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Carissimi,
è ritornato di attualità parlare di OGM e anche in questo
numero del “foglio” troviamo un passaggio per riaffermare i
punti fermi della Chiesa riassunti nel Compendio della DSC ai
nn. 456-460 e in particolare, per le biotecnologia, i nn. 472-480.
Una ricca documentazione sull’argomento, la trovate anche nei
“materiali utili” nella pagina dei Consiglieri ecclesiastici del
sito www.coldiretti.it.
E’ l’Anno Sacerdotale e non potevamo perdere
l’occasione, anche se solo in maniera strumentale, per coinvolgere la Coldiretti. In occasione del’ultima consulta, infatti, si è
deciso di proporre che, in sostituzione del viaggio studio, i Consiglieri Ecclesiastici Regionali potessero recarsi ad Ars per un
corso di esercizi spirituali. Così dal 31 maggio al 4 giugno pv.
"sarà un tempo volto a promuovere l’impegno di rinnovamento
interiore di noi sacerdoti per una più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi". Mi auguro che questa occasione giovi a rafforzare il nostro impegno nel sociale per quella giustizia a cui ci richiamava Benedetto XVI nel messaggio per
la Quaresima 2010 quando auspicava “Che questo tempo penitenziale sia per ogni cristiano tempo di autentica conversione e
d’intensa conoscenza del mistero di Cristo, venuto a compiere
ogni giustizia”.
Per qualificare il “nostro sentito” in ordine alla giustizia,
molto utile risulterà, almeno mi auguro, la lettura del “Dossier”
che contiene alcuni interventi all’ultimo nostro Convegno. Ricordo che il Dossier è staccabile dal “foglio” e, unito agli altri Dossier, andranno a costituire gli “Atti” del Convegno che comunque riceverete anche in CDR interattivo.
Un grazie particolare a Don Paolo Bonetti per il verbale
dell’ultima Consulta dei CER e approfitto del fatto che questo
numero del “foglio” viene spedito con la Pasqua ormai alle porte, per rinnovarvi tutta la mia stima e l’augurio che la gioia del
Risorto illumini tutta la nostra esistenza rendendola
“trasparenza” della tenerezza di Dio.
IN QUESTO NUMERO
EDITORIALE
NEWS
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Nuovi consiglieri ecclesiastici
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Esercizi spirituali ad Ars
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Convegno Internazionale dei Sacerdoti
Roma 9-11 giugno 2010
BACHECA
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Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2010
DOSSIER
Speciale XXXVI Convegno/ 2° parte
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Seconda Sessione: Percorsi
Introduzione - Prof. Claudio Gentili
Intervento - Dr. Giuseppe De Rita
Intervento - Prof. Marco Vitale
Intervento - Prof. Giannino Piana
APPENDICE
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Verbale della Consulta dei Consiglieri Ecclesiastici Regio-
nali 20—21 gennaio 2010
Mons. Paolo Bonetti
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EDITORIALE
IN TEMA DI OGM
Nei giorni scorsi, i giornali internazionali, nazionali e locali hanno dato molto spazio alla notizia dell‟autorizzazione da parte della Commissione europea alla coltivazione della patata ogm. Come era inevitabile si è ravvivato il dibattito su OGM si e OGM
no. Si è chiamato in causa anche il Vaticano. In questa breve nota
mi permetto di richiamare alcuni punti fermi per un dibattito non
inficiato da inutili ideologismi. Prima di tutto, la posizione della
Chiesa è rimasta invariata perché fondata su alcuni punti fermi
del Vaticano II: "Principio, soggetto e fine di ogni scelta – compreso il campo bioscientifico e biotecnologico, ha affermato il
Concilio Vaticano II - è e deve essere la persona umana". Di
conseguenza, aggiunge lo stesso Concilio, "nell’ordinare le realtà e nel disciplinare la vita sociale ci si deve adeguare all’ordine
delle persone, e non il contrario" (GS 26). La persona, come essere unico e irripetibile, con quel di più di spirito che la distingue da tutti gli altri esseri e con la sua vocazione trascendente, è
il fondamento di ogni modello di sviluppo e quindi anche di ogni
scelta o applicazione agrobiotecnologica. E il Compendio della
D.S.C. riassume questi stessi principi al Capitolo X. Fondamentali i numeri 456-460. Per quanto riguarda specificamente le biotecnologie i numeri di riferimento sono 472-480. In questa ottica
si sono mossi anche gli ultimi interventi del Magistero in particolare la “Caritas in Veritate”, il Sinodo dei Vescovi dell‟Africa, la
posizione del Papa nell‟intervento alla FAO, S.E. Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace nell‟Osservatore Romano del 24 feb. u.s., e per ultimo
la presa di posizione, attraverso l‟Osservatore Romano del 4 marzo u.s. in occasione del via libera UE alla patate OGM. Richiamo
alcune considerazioni che in più occasioni ho avuto modo di esprimere. L‟utilizzazione delle biotecnologie in campo agroalimentare potrebbe rappresentare un traguardo scientifico, ma come è evidente - porta con sé una grande quantità di dubbi etici.
In questo campo occorre evitare – in ogni caso - due opposte po3
sizioni, egualmente inaccettabili: il pregiudizio aprioristico che
bloccherebbe il giusto avanzamento della ricerca e del progresso
tecnologico; e il determinismo in base a cui ciò che è tecnicamente possibile è per ciò stesso eticamente valido o legittimo. L'avidità umana, la violenza e l'egoismo hanno un impatto distruttivo
sui popoli e sull'ambiente. Ovunque il peccato e le sue conseguenze sul mondo hanno incrinato la nostra relazione con Dio,
con noi stessi, con gli altri e con l'intera creazione, è necessaria
una riconciliazione. L'umanità si trova oggi di fronte ad una sfida
indubbiamente di ordine economico e tecnico, ma ancor di più di
ordine etico-spirituale e politico. E‟ una questione di solidarietà
vissuta e di sviluppo autentico, al pari di una questione di progresso materiale. La fiducia cieca nel progresso tecnologico e
l'affermarsi di una mentalità volta al solo profitto e al consumo,
hanno portato l'uomo, in molte occasioni, a causare dissesti e
squilibri nella natura e nella stessa terra che coltiva, inquinandola
o esaurendone la fecondità. Con molta facilità ci si dimentica che
la terra è un dono ricevuto da rispettare. E‟ evidente, allora che
l‟utilizzazione delle biotecnologie in campo agro-alimentare porta con sé una grande quantità di interrogativi etici su cui tutti, e
specialmente noi credenti, siamo chiamati ad interrogarci. E‟ in
gioco infatti il futuro stesso della comunità umana e del creato,
della qualità della vita, dell‟agricoltura e della sicurezza alimentare. Una posizione non di chiusura, quindi, ma di saggio discernimento e di opportuna cautela. E‟ quanto mai importante sottolineare, inoltre, la ricaduta degli Ogm a livello ambientale e finanziario a discapito non solo dei prodotti biologici non modificati,
ma anche per le gravi conseguenze arrecate alle popolazioni che
si vedrebbero privare dei prodotti locali, loro riserve naturali da
sempre. Nelle culture tradizionali il cibo è un elemento centrale
della socializzazione; è a tavola che ci si incontra tra i vari membri della famiglia; si celebrano gli avvenimenti più importanti e si
vive con compiutezza il senso di appartenenza alla stessa comunità.
Cambiare rotta è ancora possibile, farlo è un dovere di tutti e per tutti.
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NUOVI CONSIGLIERI ECCLESIASTICI
SEGALINI DON STEFANO
Consigliere Ecclesiastico Provinciale
Parrocchia S. Giuseppe Operaio
Via Martiri della Resistenza,19
29100 PIACENZA
ORIGANO DON STEFANO
Consigliere Ecclesiastico Provinciale
Via Seminario, 8
37129 VERONA
In sostituzione del viaggio studio, nell’ambito dell’Anno Sacerdotale, i Consiglieri Ecclesiastici Regionali andranno, per
gli Esercizi spirituali ad Ars in Francia dal 31 maggio al 4
giugno 2010.
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CONVEGNO INTERNAZIONALE
DEI SACERDOTI
Roma, 9/11 giugno 2010
“FEDELTA’ DI CRISTO, FEDELTA’ DEL SACERDOTE”
Lo scorso 19 giugno, in occasione della Festa del Sacro Cuore e
della Giornata Mondiale di preghiera per la santificazione dei
sacerdoti e del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni
Maria Vianney, il Santo Patrono di tutti i parroci del mondo, S.S.
Benedetto XVI ha indetto l‟Anno Sacerdotale "come il tempo per
contribuire a promuovere l’impegno di rinnovamento interiore
di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi".
L‟Anno Sacerdotale si concluderà a Roma con il Convegno Internazionale dei Sacerdoti con il tema “Fedeltà di Cristo, Fedeltà
del Sacerdote”.
Momenti di preghiera, riflessione e condivisione, culminanti con
l‟incontro con Sua Santità in Piazza San Pietro si fonderanno con
l‟esperienza negli itinerari religioso-culturali di Roma Cristiana.
L‟evento, promosso dalla Congregazione per il Clero ed affidato
per l‟organizzazione tecnico-logistica all‟Opera Romana Pellegrinaggi, si pone in continuità con i precedenti Incontri Internazionali del Clero che, tra il 1996 ed il 2004, si sono svolti a Fatima (Portogallo), Yamoussoukro (Costa d‟Avorio), Guadalupe
(Messico), Nazareth, Betlemme e Gerusalemme (Terra Santa),
Roma (in occasione del Grande Giubileo del 2000) ed, infine,
Malta.
L‟Opera Romana Pellegrinaggi sarà lieta di poter contare sulla
sua presenza anche in questo convegno, certa che camminare
insieme per Roma Cristiana, riuscirà a rendere il messaggio e
l‟esperienza dell‟Incontro più forti, più significativi, più profondi.
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Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima
2010
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MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI PER LA
QUARESIMA 2010
“La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in
Cristo”
Cari fratelli e sorelle,
ogni anno, in occasione della Quaresima, la Chiesa ci invita a una
sincera revisione della nostra vita alla luce degli insegnamenti
evangelici. Quest‟anno vorrei proporvi alcune riflessioni sul vasto tema della giustizia, partendo dall‟affermazione paolina: La
giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo
(cfr Rm 3,21-22).
Giustizia: “dare cuique suum”
Mi soffermo in primo luogo sul significato del termine
“giustizia”, che nel linguaggio comune implica “dare a ciascuno
il suo - dare cuique suum”, secondo la nota espressione di Ulpiano, giurista romano del III secolo. In realtà, però, tale classica
definizione non precisa in che cosa consista quel “suo” da assicurare a ciascuno. Ciò di cui l‟uomo ha più bisogno non può essergli garantito per legge. Per godere di un‟esistenza in pienezza, gli
è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato
solo gratuitamente: potremmo dire che l‟uomo vive di
quell‟amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua
immagine e somiglianza. Sono certamente utili e necessari i beni
materiali – del resto Gesù stesso si è preoccupato di guarire i malati, di sfamare le folle che lo seguivano e di certo condanna
l‟indifferenza che anche oggi costringe centinaia di milioni di
essere umani alla morte per mancanza di cibo, di acqua e di medicine -, ma la giustizia “distributiva” non rende all‟essere umano
tutto il “suo” che gli è dovuto. Come e più del pane, egli ha infatti bisogno di Dio. Nota sant‟Agostino: se “la giustizia è la virtù
che distribuisce a ciascuno il suo... non è giustizia dell‟uomo
quella che sottrae l‟uomo al vero Dio” (De civitate Dei, XIX, 21).
Da dove viene l’ingiustizia?
