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“Le interruzioni”
"Non si vede bene che col cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi"
Sventola quel che di lavato ho steso, due lenzuola, si asciugheranno entro parallele
solitudini o, dispettose, non vorranno toccarsi, contagiarsi, si sporcheranno,
ammuffiranno, ma continuano a giocare e, prive di malizia, confonderanno gli
occhi ai camminanti che, per puro caso, viaggeranno a testa alta. Le ho raccolte
sta mattina, da una lavatrice arrugginita dentro, che perde acqua, ma non ho
abbastanza soldi per provvedere al cambio di stagione degli elettrodomestici del
mio monolocale di paglia. Tu sai. Dannazione, quale demone ci spinga giu per le
scale ogni giorno ed ogni giorno ci mastichi, aggrovigliati fili del lavoro
settimanale, dei weekend andati a male, delle corse sulle corsie interregionali
intasate dagli zombie? Perché la routine si conficca così, insensibile ai nostri
spasimi di evasione, di suicidio, di urla. Oggi pensavo a questo e poco dopo
scendevo le scale, volevo accecare i passanti col mio malumore, le mie cattive
abitudini, il mio dolore, camminavo e piangevo a poco a poco, conservavo la
misteriosa necessità d’essere considerata, semplicemente considerata, una, una
persona sola che mi guardasse magari in maniera differente, istantanea. Capitemi,
sussurravo, capitemi, ma voi abbassavate il capo e raccoglievate fiori finti pur di
non aspettarmi. La gente per strada non ti capisce mai e se lo fa, é pazza. Un
amico mi vede, "ciao tesoro, come va ?" Amico, hai ceduto le parole alla noia ?
Se fossi per te un tesoro, non mi abbandoneresti mai ed ogni istante per te sarei la
scoperta più graziosa della tua vita. Allora ti rispondo che va bene e sorrido
schiettamente, tu rispondi che si vede e passi oltre. Il mio sorriso é il palcoscenico
sul quale scaraventare le mie migliori comparse. E il panico di un giorno inutile a
rendere quel giorno realmente inutile, quando pensi di aver sprecato un sole sorto
solo per te, lo hai fatto e ne sei uscita sconfitta per sempre. Salgo sulla metro ed
una signora batte la mano a tempo sul suo cuore. Uno skater ha abbassato il
cappello sugli occhi, buio. Un vecchio decrepito mi guarda e non sa cosa fare, le
rughe scavate profondamente sudano, ma io so che sono tutte lacrime, qualsiasi
cosa faccia quel vecchio sarà una lacrima di dolore imprescindibilmente inviolabile.
Ciao, tesoro mio, compagno di sventura, ti regalerei una giornata piovosa se
fossimo in campagna e tu avessi deciso di morire sui fiori. Scendo dalla metro ed
ho l’umore piovano e piovoso. Piove pece dai limiti della mia vita. Come un pezzo
di legno che era un dolcissimo salice piangente sulla riva di un fiume, io dovrei
essere il salice e il fiume e il sole che nasce per portare l’ombra e il vento che
srotola le nuvole, la pioggia e le foglie. E invece sono solo uno sventurato pezzo di
tronco, segato da ogni lato. Se un amore ti taglia, cos'altro puoi sperare ? Che
qualcuno arrivi a rimontare i pezzi cosi com' erano ? Gli alberi muoiono se li scavi
fino in fondo, sto seccando. Io spero, per questo sono fuori e cammino a mani
conserte tra la folla. Una fontana in una piazza mi ricorda un film e mi fermo e
mi siedo. Un ragazzo molto chiaro mi siede vicino, scatta foto monocromo alle
mura marcie di questa citta ."Ciao", gli dico, "di dove sei ?" "Sono svedese, tu sei
di qua ?" "Si, si". Mi guarda e sorride. "Posso scattarti una foto?" "Certo". E
non ho neanche il tempo di mettermi in posa. "Aspetta, facciamone un'altra, non
ero pronta". "No, no, è perfetta”. "Ok", dico io. "Sai perché scatto foto ? Non mi
interessa il ricordo, una foto venuta bene è la frazione di sentimento che sfugge
