Tra trucioli e telai - ALPINE SPACE PROGRAMME

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Tra trucioli e telai - ALPINE SPACE PROGRAMME
TRA TRUCIOLI
E TELAI
Artigianato di qualità
nella montagna friulana
ANTONIO ANGELO BAUSSANO
INIZIATIVA
CONFINANZIATA DALL’UE
FONDO EUROPEO
DI SVILUPPO REGIONALE
MINISTERO
DELLE INFRASTRUTTURE
E DEI TRASPORTI
PROGRAMMA DI INIZIATIVA COMUNITARIA
INTERREG III B - SPAZIO ALPINO
PROGETTO CRAFTS
Cooperazione tra le Regioni Alpine per Promuovere Sinergie
Trans-settoriali e transnazionali
Cooperation among Regions of the Alps to Forward Trans-sectorial
and transnational Synergies
REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA
Direzione centrale risorse agricole, naturali forestali e montagna
Servizio affari generali amministrativi e politiche comunitarie
Attività di studio e ricerca sull’artigianato alpino tradizionale e tipico, per riconoscerlo
come artigianato di qualità e di eccellenza
TRA TRUCIOLI E TELAI
Artigianato di qualità nella montagna friulana
Rapporto finale di ricerca
Antonio Angelo BAUSSANO
TRA TRUCIOLI E TELAI
Ringraziamenti
Desidero rivolgere un particolare ringraziamento, per il loro prezioso contributo e per la loro fattiva collaborazione, a Marina BORTOTTO, Direttore del Servizio affari generali, amministrativi
e Politiche comunitarie della Direzione centrale risorse agricole, naturali, forestali e montagna
della REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA, a Luciana ZANIER, Project
Manager per la REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA del Progetto “CRAFTS”, a
Alessandra STRAULINO, Responsabile dei Progetti comunitari del Comune di Sutrio (UD), a
Leila MEROI, laureanda in Psicologia, a Raffaella CARGNELUTTI, già Presidente della
Fondazione Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari di Tolmezzo (UD), a Domenico
MOLFETTA, ricercatore e studioso di Storia locale, ai titolari delle imprese artigiane che ho
avuto il piacere di incontrare e di intervistare:
-
Diemme legno snc - Pontebba (UD)
F.lli Rossiti - Tolmezzo (UD)
Il C.L.A.P. - Paularo (UD)
Il Fiore Dipinto - Tarvisio (UD)
Il Vento e il Sole - Tarvisio (UD)
L’Ebanista - Paluzza (UD)
Mobili MEC - Sutrio (UD
Revelant Gino e Giusto - Paularo (UD)
SERMOBIL - Tolmezzo (UD)
Carnica Arte Tessile Villa Santina (UD)
TUFTING TAPPETI - Prato Carnico (UD)
Tessitura artigiana di Sauris - Sauris (UD)
De Antoni Carnia - Comeglians (UD)
Antonio Angelo BAUSSANO
Agosto 2005
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INTRODUZIONE
Introduzione
Le attività artistico-artigianali tradizionali che costituivano un settore chiave dell’economia montana delle diverse regioni che compongono l’arco alpino rappresentano, tutt’oggi, una vera e propria ricchezza sia in termini culturali che economici. Tale ricchezza, perché possa continuare nel
futuro, deve essere attraverso la creazione di sinergie con altri ambiti strategici dell’economia
montana in primis il settore del turismo.
Nell’ambito del Programma d’Iniziativa comunitaria INTERREG III B Spazio Alpino, il
Servizio affari generali, amministrativi e politiche comunitarie della Direzione risorse agricole,
naturali, forestali e montagna, che vanta una rilevante esperienza nella partecipazione a progetti
europei dovuta all’elaborazione e all’attivazione di iniziative per lo Spazio Alpino già nel corso
della precedente programmazione dei fondi strutturali 1994/1999, ha ritenuto strategico presentare, in qualità di partner capofila, il progetto CRAFTS (acronimo di “Cooperazione tra le regioni
alpine per lo sviluppo di sinergie tran-settoriali e transnazionali”), che propone interventi per la
salvaguardia e la valorizzazione dell’artigianato alpino e per la tutela e conservazione del patrimonio culturale dei “maestri artigiani” attraverso la creazione di sinergie con il turismo che portino ad una nuova figura professionale di operatore turistico-artigiano.