L‟evangelista Marco riporta le seguenti parole di Gesù, che si
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inseriscono nel dibattito di allora circa ciò che è puro e ciò che è
impuro: “Non c'è nulla fuori dell‟uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall‟uomo a renderlo impuro... Ciò che esce dall‟uomo è quello che rende impuro
l‟uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono
i propositi di male” (Mc 7,14-15.20-21). Al di là della questione
immediata relativa al cibo, possiamo scorgere nella reazione dei
farisei una tentazione permanente dell‟uomo: quella di individuare l‟origine del male in una causa esteriore. Molte delle moderne
ideologie hanno, a ben vedere, questo presupposto: poiché
l‟ingiustizia viene “da fuori”, affinché regni la giustizia è sufficiente rimuovere le cause esteriori che ne impediscono
l‟attuazione. Questo modo di pensare - ammonisce Gesù - è ingenuo e miope. L‟ingiustizia, frutto del male, non ha radici esclusivamente esterne; ha origine nel cuore umano, dove si trovano i
germi di una misteriosa connivenza col male. Lo riconosce amaramente il Salmista: “Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato
mi ha concepito mia madre” (Sal 51,7). Sì, l’uomo è reso fragile
da una spinta profonda, che lo mortifica nella capacità di entrare
in comunione con l‟altro. Aperto per natura al libero flusso della
condivisione, avverte dentro di sé una strana forza di gravità che
lo porta a ripiegarsi su se stesso, ad affermarsi sopra e contro gli
altri: è l‟egoismo, conseguenza della colpa originale. Adamo ed
Eva, sedotti dalla menzogna di Satana, afferrando il misterioso
frutto contro il comando divino, hanno sostituito alla logica del
confidare nell‟Amore quella del sospetto e della competizione;
alla logica del ricevere, dell‟attendere fiducioso dall‟Altro, quella
ansiosa dell‟afferrare e del fare da sé (cfr Gen 3,1-6), sperimentando come risultato un senso di inquietudine e di incertezza. Come può l‟uomo liberarsi da questa spinta egoistica e aprirsi
all‟amore?
Giustizia e Sedaqah
Nel cuore della saggezza di Israele troviamo un legame profondo
tra fede nel Dio che “solleva dalla polvere il debole” (Sal 113,7)
e giustizia verso il prossimo. La parola stessa con cui in ebraico
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si indica la virtù della giustizia, sedaqah, ben lo esprime. Sedaqah infatti significa, da una parte, accettazione piena della volontà del Dio di Israele; dall‟altra, equità nei confronti del prossimo
(cfr Es 20,12-17), in modo speciale del povero, del forestiero,
dell‟orfano e della vedova (cfr Dt 10,18-19). Ma i due significati
sono legati, perché il dare al povero, per l‟israelita, non è altro
che il contraccambio dovuto a Dio, che ha avuto pietà della miseria del suo popolo. Non a caso il dono delle tavole della Legge a
Mosè, sul monte Sinai, avviene dopo il passaggio del Mar Rosso.
L‟ascolto della Legge, cioè, presuppone la fede nel Dio che per
primo ha „ascoltato il lamento‟ del suo popolo ed è “sceso per
liberarlo dal potere dell‟Egitto” (cfr Es 3,8). Dio è attento al grido del misero e in risposta chiede di essere ascoltato: chiede giustizia verso il povero (cfr Sir 4,4-5.8-9), il forestiero (cfr Es
22,20), lo schiavo (cfr Dt 15,12-18). Per entrare nella giustizia è
pertanto necessario uscire da quell‟illusione di auto-sufficienza,
da quello stato profondo di chiusura, che è l‟origine stessa
dell‟ingiustizia. Occorre, in altre parole, un “esodo” più profondo
di quello che Dio ha operato con Mosè, una liberazione del cuore, che la sola parola della Legge è impotente a realizzare. C‟è
dunque per l‟uomo speranza di giustizia?
Cristo, giustizia di Dio
L‟annuncio cristiano risponde positivamente alla sete di giustizia
dell‟uomo, come afferma l‟apostolo Paolo nella Lettera ai Romani: “Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata
la giustizia di Dio... per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti
quelli che credono. Infatti non c‟è differenza, perché tutti hanno
peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in
Cristo Gesù. E‟ lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue” (3,2125).
Quale è dunque la giustizia di Cristo? E‟ anzitutto la giustizia che
viene dalla grazia, dove non è l‟uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri. Il fatto che l‟“espiazione” avvenga nel “sangue” di
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Gesù significa che non sono i sacrifici dell‟uomo a liberarlo dal
peso delle colpe, ma il gesto dell‟amore di Dio che si apre fino
all‟estremo, fino a far passare in sé “la maledizione” che spetta
all‟uomo, per trasmettergli in cambio la “benedizione” che spetta
a Dio (cfr Gal 3,13-14). Ma ciò solleva subito un’obiezione: quale giustizia vi è là dove il giusto muore per il colpevole e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto? Ciascuno non viene così a ricevere il contrario del “suo”? In realtà, qui
si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella
umana. Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto,
un prezzo davvero esorbitante. Di fronte alla giustizia della Croce
l‟uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l‟uomo
non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere
pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo,
significa in fondo proprio questo: uscire dall‟illusione
dell‟autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della
sua amicizia. Si capisce allora come la fede sia tutt‟altro che un
fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della
Penitenza e dell‟Eucaristia. Grazie all‟azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia “più grande”, che è quella
dell‟amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni
caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di
quanto si possa aspettare. Proprio forte di questa esperienza, il
cristiano è spinto a contribuire a formare società giuste, dove tutti
ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di
uomini e dove la giustizia è vivificata dall‟amore. Cari fratelli e
sorelle, la Quaresima culmina nel Triduo Pasquale, nel quale anche quest‟anno celebreremo la giustizia divina, che è pienezza di
carità, di dono, di salvezza. Che questo tempo penitenziale sia
per ogni cristiano tempo di autentica conversione e d‟intensa conoscenza del mistero di Cristo, venuto a compiere ogni giustizia.
Con tali sentimenti, imparto di cuore a tutti l‟Apostolica Benedi12
SPECIALE XXXVI CONVEGNO/ 2° PARTE
Seconda Sessione: Percorsi
Introduzione - Prof. Claudio Gentili
Intervento - Dr. Giuseppe De Rita
Intervento - Prof. Marco Vitale
Intervento - Prof. Giannino Piana
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INTRODUZIONE
Prof. Claudio Gentili
Il mio compito è quello di rendere il più possibile interattiva questa mattinata. Prevediamo tre interventi che potranno essere ulteriormente approfonditi. Verso le 11 faremo un primo break e attorno alle 11.30 potrete fare delle domande ai relatori che saranno coordinate da me. Quando è stato stampato il programma,
l'enciclica Caritas in Veritate non era ancora uscita. Ovviamente
è difficile parlare di etica ed economia senza fare qualche riferimento a questa enciclica. Quindi partiremo da una lettura di questa enciclica, che contiene molte parole. Penso che chi l'ha commentata non l'abbia veramente letta. Questo si capisce dai commenti che sono stati fatti. Io vorrei suggerirvi tre livelli di lettura
di cui parleremo con i nostri amici di questa mattina. Il primo
livello: la Caritas in Veritate aggiorna i grandi temi del rapporto
tra etica ed economia. Leggendo questa enciclica è come se si
leggessero le pagine della Genesi in cui ci sono vari strati. In fondo questa enciclica era attesa già nel 2001, 8 anni fa. Infatti nel
2001 cadeva l'anniversario della Rerum Novarum. Nei decenni
precedenti ci sono sempre state grandi encicliche che facevano
riferimento alla Rerum Novarum. Nel '91 ci fu la Centesimus Annus, nel '71 la Octogesima Adveniens. Quindi il primo livello è
l'aggiornamento dell'enciclica che doveva uscire nel 2001, che
doveva parlare di quanto è successo dopo la caduta del muro di
Berlino. Quella del 2001 non è uscita e quindi ci si è posti il nuovo obiettivo: l'enciclica del 2007 doveva aggiornare la Populorum Progressio. Un secondo strato di questa enciclica riguarda la
Populorum progressio. Il professor de Rita ne parlerà perché è
stato un protagonista del lavoro che fu svolto attorno a questa
enciclica. All'epoca era un ricercatore. In poche battute c'è una
rivisitazione della Populorum Progressio nell'ermeneutica della
continuità. C'è un terzo livello di lettura che secondo me è molto
significativo, cioè la questione del mercato. Nell'enciclica non
viene mai nominata la parola "capitalismo". Del mercato si dà
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un'idea laica, non ideologica. Il libro scritto da Paolo Prodi che
s'intitola "Settimo non rubare: furto e mercato nella storia
dell'Occidente" dice che il mercato nasce nel duecento francescano e non nel settecento inglese. L'idea del mercato si è sempre
associata al dono della relazione, alla capacità di trovare un forum dove si decide il giusto prezzo. Quindi si deve far partecipare il territorio al giusto prezzo. La vulgata marxista purtroppo ci
ha dato un altro concetto di mercato. Ma c'è un'altra lettura: le
novità sull'ecologia. L'enciclica è contraria all'animalismo, alla
prevalenza dell'idea che l'uomo e gli altri esseri viventi siano sullo stesso piano. Ribadisce la centralità dell'uomo, il rapporto tra
l'ecologia e l'uomo. Ad un altro livello di lettura l'enciclica si pone contro le teorie della decrescita che pure molti parroci hanno
fatto proprie dicendo che la decrescita non è etica, che lo sviluppo se è integrale è positivo. Allo stesso tempo santifica il commercio equo e solidale e affronta una varietà di temi che i nostri
ospiti discuteranno. Poi c'è una chiave di lettura più ratzingeriana, molto teologica dove ecologia, economia ed etica diventano
occasione per una riflessione teologica. Il tema di fondo è il realismo di Dio. Solo chi ha una idea forte di Dio è realista mentre la
cultura del mondo ci suggerisce che è meglio ragionare in termini
laici. È proprio Dio che ci fa diventare realistici il che ci permette
di guardare il mondo con occhi più capaci di cogliere tutte le dimensioni. Per il primo intervento darei la parola al professor De
Rita. Al professore chiediamo una lettura del tempo in cui viviamo, che come cristiani ci deve rendere attenti a cogliere quei segni del tempo che anche le scienze sociali ci aiutano in filigrana a
percepire alla luce di questa enciclica che il Papa ci ha dato.
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INTERVENTO
Dr. Giuseppe De Rita
Partirei da una frase che ha indicato prima Gentili: la concezione
dello sviluppo e del modo di pensare la storia di questa enciclica
riprendono la Populorum Progressio. Io sostengo, non solo perché ne sono stato testimone, che la Populorum Progressio è la più
grande enciclica che sia stata scritta negli ultimi 100 anni. Quello
che era importante in questa enciclica era il senso dello sviluppo
come fatto collettivo, il progresso dei popoli. Del termine francese développement con cui era stata scritta la bozza dell'enciclica
non si riusciva a trovare la corrispondente parola latina. Il progredire dei popoli verso lo sviluppo è proprio il Progressio. C'è un
elemento teologico fondamentale che ritroviamo anche nel modo
di concepire la Chiesa, la società di oggi. Nella Populorum Progressio c'è un pezzo che dice che tutto ciò che l'uomo fa per migliorare le sue condizioni e quelle degli altri è "partecipazione
alla creazione del sovrannaturale". Questo significa che quello
che facciamo noi e quello che fate voi e i vostri iscritti e i miei
collaboratori, cioè darsi da fare per migliorare noi e gli altri, è
partecipazione alla creazione del sovrannaturale. Si invade quindi
il campo di Dio? Possiamo noi uomini partecipare alla creazione
del sovrannaturale? Il padre Lebret che aveva scritto la bozza
dell'enciclica e che ne resta sostanzialmente l'autore un giorno
viene a casa mia e mi dice che aveva sottolineato per il Papa delle parole ancora scritte in francese. Gli disse: faccia vedere questa frase, Santità, perché non è mia, ma di qualcuno che è all'indice. Quindi se lei scrive qualcosa che ricorda qualcuno che è
all'indice non è forse un bene. Il Papa disse a Lebret di tornare
dopo un mese. Al suo ritorno ci sarebbe stata la decisione. Lebret
tornò e il Papa gli disse che il testo doveva restare così com'era
senza che il riferimento fosse messo in evidenza. Qualche anno
più tardi Giovanni Paolo II volle riconoscere un pezzo di Rosmini vecchio di 150 anni. Questo è importante non come aneddoto,
ma per capire il rapporto tra noi e la storia. Qual è allora il nostro
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compito? Abbiamo soltanto il compito di acquisire la cultura altrui, quella ecologica, quella economicista, quella minimalista o
dobbiamo fare qualcosa di più? La spinta ad andare avanti e a
tentare di creare continuamente il nuovo sovrannaturale, cosa che
non appartiene a noi, ma a Dio, è tipica dell'uomo. Ma come si fa
a tradurre un discorso di questo genere in una realtà quotidiana?
