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Consulenza redazionale: Giuliano Pavone
Prima edizione: aprile 2011
© 2011 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-2787-6
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Corpotre, Roma
Stampato nell’aprile 2011 presso Puntoweb s.r.l., Ariccia (Roma)
su carta PamoSuper della Cartiera Arctic Paper Mochenwangen
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Claudio Rendina
101 MISTERI E SEGRETI
DEL VATICANO
CHE NON TI HANNO
MAI RACCONTATO
E CHE LA CHIESA
NON VORREBBE
FARTI CONOSCERE
Illustrazioni di Alessandro Molinaro
Newton Compton editori
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A Maria D’Asaro, creatura di rara finezza,
che ha seguito la gestazione di questo libro
con l’affetto e la competenza di sempre
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Il Vaticano tanto per dire
Si nomina il Vaticano tanto per dire il punto di riferimento della Chiesa di Roma, ovvero della Chiesa cattolica, come il centro
capitale del cristianesimo di oggi. Il Vaticano o meglio la Città del
Vaticano è riconosciuta a livello internazionale come uno Stato
nella sua entità territoriale, tra Congregazioni, Uffici amministrativi, Tribunali e Segretariati, che fa capo al papa, il Vicario di Cristo in terra, nelle vesti di sovrano. Dalla Città del Vaticano la
Chiesa di Roma si dirama in tutto il mondo con la sua presenza
religiosa e finanziaria di vescovadi, prelature, parrocchie, chiese,
conventi, università, missioni, immobili, radio-televisioni, giornali e case editrici.
Ma il Vaticano giuridicamente non ha una sua sovranità, che va
invece attribuita alla Santa Sede, ovvero quella persona morale di
diritto pubblico che esercita appunto la sua sovranità sul Vaticano, definibile come ordinamento giuridico derivato. Peraltro la
Santa Sede è inscindibile dalla persona stessa del papa, costituendo così un circolo chiuso di competenze e autorità. Tutto questo
dal 1929, anno della firma dei Patti Lateranensi tra l’Italia e la
Santa Sede, con i quali si è ricostituito territorialmente lo Stato
Pontificio, praticamente in piedi dal 313, anno della donazione
dell’imperatore Costantino, con tanto di falso Constitutum Constantini, che avrebbe conferito al papa poteri di sovranità temporale su Roma, le province e le località dell’Italia e dell’Impero
d’Occidente. Come tale il Vaticano di oggi si collega non solo ai
suoi 82 anni di vita, ma anche alle vicende temporali più che millenarie dello Stato Pontificio e a quelle spirituali nate con l’istituzione stessa della Chiesa da parte di Cristo. Il Vaticano di oggi
come erede del Vaticano di ieri, nei suoi luoghi, dalle basiliche ai
santuari, dai palazzi pontifici e apostolici alle proprietà immobiliari distribuite tra Roma e il mondo.
In realtà si possono rivelare, e questo è in sostanza lo scopo del
libro, numerosi episodi all’interno e a margine dei luoghi del Vaticano, che spesso non vengono evidenziati, perché propri della
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microstoria, ma che riescono a mettere in luce i retroscena dell’attuale mondo pontificio, ovvero quello relativo agli ultimi cinque pontificati, dagli anni Sessanta al primo decennio del terzo
millennio, ma più particolarmente su quello di Benedetto XVI.
Così il Vaticano si rivela al mondo prima di tutto con i suoi protagonisti attuali, dal papa ai cardinali e ai vescovi, dai sacerdoti
alle monache e ai rappresentanti ecclesiastici e laici di ordini religiosi, confraternite e società di vita apostolica. Attraverso i quali
si va dall’ostentazione del lusso, tra autentici tesori di arte e gioielleria, al mercimonio del sacro, dalle frodi agli omicidi, dall’inquinamento ambientale alla falsa testimonianza religiosa, così che
si evidenzia come «attraverso qualche fessura il fumo di Satana è
entrato nella Chiesa», secondo quanto segnalò Paolo VI nell’omelia del 29 giugno 1972, festa degli apostoli Pietro e Paolo.
In alternativa a tanti protagonisti ed eventi della santa storia ufficiale emergono di conseguenza insoliti personaggi di Curia, come cardinali e vescovi mondani, banchieri e faccendieri, ladri e
assassini, ecclesiastici pedofili e sposati, reliquie e santi fasulli, e
perfino antipapi. Sono i protagonisti di segreti e misteri che la
storia ufficiale del Vaticano perlopiù non evidenzia, ma che appunto il libro tende a comunicare al lettore mettendo a nudo certi
aspetti politici, finanziari e sacrileghi, altrimenti destinati a restare sommersi. Sono i segni di quel «fumo di Satana» che possono
essere intesi come premonitori dell’approssimarsi della fine del
papato e della Chiesa di Roma, profetizzata per il 2026.