In accordo con la metodologia d’intervento sperimentata dalla Regione Piemonte (partner progettuale) con il progetto “Piemonte Eccellenza Artigiana”, la presente ricerca s’inserisce tra le
attività previste dal progetto CRAFTS quale indagine attuata su un’area del territorio montano
regionale (la Carnia) che si pone l’obiettivo di definire metodologie e strumenti per individuare e
per identificare le forme di artigianato artistico, tradizionale, tipico ed innovativo, rilevabili nei
settori della lavorazione del legno e delle lavorazioni tessili individuati come settori di attività artigiana di notevole rilevanza qualitativa a livello locale, nell’intento di attribuire loro uno specifico
riconoscimento di qualità e di eccellenza.
La ricerca svolge un’approfondita analisi storica delle attività tradizionali legate alla lavorazione
del legno e del tessile che inquadra perfettamente l’evoluzione che tali due settori hanno avuto nel
tempo.
Il lavoro inoltre costituisce una ricca e importante raccolta di informazioni e dati, sia di natura
quantitativa che qualitativa, sulle attuali attività artigianali legate ai comparti oggetto della ricerca, fornendo altresì interessanti indicazioni e spunti di riflessione utili a orientare e supportare
ulteriori interventi a sostegno dello sviluppo delle produzioni artigiane da avviare nell'immediato
futuro.
Un sentito ringraziamento al Dott. Baussano che con notevole professionalità e impegno ha svolto un lavoro che auspico possa costituire un importante documento sia per la definizione ulteriori progetti futuri nell’ambito della cooperazione transnazionale sia per l’elaborazione di un’apposita disciplina regionale del settore mediante la quale qualificare e certificare le produzioni artigianali tipiche del territorio montano regionale.
Marina BORTOTTO
Direttore del Servizio Affari generali,
amministrativi e politiche comunitarie
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SOMMARIO
Sommario
1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
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2. Finalità e aspetti metodologici dell’indagine. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
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3. Contributi per una definizione di “Artigianato di qualità” . . . . . . . . . . . . . . pag.
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4. Cultura e tradizione alpina: alla ricerca di un’identità . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
4.1 Artigianato del legno e radici della tradizione carnica. . . . . . . . . . . . . pag.
4.2 Artigianato tessile e radici della tradizione carnica . . . . . . . . . . . . . . . pag.
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5. Le attività svolte dalle imprese artigiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
5.1 Comparti di attività relativi alle lavorazioni del legno
5.1.1 La fabbricazione di carpenteria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
5.1.2 La fabbricazione di mobili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
5.1.3 La fabbricazione di serramenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
5.1.4 La fabbricazione di oggettistica varia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
5.1.5 L’esecuzione di interventi di restauro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
5.2 Comparti di attività relativi alle lavorazioni tessili
5.2.1 La fabbricazione di arazzi e di tappeti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
5.2.2 La fabbricazione di biancheria per la casa . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
5.2.3 La fabbricazione di tessuti a maglia e confezione . . . . . . . . . . . . . pag.
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6. Il contenuto di qualità delle lavorazioni eseguite sotto il profilo artistico,
tradizionale, tipico ed innovativo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
6.1 Comparti di attività relativi alle lavorazioni del legno . . . . . . . . . . . . . pag.
6.2 Comparti di attività relativi alle lavorazioni tessili . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
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7. Le destinazioni di mercato dei manufatti prodotti e/o dei servizi resi . . . . . . pag.