L'unica possibilità che c'è per dare spazio a quella intuizione della Populorum Progressio che Ratzinger cita per molte volte è dare
fiducia alle persone. Il développement deve essere dei popoli. Ci
deve essere una dimensione di massa della crescita dello sviluppo. Ciascuno di noi deve entrare in una cultura di impegno a trasformare qualcosa. Trasformeremo un millimetro di vita quotidiana, ma dobbiamo farlo perché è partecipazione alla creazione
di qualcosa di nuovo. Questo significa uscire dalla logica che comunque Dio ci ha fatto in questa maniera e noi non possiamo farci niente. Non possiamo accettare che il Fondo Monetario Internazionale e l'Europa decidano qualcosa, Berlusconi decida altre
cose, il mio padrone ne decida altre ancora e io niente. L'idea della verticalizzazione del potere è il vero problema dello sviluppo
del mondo. Se noi verticalizziamo il potere, il mondo ha una minore carica di Populorum Progressio. Invece dobbiamo dare spazio alla dimensione delle masse, della gente che vive quotidianamente, di 5 milioni di piccoli imprenditori, di 2 milioni di contadini. Loro, nella fatica quotidiana, creano qualcosa di nuovo, operano una trasformazione sociale profonda. Questo non è scontato. Questa non è una banale verità. Questo non è scontato nella
realtà economica e neppure nella realtà ecclesiale. Non è scontato
nella realtà economica perché lo vediamo tutti i giorni, l'abbiamo
sentito dire per 15 anni. Ci hanno rotto le scatole per 15 anni dicendo che l'unica possibilità era la verticalizzazione, la finanziarizzazione, la globalizzazione, cioè meccanismi di concezione
piramidale del mondo. Ma il mondo non è fatto da noi, ma da 10
grandi operatori, da 15 grandi banche d'affari, da tre o quattro
agenzie di reti internazionali, da un Fondo Monetario, dalle banche centrali, ma non da noi. È fatto da una piramide di poteri che
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tende sempre a concentrarsi in poche mani, in pochi poteri. Poi è
arrivata la crisi dell'ultimo anno e ci siamo resi conto che questi
grandi poteri di vertice, questa verticalizzazione, questa idea che
solo pochi possono condurre il mondo non andavano bene. Alcuni di loro sono falliti, alcuni di loro hanno dovuto farsi comprare
dagli Stati, altri hanno perso la faccia perché avevano sbagliato
tutte le previsioni e siamo ritornati, diciamolo pure, a una situazione per cui ciascuno sta seduto ad arrangiarsi per conto suo,
come i contadini, la piccola famiglia, il piccolo imprenditore.
Nella crisi c'erano persone che non potevano più pagare le tasse,
persone che facevano la fila per la mensa gratis, persone che vivevano in tenda in un giardinetto perché non avevano più la casa.
In Italia queste tragedie non ci sono state, ma la crisi è stata superata non dai grandi organi internazionali, ma da uno sforzo dei
popoli. Vedremo nei prossimi mesi cosa accadrà. Quando noi
pensiamo all'Italia, è davvero trasformabile e progredibile in una
logica di concentrazione del potere? Al massimo il potere ha potuto garantire due cose: la cassa integrazione per un milione di
persone e che le grandi banche non fallissero, prima in maniera
informale, poi con i Tremonti bond. Hanno aggiustato il sistema,
ma non potevano fare altro che garantire al sistema delle toppe.
Alle imprese hanno dato la cassa integrazione, hanno salvato le
banche. Non si sono sostituiti ai soggetti che già esistevano. Ora
si sta parlando di una Banca del sud ma non esiste nessuna specialità di soggetto verticale che sia stata indicata. Si è lavorato in
orizzontale, con la cassa integrazione, con i soldi alle banche.
Quello che è importante è che tutto è stato legato a questa forza
di andare avanti della base. Del resto guardate la storia di questo
paese. Noi siamo tutti abbastanza con i capelli bianchi o senza
capelli per sapere che cos'è stata la storia di questo paese. La storia di questo paese è stata la storia di milioni di persone che hanno trasformato il proprio modo di vita. Non è stata la storia di un
sistema che ha scritto un testo di programmazione e ha fissato gli
obiettivi. Io ho scritto molti obiettivi, molti testi di programmazione. Questo paese è stato trasformato da milioni di persone,
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contadini buzzurri che sono diventati coltivatori diretti, piccoli
imprenditori di se stessi. Questo paese è stato trasformato da un
milione di persone che prima erano contadini, artigiani, commercianti e che negli anni '70 sono diventati piccoli imprenditori, industriali. Questo paese si è trasformato grazie a 5 milioni di persone che prima hanno fatto il lavoro sommerso poi sono diventati
piccoli imprenditori. Questo paese si è trasformato non per lo sviluppo in termini di efficienza dei grandi trasporti, ma per la moltiplicazione di camion e camioncini privati. Non c'è nessun grande istituto dei trasporti nazionale. C'era prima ma ora non c'è più.
Questo paese si è trasformato grazie all'impegno delle famiglie,
grazie al cambiamento degli stili di vita, con l'impegno delle piccole banche, delle casse rurali, delle casse di risparmio. Un grande assistente ecclesiastico dei coltivatori diretti Monsignor D'Ascenzi, che io ho amato prima di andare ad Arezzo, quando stava
in Maremma un giorno mi disse che aveva messo tutti i soldi della sua diocesi nella cassa rurale, perché è la banca della sua gente. Questo è stato lo sviluppo italiano. Lo sviluppo italiano è stato
uno sviluppo policentrico, molecolare, periferico, localistico. Lo
sviluppo non è stato concepito dall'alto, non è stato ragionato
dall'alto, disegnato dall'alto, ma è stato vissuto disordinatamente
dal basso e con grande vitalità. Tutto quello che l'uomo fa per
migliorare la sua condizione è partecipazione alla creazione. In
questa forza della dimensione locale, di base, individuale e collettiva c'è un aspetto negativo. C'è tanto individualismo, egoismo,
particolarismo del singolo individuo che diventa soggetto di sviluppo. Il piccolo imprenditore è egoista, è evasore fiscale, fa
qualche sgarro di licenza edilizia o di scarico di veleni. Quindi
non si può pensare che sia un santo. Nel gusto del fai-da-te, nello
sforzo del fai-da-te, nella cultura dell'impegno personale c'è anche l'altra faccia della luna che non è meravigliosa. Anche se dicessimo che ci sono troppi aspetti negativi, in modo cinico si può
dire che è l'unica cosa che la storia ci permette di avere. Non abbiamo un'ideologia, non abbiamo un partito politico ideologico,
non abbiamo uno Stato. Ricordiamoci come abbiamo creato l'Ita20
lia. L'abbiamo fatta grazie a una cultura di élite, da Rosmini a Pio
IX, da Cavour a Leopardi. Abbiamo avuto lo Stato italiano che
ha costruito le ferrovie, le poste, la scuola. C'era il soggetto Stato
che fino al fascismo è stato fondamentale. Nel dopoguerra lo Stato è stato meno importante, ma i grandi soggetti di massa, il grande sindacato e lo Stato hanno fatto sì che la prima Repubblica
fosse un impasto tra cultura ideologica comunista e democristiana, cultura vecchia e intervento pubblico nel mezzogiorno con la
partecipazione statale. C'erano soggetti diversi. Oggi, se ci guardiamo indietro, lo Stato non riesce nemmeno a celebrare i suoi
150 anni per quanto è decaduto e degradato. Possiamo pensare
che ci sia ancora l'impasto tra partito di massa, sindacato di massa, intervento pubblico straordinario, partecipazione statale? Non
c'è più. Il sistema italiano è un sistema altamente periferizzato.
Questo può non piacere, ma è così. Di solito non piace perché noi
vorremmo il disegno preciso, l'intellettuale che dice: "stiamo andando in questa direzione. Vogliamo creare una società fatta in
questa maniera, vogliamo una politica industriale basata sui settori avanzati". Questo è tutto molto bello, ma nei fatti il Populorum Progressio avviene nella quotidianità, alcune volte in maniera ambigua e disordinata, altre volte come se non ci fosse necessità di un continuo riferimento ad una moralità. Il lavoro quotidiano diventa coazione a vivere il processo di sviluppo senza
un'idea precisa. Voi capite bene come una cosa di questo genere
crei problemi politici e problemi religiosi. Permettetemi di partire
dai problemi religiosi. Sarò più leggero e più veloce perché non è
mestiere mio. Se è vero che lo sviluppo è dei popoli, il messaggio, il rapporto con la religione, il rapporto con la moralità personale, l'annuncio del Vangelo si fa in alto o in periferia? E' più importante, il parroco che tutti giorni parla con la gente, o l'enciclica ogni cinque anni? Naturalmente sono due cose diverse, ma
tenete conto che oggi la tendenza fondamentale della dimensione
religiosa ha la stessa dimensione dell'economia mondiale, è verticale. L'altro giorno un giornale ricordava una frase dell'attuale
Papa quando non era ancora Papa: il federalismo, il localismo
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religioso non vanno bene, addirittura le conferenze episcopali
regionali, nazionali e internazionali non hanno valore perché non
hanno valore teologico. Lo diceva con una resistenza che capisco
in un intellettuale come papa Ratzinger. Aveva una resistenza
alla periferia. Non voleva lasciare crescere la periferia, motivare
la periferia. Il problema è la certezza, la piramide teologica, non
solo quella del potere curiale o delle grandi banche d'affari. Questa tendenza nella chiesa punta ad avere una realtà di concentrazione non di aderenza alla periferia. La concentrazione è in poche
certezze, non in accettazione del casino confuso in cui tutti lavoriamo. Non si parla di speranze nel nostro agire che è partecipazione alla creazione. Bisogna essere certi di quello che si fa.
Quindi l'elaborazione teologica e la verità che scende dall'alto
verso il basso sono più importanti della capacità di stare nelle
cose. Chi ha letto una mia intervista sul Corriere di poco tempo
fa si chiederà dei rapporti tra la Lega e la Chiesa. Io ho risposto
che sono due entità destinate ad incontrarsi sul territorio perché la
Lega è un sindacalismo del territorio e perché la Chiesa ha sempre più una dimensione territoriale e ha sempre più bisogno di
stare sul territorio. Invece c'è una tendenza chiara, almeno nell'attuale realtà, che non si ritrova nell'enciclica. La Chiesa non è docente, è fatica anche giorno per giorno insieme ad altri che faticano giorno per giorno. Questo aspetto per me è giusto perché la
Chiesa deve avere non solo la faccia che ha la Lega, che sta solo
a livello locale, ma anche la faccia delle dimensioni intermedie,
come il vescovo, la Conferenza Episcopale Regionale, la CEI, il
Vaticano, il Papa. Le articolazioni sono fatte per essere articolate
e quelle che vivono nel mondo, quelle più massicce, finiscono
rapidamente, ma le altre sono più articolate. Però c'è un problema
di avere un rapporto costante con la realtà. C'è il problema
dell'autonomia individuale nello stabilire la propria vita. Il discorso è fatto per dare un senso. Questo richiamo alla realtà quotidiana, che personalmente farei tutti giorni tutti specialmente se
facessi il vostro mestiere, non sempre può essere accettato dalle
istituzioni che privilegiano per esempio livelli superiori di re22
sponsabilità o comunque più piramidali. Io sono convinto che
anche nella Chiesa, lentamente, c'è questa tendenza non a quello
che Ratzinger teme, cioè un federalismo ecclesiale, ma a un aumento della capacità dei singoli preti e dei singoli vescovi di stare nella vita di tutti giorni, di vivere la vita di tutti i giorni. Finita
la parentesi religioso-istituzionale, parliamo del problema politico. Qual è la realtà in cui oggi ci troviamo e che fare? Con cosa
l'affrontiamo? Se la storia di questi ultimi anni è la storia di uno
sviluppo individualista del sistema per cui ciascuno di voi, se si
guarda in giro, capisce cos'è successo nel sistema, vede il contadino o il mezzadro o il bracciante, se ce lo ricordiamo, che è diventato piccolo imprenditore, che sa tutto sulle leggi regionali,
sulle direttive europee, che si è comprato gli attrezzi, che si è
comprato anche il SUV e ci gioca sul suo terreno, che enfatizza
l'ultimo chilometro, si modernizza. Voi lo vedete molto meglio
nel vostro settore di quanto lo possa vedere io nelle piccole industrie. Però tutto questo ha un elemento fondamentale, ha scardinato o reso quasi inutile alcuni livelli intermedi. Negli ultimi
tempi avrete letto che il sindacato ormai è in discussione. Nell'orecchio avete anche l'idea che forse il partito non esiste più. Chi
sa leggere dietro le notizie o gli articoli di giornale o le interviste
sa anche che le redazioni datoriali, come Confindustria, sono ormai centrali di opinione. Vale più l'intervista alla Marcegaglia
che la sua rappresentanza reale degli interessi degli industriali.