1. Il Vaticano e la Santa Sede, uno Stato
1. dai confini illegali
Il Vaticano è apparentemente una “città” all’interno di Roma,
denominata come tale Città del Vaticano, e in genere qualificata
capitale della Santa Sede, lo Stato a costituzione monarchica, con
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a capo il papa come sovrano assoluto, attualmente nella persona
di Benedetto XVI. Perché, contrariamente a quel che si pensa, il
Vaticano non ha una sua sovranità, che va invece attribuita alla
Santa Sede. La Santa Sede è giuridicamente una persona morale
di diritto pubblico, con esercizio della sua sovranità sul Vaticano
che è, propriamente, non un ordinamento giuridico originario,
come ogni altro Stato, ma derivato. Ed è un fatto che nell’Assemblea Generale dell’ONU non è presente la Città del Vaticano, ma
la Santa Sede con un suo “osservatore permanente”.
La Città del Vaticano è nata l’11 febbraio 1929 con la firma dei
Patti Lateranensi tra l’Italia e la Santa Sede, che ricostituirono,
sia pure con territorio ridotto, lo Stato Pontificio in Roma, mentre un concordato stabilì le prerogative dei religiosi e dei beni ecclesiastici in Italia. Il territorio si estende su 44 ettari, ovvero 0,44
chilometri quadrati, i cui confini sono limitati dalle Mura Vaticane e dalle strade romane via di Porta Angelica, piazza del Risorgimento, via dei Bastioni di Michelangelo, viale Vaticano, via della Stazione Vaticana, largo Porta Cavalleggeri, piazza del Sant’Uffizio e via Paolo VI, fino ad aprirsi sulla piazza San Pietro. E qui,
al limite del colonnato, si protende circolare il confine aperto con
l’Italia, tra i larghi Alicorni e del Colonnato, a fronte di piazza Pio
XII e via della Conciliazione.
In realtà questi confini del Vaticano sono fuori legge. Nei trattati del 1929 fu stabilita una linea di confine lunga 3 chilometri e
500 metri che corresse nel tessuto urbano di Roma, per il 70%
genericamente costituito dalle Mura Vaticane e per il 30% stabilito ex novo nel tessuto urbano italiano. Era una definizione non
chiara, nonostante una piantina allegata ai trattati. Il problema fu
pertanto riesaminato da una Commissione Tecnica italo-vaticana
e si definì una nuova linea di confine con relativi mappe, ma la
documentazione di tali confini non è stata mai ratificata né dal
governo italiano né da quello vaticano, e solo per un tacito accordo si sono mantenuti i confini stabiliti nel 1929, con le ambiguità
relative al tracciato del 30%, che si dovette creare ex novo. Con
tutte le illegalità conseguenti.
Così nella zona adiacente all’attuale palazzo della Congregazio9
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ne per la Dottrina della Fede, tra altri edifici e a fronte delle proprietà vaticane sul Gianicolo, si ebbe una tortuosità della linea di
confine, alla quale si pensò di ovviare con l’erezione di un cancello, che in linea retta collega la fine del colonnato con il Collegio Teutonico, ma che non corrisponde al confine effettivo, risultante più arretrato. La situazione peggiorò quando nel 1966 fu
abbattuto il Museo Petriano e venne costruita l’Aula Paolo VI,
che ha finito per essere collocata per tre quarti in territorio italiano, restando in quello vaticano la parte finale dove è il trono papale (v. L’illegale Aula Paolo VI).
Piazza San Pietro è territorio vaticano aperto al pubblico, ma
fino alla scalinata è sotto la giurisdizione delle autorità italiane,
ovvero ne è affidato l’ordine pubblico alla Polizia italiana (v. I soldati del Vaticano tra gloria e scandali). Il colonnato è del Vaticano
ma il confine con l’Italia corre lungo la linea esterna, per cui le
due colonne degli avancorpi rivolti alla piazza Pio XII si trovano
in territorio italiano. Altra zona ambigua è quella che corre tra il
braccio destro del colonnato e il Passetto, ovvero il tratto delle
mura che porta a Castel Sant’Angelo, arrivando fino al Portone
di Bronzo; è sotto il controllo delle autorità italiane, ma qui l’ambiguità è rimasta, considerando anche che sul primo tratto del
Passetto, in prossimità delle mura, corre il confine per un tacito
accordo tra Italia e Santa Sede.
In ogni caso il Vaticano non è circoscrivibile a «quel tanto di
territorio», come definì Pio XI i 44 ettari, con gli attuali 578 cittadini su 799 residenti non cittadini e 477 persone che abitano effettivamente tra le Mura Vaticane al 31 dicembre 2009. Il Vaticano è anche fuori del Vaticano. Dentro Roma, in Italia e in tutte le
nazioni del mondo, relativamente a diocesi, chiese, conventi, santuari, monasteri, seminari, oratori, case di cura, alberghi di proprietà della Santa Sede. Il Vaticano è fondamentalmente nel mondo, come presenza religiosa, territoriale e finanziaria, con un incalcolabile numero di persone ecclesiastiche e laiche; anche se il
riferimento immediato va a questa “città nella città”, il cui accesso è vietato ai non residenti e a chi non vi svolga un’attività. È visitabile senza formalità per la basilica di San Pietro, ma per alcuni
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ambienti a pagamento, e i Musei Vaticani, questi ultimi completamente a pagamento; per il resto occorrono invece speciali permessi presso l’Ufficio Permessi (tel. 06 69883759) e l’Ufficio Turistico (tel. 06 69881662).
