 utenti in carico ai Ser.T. di Mestre (170) e Venezia (80) per l’assunzione di
trattamento farmacologico sostitutivo (metadone) nel periodo di maggio 2000.
Lo strumento utilizzato per la rilevazione dei dati è stato un questionario costituito da 40 items con la finalità di far
emergere le possibili relazioni tra persone che assumono metadone e i percorsi lavorativi intrapresi.
Sette sono state le aree tematiche considerate nel questionario:
1. Dati socio-anagrafici;
2. Approfondimento della variabile scolarità;
3. Condizioni lavorative passate e condizione lavorativa attuale;
4. Esperienze lavorative durante il periodo della tossicodipendenza;
5. Eventuali ripercussioni negative e/o positive legate all’uso di sostanze;
6. Esperienze nel rapporto con il mondo del lavoro durante l’assunzione del trattamento farmacologico
sostitutivo;
7. Possibile compatibilità tra assunzione di sostanze di sostanze, il non ricorso ai Servizi e l’attività lavorativa in
corso.
L’indagine conoscitiva è caratterizzata da un approccio di tipo esplorativo e utilizza il metodo statistico-descrittivo
di singole variabili; la seconda parte è caratterizzata invece da un approccio di tipo osservazionale e si basa sulla
descrizione analitica di ipotesi e associazioni tra singole variabili ritenute di interesse.
In totale sono stati compilati 158 questionari. Si riportano i dati più rappresentativi dell’intera ricerca. Per quanto
riguarda la disamina dei dati socio-anagrafici emerge che il 78% dei soggetti è di sesso maschile. Il 55,7% ha un età
compresa dai 30 ai 39 anni e il 56% vive ancora con la propria famiglia di origine. Il 31% ha figli e più esattamente il
25% dei maschi è genitore mentre il 50% delle donne hanno figli. Ancora, considerando l’associazione tra la variabile
tipo di convivenza e la variabile genitorialità si evince che il 39% di coloro i quali hanno figli vivono ancora con la
propria famiglia di origine. Il 63,9% è in possesso della licenza di media inferiore, mentre il 13,5% ha il titolo di scuola
superiore e il 5,8% il titolo di scuola professionale.
Per quanto riguarda la condizione socio-lavorativa emergono dati piuttosto interessanti. Il 36% è iscritto alle liste
di collocamento, l’89% è in possesso del libretto di lavoro, il 20 % ha fatto domanda di invalidità civile, mentre il 16%
fa parte di una categoria protetta.
Il 49% dei soggetti considerati (158) nel momento della somministrazione del questionario (primavera 2000) hanno
un’attività lavorativa in corso. Più precisamente il 62% lavora come operaio generico, il 21% come operaio
specializzato, l’8% come impiegato e il 9% come commerciante. Considerando l’ambito del lavoro, notiamo che il
74% lavora in ambito privato, l’8% nelle cooperative Sociali, il 5% nelle cooperative non sociali, l’8% nell’ambito del
lavoro autonomo. Considerando il solo gruppo di soggetti (78 in termini assoluti) che lavorano, il 79% di essi lavora a
tempo indeterminato e in regola per l’82%.
Il 68% afferma che il lavoro che sta svolgendo è soddisfacente principalmente perché si trova piacere nell’ambiente
dove si lavora e l’ammontare dello stipendio è buono.
Nel passato l’utilizzo di sostanze ha influito sul lavoro per l’82% dei soggetti della ricerca. Vengono descritti sia
aspetti positivi legati alla percezione degli effetti delle sostanze, (maggiore sicurezza, maggiore tolleranza ai ritmi di
lavoro, migliore gestione dell’ansia) sia aspetti negati (essere ripresi per ritardi, rimanere in malattia, rischiare il
licenziamento).