C'è lo studio, la Marcegaglia che drammatizza o sdrammatizza,
partecipa ad una discussione. Infatti la messa si fa a Cernobbio,
con tutti gli rappresentanti di interessi che fanno la loro dichiarazione. Non si ascoltano, ma fanno la loro dichiarazione. La verità
è che tutti i livelli intermedi sono andati in crisi tranne forse alcuni livelli territoriali, come qualche provincia, qualche comune e
qualche regione. Però sono tutti legati al territorio, a quella dimensione periferica, localistica, che è molto vicina alla dimensione individualistica dello sviluppo. Quindi noi, con le bandiere
gialle che ci circondano, siamo un esempio raro di un soggetto
intermedio che ha saputo reinventarsi rispetto a 5 o 6 anni fa
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quando sembrava in declino come soggetto di identità di interessi. In una società in cui non ci sono più tanti soggetti intermedi di
identità di interessi, come si fa a fare dialettica sociale senza sindacato e politica senza partito? Si fa soltanto la pagina con la foto
del sorriso di Epifani e della Marcegaglia. Come si fa a ragionare
in una società che vive di un lungo ciclo di dimensione individualistica, personalistica, di piccola impresa, di piccola impresa
contadina o industriale o artigianale, che ha distrutto anche i livelli grandi delle imprese come la Fiat, se c'è ancora? Non abbiamo più il senso del grande. Abbiamo l'affollamento dei tanti piccoli. Siamo un popolo di formiche, come diceva un vecchio intellettuale pugliese. Però noi siamo molto meno ordinati delle formiche, con meno gerarchia, meno razionalità di comportamento.
Questo è il punto. Tutto quello in cui voi vi immergete leggendo
il giornale la mattina è il frutto di un sistema che non ha oggi dei
riferimenti intermedi seri. Non ha grandi riferimenti. Quindi ciascuno può fare quello che vuole. Il piccolo imprenditore pensa di
poter fare quello che vuole, il Presidente del Consiglio pensa di
poter fare quel che vuole, il direttore del giornale pensa di poter
fare quello che vuole, il direttore della televisione pensa di poter
fare quello che vuole il suo padrone! Il meccanismo fondamentale è: un sistema come il nostro, giocato sulla forza dell'individuo
che migliora se stesso e indirettamente migliora anche la realtà
altrui, regge se non c'è alcuna venatura nella foglia, alcuna struttura reticolare a cui fare riferimento? Il pericolo è il populismo a
cui arriva Chavez o in misura minore Berlusconi. A cui arrivano
tutti se non ci sono i livelli intermedi, i collettivi. Io sono convinto che dobbiamo fare una seria riflessione su questo punto. Questo significa che ci sono tre cicli in Italia che stanno finendo e
non sappiamo come costruiremo il dopo. Sta finendo il ciclo del
potere dello Stato italiano, che è durato 170 anni, ma che non
regge più. Pensare oggi che lo Stato possa fare qualcosa è in realtà impossibile, è un ciclo finito. Alcuni nobili amici come il presidente Ciampi, il senatore Manzella o Maccanico ci credono ancora, ma nessun altro più. Se oggi dovessimo dire di fare uscire
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fuori i poteri dello Stato, non ci si riuscirebbe. Chiunque giri per i
corridoi dei ministeri romani sa che non esiste più lo Stato. Esiste
un popolo di zombi, ma non esiste lo Stato. Quindi questo ciclo è
finito. Però è finito anche il ciclo che è iniziato con la fine della
Guerra in cui era importante che il problema individuale diventasse sociale e che quello sociale diventasse risposta politica, cioè
il ciclo delle riforme della sinistra riformista. In quel tempo si
parlava di riforma della scuola, delle pensioni, dei trasporti e
l'opzione collettiva era fondamentale. Oggi quell'opzione non
rende più. La sinistra riformista fa sorridere ormai perché non c'è
più niente da riformare o meglio nella cultura individuale e collettiva non c'è più l'idea che la riforma risolva i problemi. Se ai
miei nipoti dicessi che per la sua cultura, per la sua conoscenza
stiamo facendo la riforma della scuola o dell'università, mio nipote andrebbe a studiare all'estero. Se mi dicono che stanno pensando alla mia vecchiaia post-pensionistica io prendo e mi faccio
un'assicurazione o compro la badante. Non credo più alla riforma. Uno non crede alla riforma dei trasporti e si compra una
macchina nuova. Questo ciclo che ha caratterizzato tutto il dopoguerra sta scadendo. Guardate, sta scadendo anche il terzo ciclo,
quello che ha fatto l'Italia, cioè quello del fai-da-te, dell'individualismo, della libertà di essere se stessi. Non lo faccio per gusto di
gossip. La crisi del berlusconismo come degrado personale è il
segnale che non è più giusto essere liberi di essere se stessi. La
libertà è il diritto di essere se stessi, ma se cade non si può più
andare a donne! La società italiana è fatta di persone che sono
state libere di essere se stesse. Però quel ciclo della libertà di essere se stessi, del diritto di essere se stessi, del rifiuto della regola
dall'esterno che limita l'essere se stessi cominciano a perdere vigore. Io non sono uno che misura i cicli, ma il ciclo della sinistra
riformista è durato sessant'anni, dal codice di Camaldoli a oggi. Il
ciclo della libertà di essere se stessi, del primato del soggetto che
ha fatto l'Italia comincia con Don Milani e l'obiezione di coscienza nel '62 o '63. Tra altri cinque o sei anni quel ciclo finirà. E se il
personaggio Berlusconi esplode quel ciclo finisce ancora prima.
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Potrebbe continuare se persiste l'ultimo vero problema dell'essere
se stessi, cioè l'eutanasia. Però per il resto quel ciclo ha dato l'aborto, l'obiezione di coscienza, l'autonomia economica, il consumismo, il relativismo etico. Ha dato tutto. Quel ciclo sta finendo
e noi ci ritroveremo tra due o tre anni a dover dire: come costruiamo il dopo? Qui c'è probabilmente, nell'ultima notazione,
una responsabilità della classe dirigente e anche nostra. Dobbiamo cominciare a studiare cosa verrà dopo. Noi siamo interessati
dal sapere cosa è successo oggi o ieri. Ma vi rendete conto che
stamattina il Corriere della Sera dedica 10 pagine alle escort pugliesi? Repubblica dedica alle escort 11 pagine! Ma chi se ne frega! Però siamo immersi lì dentro. Nessuno riesce a parlare del
dopo, perché poi arriva Berlusconi che dice che non ci sarà mai
un dopo Berlusconi. Invece no, bisogna capire il dopo. Bisogna
capire i valori, i soggetti, i poteri in cui continuerà a vivere questo paese. Adriano Ossicini, che molti di voi avranno conosciuto,
racconta in un libro che lui era giovane dottore all'isola Tiberina.
A un certo punto incontrò un ex deputato popolare, Spataro, che
diventò anche ministro. Lui gli disse: tu sei figlio di un parlamentare popolare mio collega. Dicono che ti sei messo insieme a dei
catto-comunisti. Vieni con noi, ricomincia a ragionare con noi. Ti
devo far conoscere De Gasperi. Visto che erano tutti e due controllati dall'Opera, Spataro organizzò una festa per la figlia che
faceva gli anni. In un angolo della camera da letto fece incontrare
de Gasperi ed Ossicini che parlarono. De Gasperi gli disse: vieni
con noi. Noi dobbiamo costruire il dopo. I leader non si fanno nel
momento del bisogno, ma prima, quando pensano a cosa sarà il
dopo. Disse: noi dobbiamo preparare il dopo Mussolini. Uno dice
che è una cosa banale, ma la data di quell'incontro è l'inverno del
1938, sei anni prima della fine della guerra, quattro anni prima
del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio. Un oscuro marginale bibliotecario vaticano come De Gasperi già pensava al dopo.
In quel momento nasce la leadership. Se invece di leggere 11 pagine di gossip dei due più grandi giornali italiani riuscissimo a
ragionare sul dopo, e questo è anche il mio problema personale
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visto che faccio un mestiere di riflessione culturale, probabilmente potremmo ridare spazio ad una cultura cattolica non dico che
sia capace di guidare il dopo, ma almeno di essere profetica per il
dopo. Altrimenti siamo a una rincorsa pericolosa perché si rischia
di precipitare verso dimensioni sconosciute, di populismo, di imbecerimento della società. Ricordiamoci questa capacità di creare, di partecipare del Populorum Progressio. I cattolici hanno
sempre avuto questa capacità. Gentili parlava del testo di Prodi
che dice che il capitalismo mondiale nasce nel 200 italiano. Nasce quando, uscendo dal feudo, i contadini, i mercanti, i feudatari
non avevano più soldi. Non c'era più la realtà del potere. Allora i
francescani inventarono il Monte dei Pegni. Nei primi 12 anni ne
fondarono 106. Da Terni, da Amelia fino a Verona. In questi
Monti dei Pegni venivano raccolti i soldi che venivano prestati al
4,5% mentre gli ebrei li prestavano al 60%. L'emersione dei contadini, dei mercanti, degli artigiani post-feudali nasce da questa
grande capacità religiosa di smetterla di dare fiducia al monarca
feudale e di iniziare a darla ai contadini, ai mercanti, agli artigiani, ai bottegai, al popolo. Se posso citarvi una cosa molto sfiziosa
di disputa ideologica, questa cosa dei francescani sui Monti dei
Pegni fu molto ostacolata. I domenicani sostenevano che dare i
soldi a credito fosse peccato. Sant'Antonino da Firenze scrisse un
testo bellissimo dal punto di vista teorico: tu non puoi vendere il
denaro, perché in quel momento tu vendi il tempo, ma il tempo
non è tuo, è di Dio. Il rateo di un mutuo è tempo e quindi in quel
momento non vendi denaro, ma tempo. Settecento anni dopo
hanno parlato di moneta-tempo. San Bernardino da Feltre, francescano, disse una cosa che resta agli albori del capitalismo del
mondo: la moneta se movimentata genera capitale. Quindi non è
Marx che inventa il concetto del capitale, ma qualcuno 600 anni
prima, un frate feltrino francescano. Noi cattolici dovremmo avere ancora il gusto di De Gasperi e del popolo uscito dal feudo di
pensare al dopo feudo con la fiducia nel Populorum Progressio.
Ci vuole una fiducia spaventosa nell'uomo, nell'imprenditore, nel
contadino. Qualche volta uno pensa che questa fiducia non sia
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dev'essere questo perché è strutturalmente legato non solo alla
realtà di fatto di queste società, ma anche al mandato che silenziosamente il Cattolicesimo porta avanti da qualche millennio.
Grazie.