agli occhi, l'obiettivo è imprevedibile, dev'essere tempestivo, sempre presente, una
donna muove il volto ed io devo scattare prima che lei capisca che una foto le
annoderà i dolori alle gioie". Un secondo. Una goccia che cade. "Quindi la mia
foto... Com'é ?" "Sai benissimo com'e". Si avvicina a me e mi stringe, mi dice
"dove tu finisci, io o qualcun altro inizierà”. Io rispondo di non voler finire e
appena dico così, una spina si stacca dal mio stomaco e risale dissolvendosi. lo
non voglio finire così, demoralizzata, rincretinita dal dolore. Mi stacco da lui e
inizio a correre, come i treni che decidono di staccarsi dai binari e cadono giù dal
precipizio. Io sono il terrore dei bambini nei vagoni quando sanno di stare per
morire a metà della caduta. Sono qui, ti prego, ti imploro in ginocchio, torna,
resistere non é mai stato tanto lacrimevole. Solo adesso mi rendo conto della mia
inutile esistenza, solo adesso tutto il resto é ridicolo ed odiato, sei ogni altra
persona e l'unica che legga passo, passo i manuali che il mio cervello produce in
Helvetica. Mi agito e mi si concede ristoro in una piccola caverna, che sia strada
o infinito silenzio questa caverna. Padre mio, mi vedi, sono terra madre, sono
terra fertile, sono arcobaleno, proteggimi da questo freddo, nascondimi all’assenza e
costringimi a vivere, restituiscimi alla battaglia. Come per sbaglio un singulto
gracile mi raccoglie e mi riporta dritta. Ecco, mondo, mi vedi, sono di nuovo in
piedi, di nuovo palo. Davanti a me una signora. "Tutto bene ?" Mi chiede, con
gli occhi preoccupati e preoccupanti. "Grazie", sorriso. Ha un braccio quasi nero
per i tatuaggi, avrà cinquant’anni e le iridi quasi gialle. ”Venga, l'accompagno a
casa mia, starà meglio". La seguo a braccetto e camminando mi dice di avere sette
gatti, tre tartarughe e cinque corvi. Mi dice di aver fatto decine di lavori,
d’essersi occupata di economia, di vini, e di prostitute, mi dice d'aver visto ogni
"fottuto” paese del mondo e mi dice d'aver amato solo un uomo. lo le dico che
avevo appena incontrato uno operato, e al posto del cuore malato gli avevano
ficcato una macchina fotografica tra le costole. La cosa più dolce é che il tuo
futuro potrebbe cambiare in pochissimo tempo, basta che tu faccia qualcosa.
Arrivate al suo castello di souvenir mi offre gin e biscottini all'amarena. ”Grazie,
grazie, per avermi ascoltata", mi dice. Capita d'essere ascoltati quando si ascolta
silenziosamente. Ed arrossendo vado via, esco e pulisco le suole. Entro in un
supermercato talmente grande ed affollato da tremare di vertigine. Vorrei poter
salire sul bancone della frutta fresca e urlare a tutti, dall'alto, d'essere ordinati,
d'essere silenziosi, d'aver rispetto per chi ha appena riempito di terra e vermi
l'eterea disgrazia del proprio amante. Non fate altro che punirmi, uno per uno, col
vostro consumismo da discount, quando sperimentate l'avida scoperta del piacere, il
ricatto, i desideri illimitati, il potere onnisciente, e comperate il massaggio
conturbante per rubare del tempo al tempo e stendervi nel vostro corpo. Tutto
questo per me é ora spazzatura. Compro un monopattino e mi trasporto tra i dolci
e i sughi, poi vado via. Non c'é un posto in cui io mi senta, é tutto sbagliato. È
un battello sicuro questo dolore, mi condurrà affondo. Sono le 19 e 21 ed io
cammino a caso e non ho fame e non voglio tornare a casa, perché bisognerebbe
disinfettarla e svuotarla di tutto. Mi accorgo d'aver portato il cellulare con me,
chiamo G. e gli dico di stare per raggiungerlo, lui mi aspetta a casa. CD messi in
fila, uno accanto all'altro, libri messi in fila, uno dopo l'altro, riviste, detersivi,
cianfrusaglie, uno sull'altro, la sua casa esplode ed io implodo, Eva contro Eva.