7.1 Settore di attività relativo alle lavorazioni del legno. . . . . . . . . . . . . . . pag.
7.2 Settore di attività relativo alle lavorazioni tessili . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
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8. Le azioni da intraprendere per il sostegno e lo sviluppo dei settori
artigiani indagati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
8.1 Settore di attività relativo alle lavorazioni del legno . . . . . . . . . . . . . . . pag.
8.2 Settore di attività relativo alle lavorazioni tessili . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
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9. La professionalità artigiana nei settori di attività indagati e il mercato
del lavoro in Friuli-Venezia Giulia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 103
9.1 Settore di attività relativo alle lavorazioni del legno. . . . . . . . . . . . . . . pag. 103
9.2 Settore di attività relativo alle lavorazioni tessili . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 109
10. L’orientamento dei giovani verso le attività svolte nei settori artigiani
indagati e la loro formazione professionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 115
11. Considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 121
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1. Premessa
Nell’affrontare le complesse tematiche sottese
all’analisi delle diverse attività svolte nel settore artigiano è stato osservato che, ogni qual
volta si abbia l'opportunità di imbattersi più o
meno casualmente in una delle tante espressioni dell'artigianato artistico, tradizionale, tipico
ed innovativo di qualità di una certa area geografica del nostro Paese e la nostra personale
sensibilità ne sia stata in qualche misura colpita, si avverte un piacevole effetto di fascinazione che incuriosisce, attrae, cattura.
Se, poi, queste espressioni appartengono alla
terra e ai luoghi in cui si è nati hanno molto probabilmente il potere di scatenare emozioni assai
più intense e profonde che traggono la loro forza
dai vissuti personali più intimi, risvegliati in
maniera inaspettata ed improvvisa dentro di noi
dalla percezione di questi stimoli, all’interno dei
quali ritroviamo e riconosciamo la loro natura
intrinseca sotto forma di affetti, di valori condivisi, di esperienze significative e chissà quant'altro.
Riscopriamo, tutto ad un tratto, le tracce indelebili che un originario impatto con tali sollecitazioni ha lasciato nella nostra memoria: a
volte, la suggestione provata è così forte e
intensa da far riemergere e di riportare alla
nostra coscienza il vigore o la delicatezza di
sapori più volte gustati, altre volte la penetrante sensazione di profumi avvolgenti o appena
avvertiti, altre volte ancora l’incantata epifania
di immagini particolarmente vivide o assorbenti, al punto da lasciarci attoniti.
Se si supera la dimensione coinvolgente di queste esperienze e ci si abbandona a una riflessione più pacata, si individua il percorso attraverso il quale queste espressioni, arrivate in molti
casi pressoché intatte fino ai giorni nostri,
sotto forma di manufatti di pregio ad elevato
contenuto artistico o di semplici prodotti tipici
derivati da antiche tradizioni locali, si sono
consolidate e affermate nel tempo.
Esse rappresentano il risultato di un "saper
fare" artigiano particolarmente ricco e diversificato nei vari settori di attività, depositario di
connotazioni tipiche, proprie di aree regionali
specifiche, tramandato gelosamente, dove possibile, di generazione in generazione.
L’individuazione di questi caratteri originali ed
autoctoni, che risultano appartenere a popolazioni insediatesi storicamente in questi territori e che ci si appresta a definire in modo rigoroso e coerente, deve avvenire nel rispetto di un
preciso contesto culturale e la loro ricerca deve
essere effettuata all’interno della trama profonda di consuetudini, di usanze, di modi di
vivere riconoscibili, da un punto di vista filologico, come elementi fondamentali riconducibili a una precisa identità regionale. (1)
I risultati che conseguono da questo “saper
fare” riflettono un processo evolutivo in continuo divenire in cui le abilità e le conoscenze
sviluppate dall'Homo faber si sono consolidate
in una tradizione e hanno reso possibile il suo
superamento attraverso l'innovazione.