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INTERVENTO
Prof. Marco Vitale
Cercherò di stare nei tempi anche se anch'io voglio assumere una
dimensione storica perché la riflessione storica ci aiuta molto in
questo momento. Prendo la assist da quello che Gentile ha detto
all'inizio e che è stato ripreso da De Rita. Le origini della nostra
imprenditoria e del mercato sono da riscoprire. È importante riscoprire la radice profonda dell'imprenditoria e dobbiamo confrontarla con i miti degli ultimi decenni. È stato detto che è importante ricordare che l‟economia di mercato nasce nei comuni
italiani. Come dice De Rita nasce come frutto dell'homo faber
che inizia a costruire una nuova economia anche in conflitto con
la cultura dominante che era la cultura dello stare tutti tranquilli,
dello stare tutti fermi, della cupidità. Come diceva Pier Damiano:
qualunque richiesta di avere qualcosa di più diventa peccato. A
questo paradigma si contrappone il paradigma del fare, del costruire, di quello che Paolo VI chiama l'impresa dello sviluppo. A
me è piaciuta sempre questa espressione. Si tratta di un'epopea
straordinaria che va dal 1200 al 1500 e che fa dell'Italia il paese
più ricco, più potente, più colto del mondo di allora. Nel 1500
questa epopea si chiude in un'evoluzione perché molte cose si
chiudono in quel periodo in Italia, ma sopravvive come paradigma culturale ed etico in altri luoghi e soprattutto nel nuovo paese
nascente, gli Stati Uniti d'America. C'è un filone comune in questa grande epopea economica: il paradigma dominante è e resta
per tutti questi anni sia in Italia sia nei cantoni americani tipo
Franklyn, dove ritroviamo gli stessi principi di questa misura economica. Nei miei scritti ho documentato questo passaggio fondamentale. Oggi non posso farlo, ma voglio leggervi un passaggio scritto da un mercante Ragusano. Al tempo si rifletteva su se
stessi, ci si chiedeva: cosa sto facendo? E questi mercanti hanno
scritto libri interessantissimi sulle loro attività. Questo mercante
operò a Barcellona, a Napoli e in molte altre zone del Mediterraneo. In un libro dà una definizione di quella che noi chiamiamo
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impresa: “l'impresa è arte cioè una disciplina tra persone legittime giustamente ordinata per la conservazione dell'umana generazione con la speranza di un guadagno”. L'obiettivo è il guadagno,
ma la legittimazione del guadagno è contribuire alla conservazione dell'umana generazione. La legittimità dell‟attività d'impresa
giustifica l‟impresa nella società, la rende accettabile. Con il processo di industrializzazione nel settecento questo paradigma si
interrompe cedendo alla concentrazione della produzione e alla
nuova tecnologia. Emerge quindi un nuovo paradigma, che non si
sostituisce al precedente che ancora oggi esiste, ma si affianca a
quest‟ultimo: l'esigenza della produzione che prevale sull'esigenza del rispetto dell'uomo. Questi due paradigmi cominciano a entrare in conflitto, ma convivono e sono tuttora presenti. Verso la
fine dell'ottocento c'è una grande sciabolata, c'è un'altra evoluzione che dobbiamo capire profondamente: la finanziarizzazione
dell'economia. Pian piano la concentrazione dei capitali porta i
suoi obiettivi e le sue esigenze che non sono più in funzione della
produzione, non sono più in funzione dell'uomo. Un grande studioso americano dice che i grandi finanzieri hanno l'obiettivo di
produrre denaro. Non hanno più l'obiettivo di produrre automobili, telefoni o addirittura di conservare l'umana generazione, di
produrre denaro. E il denaro si produce anche nella discussione,
nella crisi, nella rottura. Questi personaggi esprimono una tradizione che non si collega ai grandi mercanti, ma ai pirati. Questi
introducono un nuovo paradigma che ha regnato negli ultimi
vent'anni. C'è l'ossessione del rendimento fine a se stesso del
Return on Equity. Questo diventa la misura vera. Non ci si chiede
più se si fa qualcosa di utile per la società, per la città, per l'uomo. Si sta producendo un Return on Equity. Su questo paradigma
morale si innesta questa grande economia di carta che ha preso
corpo negli ultimi trent'anni e che in gran parte è creata sul debito, sulla concentrazione della ricchezza, sull'apparenza, sulla forzatura dei consumi, su tutto questo grande apparato che ha affascinato molti di noi e ci ha mostrato, nella crisi, la sua drammatica fragilità. Io interpreto e leggo questa crisi come un grande urlo
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di liberazione contro questa visione perversa dell'economia. È il
nuovo crollo del muro di Berlino. Io guardo a questo crollo con
grande speranza. Per la ricostruzione di un'economia di una società dove il mercato, l'impresa e quindi il libero mercato restano
centrali, ma sono inquadrati e guidati dall'antico principio che le
cose sono misura dell'uomo. Nella Centesimus Annus ci si pone
la domanda: il capitalismo, che non è economia di mercato, anche se molti fanno questa equivalenza, è positivo o negativo? La
risposta è: se il capitalismo riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, della proprietà privata e della conseguente
responsabilità della libera creatività umana nel settore dell'economia, allora la risposta è positiva anche se forse sarebbe più appropriato parlare di economia d'impresa, di economia di mercato o
semplicemente di economia libera. Questa è la distinzione tra capitalismo ed economia di mercato basata sul concetto dell'homo
faber, sul mercato che va inquadrato in qualcosa che rende utile e
proficua l'impresa. Io credo di aver letto tutto quello che è stato
scritto o quasi su questo argomento. Devo dire che le analisi tecniche sulle ragioni della crisi sono ormai molte e lucide. Però sono soltanto analisi tecniche. Le analisi sistemiche che vanno alla
ragione vera del perché della realtà sono poche. Pochi testi osano
affrontare questo argomento. Perché il contratto bancario è stato
utilizzato in modo improprio? A rispondere a questa domanda c'è
solo una descrizione tecnica, ma nessuno osa rispondere alla domanda: perché delle persone educate e strapagate hanno abusato?
Non si osa affrontare questo argomento. Ma questa è la domanda
vera che solo pochi scritti hanno provato ad affrontare. Su questo
problema le analisi sistemiche sono poche. Zamagni ha scritto un
bel saggio a proposito, ma solo lui pochi altri. Quindi questo è
importante perché la grande massa del pensiero economico, gli
economisti si rifiutano di andare a fondo di questo argomento,
non vogliono ascoltare il messaggio che questa crisi ci manda. I
messaggi che la crisi ci manda sono questi. Benedetto XVI,
nell'omelia del 1 gennaio 2009 ha detto che l'attuale crisi globale
è da considerarsi come un banco di prova. Siamo pronti a legger31
la nella sua complessità, come scrive, e nel futuro e non solo come un'emergenza a cui dare risposte di corto respiro? Siamo disposti a fare una revisione profonda del sistema dominante per
correggerlo in maniera concertata e lungimirante? Prima ancora
delle difficoltà economiche c'è lo stato del pianeta e la crisi culturale e morale i cui sintomi sono evidenti in ogni parte del mondo.
I messaggi che vengono dalla crisi sono stati letti bene dal presidente Napolitano nel discorso di fine anno 2008. La crisi è una
grande occasione per aprire il Paese a nuove prospettive di sviluppo. Sono chiamati alla prova tutte le componenti della nostra
società, tutta la collettività nazionale. Questo è lecito attendersi
dalle giovani generazioni che oggi ne costituiscono la spina dorsale: un'autentica reazione vitale come negli anni più critici del
Paese. Questo è un messaggio importante, sono letture profonde
della crisi che provengono da pensatori, da uomini di cultura, di
religione, da persone che normalmente non si interessano di economia. Degli economisti non viene quasi niente, solo aridità e
assenza di pensiero. Nell'enciclica c'è un molto appropriato recupero di una frase di Paolo VI: "il mondo soffre per la mancanza
di pensiero". L'economia soffre due volte per la mancanza di pensiero, sta mostrando tutti i suoi limiti, è una disciplina quasi morta. Da sola non se la cava più. Io ho classificato la maggior parte
degli interventi degli economisti. Sono venuti fuori alcuni partiti:
il partito più forte è quello dei minimalisti che dicono che la crisi
è dovuta a piccole ragioni tecniche. Per non fare nomi: il rettore
della più importante facoltà di economia italiana, la Bocconi. Il
professor Tabellini attribuisce la crisi a un "banale" errore di valutazioni tecniche. Io dico che se basta un banale errore di valutazioni tecniche a fare i danni che ha fatto, significa che questo sistema non può e non deve essere difeso. Il secondo punto dei minimalisti è che la crisi è imprevedibile, che non si poteva fare
niente per evitarla. Questa è una falsità perché pochi, ma importanti grilli parlanti l'avevano prevista con grande chiarezza. Però
questa linea chiara è di quelle persone che stanno bene e che hanno paura di cambiare le cose. Loro dicono: minimizziamo la crisi
32
e teniamoci quello che c'è. Il secondo grande partito è quello dei
congiunturalisti, che seguono le statistiche giorno per giorno e
che dicono che la crisi è finita e trasmettono dei messaggi tremendi ai capi d'azienda che per fortuna li leggono poco. Dicono
che la crisi è un fatto congiunturale quindi, una volta passata la
nottata, le cose riprenderanno come prima. Poi ci sono i talebani
del mercato che sono rimasti abbastanza pochi, ma hanno i microfoni più importanti. Parlo dei giornali, delle grandi facoltà per
cui il mercato metterà tutto a posto, si autodisciplina, mentre questa crisi ci dimostra che è vero il contrario, che un mercato senza
disciplina si suicida. Loro dicono che il mercato è unito, è una
divinità, e che bisogna onorarla. Il resto non conta ! Sono economisti che si dicono liberali, ma che non hanno mai letto i grandi
liberali che non hanno mai detto queste sciocchezze. Hanno sempre parlato di mercato che deve essere ben inquadrato in un sistema di principi e istituzioni. Ci sono pagine stupende di Einaudi
che descriveva il mercato e poi dice: senza i carabinieri, senza la
scuola e senza il parroco il mercato non potrebbe mai funzionare.
Questi sono rimasti in pochi, ma parlano ad alta voce. Loro si
dimenticano che c'era una volta un grande mercato di schiavi, che
era un mercato libero. Non basta che gli uomini si scambino dei
mezzi perché il mercato sia legittimato e coordinato. L'uomo con
la sua cultura e le sue esigenze sociali deve dire se il mercato va
bene oppure no. A un certo punto abbiamo deciso che il mercato
di schiavi andava chiuso. Anche oggi c'è, ma cerchiamo di combatterlo perché è illegale. Poi c'era il mercato della pedofilia che
abbiamo cancellato. Quindi l'uomo crea e chiude i mercati come
strumento secondo le scelte fondamentali della vita, della cultura
di quello che l'uomo vuole essere. Poi ci sono gli statalisti. Sono
una razza molto pericolosa. Non è vero che la crisi è stata risolta
dagli uomini, ma dalla più grande emissione di denaro pubblico
della storia umana, uguale ai denari richiesti per mandare gli uomini sulla luna. Il denaro di salvataggio del sistema bancario è
paragonabile alla quantità di soldi che sono stati necessari per
mandare l'uomo sulla luna. Quindi si tratta di un salvataggio e33
norme che ha portato i debiti, l'eccesso di debito, che era il problema della crisi, a un livello più alto, a livello di Stato. Lo Stato
non ha cancellato l'eccesso di debito, l'ha portato dalle famiglie a
un livello più alto. L'Italia da questo punto di vista sta meglio.
Però gli Stati Uniti erano malati di eccesso di debito nelle famiglie, nelle imprese, nelle banche. Questo eccesso di debito grava
ancora sul mondo, ma è stato portato a livello di Stato. Lo Stato
ha le spalle più grosse e quindi può sopportare questo eccesso per
più tempo, lo può distribuire su più generazioni. Quindi cambiano le scadenze, cambia l'ansia, ma l'eccesso di debito grava ancora. Quindi gli investimenti non saranno più disponibili per cose
utili all'uomo. Ci saranno pesi fiscali che dureranno per generazioni. Quindi non è un miracolo, sono problemi molto seri. L'ingresso pesante e nuovo dello Stato nel sistema economico è un
fatto che è stato necessario, perché a ottobre del 2008 ci sarebbe
stato un crack di cui veramente non abbiamo idea. Questo fatto
crea nuovi problemi. Come si comporterà questo Stato azionista?
