Rivoluzione culturale cinese - i nostri tempi supplementari

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Rivoluzione culturale cinese - i nostri tempi supplementari
Rivoluzione culturale cinese
Introduzione
Rivoluzione culturale cinese Campagna politica lanciata nel 1966 dal leader
cinese Mao Zedong allo scopo di scongiurare l’affermazione dell’apparato
burocratico del Partito comunista cinese e dei sindacati, considerato portatore
di una linea politica moderata e retrograda, ispirata allo stesso tempo alla
tradizione stalinista e confuciana.
Lo scontro ai vertici del partito
Il movimento rivoluzionario prese le mosse dall'appello lanciato da Mao Zedong
nell'aprile del 1966 affinché le nuove generazioni cinesi si mobilitassero in
nome di 'una grande rivoluzione culturale e proletaria' per contrastare i
'quattro vecchi' che a suo parere stavano minando la trasformazione della Cina
in senso socialista: vecchie tradizioni, vecchie abitudini, vecchia cultura e
vecchie correnti di pensiero.
Messo direttamente in discussione era l'apparato del Partito comunista cinese
(PCC) che, dopo il tragico fallimento della politica del Grande balzo in avanti,
aveva fortemente ridimensionato l'autorità di Mao assegnando un ruolo di
primo piano ai dirigenti 'pragmatici' riformatori Liu Shaoqi e Deng Xiaoping,
rispettivamente capo dello stato e segretario del partito.
L'avvio della rivoluzione
Dalla parte di Mao si schierarono subito, oltre alla moglie Jang Qing, il primo
ministro Zhou Enlai e il ministro della Difesa Lin Piao, mentre nell'Università di
Shanghai e in seguito anche in quella di Pechino cominciarono a diffondersi
manifesti murali (dazebao) inneggianti al 'Grande Timoniere' e contenenti un
attacco ai vertici dello stato e del partito accusati di revisionismo e di
burocratismo. Garantitosi la lealtà delle forze armate con l'allontanamento del
capo di stato maggiore dell'esercito, il riformatore Luo Ruiging, destituito da
Lin Piao, Mao diede ufficialmente il via alla rivoluzione culturale nell'agosto del
1966, dapprima attraverso il proclama 'Bombardare il quartier generale', poi
guidando personalmente una grande manifestazione nella piazza Tienanmen di
Pechino.
Le azioni delle Guardie Rosse
L'inaspettata adesione in massa di studenti e operai al movimento, sostenuto
ideologicamente dalla pubblicazione in ottobre del 'Libretto rosso' che
compendiava il pensiero fondamentale di Mao, ebbe un impatto dirompente; in
pochi mesi le Guardie Rosse smantellarono il sistema scolastico e universitario
contestando ogni forma di autorità e attaccando anche fisicamente insegnanti e
genitori in nome della purezza rivoluzionaria del lavoro manuale e dei valori del
proletariato operaio e contadino. Gravemente intaccata fu anche
l'organizzazione territoriale del partito e dell'amministrazione dello stato, cui
vennero sostituendosi 'comitati rivoluzionari' spontanei che si arrogarono la
gestione degli affari locali. Delazioni, denunce e incriminazioni per attentati allo
'spirito della rivoluzione proletaria' diventarono una pratica abituale, sfociando
in una miriade di processi pubblici che si conclusero con la comminazione di
pene umilianti. Particolarmente presi di mira furono gli intellettuali, trasferiti a
forza nelle campagne per essere 'rieducati' attraverso il lavoro agricolo.
Il rischio di una nuova guerra civile
Nel gennaio del 1967 gli eccessi del movimento, che nel frattempo si era
esteso a tutto il paese, raggiunsero il livello di guardia provocando la reazione
dei rivali di Mao, i quali organizzarono proprie milizie armate. Il rischio di
un'imminente guerra civile fu scongiurato dall'esercito, che con l'appoggio di
Zhou Enlai già in febbraio prese il controllo di Pechino e Shanghai estendendo
via via la propria autorità ai maggiori centri della Cina. Al tempo stesso, nella
primavera seguente, Mao avviò l'istituzionalizzazione dei 'comitati
rivoluzionari', completata un anno e mezzo dopo. Violenti sussulti si ebbero
ancora nel corso del 1968 soprattutto nelle province meridionali del Guangdong
e del Guangxi, dove lo scontro tra opposte fazioni causò migliaia di morti. In
ottobre avvenne la destituzione di Liu Shaoqi che suggellò la vittoria della
rivoluzione culturale, ma anche la sua normalizzazione.
Il ritorno all'ordine
La chiusura del processo rivoluzionario fu sancita dal IX congresso del PCC
dell'aprile del 1969 che attribuì importanti cariche politiche ai militari e designò
Lin Piao successore di Mao. L'integrazione tra esercito e partito costituì la
premessa per liquidare il movimento e ristabilire l'ordine. Col pretesto di
rafforzare le radici della rivoluzione, milioni di Guardie Rosse furono disperse in
aree remote e inospitali, mentre progressivamente si ricostituì il sistema di
istituti di governo locale controllati dai funzionari del partito.
Ciò segnò la conclusione di fatto della rivoluzione culturale, anche se la fine
dell'esperienza venne ufficialmente dichiarata solo dopo la morte di Mao e
l'arresto della Banda dei Quattro nel 1976.