Pero vederlo é un sensibile atto d'amore nei miei confronti, io vedo bene con gli
occhi ben aperti, simmetrici e chiari come sono, io vedo sempre bene con gli occhi
miei. È vederlo a rendere ogni cosa un gradino più bella e sopportabile, è vedere,
con i miei occhi, il mio amico e non la retorica banale di uno "sguardo". Canta "oh,
Mother, I can feel the soil falling over my head" e mi riempie d'affetto ed io
sento il torpore di chi é amato nonostante sia una nullità, un peso catastrofico. E
sento d'avere ragione dopo molto tempo, che l’amore sia dovutamente sofferto e
sofferente, che grondi malauguri e limpidissime lacrime di gioia, come quando urli
”madre" ed é il vessillo di ogni tua contrizione, ma nessuno a risponderti. G. mi ha
risposto e probabilmente avrò bisogno di qualcuno che mi risponda fino alla tomba.
Gli dico tutto, di come sia morto lentamente, di come volevo zittirlo con un cuscino
sul naso e sulla bocca, di come non riuscivo più ad abbracciarlo e baciarlo e
qualsiasi parola gli sputasse il cuore era un tomento per ogni parte del suo corpo,
così come ogni gesto ed ogni pensiero. Gli dico che mi manca tantissimo e che
spontaneamente mi aggrappavo alla convinzione che la Natura l'avrebbe
finalmente avuta vinta sulla mia vita. Sono stata giorni interi in simbiosi col letto,
un camaleonte bianco di lenzuola, le braccia aperte ad aspettare che il cuore
sopprimesse i polmoni e quante sigarette ho fumato, e quanto ossigeno ho ceduto.
Ed ora so che tutti i tulipani rossi che infestavano la mia casa sono appassiti
perché i cerotti li ho applicati solamente sulla mia carne, non curandomi della
bellezza fuori così fibrosa e taciturna. Ed ora mi arrendo alla mia incompiutezza e
a questa sostenibile tortura, gli dico che mi arrendo e lascio che il resto si realizzi
con o senza di me, gli dico che ho bisogno che lui sia zitto e che ascolti la
pagliacciata del mio monologo e G. lo fa, mi vede, e aprendo la finestra sbatte
per caso un gomito e germoglia in me la voglia di curarlo e tamponare la goccia
di sangue che gli attraversa il braccio e se ne infischia di noi. 20 e 42 e mi offre
del vino e del pane. È gentile, ha delle belle mani, curate, i capelli del colore dei
passeri, tredici lentiggini ed una cicatrice profonda dal collo alla schiena, é da
sempre mio amico e lo sarà. Scendo le scale perché c’é una luce troppo soffusa a
casa sua, corro e saetto via con il mio monopattino, il cemento sulla strada mi spia
attraverso i miliardi di passi dei passanti, passati per puro caso o perché
l’indomani é festa e tutti decidono d'uscire quando l'indomani è festa. A casa non
tornerò più, che il tempo rovini tutto, i soldi, le lettere, il legno dei mobili, sono
indifferente, che i tarli divorino per sempre il mio monolocale di paglia. E consacro
il frutto del caso, se mai mi inginocchierò, sarà solo verso me stessa, se mai
chiederò soldi sarà solo per sopravvivere, se mai dormirò su un altro letto sarà
solo per morire. "Un giorno mi sono accorta che non mi importava più di nulla, e
che tutto mi feriva a morte", quel giorno è stato scritto che sia oggi. Che le
panchine, le mense e i vestiti lerci ripaghino le mie voglie, sono una mina vagante
irriconoscibile, il mio lavoro è l'elemosina e tu hai già sofferto se passandomi
accanto, unicamente vedrai una barbona china dentro se stessa.
L’essenziale é il rimasuglio di un’idea innata, e divora gli occhi e infine il cuore.
Martina Licari