Come verranno gestite queste banche nazionalizzate? Gli statalisti, invece di porsi queste domande, gioiscono per il fatto che lo
Stato sia tornato nell'economia e dimenticano lo stato deplorevole in cui le nostre economie erano negli anni settanta, quando la
presenza dello Stato era già molto pesante, non solo in Italia, ma
anche in Inghilterra e in altri paesi. Quindi lo statalismo ha un
approccio positivo verso questo fenomeno invece di avere un approccio problematico. Poi ci sono gli agevolisti che sostengono
che i governi dovrebbero fare di più, cioè qualcosa. Sono i qualchecosisti. Bisogna fare qualcosa, ma non si sa bene cosa. La loro
convinzione è che i governi possano esorcizzare le conseguenze
della più grave crisi economica a memoria d'uomo. Però non è
possibile. I governi possono aiutare, hanno salvato il sistema bancario, attenuano le conseguenze sociali, ma non si possano esorcizzare le conseguenze di una crisi. È un imbroglio, un rifiuto di
domandarsi che cosa deve cambiare nella nostra azienda, nel nostro pensiero. Gli agevolisti vogliono rifiutare il pensiero. Poi c'è
il partito dei nichilisti. I nichilisti sono economisti bravi, molto
34
tristi, molto seri che dicono che la crisi è seria, ma passerà e non
c'è niente da fare perché è sempre stato così, è così e sarà per
sempre. Amen ! Questa è la classificazione del grosso del pensiero economico che non è mai stato così miserabile come in questi
giorni. Noi invece dobbiamo lavorare con fiducia, con speranza
cristiana e anche con allegria. Io dico sempre ai giovani che li
invidio, perché si sta aprendo una stagione di cose nuove da fare,
di nuovi equilibri da inventare, dove c'è uno spazio creativo fantastico. I giovani hanno la grande fortuna di trovarsi in un momento bellissimo. Dobbiamo ancora creare un'economia vera,
sostenibile da un punto di vista finanziario, che non sia un'economia di carta o di panna montata, ma con i piedi solidi. Nell'enciclica, a pagina 106, si parla di finanza che deve tornare ad essere
al servizio dell'uomo e della produzione. Noi dobbiamo fare questo. Bisogna che la finanza in quanto tale nelle necessarie rinnovate modalità di funzionamento, dopo che ha danneggiato l'economia reale, dovrebbe essere uno strumento finalizzato allo sviluppo e alla ricchezza. Deve essere sostenibile da un punto di vista antropologico, deve dare risposta alla definizione di progresso
della Populorum Progressio cioè "lo sviluppo di tutto l'uomo e di
tutti gli uomini". Questo è necessario a costruire un'economia
nuova, vera e sana. Deve essere compatibile e sostenibile da un
punto di vista ambientale. Ci sono tante pagine nell'enciclica che
parlano di questo. E mentre io ho sempre sentito la Chiesa dire
che l'uomo era stato messo nel mondo per dominarlo, crescendo
ho scoperto che c'è un altro passaggio della Genesi ripreso
nell'enciclica che dice che l'uomo è messo nel giardino da Dio
perché lo custodisca. Questo è il nostro nuovo compito nell'economia. Grazie.
35
INTERVENTO
Prof. Giannino Piana
Io ringrazio per essere stato invitato a parlare a questo convegno,
a questo meeting che è molto interessante per l'attualità del tema
e per il modo in cui questo tema è stato strutturato, partendo da
un'analisi della situazione, da un'attenzione agli scenari. Mi pare
che la giornata di ieri sia stata dedicata prevalentemente a questo.
Oggi si parla di percorsi. I percorsi sono l'individuazione di coordinate che servono per uscire dalla crisi economica e finanziaria
in cui siamo, lanciando una proposta alternativa, realistica sul
terreno del sistema economico e di sviluppo. Mi pare che le proposte più operative verranno oggi pomeriggio quando saranno
affrontate alcune ipotesi di lavoro che già in parte sono attuate.
Penso alla responsabilità sociale d'impresa, al terzo settore, eccetera. Quindi io mi atterrò al discorso sulla situazione attuale nella
individuazione di alcune coordinate etiche che riguardano l'impegno che all'interno dell'economia occorre porre per attivare valori
in grado di fermentare l'economia e il sistema economico in modo nuovo ed alternativo rispetto alle logiche dominanti. Vorrei
dire subito che la riflessione che proporrò si suddivide in due momenti. Questo serve anche per seguire le cose che dirò. In un primo momento cercherò di dire perché sta rinascendo, all'interno
della scienza economica, la domanda di etica. Questa è motivata
non tanto da ragioni etiche, ma anche e soprattutto economiche.
La domanda di etica nasce per far funzionare un sistema economico che così come si presenta oggi, e la crisi ne è una testimonianza, è in grande difficoltà. Si tratta di un sistema che è di fronte a un crollo. Successivamente si passerà ad individuare sul terreno antropologico ed etico alcune prospettive che saranno poi
recuperate in termini operativi nel pomeriggio. Partiamo dall'analisi del perché della rinascita della domanda di etica, quali sono le
ragioni? Non posso prescindere da un riferimento a ciò che è avvenuto nel passato. Non posso non riferirmi ad uno scenario passato, rivisitandolo in rapporto all'oggi. Ovviamente non c'è modo
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di documentarlo in maniera approfondita. Parto dalla nascita della scienza economica in senso stretto, cioè dalla fine del settecento. Forse l'economia nasce addirittura dal mondo benedettino, ma
la nascita della scienza economica collegata strettamente al processo di industrializzazione è riconducibile alla fine del settecento e all'inizio dell'ottocento. La scienza economica nasce non prescindendo dall'etica. Adam Smith era un filosofo morale non tanto nella "Ricchezza delle nazioni" dove diventa un economista
piuttosto positivista, ma nella prima fase in cui parla di etica
all'interno dell'economia come elemento strutturante del fatto economico. Perché funzioni, nell'economia di scambio, cioè quella
di mercato, è necessario che i soggetti si dotino di valori fondamentali come il rispetto dell'altro, l'osservanza di regole precise
di giustizia, di equità nella gestione del mercato. Inoltre intravede, da un altro punto di vista, una presenza dell'etica nell'economia attraverso il teorema della mano invisibile che consente all'economia che produce beni di distribuirli secondo criteri che dovrebbero essere di equità. Tuttavia in seguito c'è stato un processo di esclusione dell'etica dall'economia. Con i fisiocrati in particolare la scienza economica è diventata una scienza naturale, esatta, normata da criteri fisici e matematici. Potremmo dire che
questa scienza ha funzionato in maniera incondizionata su alcuni
presupposti che vengono dati per assoluti: non solo il mercato, il
sistema della concorrenza, ma anche le due leggi fondamentali
cioè la massimizzazione della produttività e quella del profitto
anche in ottica di una massimizzazione della produttività. Quindi
nasce una visione naturalistica che si oppone ad un'etica che era
ancora molto naturalistica. Lo scontro è tra due concezioni che
sono rispettivamente assolute, basate su leggi immutabili come
quelle che ho ricordato almeno per l'economia. Tutto questo si è
perpetuato nel tempo soprattutto a livello di operatori economici.
Credo che sia ancora attuale. La scienza economica, però, nel
frattempo ha evidenziato alcune costanti nell'economia non tenute in considerazione originariamente che hanno rimesso in discussione questa concezione naturalistica dell'economia. Hanno
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evidenziato come l'economia non è una scienza naturale in senso
stretto, legata a presupposti fisici e matematici, ma è umana, soggetta a varie variabili. Ne ricordo due che hanno contribuito a
evidenziare i limiti dell'economia: la variabile ecologica, cioè il
fatto che ci si rende conto adesso che le risorse non sono illimitate come si riteneva in partenza, ma limitate. Ci si rende conto che
si innescano, se non si fà attenzione, dei processi di inquinamento
che rischiano di alterare gravemente i beni fondamentali della
vita: aria, acqua e terra. La prima variabile è quindi quella ecologica, che prima non si teneva in considerazione. La seconda è la
variabile sociale. Mi è sembrato interessante un recente articolo
di Stiglitz, premio Nobel americano, consulente economico di
Clinton almeno nella prima fase del suo governo. Lui osservava
come siamo di fronte ad una situazione di crescente sperequazione mondiale. C'è un enorme divario tra Nord e Sud del mondo e
all'interno dei paesi sviluppati. Questa sperequazione a livello
economico ha riflessi negativi sull'economia stessa. I consumi
infatti si riducono laddove le possibilità di consumare da parte
della gente vengono meno perché mancano le risorse economiche
e finanziarie. Questi sono soltanto alcuni motivi che hanno evidenziato l'importanza che ha la domanda di etica all'interno
dell'economia per farla funzionare. Un'economia che non tiene
conto del limite delle risorse, del processo di inquinamento, che
non esige interventi per mantenere alta la qualità della vita, che
crea sperequazioni, che alimenta diversità sociali, non è più economia, ma diventa una diseconomia, un'economia che non funziona, che è in perdita e non tanto perché è carente di etica, ma
perché manca di logiche e dinamiche proprie dell'economico.
Dietro quella visione che ricordavo prima, di fatto, c'era l'idea del
progresso illimitato indefinito che nasceva da una concezione
illuministica della vita e della storia. Quindi andiamo sempre più
verso un modello di rapporto tra etica ed economia in cui queste
due grandezze, che rispondono a due logiche azionarie, a due forme di ragione, devono correlarsi tra loro, devono integrarsi. Questa integrazione va sempre più sviluppandosi nel segno di un rap38
porto stretto che si istituisce sempre più tra i valori che appartengono all'una e all'altra grandezza che sono: quello dell'efficienza
(un'economia non efficiente è una diseconomia) e il valore della
solidarietà, quello etico. Va chiamato in causa quando si affrontano problematiche sociali, economiche, eccetera che riguardano la
vita nel suo insieme. Almeno a livello teorico, della scienza economica, diverso da quello degli operatori economici, mi pare che
oggi siamo di fronte a un tentativo di equilibrio, a una forma di
correlazione, di interazione tra efficienza e solidarietà. Questo
implica una ridefinizione del concetto di efficienza. Questo non
si deve intendere in senso quantitativo, non si parla di produzione
di denaro. Vitale prima parlava di un sistema al servizio dell'economia reale. Si tratta però di un sistema che ha sede in se stesso,
un sistema economico dell'economia reale, che tende a produrre
beni e servizi. Quindi io credo che si debba ridefinire l'efficienza,
tenendo conto per un verso del criterio di motivo. L'efficienza
infatti permette di distribuire correttamente i beni e i servizi. Il
tema più grosso riguarda non tanto la distribuzione, che comunque è molto importante, ma la produzione stessa. Gli interrogativi
che nascono quando si tenta di definire l'efficienza sono i seguenti: quali beni in rapporto a quali bisogni dei soggetti a cui ci si
rivolge bisogna produrre? Perché vengono prodotti questi beni,
come vengono prodotti, attraverso quali processi? Si tratta quindi
di analizzare se l'attività lavorativa che sta alla base della produzione dei beni è un'attività che avviene correttamente, nel rispetto
della qualità delle persone che sono chiamate in causa nell'ambito
dell'attività lavorativa. Questo ci dice che siamo di fronte, almeno
a livello teorico, ad una rinascita della domanda di etica all'interno dell'economia per ragioni economiche, non etiche. Gli obiettivi devono essere anche più alti. Non ci si deve accontentare di
recuperare l'etica per far funzionare l'economia, anche se questo è
un punto di partenza imprescindibile e significativo nell'ambito
della scienza economica. Torno a dire che il dislivello tra scienza
economica ed economia reale, cioè gli operatori, è ancora molto
forte. Pertanto anche questa crisi che stiamo vivendo sta rivelan39
do (prima Vitale parlava delle diverse ipotesi risolutive degli economisti, dai minimalisti alle altre categorie che sono state descritte così bene) un deficit degli economisti e della politica nel tentare delle vie alternative. Tutto sommato l'unica cosa che si sta facendo in maniera limitata è trovare degli aggiustamenti rispetto
ad una situazione che si è fatta critica. Però io credo che non c'è
ancora la prospettiva di utilizzare la crisi, che è un momento importante e significativo, per individuare delle fuoriuscite dalla
crisi stessa, alternative in termini di sistema di sviluppo. Quindi
io vorrei delineare alcune prospettive, attenendomi al tema dei
percorsi. Si tratta di coordinate che penso costituiscano lo scenario dentro cui collocare le proposte concrete di oggi pomeriggio.
Mi riferisco al discorso dell'economia civile o democrazia economica. Qualche volta si utilizzano le due espressioni in maniera
identica. Io ho sempre pensato che l'economia civile ponga più
l'accento sul soggetto, cioè sull'operazione che deve essere fatta a
livello economico. Credo metta a fuoco l'importanza che si superi
la dialettica Stato-mercato introducendo la società civile come
terzo elemento. Dall'altra parte il termine democrazia economica
dice più gli obiettivi, il fine, che è quello di democratizzare anche
quest'aspetto della vita. Norberto Bobbio, a suo tempo, in un libro ancora fondamentale, ha messo a fuoco bene cosa significa
fare democrazia. Diceva che la democrazia è un processo, è sempre in divenire. La vera democrazia c'è quando c'è uno sforzo di
democratizzazione di tutti gli aspetti della vita. Oggi l'economia,
che è uno dei poteri forti insieme alla tecnica e all'informazione
del mondo di oggi, deve in qualche modo accedere a questa logica di democratizzazione, se si vuole che la democrazia non sia
soltanto formale, ma diventi sempre più normale, a tutti gli effetti. La democratizzazione dei processi economici è secondo me
fondamentale per la democrazia. Già oggi, ma soprattutto domani, o sarà anche democrazia economica e dell'informazione o non
sarà democrazia, in senso sostanziale. Non ci toglieranno il diritto di voto, ma sappiamo che è facile condizionare il diritto di voto tramite l'informazione. In quest'ottica dell'attenzione alla so40
cietà civile come perno, vorrei fare alcune riflessioni che riguardano soprattutto le premesse di ordine antropologico ed etico.
