Misfatto a Milano

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Misfatto a Milano
Misfatto a Milano - Massimo Fini
pubblicato su Il Fatto
Dalle finestre di casa mia, a Milano, vedo le Alpi. Un caso più unico che raro considerato anche
che abito in una zona piuttosto centrale e non in cima a un grattacielo ma al quarto piano.
Proprio davanti alla mia casa si stende un grande terrapieno che si allunga per circa mezzo
chilometro. Questa situazione particolare ha una storia. Qui c'era la vecchia stazione delle
Varesine. Da bambino affacciandomi vedevo, partendo da sinistra, il palazzetto dell'antica sede
della Gazzetta dello Sport dove alla punzonatura della Sanremo o del Giro d'Italia correvo a
farmi fare gli autografi dai ciclisti, il frontale della stazione e il cadente ed equivoco Albergo della
Pace con i muri scrostati che trasudavano umidità e piscio. Al di là i treni, sullo sfondo le Alpi e
le prealpi, una parte del Bianco, il Rosa, il Cervino, la Grigna. Ma io ero soprattutto affascinato
dal via vai dei treni, come tutti i bambini. Più avanti mi sarebbe piaciuto bazzicare la stazione,
penetrare nei suoi meandri sotterranei e anche buttare un occhio in quell'hotel a due stelle alla
ricerca del torbido.Nei primi anni Sessanta, mi pare, le Varesine vennero demolite e la stazione
spostata un chilometro più in là diventando la moderna Stazione Garibaldi, ai confini di quello
che oggi è uno dei quartieri più "trandy", con corso Como e l'Hollywood, una discoteca
frequentata da calciatori, veline, escort, gente dello show business e una fauna indefinibile di
uomini di mezz'età alla ricerca di avventure con ragazze che, oltre a quello del successo, hanno
il mito del "denaro facile" (un ambientino da far diventare quasi innocente l'antico Albergo della
Pace).Sul terrapieno i treni sono stati sostituiti, per qualche decennio, da un grande Luna Park.
Da ragazzino andavo sulla pista delle macchine elettriche e ci restavo ore. Alla fine ero
diventato un vero asso. In seguito ci portai mio figlio e i suoi amichetti, come facevano anche
molte famiglie perché il luogo, benché tenuto da nomadi, era piuttosto sicuro e i "fattoni"
venivano tenuti alla larga dai gestori (i drogati andavano a bucarsi negli androni sfondati e
maleodoranti della Gazzetta che nel frattempo si era trasferita in piazza Cavour in quello che
allora era "il Palazzo dei giornali" - oggi non è rimasto quasi più nessuno). Ma anche
qualcos'altro era cambiato. In fondo al terrapieno erano sorti due incredibili grattacieli a forma di
pagoda. Una speculazione, in combutta con i socialisti, dell'architetto De Mico, uno dei primi
arrestati per Tangetopoli. Si diceva che quei grattacieli sarebbero stati adibiti ad uffici per gli
impiegati e i funzionari della Regione (ma non c'era già il Pirellone con i suoi trenta piani?). Di
fatto sono sempre rimasti vuoti. In compenso coprono una parte della visuale delle Alpi.Un
giorno anche il Luna Park se ne andò, sopraffatto dalle playstation. Ma, nel giro di pochi mesi,
sul terrapieno sorse un bosco. Un vero bosco, non l'odioso "verde" che si può solo guardare ma
non toccare. Miracolo a Milano. Infatti un bosco a Milano è una cosa commovente, come i fili
d'erba che ogni primavera riescono, nonostante tutto, a insinuarsi negli interstizi del pavè.Una
mattina di un anno e mezzo fa mi alzai e andai come al solito alla finestra: il bosco non c'era
più. Era stato raso al suolo durante la notte. Mi informai. Mi dissero che su quel terrapieno
sarebbe sorta "La Città della Moda". Un'operazione tre volte assurda. Gli stilisti hanno già fatto
sapere che non ci andranno. Negli ultimi anni hanno fatto una cosa intelligente: invece di
concentrare le sfilate in un unico luogo, si sono sparsi per la città rivitalizzandone alcune zone