2. Lungo le mura della Città del Vaticano
La Città del Vaticano è racchiusa per tre quarti dalle mura costruite come autentica roccaforte a difesa della residenza del papa. Anche se, in circostanze di estremo pericolo, il papa in passato ha trovato più sicurezza nel vicino Castel Sant’Angelo tramite
quella “via di fuga” che è stata il Passetto. Che è un autentico
“corridore di Borgo” lungo 800 metri. Inizia dal portico berniniano, s’insinua lungo via dei Corridori e borgo Sant’Angelo, fino
a scavalcare i giardini della Mole Adriana e innestarsi nel grande
corpo del castello. Da qui è percorribile per circa 400 metri. Il resto rientra nella Città del Vaticano, nel tratto iniziale compreso
tra due torrette, dove è sorto un piccolo Museo delle Mura tra
calchi di iscrizioni, documenti del restauro e testimonianze relative al sacco di Roma del 1527, visitabile solo su permesso.
Le mura si alzano lungo un perimetro, che possiamo ripercorrere da quello che è poi un punto di accesso classico al Vaticano,
l’Ingresso di Sant’Anna su via di Porta Angelica, a pochi metri
dal colonnato. Da qui si sviluppa il nuovo muro di cinta che termina in piazza Risorgimento con un bastione ornato dallo stemma di Pio XI; girato l’angolo ecco il muro di Pio IV, dove un tempo si apriva la Porta Angelica, con stemma del papa del 1562, a
fronte del quale in genere inizia la fila dei turisti che si protende
lungo i Bastioni di Michelangelo, con stemmi di Gregorio XVI e
Paolo III, fino a piazza del Risorgimento, dove apre la Porta Santa
Rosa, realizzata nel 2006 dallo scultore Gino Giannetti esclusivamente per l’uscita dei funzionari del Vaticano.
I bastioni proseguono fino al viale Vaticano, dove ultimamente
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sono state sacrificate le robinie per il restyling dei marciapiedi,
con i portali d’ingresso e uscita dei Musei Vaticani. I bastioni sono suggellati da stemmi dei vari papi che hanno restaurato le mura fino all’apice triangolare dove è la Porta Pertusa, con lo stemma di Niccolò V, murata dai primi del Seicento. Il muro corre a
fronte del viale Vaticano, si modella lungo il Bastione di San Giovanni all’altezza del civico 30A, e fronteggia la valle Aurelia scendendo per la via della Stazione Vaticana. Si supera un’entrata della città detto Ingresso del Perugino e si raggiunge la Porta Fabbrica, chiusa e parzialmente interrata, sormontata dallo stemma
di Clemente XI.
A questo punto la cinta bastionata si identifica con un tratto
delle più antiche mura di Leone IV, restaurate da Niccolò V, e si
protende verso via di Porta Cavalleggeri, della quale resta solo
l’arco realizzato da Pio IV nel 1565, fiancheggiato dalla fontanella
che sorgeva vicino alla porta, con un’iscrizione di Pio IX. Fino allo slargo, dove le mura finiscono nell’abside della chiesa di San
Salvatore in Terrione, titolo in riferimento a una torre di Porta
Cavalleggeri non più esistente, tanto da essere popolarmente
chiamata San Pietro in Borgo; è il primo edificio vaticano che si
offre alla vista dei passanti, fuori del territorio della città, ma godendo di extraterritorialità come il palazzo del Sant’Uffizio, al
quale è collegato.
La chiesa, sconsacrata nel 1611 e utilizzata come ambiente carcerario del Sant’Uffizio, è stata riconsacrata e restaurata nel 1924,
come indica sul portale la scritta relativa a Pio XI, ed è diventata
la cappella della retrostante casa Dono di Maria (v. I residence
della Città del Vaticano). Il Sant’uffizio è il rinascimentale palazzo
dell’Inquisizione, ribattezzata Congregazione per la Dottrina della Fede; deriva dal cinquecentesco palazzo cardinalizio Pucci, acquistato dalla Santa Sede nel 1566 per 6000 scudi e sorge sulla
piazza omonima, in territorio italiano, ma gode di extraterritorialità. Ha un portone rinforzato da lamine di ferro e feritoie ai lati,
con l’inserimento delle prigioni al pian terreno; così ristrutturato
nel 1925, ha perso in parte la sua arcigna prestanza e si è in fondo
imborghesito, ma è ancora sede di processi contro i propugnatori
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di nuove dottrine sulla fede. È un fatto che la Congregazione per
la Dottrina della Fede continua a investigare le nuove dottrine
sulla fede e le condanna, e in genere non c’è scampo quando si finisce davanti al suo giudizio (v. Le condanne dell’ex Sant’Uffizio).