Faccio tre rapide riflessioni. Innanzitutto mi pare che parlare di
democratizzazione del sistema economico e di economia civile
significhi introdurre all'interno dell'economia alcune logiche che
non sono soltanto legate ai meccanismi dei processi economici,
ma antropologiche. La prima è il passaggio dal presupposto individualistico, su cui si reggeva l'economia tradizionale, quella neoclassica, all'introduzione di una prospettiva che non sia più individualistica, che non sia più lo sforzo dell'individuo di puntare
alla realizzazione del proprio interesse individuale. Il presupposto
individualista è stato centrale nell'economia. Si deve passare
quindi alla persona, che non è più individuo. Si tratta del ritorno
al soggetto, come ci diceva oggi il professor De Rita quando parlava del superamento anche della prospettiva dell'individuo come
centro e come perno. Il ritorno al soggetto ha caratterizzato la
cultura di questi ultimi decenni, anche nel nostro paese. Tuttavia
il ritorno al soggetto ha significato ritorno all'individuo e tutta la
modernità è segnata da questa tappa. Quindi si deve passare al
ritorno del soggetto in quanto persona che ha una sua individualità irrinunciabile, unica e irripetibile, ma è allo stesso tempo un
soggetto strutturalmente relazionale. Io credo che bisogna tornare
a questa struttura antropologica e relazionale e scrivere l'economia in questo contesto di rete. Se andiamo alle origini della concezione dell‟economia moderna, già Adam Smith parla di
Sympathy come sentimento che anima anche la vita economica.
Ancora prima, nel settecento illuministico italiano, diversi pensatori che hanno riflettuto sull'economia come Genovesi parlavano
di reciprocità come condizione per il funzionamento del sistema
economico. Infatti il mercato è un luogo di scambio. Io credo che
questo sia un presupposto fondamentale: l'abbandono di una visione rigidamente individualistica e questa apertura alla relazionalità. Un secondo elemento antropologico e etico è rappresentato dal rapporto tra il principio di sussidiarietà e quello di solidarietà. Il principio di sussidiarietà significa, come diceva già la
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dottrina sociale della Chiesa, fare spazio non soltanto agli individui, ma anche a quelli che sono i corpi intermedi, le soggettività
sociali che si muovono su un territorio e che si aggregano spontaneamente. Fare economia è frutto di un processo che si realizza
dal basso e che tuttavia deve essere coordinato. Io credo che non
si possa pensare, per quanto lo Stato abbia perso delle funzioni,
che lo Stato non debba avere un'importanza notevole. Questa è
anche l'importanza della politica, come regolatore di alcuni processi non soltanto nel dettare regole, che è già molto importante
nel mercato, ma anche nel favorire processi di crescita di un'economia di base che si sviluppa a partire dalla società nel suo variegato articolarsi di soggettività sociali che la compongono. Credo
che questo sia un ulteriore elemento. Ne aggiungo altri due. Probabilmente già ieri si è parlato del cosiddetto valore della felicità
come elemento che si inserisce nell'economico e che rimanda al
fatto che anche l'economia, come ogni attività sociale, deve avere
come obiettivo la realizzazione umana non solo individuale, ma
collettiva. Allora credo che anche questo principio della felicità
debba essere richiamato come elemento importante nella misura
in cui anche l'economia viene pensata come produttrice di beni
materiali al servizio di altri beni, come i beni relazionali su cui si
costruisce la vita collettiva in modo forte. Concludo dicendo che
un altro elemento di riuscita, ragiono sempre in termini di proposte operative che poi verranno, è la ricomposizione del rapporto
tra il particolare e l'universale, tra il globale e il locale. Questo
sforzo è fatto al di dentro di una prospettiva sempre più globalizzata in cui l'economia non può non inserirsi. Parlo di una rivalorizzazione del locale. Io credo che la possibilità stessa di attivare
processi di partecipazione dal basso, quindi favorire quei disegni
di economia civile a cui si alludeva, passi anche attraverso la valutazione dei singoli soggetti, delle culture locali, delle risorse
locali nella misura in cui si sa coniugare il rapporto tra le prospettive universalistiche all'interno delle quali l'economia si muove in
un contesto globalizzato con gli apporti che vengono dal territorio e dalla località. Così si riesce ad operare in direzione di un
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cambiamento di sistema che permette la presenza sempre più
massiccia, pervasiva della società civile anche all'interno dell'economia. Questo è un processo di democratizzazione del sistema
economico. Grazie.
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Verbale della Consulta ordinaria dei Consiglieri
Ecclesiastici Regionali
Roma 20-21 gennaio 2010
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VERBALE DELLACONSULTA ORDINARIA DEI
CONSIGLIERI ECCLESIASTICI REGIONALI
Roma 20-21 gennaio 2010
Mercoledì 20 gennaio 2010
Sono presenti : Consigliere Nazionale (Gaglianone Padre Renato), Basilicata (Allegretti don Antonio), Calabria (Megna don
Giuseppe), Campania (Toscano Padre Emilio), Emilia Romagna
(Gallerani don Carlo), Friuli Venezia Giulia (Bonetti don Paolo),
Lazio (Carlotti don Paolo), Lombardia (Vezzoli don Claudio),
Piemonte (Frigato don Sabino), Puglia (Macculi don Nicola), Sicilia (Bivona don Guglielmo), Toscana (Gerini don Gabriele),
Umbria (Rabica don Mario e Tiacci don Giovanni Battista), Veneto ( Marcello don Carlo).
A Villa Aurelia in via Leone XIII in Roma, presso la casa generalizia dei Dehoniani, si è riunita la consulta ordinaria dei Consiglieri Ecclesiastici. Dopo la preghiera, il Consigliere Ecclesiastico Nazionale Padre Renato Gaglianone, saluta i presenti, li ringrazia per la loro presenza e illustra l‟ordine del giorno.
1. Osservazioni sul XXXVI Convegno Cons. Ecclesiastici.
Padre Renato legge le lettere di Mons. Spada, Consigliere Ecclesiastico della Sardegna e del dirigente Coldiretti di Rovigo Mauro Visintin, che confermano quanto sia stato importante e fruttuoso il Convegno, in quanto ha permesso ai presenti di approfondire l‟originalità del pensiero della Dottrina Sociale della Chiesa,
con al centro la persona e il bene comune e di seguire con grande
interesse, relazioni ed interventi sulla realtà produttiva ed economica italiana. Il consigliere ecclesiastico del Friuli don Paolo Bonetti ha trovato abbondanti suggerimenti di riflessione da sviluppare e applicare nei momenti formativi predisposti in regione.
Sottolinea l‟importanza che i valori universali della scuola sociale cristiana siano rivolti ai giovani a favore della loro formazione
integrale e a sostegno del loro impegno in agricoltura secondo
l‟ispirazione della Dottrina Sociale della Chiesa. Il consigliere
ecclesiastico della Puglia don Nicola Macculi considera preziosa
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l‟offerta del Convegno perché ha fatto emergere l‟importanza
della globalizzazione della fraternità che accanto a quella della
solidarietà, può aprire scenari nuovi di sviluppo per un mondo
più fraterno e solidale. Considera ancora attuale il tema del Convegno per i suoi risvolti non solo economici ma anche culturali. Il
consigliere ecclesiastico della Lombardia don Claudio Vezzoli
considera che l‟emergenza educativa, fortemente richiamata nel
Convegno per una diversa responsabilità sociale ed economica,
non vada solo analizzata ma anche sviluppata dalla Consulta in
proposte organiche condivise, da verificare sul territorio nei diversi contesti regionali. Il consigliere ecclesiastico regionale del
Lazio don Paolo Carlotti ritiene che il tema del Convegno abbia
contribuito in modo significativo ad attualizzare l‟enciclica del
Papa “Caritas in Veritate”, attraverso gli approfondimenti tematici dei relatori altamente qualificati. Andrebbe contestualizzato il
tema del dono, nuovo ambito di riferimento in risposta alle sfide
antropologiche ed etiche del nostro tempo. Dal punto di vista metodologico l‟articolazione del Convegno dovrebbe prevedere anche il contradditorio per far emergere un confronto proficuo fra i
diversi apporti. Il consigliere ecclesiastico regionale del Piemonte
don Sabino Frigato, mette in evidenza la presenza significativa
dei Dirigenti Coldiretti al Convegno, segno importante di condivisione e di interesse verso l‟ambito formativo, risorsa indispensabile anche per la nuova Coldiretti. La relazione di alto profilo
del prof. Zamagni, è stata di grande utilità nel contesto regionale
per l‟incontro con i Direttori e i Presidenti. L‟enciclica con le sue
intuizioni originali e puntuali, rimarrà anche per il futuro una pista da percorrere negli ambiti formativi dell‟Associazione. Il consigliere ecclesiastico della Calabria don Giuseppe Megna considera un apporto importante la sintesi storica proposta e base di
partenza per la comprensione dei rapidi cambiamenti avvenuti in
campo economico, finanziario e sociale. Considera positivo il
Convegno per l‟attenzione data alle radici culturali ed etiche
dell‟economia. Tenendo conto della peculiarità delle regioni,
questo patrimonio di riflessioni sarà sicuramente materiale di ap48
profondimento nei percorsi formativi locali. Il consigliere ecclesiastico regionale della Sicilia don Guglielmo Bivona, riconosce
che la preparazione del Convegno ha avuto nella condivisione un
momento alto di corresponsabilità operativa. Proporre la speranza
in un mondo che cambia così vertiginosamente, è stato un appello a riprendere il cammino formativo in Coldiretti con maggior
fiducia. Nella sintesi pastorale di don Franco Appi, molto articolata ed esauriente, si possono trovare diversi ed efficaci elementi
specifici alla nostra missione sacerdotale, che si muove attorno
ad un progetto di formazione integrale. Il consigliere ecclesiastico regionale del Veneto don Carlo Marcello, ringrazia Padre Renato per l‟impegno profuso e per aver coinvolto relatori di alta
qualità, che con i loro contributi teorici ed esperienziali, hanno
assicurato il successo del Convegno. Richiama l‟attenzione sulle
numerose aziende agricole che vivono in gravi difficoltà a causa
della crisi di sistema in cui sta versando l‟economia mondiale. Il
tema della enciclica ha richiamato l‟urgenza di fare verità sulla
tipicità, salubrità dei prodotti, sulla difesa dell‟ambiente e del
reddito, nuove frontiere dello sviluppo della futura realtà rurale.
Etica ed economia si sposano con la carità, portatrice di un cambiamento a tutto campo, indispensabile per rendere più umana,
fraterna e solidale anche la convivenza civile. Il consigliere ecclesiastico provinciale Toscano padre Emilio, rileva la eterogeneità degli interventi del prof. Zamagni e del prof. De Rita, promotori di elaborazioni e convinzioni diverse nella loro esposizione sugli aspetti congiunturali dell‟economia.