Il 44% dei soggetti che svolgono un’attività professionale risponde che nessuno nell’ambiente di lavoro conosce la
condizione di tossicodipendenza. Il 21% risponde che il fatto è noto al datore di lavoro, il 13% al datore ed alcuni
colleghi, l’8% solo ad alcuni colleghi. Le ultime domande del questionario avevano un carattere ipotetico/previsionale
in quanto si è cercato di estendere anche alla parte sommersa le osservazioni effettuate nel gruppo di soggetti
considerati. Certamente, questa parte del questionario non ha la pretesa di essere uno strumento di misurazione capace
di stimare in modo attendibile il fenomeno sommerso, tuttavia i dati raccolti, rappresentano la comprensione del
fenomeno così come viene percepito da un parte del sistema sociale, qui rappresentato dal nostro campione che
costituisce un sottoinsieme particolare di tossicodipendenti.
Il 75,6% ha amici e/o conoscenti che usano sostanze stupefacenti e lavorano. Attraverso una successiva elaborazione
statistica dei dati emerge che quasi la metà e cioè il 48,39% di queste persone non è mai ricorsa ai Servizi pur facendo
uso di sostanze e pur lavorando.
Concludendo, il gruppo di 158 soggetti da noi considerati non è certamente rappresentativo di tutta la popolazione
tossicodipendente in carico ai Servizi per l’assunzione di metadone, tuttavia i dati emersi dall’indagine di cui deve
essere rilevato il carattere locale, quindi necessariamente limitato di tale ricerca, ci invitano ad una riflessione che possa
considerare della tossicodipendenza anche il rapporto con la dimensione lavorativa oltre che l’aspetto della cura e del
controllo sociale.
L’altro versante della ricerca intervento è consistito nella creazione di un vero e proprio “laboratorio propedeutico
all’eventuale inserimento lavorativo”. Il target degli utenti è il cosiddetto zoccolo duro dei Ser.t.; pazienti in trattamento
farmacologico (metadone a medio alto dosaggio), ai quali è difficile proporre i classici trattamenti ambulatoriali
psicosociali.
Compito del “laboratorio” è permettere all’utente di rimisurarsi e, nel non solo nel segno della manualità, ma
soprattutto nel segno della “riconciliazione” con un possibile impegno lavorativo. Per gli operatori un luogo privilegiato
di osservazione per essere in grado di orientare maggiormente l’utente verso le sue reali attitudini. La durata del
laboratorio è stata pensata di quattro mesi ripetibili durante l’anno.
Il “laboratorio” aperto nel maggio 1998 ha visto a tutt’oggi la presenza di circa 30 persone per quattro ore e mezza
giornaliere, dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 13.00. Per le giornate di presenza percepiscono un gettone. Le regole
sono improntate ad un uso adeguato e rispettoso dello spazio: no scambio di sostanze, no violenza, gestione in comune
degli spazi (pulizie, preparazione della colazione ecc.) tutto questo con la presenza costante di un educatore animatore,
con compiti di facilitazione e osservazione dei processi di risocializzazione e di un assistente sociale che tiene i rapporti
con gli operatori invianti al fine di seguire l’andamento dell’esperienza, rielaborala sia individualmente, sia
gruppalmente in una riunione di circa un’ora che si tiene il lunedì mattina.
A margine di queste esperienze stiamo riflettendo come gruppo di lavoro circa l’opportunità di un intervento
terapeutico per taluni pazienti che lungi dal mirare/richiedere cambiamenti, lavori per arrestare processi di progressiva
emarginazione, senza che venga vissuta come sconfitta o ripiego per l’operatore e per il paziente
Ci stiamo interrogando su quanto come operatori, anche nel campo delle tossicodipendenze dobbiamo rifuggire
quell’accanimento terapeutico che non è solo prerogativa dell’intervento medico. Un accanimento che ci spinge a
vedere come valido e utile solo l’intervento che mira alla completa remissione del sintomo sia esso fisico che
psicologico Mentre non ci accorgiamo o stentiamo a riconoscere come vi sia dignità anche all’interno di una condizione
di sofferenza non immediatamente risolvibile.
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