Parte di questo patrimonio è stato impiegato
per ideare e realizzare nuove tecniche e nuovi
manufatti, parte è stato risparmiato, riscoperto
e valorizzato per testimoniare la ricchezza dei
valori di una cultura: purtroppo questa spartizione è avvenuta in modo non proprio casuale,
ma nemmeno avveduto e molti di questi valori
sono andati irrimediabilmente perduti.
Nel recente passato, per limitare l'analisi retrospettiva ad un ambito temporale ancora accessibile, il processo di industrializzazione sviluppatosi nell'immediato secondo dopoguerra in
alcune regioni italiane e protrattosi con alterne
vicende fino ai giorni nostri, non si è certamente preoccupato di salvaguardare e di conservare questo necessario equilibrio.
Il settore artigiano si è progressivamente e
rapidamente impoverito, a seguito di un sistematico saccheggio del patrimonio di risorse
fisiche, informative e umane fino ad allora
accumulato, operato dalla grande industria per
alimentare la propria macchina organizzativa:
basterebbe pensare ai massicci flussi migratori
dal Sud e dall'Est del Paese verso queste regioni o a quelli provenienti dalle vallate alpine più
prossime ai nascenti poli industriali per rendersi conto della sua entità e della sua vastità.
In questo ultimo e particolare ambito, le attività superstiti si sono dovute trasformare e adeguare alle mutate condizioni sociali e economi-
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che che hanno interessato queste aree: nonostante gli sforzi operati per sopravvivere, il settore artigiano alpino, soprattutto quello dedito alla produzione di manufatti di pregio artistico e di qualità, riconoscibili per i loro caratteri tradizionali, tipici e, a volte, innovativi, ha
dovuto subire un'altrettanto rapida e progressiva marginalizzazione economica.
La determinazione e la tenacia, doti proverbiali del lavoratore artigiano, con le quali gli operatori del settore hanno difeso e riaffermato in
questi anni la loro attività, nella convinzione
che tradizione e innovazione potessero e
dovessero trovare spazi di convivenza e di reciproco supporto, hanno contribuito a far sì che
verso di essa maturasse una nuova sensibilità e
una nuova attenzione, sia da parte dei soggetti
che animano l'economia regionale, sia da parte
di quelli che istituzionalmente la governano.
Nel maggio del 1997 la Regione Piemonte ha
promulgato la legge n. 21 che detta "Norme
per lo sviluppo e la qualificazione dell'artigianato" nell'intento di esprimere una precisa
volontà politica nei confronti di questo importante settore dell'economia piemontese, avvalendosi a tal fine di strumenti operativi efficaci
che ne agevolassero sotto diversi aspetti il
governo e ne programmassero lo sviluppo
futuro.
Il legislatore, nell'affrontare la materia, ha
rivolto un'attenzione del tutto particolare alle
attività svolte nell'ambito dell'artigianato artistico e tipico di qualità, dedicando loro un'intera sezione della legge (il Capo VI del Titolo II).
Ad esse si guarda con profonda sensibilità e
spiccato interesse per raggiungere in questo
specifico settore di attività due importanti
obiettivi:
- quello della tutela e della salvaguardia del
patrimonio artistico, culturale, storico e tecnico accumulato nei secoli dalla tradizione
artigiana piemontese. Un patrimonio che,
nonostante le difficoltà incontrate nel corso
della sua evoluzione, è stato conservato, trasmesso e valorizzato con continuità, tenacia
e valenza dagli operatori del settore, di generazione in generazione fino ai giorni nostri;
- quello della promozione di un insieme di iniziative che riscoprano, consolidino e rinvigoriscano nei suoi diversi aspetti questo pro-
cesso, adeguandolo alle esigenze di qualificazione e di innovazione che il contesto economico, sociale e tecnologico attuale pone.