smorte, come quella intorno alla semiabbandonata stazione di Porta Genova (via Tortona, via
Savona). Già ai primi del Novecento il grande architetto Henry Van de Velde aveva ammonito
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che una metropoli "è fatta di pieni ma anche di vuoti". E Dio sa quanto Milano con un solo
grande parco e senza giardini - quelli stanno all'interno delle abitazioni signorili del centroabbia un disperato bisogno di spazi aperti e liberi. Ma soprattutto è stato abbattuto un bosco
cresciuto spontaneamente. Sarebbe bastato ripulirlo un po', metterci qualche panchina e
magari un chiosco e, a costo zero, ci sarebbe stato uno spazio fruibile da tutti, specialmente
anziani e bambini.Proprio l'altro giorno è capitato per caso a casa mia uno dei costruttori. Ignaro
con chi avesse a che fare, affacciato alla finestra ha cominciato, tutto contento, a spiegarmi, per
sommi capi, il progetto. Proprio davanti alle mie finestre sorgerà una torre di trentacinque piani
(le Torri Gemelle non hanno insegnato niente), il grattacielo più alto di Milano, più alto del Pirelli
con la differenza che il Pirelli, ideato da Giò Ponti e costruito da Nervi, è un gioiello
dell'architettura moderna e questo, dai disegni che ho visto, un obbrobrio. Se non è a banana
poco ci manca. Due altre torri, di poco più basse, sorgeranno dall'altra parte del terrapieno. Poi
ci sarà il Centro della Moda o, se gli stilisti non ci staranno, di vattelapesca. Lungo il grande
viale che costeggia il terrapieno (viale Liberazione) ci sarà una lunga fila di abitazioni che
nasconderanno le vecchie ma dignitose case popolari che confinano con quella che un tempo
era chiamata "l'isola di Milano", un grande "terrain vague", costeggiato dal naviglio della
Martesana dove noi andavamo a giocare, al pallone, alla guerra con le cerbottane e le fionde, a
inventarci mini giri d'Italia in bici, e che ora è affogata nel cemento. Come se non bastasse è
stato progettato un camminamento pedonale che, partendo dall'Hotel Principe Savoia arriverà,
attraverso un ponte che scavalcherà viale Liberazione, verso la stazione Garibaldi. Un cosa
totalmente priva di senso, ma piena di ulteriore cemento. Nelle torri potranno andare a stare
solo dei superricchi e questo alzerà tutti i prezzi del quartiere, ricacciando così nell'hinterland gli
ultimi ceti popolari rimasti in città. E Milano è stata una città viva finché è rimasta interclassista e
al quartiere Garibaldi abitavano Pirelli e i suoi operai, anche se, naturalmente, Pirelli in un
palazzo disegnato da Caccia Dominioni e l'operaio in una casa di ringhiera. Gli abitanti del
quartiere hanno fatto ricorso al Tar contro il nuovo "ecomostro". Ma l'hanno perso. Hanno fatto
ricorso al Consiglio di Stato, ma lo perderanno. Tutto è regolare, naturalmente. Il terreno che
apparteneva alle Ferrovie dello Stato, poi è passato al Comune che l'ha ceduto a dei privati che
con un investimento di un miliardo di euro, finanziato all'80% da quelle Banche che lesinano la
lira al piccolo e medio imprenditore, ci faranno ciò che vogliono. I ricorsi non servono a nulla,
salvo dare la parvenza della democrazia. Non siamo che sudditi. Però la signora sindachessa
Letizia Moratti dovrebbe avere almeno il pudore di smetterla di romperci i coglioni col niet alle
auto la domenica, se poi permette che uno dei pochi "polmoni verdi" di Milano, creatosi
spontaneamente, venga distrutto da un giorno all'altro in nome del Dio Quattrino. Guardo dalla
finestra. Enormi gru, alte centinaia di metri, sinistri uccelli del malaugurio, sono al lavoro da
tempo. La cementificazione è in corso, la "Città della Moda" si farà, le torri di trentacinque piani
anche. Io spero in Bin Laden. Osama, facci sognare.Massimo Fini
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