Alla fine del palazzo è l’Ingresso del Petriano, che introduce alla parte meridionale della città, ad angolo con il colonnato di
piazza San Pietro, in fondo al quale, sulla sinistra della basilica è
l’altro ingresso alla Città del Vaticano, il cosiddetto Arco delle
Campane.
3. Il papa re
Il papa, da un punto di vista religioso, è il Vicario di Gesù Cristo, Successore del Principe degli Apostoli, Sommo Pontefice
della Chiesa universale o cattolica, e anche Vescovo di Roma, Primate d’Italia, Arcivescovo e Metropolita della provincia romana.
Senza voler tirare in ballo la qualifica di “Visceddio”, assegnatagli
da Giuseppe Gioachino Belli in un sonetto romanesco del 1835.
Su un piano politico è peraltro un re, ovvero il Sovrano della Città del Vaticano, come monarca assoluto di uno Stato a suo modo
“comunista”, come qualcuno l’ha definito, dal momento che non
esiste al suo interno una proprietà privata. Ma a fronte di tutti
questi titoli si distingue la qualifica di “Servo dei servi di Dio”,
che intende evidenziare lo spirito umile della sua carica ecclesiastica e governativa. Peraltro va considerato che Benedetto XVI ha
rinunciato al titolo di Patriarca dell’Occidente, che tutti i papi
hanno avuto fino a Giovanni Paolo II.
Come re il papa ha il suo trono, ecclesiasticamente chiamato
cattedra, che assurge a simbolo della sua sovranità, immancabilmente con il baldacchino. I troni materialmente a disposizione di
Benedetto XVI sono numerosi e il papa li cambia spesso. Un classico è quello usato nella basilica di San Pietro, in velluto damascato rosso e riquadri giallo oro con rilievi dorati sulla spalliera;
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un secondo fisso è nella Sala del Trono del palazzo Apostolico;
un terzo variabile è nell’Aula Paolo VI (v. L’illegale Aula Paolo VI),
come quello in forma di sedia con braccioli foderato di velluto
bianco; un quarto fisso è in marmo decorato con mosaici nella
basilica di San Giovanni in Laterano. Ma ovunque il papa si sposti nei suoi viaggi è previsto un trono, che sia evidentemente portatile, a volte appositamente realizzato ex novo, come quello progettato dall’architetto Ivan Vergendo per l’ostensione della Sindone in piazza San Carlo a Torino il 2 maggio 2010. È stata invece
abolita la sedia gestatoria, con la quale il papa passava tra la gente
plaudente; ultimo a usarla è stato Giovanni Paolo I.
Il termine “papa” deriva dal greco pàpas (padre) ed è assegnato
fino al secolo IX a tutti i vescovi, ma a quello di Roma viene dato
per la prima volta nella persona di Marcellino (296-304), come si
ricava dall’iscrizione del diacono Severo nelle catacombe di Callisto, «iussu p(a)p(ae) sui Marcellini». Dal 400, nel sinodo di Toledo, il titolo risulta esclusivo del vescovo di Roma, dal momento
che in riferimento ad altri vescovi si usa quello di episcopus. E da
allora il vescovo di Roma è indicato in tutto il mondo come papa.
L’altro termine che lo qualifica universalmente è pontifex, ovvero
“pontefice”; è un termine pagano e deriva dalla più antica tradizione romana. Risale a quel pontifex con il quale era indicato ogni
sacerdote del collegio religioso pagano; il loro superiore era il
pontifex maximus, con incarico a vita, e questo titolo più ampio
distingue il papa.
La fondazione del papato risale a Gesù Cristo, che lo avrebbe
istituito in funzione di un suo vicario nella persona dell’apostolo
Pietro. «Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa, e
le porte dell’inferno non prevarranno su di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto quello che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, tutto quello che scioglierai sulla terra sarà sciolto
nei cieli» (San Paolo, Milano 2010). È questa la famosa frase pronunciata da Gesù nel vangelo di Matteo (16, 18, 19) e sul quale si
basa la Chiesa cattolica dalle sue origini, con la fede nel ministero
assegnato a Pietro e da questi trasmesso ai suoi successori per assicurare l’esistenza della Chiesa e, come pastori, guidare i creden14
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ti: «Pasci le mie pecorelle», secondo quanto si legge nel vangelo
di Giovanni (21, 15).
Al papa in pratica sono state assegnate le chiavi simboliche della Verità evangelica, ovvero del primato sulla terra, come vicario
di Gesù Cristo. In quelle parole del Figlio di Dio è anche il segno
dell’infallibilità del papa, della sua autorità ex cathedra, divenuta
dogma di fede con il Concilio Vaticano I del 1870. In realtà il
dogma varrebbe solo alla proclamazione di una dottrina come
“rivelata”; ma il 21 novembre 1964 la costituzione Lumen Gentium del Concilio Vaticano II ha precisato che anche il magistero
ordinario esercitato dal papa possiede il carisma dell’infallibilità
di cui Gesù ha dotato la Chiesa, perché sia sacramento universale
di salvezza.
Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, è il 265° papa della
storia. Nato a Marktl am Inn, diocesi di Passau, il 16 aprile 1927;
nel 1939 è obbligatoriamente arruolato nella Hitlerjugend, la gioventù hitleriana, e nel 1943 viene richiamato nei servizi ausiliari
antiaerei del Reich, assegnato a un reparto di artiglieria contraerea esterno alla Wehrmacht e in difesa degli stabilimenti della
BMW. In servizio per un anno in un reparto di intercettazioni radiofoniche, viene poi destinato allo scavo di trincee e quindi inviato insieme a gruppi di coetanei a compiere marce in alcune città tedesche, cantando canti nazionalsocialisti per sollevare il morale della popolazione. Se si fosse rifiutato sarebbe stato sicuramente fucilato, cosa che lo avrebbe reso un martire.
Con la disfatta tedesca, nell’aprile del 1945 Ratzinger è recluso
per alcune settimane in un campo degli Alleati, vicino a Ulma,
come prigioniero di guerra; viene rilasciato il 19 giugno 1945 e
ospitato presso l’Herzogliches Georgianum, un seminario interdiocesano dove confluiscono tutti i candidati al sacerdozio della
Baviera. Ordinato sacerdote il 29 giugno 1951, diventa insegnante di Teologia nelle università di Bonn, Münster, Tubinga e Ratisbona, ed è consulente teologico nel Concilio Vaticano II. Il 25
marzo 1977 è nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga e nel
concistoro del 27 giugno 1977 viene creato cardinale del titolo di
Santa Maria Consolatrice al Tiburtino; dal 25 novembre 1981 è
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Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede. Seguono
in Roma, il 19 aprile 2005, la sua elezione al pontificato e quindi
il 24 aprile la sua consacrazione.
4. L’elezione del papa
È il conclave, dal latino cum clave, il luogo “chiuso a chiave” in
cui, alla morte di un sovrano pontefice, si riuniscono i cardinali
(v. Cardinali manager per Mammona), come “principi della Chiesa”, per eleggere il successore. E i cardinali costituiscono il problema sempre esistito nell’elezione, perché la corruzione arriva
anche dentro il conclave con questi gestori dell’elezione, che oltre
a essere i consiglieri del papa, sono anche collegati politicamente
ai diversi Stati impegnati in intrighi internazionali, e facilmente
oggetto, appunto, di corruzione. Che in una elezione pontificia
si è fatta sempre sentire tra patteggiamenti, promesse di privilegi
e balzelli, commercio d’indulgenze.
Nel Novecento, con l’aumento del numero dei cardinali, è sorto il problema della maggioranza da tener presente nelle votazioni, e questa è stata definita da Pio XII nel numero dei due terzi
più uno, in modo che non risulti determinante il voto del neoeletto. Con Paolo VI è stata fissata invece a ottant’anni l’età massima dei cardinali partecipanti all’elezione e a 120 il loro numero,
come è stato per i conclavi nei quali sono stati eletti Giovanni
Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
L’area in cui si è svolto il conclave fino al 1978 era limitata alla
Cappella Sistina, inserita all’interno del percorso dei Musei Vaticani (v. Le ricchezze dei Musei Vaticani), nella quale i cardinali risiedevano in apposite scranne, mangiavano e bevevano quanto
veniva loro servito attraverso una feritoia, e dormivano su brandine. Nell’ultimo conclave del 2005 si sono insediati invece nella
Domus Sanctae Martae, ovvero uno dei residence del Vaticano
(v. I residence della Città del Vaticano), ma è nella Cappella Sistina
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che si è mantenuta la votazione, sotto chiave e con rigido controllo del portale con tanto di Guardia Svizzera. Al suo interno ogni
cardinale ha votato sedendo a un tavolo posto in mezzo alla cappella, scrivendo il nome del candidato su una scheda stampata in
latino e ponendola in un calice che è posto sull’altare. E per comunicare all’esterno l’avvenuta elezione, vengono bruciate le sole
schede della votazione in una stufa collegata a una canna fumaria
esterna, provocando una “fumata bianca”; diversamente, l’aggiunta alle schede di prodotti chimici, al posto della paglia di un
tempo, determina una “fumata nera” per avvertire che il papa ancora non è stato eletto.