Il dettato legislativo indica in quale modo e
con quali strumenti si vogliono perseguire queste finalità che richiedono in via prioritaria di
operare, attraverso opportune iniziative, un
attento e preciso lavoro di riordino del settore
in base al quale poter procedere, in una fase
successiva, ad un'approfondita valutazione e
ad una rigorosa selezione di quelle attività artigiane che privilegiano e che esaltano le sue specificità qualitative.
Le azioni di promozione, di tutela, di salvaguardia individuate dalla normativa esprimono, come sottolineato in apertura, una precisa
intenzionalità politica della Regione Piemonte
a sostenerlo, ma anche a creare le premesse e le
condizioni operative per un suo sviluppo.
Alcuni degli aspetti problematici fin qui esaminati sono quelli che si vogliono affrontare
attraverso gli interventi mirati che il
Programma Europeo Interreg III B - Spazio
Alpino prevede di realizzare con il Progetto
CRAFTS (Cooperation among Regions of the
Alps to forword Trans-sectorial and transnational Synergies) in specifiche aree montane.
Il patrimonio culturale di queste aree è stato
compromesso e rischia di scomparire definitivamente per una serie di cause concomitanti
legate allo spopolamento e alla radicale modificazione del tessuto sociale, soprattutto a
seguito del rapido progresso tecnologico degli
ultimi cinquant’anni.
Le attività tradizionali che costituivano la base
dell’economia montana sono state quasi completamente abbandonate e la graduale trasformazione dell’artigianato ha innescato un progressivo processo di obsolescenza dei metodi e
delle tecniche di lavorazione abituali.
Questo patrimonio culturale è in forte pericolo: la professionalità artigiana sopravvive con i
pochi Maestri rimasti, il ricambio generazionale incontra notevoli difficoltà ad affermarsi,
il numero delle imprese artigiane che operano
sul territorio diminuisce sensibilmente.
Il Progetto CRAFTS intende valorizzare l’artigianato alpino di qualità attraverso la creazione di sinergie con il turismo per favorire la
nascita di nuove forme di integrazione delle
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PREMESSA
risorse economiche locali ed incentivarne lo
sviluppo.
In questo senso è orientato l’impegno della
Regione autonoma Friuli Venezia Giulia che,
attraverso il Servizio affari generali, amministrativi e politiche comunitarie della Direzione
centrale risorse agricole, naturali, forestali e
montagna e in accordo alla metodologia d’intervento sperimentata dalla Regione Piemonte
con il progetto “Piemonte Eccellenza
Artigiana”, si è proposta di attuare, su un’area
del proprio territorio montano, la Carnia,
un’indagine mirata sui settori della lavorazione
del legno e delle lavorazioni tessili, individuati
come settori di attività artigiana di notevole
rilevanza qualitativa a livello locale: nelle pagine che seguono tale iniziativa viene illustrata
nei suoi aspetti operativi.
Note
(1) Cfr. BAUSSANO A. A., “L’arte come risorsa
d’impresa. Artigianato del legno e del restauro
ligneo”, REGIONE PIEMONTE - Stendhal,
Torino, 1999.
–9–
2. Finalità e aspetti metodologici dell’indagine
L’attività d’indagine descritta di seguito si pone
l’obiettivo di definire metodologie e strumenti
per individuare e per identificare le forme di
artigianato artistico, tradizionale, tipico ed
innovativo, rilevabili nei settori di attività appena ricordati (lavorazione del legno e delle fibre
tessili) e presenti sul territorio montano della
Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, nell’intento di attribuire loro uno specifico riconoscimento di qualità e di eccellenza.