2. Le ricadute del XXXVI Convegno Consiglieri Ecclesiastici.
Il consigliere ecclesiastico del Lazio don Paolo Carlotti illustra la
giornata di formazione proposta dalla Coldiretti Lazio per i dirigenti e dipendenti sull‟enciclica Caritas in Veritate, nei due monasteri di Subiaco e del Sacro Speco, a contatto con la spiritualità
benedettina. Il consigliere ecclesiastico regionale del Veneto don
Carlo Marcello assicura la sua presenza a diversi momenti di
Coldiretti: Giornata del Ringraziamento, S. Messa in preparazione del Natale per il personale e dirigenti di Rovigo, ai consigli
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provinciali e regionali, ai momenti di incontro dei Pensionati e
ad altri momenti dell‟Associazione, eventi preziosi di solidarietà e di amicizia con i soci e con i direttori. Il consigliere ecclesiastico della Toscana don Gabriele Gerini, sottolinea
l‟importanza che il tema del Convegno diventi una risorsa da
trasmettere anche ai consiglieri ecclesiastici provinciali e diocesani non presenti alla tre giorni di Roma. La complessità delle
riflessioni potrebbero essere sintetizzate con delle schede da
diffondere. Ritiene importante il collegamento con i confratelli
consiglieri della regione per una conoscenza più approfondita e
per un‟azione comune all‟interno dell‟Organizzazione. Il Consigliere ecclesiastico regionale dell‟Umbria Rabica don Mario
mette in evidenza che l‟impegno dei Consiglieri ecclesiastici è
spesso condizionato dai numerosi impegni pastorali ma anche
dallo scarso coinvolgimento dei direttori nei confronti del loro
ruolo e servizio. Rimane la nostra presenza a sostegno ai momenti celebrativi annuali. Il Consigliere Ecclesiastico Regionale
della Emilia Romagna don Carlo Gallerani, constata che le numerose competenze dei direttori nei settori tecnici, economici e
fiscali non lascia loro spazio per organizzare qualche opportunità formativa ed interagire con i Consiglieri Ecclesiastici. Il Consigliere ecclesiastico regionale della Basilicata Allegretti don
Antonio, alla sua prima consulta, racconta che ha trovato stimoli e incoraggiamento nella celebrazione della sua prima giornata
del ringraziamento. Conferma la validità delle tematiche affrontate al convegno per la ricchezza delle riflessioni offerte, in particolare per le esperienze legate all‟economia di comunione. Il
Consigliere ecclesiastico nazionale Padre Renato sulle analisi e
valutazioni positive sviluppate dai presenti, conferma la risonanza nazionale del convegno presso la stampa cattolica e
all‟interno del Consiglio nazionale Coldiretti. Perché questo
convegno non resti un evento isolato ma un punto di partenza
per i futuri percorsi nel compito formativo dei Consiglieri ecclesiastici, è dovere nostro promuovere azioni concrete in collaborazione con i direttori. Per non rendere i temi del convegno
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irrilevanti, ognuno nella sua regione, trovi modalità e strumenti
per far crescere una maggior consapevolezza verso la dottrina
sociale della Chiesa. Anche nella riflessione all‟interno
dell‟Organizzazione, si registra uno scollamento fra il progetto
nazionale Coldiretti e il socio che non sempre lo vede di rapida
attuazione. Padre Renato manifesta la sua convinzione che non
saranno le grandi manifestazioni ma le relazioni umane a tener
vivo lo spirito originario di Coldiretti. Comunica poi che i dirigenti Coldiretti sono disponibili ai momenti formativi se aiutati a
calendarizzarli, interagendo all‟interno della vita istituzionale
dell‟Organizzazione. A chi esplicitamente gli ha chiesto di illustrare i programmi emergenti in Coldiretti Padre Renato informa
sulle iniziative dei dirigenti nazionali relative alla cooperazione,
attraverso il nuovo soggetto Unci, e il rapporto tra il mondo rurale e quello agro-alimentare.
Giovedì 21 gennaio 2010
Giovedì 21 gennaio dopo la concelebrazione delle Lodi e della
Santa Messa sono ripresi i lavori della consulta.
3. Viaggio studio.
Padre Renato informa che in sostituzione del viaggio studio,
nell‟ambito dell‟anno sacerdotale, viene proposto il corso degli
esercizi spirituali ad Ars (in Francia) da lunedì 31 maggio a venerdì 4 giugno 2010, organizzato dall‟Opera Romana Pellegrinaggi. Il programma prevede una riflessione approfondita sulla
vita del santo curato d‟Ars alla luce della Parola di Dio, visita al
Santuario di Paray le Monial e alla Comunità dei Monaci di Taizè. I presenti a maggioranza concordano con la proposta a chiusura dell‟anno sacerdotale e del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni Maria Vianney il santo patrono dei parroci.
4. Strategie e azioni in Coldiretti.
Padre Renato ricorda il discorso del Papa alla Sinagoga di Roma,
una visita che viene considerata una pietra miliare nel cammino
del dialogo tra cattolici ed ebrei. Il Papa ha indicato la Bibbia come un grande codice etico per tutta l‟umanità, capace di risvegliare anche nella nostra società del benessere e dei mercati,
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l‟apertura alla dimensione trascendente, il rispetto dei diritti umani fondamentali ed il giusto senso della convivenza civile fondata
sulla fraternità. La preghiera rimane sempre un momento importante del cammino per servire le persone e le comunità e la Sinagoga come ogni luogo di culto, è sempre luogo di crescita umana
nell‟orizzonte di Dio, alla ricerca di ciò che ci unisce nella verità
e nell‟amore reciproco. Padre Renato poi illustra brevemente
l‟inchiesta del dottor Enrico Capo su: “La traversata del guado,
dalla religiosità rurale alla religiosità urbana”. Invita i presenti a
diffondere questo studio attraverso il foglio di collegamento numero 47. Ringrazia i Consiglieri ecclesiastici per la collaborazione data alla riuscita di questa preziosa analisi sul mondo rurale. Il
Consigliere ecclesiastico regionale del Piemonte don Sabino Frigato chiede di precisare il ruolo e la missione del consigliere nella “nuova Coldiretti” e di verificare l‟efficacia di tale presenza
per non ridurla alla buona volontà individuale, spesso informale e
frustrante nella prassi ordinaria. E‟ in attesa di suggerimenti, nel
rinnovato contesto storico di Coldiretti, per declinare sia la posizione della presenza dei consiglieri ecclesiastici, oggi poco significativa, e sia per conoscere se sono ancora praticabili in modo condiviso, i percorsi formativi all‟interno
dell‟Organizzazione. Si domanda ancora se in Coldiretti c‟è la
volontà di valorizzare il consigliere ecclesiastico, se sono ancora
valide le ragioni previste nella Nota aggiuntiva allo Statuto, cosa
viene chiesto in futuro perché il servizio di animazione e formazione possa essere affrontato con maggior consapevolezza. Il
consigliere ecclesiastico regionale della Sicilia, don Guglielmo
Bivona, alla luce dell‟intervento precedente, ritiene che sia necessario ripensare la figura e il ruolo del consigliere nel suo servizio
alla dottrina sociale della Chiesa in Coldiretti. Ieri era esplicita la
sua partecipazione collaborativi, che salvaguardava e promuoveva la relazione ai valori della scuola sociale cristiana; oggi c‟è la
percezione che sia implicita, senza continuità, informale, episodica. Invita Padre Renato a portare la verifica non su ciò che si attua o non si attua nelle nostre regioni a livello formativo, ma se ci
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sono ancora le condizioni per l‟apprezzamento di una presenza
educativa ai valori di uno sviluppo umano integrale che sì è molto sfumato nel tempo. Si domanda se sia rimasta solo
l‟immagine, perdendo la sostanza di un legame trasparente con la
dottrina sociale della Chiesa anche in periferia, se il rapporto è
solo strumentale oppure è anche attuato, se è stato sacrificato sotto l‟emergenza delle nuove sfide legate alla globalizzazione, che
ha formulato scenari inediti per l‟economia o c‟è ancora la convinzione che si possa rilanciare un impegno che salvi la presenza
del consigliere. Il consigliere ecclesiastico regionale della Puglia
don Nicola Macculi, riconosce che il ruolo del consigliere si è
molto sfilacciato, ingiallito, che gli spazi dell‟impegno educativo
sono molto limitati, che è sbiadita la relazione con la dottrina sociale della Chiesa, che sono accentuati quasi esclusivamente gli
aspetti economici e meno gli aspetti socioculturali ed antropologici, che sta venendo meno una comprensione approfondita ed
esplicita delle sfide etiche. E‟ venuta meno la formazione nei luoghi vitali di Coldiretti che sono le sezioni, si nota uno strisciante
allontanamento della base dal vertice. Come inserire la nostra
missione educativa di mediazione in un contesto fortemente caratterizzato dai risultati, dai numeri per attingere al patrimonio
fecondo della scuola sociale cristiana, che promuove la crescita
qualitativa e non solo quantitativa della persona umana e del suo
intraprendere? Il consigliere ecclesiastico della Calabria don Giuseppe Megna ricorda ai presenti la sua lunga esperienza in Coldiretti, testimone senza rimpianti dei diversi e significativi passaggi
strategici avvenuti nella storia dell‟ Organizzazione. Proprio il
riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, ha permesso ai consiglieri di adeguare il loro servizio alla nuova realtà, cogliendo le
occasioni che si offrivano, per muoversi e relazionarsi con i dirigenti e con i soci per evidenziare e condividere i valori educativi.
Fa presente che per continuare la missione in Coldiretti vanno
costruite nuove collaborazioni, per una partecipazione più attiva
dei direttori, tenendo conto della loro responsabilità sempre più
complessa nelle realtà provinciali e regionali. Questi obiettivi
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non possono essere raggiunti senza l‟apporto, l‟iniziativa, la
proposta, la presenza del consigliere ai momenti significativi
della vita in Coldiretti. Il Consigliere ecclesiastico regionale
della Lombardia don Claudio Vezzoli, comunica che per seguire l‟incarico ricevuto dalla conferenza episcopale regionale, ha
lasciato l‟insegnamento nella scuola. Una scelta che ritiene dovuta, perché gli dava la possibilità di costruire gradualmente il
suo servizio sulle relazioni umane prima che su programmi ed
eventi. E‟ conscio che il servizio del Consigliere è anche testimonianza comunicativa prima che organizzazione di temi formativi specifici. Se adeguatamente promossa la missione del
consigliere è anche per il futuro una risorsa preziosa. Il consigliere ecclesiastico dell‟Emilia Romagna don Carlo Gallerani
conferma l‟intervento precedente, perché solo le relazioni umane che si riescono a stabilire con i dirigenti, permettono poi di
compiere un salto di qualità, costituito di dialogo e di condivisione, verso organiche esperienze di formazione. Registra che il
cambiamento frequente dei direttori rende più faticoso questo
obiettivo, che necessita di un minimo di stabilità e conoscenza
reciproca. Il consigliere ecclesiastico del Veneto don Carlo
Marcello predilige la partecipazione attiva, vivendo dall‟interno
tutti gli avvenimenti di Coldiretti nella sua Federazione provinciale e per quanto gli è possibile in quella regionale. Riscontra
un vivo interessamento al suo servizio da parte dei dirigenti,
che si premura di condividere con i consiglieri ecclesiastici della regione. Ciò fa ben sperare per il futuro, nonostante i limiti
umani e di tempo che condizionano il nostro impegno. Il consigliere ecclesiastico regionale della Toscana don Gabriele Gerini, ricorda l‟importanza degli uffici di zona, per il prezioso collegamento sul territorio, in quanto promuovono non solo i servizi Coldiretti ma sono anche a contatto diretto con le problematiche di vita e di lavoro dei soci. Ritiene essenziale anche il collegamento con i consiglieri ecclesiastici diocesani e provinciali
per consolidare amicizia e collaborazione in vista di approfondire in che senso e in che modo può essere vissuto il servizio in
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Coldiretti. Condivide l‟importanza di essere propositivi per trasmettere fiducia, che è il miglior terreno per vivere il mandato di
consigliere in un tempo in cui il conflitto sembra predominante.
Il consigliere ecclesiastico nazionale Padre Renato, ribadisce la
specificità del consigliere ecclesiastico che non è legata alla sensibilità dei direttori ma alla Nota, che si rifà allo Statuto della
CNCD. Il consigliere ecclesiastico è ancora di attualità anche se
incontra qualche difficoltà. La situazione socio economica del
2010 è molto diversa da quella del 1953 quando per la prima volta si rifletteva sulla presenza in Coldiretti del consigliere ecclesiastico. Proprio all‟interno di importanti cambiamenti in Coldiretti e nella società, sul piano economico e culturale, non possiamo non continuare ad essere punti di riferimento della dottrina
sociale della Chiesa in questa Organizzazione. I rapporti personali dei consiglieri con i dirigenti vanno coniugati con quelli istituzionali: è un impegno ma anche una opportunità che la Chiesa
italiana non può perdere. A noi posizionarci e impreziosire il nostro compito, mettendoci in gioco con fiducia, coerenza e ragionevolezza. Illustra poi, come spazio d‟incontro importante,
l‟accesso alla stampa dell‟Organizzazione a livello regionale e
provinciale, per essere presenti con il proprio contributo nella
comunicazione delle esperienze vissute. Padre Renato ringrazia i
presenti per la fattiva collaborazione, per i commenti e i contributi critici proposti ma anche per le testimonianze di generoso impegno educativo e sociale profuso nelle rispettive regioni. Con la
preghiera si conclude la consulta ordinaria dei consiglieri ecclesiastici regionali.
Il Consigliere Ecclesiastico Regionale del Friuli
Mons Paolo Bonetti
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