Va però registrato un particolare relativo ai precedenti della
clausura e della votazione, che si sono verificati nelle ultime due
elezioni. Prima del conclave dell’ottobre 1978, che ha portato
all’elezione dell’arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla, si salda
un’intesa fra la prelatura dell’Opus Dei e la fazione tedesca dei
cardinali guidata dall’arcivescovo di Colonia Joseph Höffner. Il
porporato polacco prima del conclave si reca nella sede romana
della prelatura personale Opus Dei (v. La prelatura affaristica
dell’Opus Dei) in viale Bruno Buozzi, dove appunto si svolge la
riunione, nella quale viene definito l’appoggio dei cardinali dell’opera e di quelli vicini a essa per l’elezione di Wojtyla. Che avviene il 16 ottobre con il nome di Giovanni Paolo II. È un fatto
che subito dopo l’elezione di Wojtyla, l’edizione settimanale in
lingua tedesca de «L’Osservatore Romano» documenta «i buoni
rapporti» del nuovo papa «con i vescovi tedeschi» pubblicando
due foto significative scattate alla vigilia del conclave: ritraggono
il cardinale Wojtyla, il cardinale Höffner e monsignor Franz Hengsbach, vescovo di Essen, riuniti nel centro romano dell’Opus
Dei.
Sul conclave che si apre il 18 aprile 2005 aleggia lo spirito di
Giovanni Paolo II, incombendo sui 115 cardinali chiamati a scegliere il suo successore, e in qualche modo li condiziona per una
linea di continuità. E si autonomina il cardinale Joseph Ratzinger,
fin da quando legge le sue omelie per i funerali di Giovanni Paolo
II e nelle congregazioni di preparazione al conclave, che sono par17
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se autentici manifesti di personale propaganda elettorale. Il porporato tedesco tra il 16 e il 17 aprile svolge una vera e propria
campagna elettorale con l’aiuto di diversi porporati e movimenti
conservatori, Opus Dei in testa, fino a una riunione in una sede
della prelatura fuori Roma, alla quale però Ratzinger non ha partecipato personalmente. «In questo modo», si legge sul quotidiano di Rio de Janeiro «O Globo», «Joseph Ratzinger entra in conclave praticamente papa»; e il giornale cita come fonte uno dei
quattro cardinali brasiliani presenti alla votazione, il quale avrebbe fatto la rivelazione in forma anonima per evitare la scomunica
che colpisce chi rivela i segreti di un’elezione papale.
A indiretta conferma la conferenza episcopale brasiliana ha riconosciuto con «O Globo» che l’Opus Dei ha avuto un ruolo importante nell’elezione di Benedetto XVI, perché l’opera «gode di
grande prestigio in Vaticano, soprattutto tra i cardinali più conservatori». In termini più cronachistici ha valore quanto scrive su
«Limes» di aprile, a pochi giorni dalla chiusura del conclave, il
vaticanista Lucio Brunelli sulla base di rivelazioni di un cardinale.
Ratzinger avrebbe avuto subito 47 voti su 115, progredendo fino
ad avere i due terzi; Martini avrebbe ottenuto solo 9 voti al primo
scrutinio, facendo capire che non gradiva essere eletto. Allora
avrebbe acquistato consensi il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio, ma non avrebbe potuto ostacolare l’avanzata di Ratzinger,
eletto dopo soli quattro scrutini alle 17,50 del 19 aprile.
5. La casa del papa
Per localizzarla basta guardare l’edificio che si estende lateralmente a piazza San Pietro, che è il palazzo Aposotolico Vaticano,
da dove è solito affacciarsi il papa ogni domenica, esattamente
dalla penultima finestra d’angolo dell’ultimo piano. È soprannominato palazzo Sistino, da Sisto V che nel 1588 lo fece innalzare
da Domenico Fontana, anche se fu completato sotto Clemente
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VIII (1592-1605), quando oltretutto i papi erano andati ad abitare
nel palazzo del Quirinale. Finché non è ridiventata forzatamente
la casa del papa con Pio IX (1846-1878) dal 20 settembre 1870,
quando Roma entrò a far parte del territorio italiano.
L’ingresso al palazzo Apostolico Vaticano è dal cosiddetto Portone di Bronzo, a custodia del quale è una Guardia Svizzera con
alabarda, ma l’entrata più opportuna e accessibile alla casa del
papa, grazie a un permesso speciale, è nel retrostante Cortile di
San Damaso, a pochi metri dal Portone di Bronzo, salendo la scala di Pio IX. La casa di Benedetto XVI è al terzo piano, là dove sono state le dimore dei papi che l’hanno preceduto a partire da Pio
X, che nel 1903 fece a cambio con la dimora del Segretario di Stato, al quale furono assegnati i locali del primo piano, dove appunto avevano abitato Pio IX, gli ultimi otto anni della sua vita, e Leone XIII (1878-1903). L’appartamento da allora è sempre rimasto
qui, pur subendo ogni volta quei parziali cambiamenti interni
nell’arredamento, come riflesso delle abitudini personali del nuovo pontefice; in particolare Paolo VI fece costruire un giardino
pensile sul largo tetto a terrazza. Ma con papa Montini l’appartamento aveva un assetto segreto, con la distribuzione delle stanze
solo ipotizzabile, mentre con Giovanni Paolo II l’appartamento
non è stato più un mistero, mostrando un assetto che sarà mantenuto da Benedetto XVI.
Si sviluppa in dieci stanze, alle quali si affiancano altri undici
ambienti riservati a tre professe della Memoria domini, un’associazione religiosa di Comunione e Liberazione. Benedetto XVI ha
adottato tinte chiare alle pareti dello studio, dal quale si affaccia
ogni domenica, e della camera da letto, verso sinistra, sull’angolo
del palazzo, che prosegue con il bagno e l’infermeria adattata a
gabinetto chirurgico e dentistico. Qui è disposta una cyclette, che
il papa usa quotidianamente per mezz’ora, come prescrittogli dal
professor Renato Buzzonetti, che era il medico personale del papa fino a giugno del 2009.
Ecco quindi la sala da pranzo e la cucina, fatta rinnovare
quest’ultima da Benedetto XVI con fuochi, pensili, forni, utensili
elettrici a scomparsa e luci a incasso nel controsoffitto; il tutto of19
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ferto da una ditta tedesca. L’alimentazione di Benedetto XVI era
di ispirazione tedesca, basata sulla cucina bavarese con würstel e
insaccati, ma i medici gli hanno imposto una dieta. E sono arrivati menu a base di pasta al curry o con salmone e zucchine, risotto allo zafferano, involtini di pollo e straccetti con rucola. Il
tutto accompagnato da un succo d’arancia, anche se il bel monsignor Gaenswein, suo Segretario e quotidiano commensale, si
concede del vino, di cui è grande intenditore, che verosimilmente
offre al papa.
Sulla destra dello studio l’appartamento si sviluppa nelle stanze-ufficio dei due segretari particolari e, di seguito, finisce nella
Sala di Ricevimento. A fronte di questa suite c’è la cappella privata, nella quale il papa dice Messa ogni mattina alle sette, e che
confina con gli ambienti delle tre professe della Memores Domini:
Cristina, Carmela, e Loredana. Cristina è addetta alla cappella,
Carmela segue la stanza e il guardaroba del papa, mentre a Loredana è affidata la cucina, grazie alla quale “sovrintende” alla salute di Benedetto XVI. Fino al 24 novembre c’era anche Manuela;
è rimasta vittima di un incidente stradale sulla via Nomentana a
Roma.
Ma c’è anche un piano superiore: nei cosiddetti “soffittoni” sono stati ricavati 12 appartamentini per i due segretari, che sovrintendono alle udienze, alle celebrazioni liturgiche e ai documenti
pontifici. E in fondo questi ambienti costituiscono un appartamento a sé rispetto alla casa del papa, nei quali il personaggio più
eminente è monsignor Georg Gaenswein, perché l’altro Segretario, il maltese Alfred Xuereb, è stato nominato Prelato d’anticamera solo nel 2006 e con la qualifica di Segretario personale in
seconda; oltretutto Gaenswein è Prelato d’onore di Sua Santità
con tanto di bel portamento. «Sul metro e ottanta, fisico sportivo
e decisamente un bell’uomo», lo stigmatizza il giornale cattolico
«Avvenire» il 20 aprile 2006, così che gli sono arrivate le definizioni di “Sonny Boy in sottana”, il “nuovo padre Ralph di Uccelli
di rovo” e il “George Clooney del Vaticano”. Ha 54 anni, ma non
li dimostra.
Ancor meno misteriose le 12 stanze dell’appartamento di rap20
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presentanza al secondo piano, spesso riprese dalle telecamere per
le udienze pontificie a personalità politiche e celebrità. Sono dedicate nel nome a Sant’Ambrogio, agli Scultori, ai Pittori, agli
Evangelisti, al Redentore, alla Madonna, a Santa Caterina e ai
Santi Pietro e Paolo, oltre alla Biblioteca, con gli splendidi affreschi di paesaggi, e la Sala del Trono, non più fastoso come un
tempo, ma costituito oggi da un semplice seggio in marmo con le
statue degli apostoli Pietro e Paolo.
6. Le insegne e il vestiario del papa
Il papa regnante, come sovrano, ha uno stemma per il quale utilizza l’arma del suo casato, se è nobile, come è accaduto per Paolo
VI con lo stemma della famiglia Montini; altrimenti ne adotta uno
di sua invenzione. Così è per Benedetto XVI nel cui stemma sono
effigiati una conchiglia dorata, simbolo dei pellegrini, su fondo
rosso, un moro (simbolo dell’universalità della Chiesa) e un orso;
quest’ultimo richiama la leggenda di san Colombano, che ebbe il
cavallo ucciso da un orso e allora obbligò la belva a portare il suo
bagaglio durante un viaggio a Roma. Una semplice mitria pontificia, e non il triregno, sovrasta lo scudo, dietro al quale sono le
bande del copricapo e gli estremi delle due chiavi pontificie.
Le due chiavi hanno un significato simbolico; quella d’oro vale
come la potenza e quella d’argento come la scienza. In ogni caso
è lo stemma nel suo complesso che resta l’emblema del potere papale e in una forma aristocratica non troppo in linea con lo spirito
evangelico, se solo si pensa alla povertà del primo papa, il pescatore di Galilea. Peraltro il riferimento a Pietro è incancellabile in
quella gemma simbolica che reca scolpita l’immagine del primo
papa nell’atto di pescare dalla sua navicella; l’anello del “pescatore”, appunto, usato dal pontefice per ricordare che la supremazia della Chiesa fu assegnata al pescatore Simone, di cui i papi sono i legittimi successori.
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Questo anello, custodito dal Prelato Maestro di Camera, viene
spezzato alla morte di ogni papa e rinnovato; sempre d’oro, è indossato dal neoletto pontefice al dito anulare destro e utilizzato
per sigillare tutta la corrispondenza privata, facendo pressione
sulla ceralacca riscaldata e fusa sulla carta. L’anello piscatorio
d’oro massiccio di Benedetto XVI è stato creato appositamente da
un noto orafo romano, Claudio Franchi, esponente dell’Associazione Regionale Romana Orafi; riporta un sigillo a forma ovale,
sul quale è incisa la tradizionale barca con Pietro che getta le reti
per pescare. Intorno all’anello è inciso il nome del papa, “Benedictus XVI”. Ma il pontefice ha anche il suo anello personale, che
risale a quando è stato nominato cardinale: è in oro massiccio e
reca una pietra, generalmente uno zaffiro, con le insegne del papa
che lo ha donato incise sul verso della pietra o sull’anello. Ed è
più grande del piscatorio perché deve poter essere infilato sopra
i guanti pontificali.
Il vestiario del papa è piuttosto sobrio, all’insegna del colore
bianco. L’indumento principale era una zimarra, caratterizzata
da una mozzetta a finte maniche, larghe fino ai gomiti, sostituita
nelle funzioni religiose da un camice in pizzo lungo fino ai piedi,
con maniche attillate, cinta sui fianchi dal cingolo; era portata direttamente sopra una camicia a collo romano con polsini alla moschettiera fermati dai gemelli. E nelle cerimonie religiose all’aperto, in autunno e inverno, Benedetto XVI indossa anche un maglione nero di lana. Ma la zimarra è stata sostituita da un pallio, descritto da Guido Marini, maestro delle Celebrazioni Liturgiche
Pontificie, «a forma circolare chiusa, con i due capi che pendono
nel mezzo del petto e del dorso. La foggia risulterà più larga e più
lunga, mentre sarà conservato il colore rosso delle croci che lo
adornano» e così «non si vedranno i polsini del maglione nero».
Come soprabito Benedetto XVI usa la mozzetta, una mantellina
di velluto corta abbottonata sul davanti, che è di colore rosso o
bianco, o il piviale, ampio mantello con cappuccio. Rosso è anche
il camauro, un copricapo di velluto bordato di pelliccia d’ermellino bianca; copricapo alternativo è il saturno, un cappello a tesa
larga, anche questo rosso.
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Ma ecco risaltare l’aristocraticità dell’abbigliamento papale nelle scarpe color rosso ciliegia, diventate un’icona da quando il
mensile americano «Esquire» nel 2009 ha definito il papa «the
accessorizer of the year», ovvero «l’uomo più elegante dell’anno»
per quelle calzature. E si è discusso a lungo su chi le fornisca, così
che è stato fatto il nome di Prada. Ma «L’Osservatore Romano»
ha smentito quella voce dichiarando che «il colore rosso ha un significato religioso», ovvero il “sacrificio”, e pertanto «il papa non
veste Prada, veste Cristo». In realtà quelle scarpe sono opera di
Adriano Stefanelli, un artigiano di Novara, e quando si consumano le rimette a nuovo Antonio Arellano, un peruviano che ha il
negozio di calzolaio a Borgo Pio. Ma è difficile pensare che il papa faccia riparare le scarpe, come un comune mortale; più probabile che arrivino nuove da Novara.
L’aristocraticità di Benedetto XVI non compare nell’orologio,
che porta al polso sinistro con un cinturino di pelle nera: è un
Junghans, storica marca tedesca specializzata in apparecchi radio-controllati. Il modello che indossa il papa è un po’ datato, ma
è in titanio e il quadrante è a pannello solare. L’ostentazione di
ricchezza si rivela invece nelle funzioni religiose quando usa una
mitra giallo oro gemmata, ben calcata sulla fronte e con due nastri posteriori, le vitte, che ricadono sulla nuca, e nella sinistra tiene la ferula d’oro, ovvero il pastorale con la croce. Nei primi tre
anni del suo pontificato ha usato quella realizzata nel 1963 dallo
scultore napoletano Lello Scorzelli per Paolo VI, in argento dorato a forma di croce, accompagnata dalla figura del Crocifisso.
Dalla Domenica delle Palme del 2008 l’ha sostituita con un bastone sormontato da una croce dorata, che usava Pio IX. Con la
celebrazione dei Primi Vespri di Avvento del 2009 ha iniziato a
usare una nuova ferula, a lui donata dal Circolo San Pietro, simile
nella forma a quella di Pio IX: termina con una esile scultura di
Gesù in croce, che la rende più leggera della precedente, ma è
completamente d’oro.
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