Prendendo spunto dall’esperienza maturata in
seno alla Direzione Artigianato e Commercio
della Regione Piemonte a partire dal 1998, per
dare attuazione alla legge regionale 21/97,
recante “Norme per lo sviluppo e la qualificazione dell’artigianato” e, in particolare, al
Capo VI, relativo all’artigianato artistico e
tipico di qualità, l’attività qui proposta intende
approfondire le conoscenze finora acquisite,
relative a questi due settori, e raccoglierne di
aggiuntive prendendo in esame le loro particolari caratteristiche qualitative
Tra le azioni mirate alla tutela e alla promozione dell’artigianato artistico e tipico di qualità,
la creazione e lo sviluppo di un sistema informativo che rilevi in maniera organica e coerente i fenomeni e le dinamiche di natura artistica,
economica, professionale e tecnologica in atto
nei due settori e negli eventuali comparti in cui
si esprime questa forma di artigianato, assumono una funzione di fondamentale importanza per la loro sopravvivenza.
Queste conoscenze, oltre a fornire un quadro
aggiornato delle connotazioni quantitative e
qualitative delle attività economico-produttive
svolte dalle imprese artigiane dell’area montana che operano in questo ambito, costituiscono
una base documentaria indispensabile per l’elaborazione di specifici “Disciplinari di produzione”, attraverso i quali fornire la descrizione
dettagliata dei processi e delle tecniche produttive e di lavorazione adottate, dei materiali
impiegati e delle trasformazioni da essi subite e
di quant’altro possa essere d’aiuto per meglio
individuarle e classificarle, da utilizzare per la
predisposizione di una normativa specialistica,
mirata a favorire l’artigianato di qualità.
Le iniziative di ricerca e di studio proposte dal
presente documento, per l’identificazione e la
conoscenza delle imprese artigiane di qualità
operanti nei comparti artistico, tradizionale,
tipico e innovativo dei settori di attività relativi alla produzione di manufatti lignei e tessili,
presenti sul territorio regionale, interessano
un’area montana specifica, la Carnia, storicamente caratterizzata, sotto questo profilo, da
una tradizione fortemente radicata, e si sviluppano su due versanti principali le cui caratteristiche sono descritte di seguito:
a) il primo versante è costituito dalle attività di
indagine che si pongono l’obiettivo di acquisire, da fonti informative differenziate (primarie,
secondarie, documenti, studi e ricerche, testimonianze, bibliografie ecc.) un insieme di dati
di natura quantitativa e qualitativa, relativi ai
soggetti economici (imprese) che operano nei
due settori dell’artigianato alpino prescelti e
alle loro produzioni specifiche, al fine di
costruire un sistema informativo, aggiornato e
implementabile, dal quale sia possibile cogliere
con buon anticipo la natura e l’entità dei fabbisogni che questi manifestano (necessità di
sostegno tecnologico-organizzativo, economico, promozionale, informativo, formativo ecc.).
La base su cui poggia questo strumento di fondamentale importanza che renderà possibili ed
affidabili futuri interventi di analisi quantitativa
in questo contesto, è costituita essenzialmente
da dati di natura anagrafica e merceologica.
Per tali, intendiamo riferirci a informazioni
riguardanti:
- la denominazione dell'impresa artigiana;
- la sua localizzazione sul territorio (indirizzo,
recapito telefonico ecc.);
- il nominativo del/i suo/i titolare/i e/o di eventuali altri referenti;
- il settore e comparto in cui svolge la sua attività (codificazione regionale, ISTAT, altre ecc.);
- le produzioni realizzate e la loro destinazione di mercato;
- il numero degli eventuali collaboratori del
titolare/i e la loro professionalità;
- altre eventuali, di specifico interesse.
– 11 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
La raccolta di questi dati, effettuata secondo le
caratteristiche e le modalità di una rilevazione
censuaria, consente di determinare in modo
attendibile la numerosità dell’universo delle
imprese artigiane, attive sul territorio montano
e nei settori presi in esame, e in prospettiva
(medio-lungo periodo) l’andamento demografico di questa particolare popolazione (anagrafe delle imprese).
Questo modulo di base del sistema informativo costituisce un riferimento necessario e indispensabile per ogni altro intervento conoscitivo nell’ambito dell’analisi quantitativa (demografia d’impresa, indagine campionaria, studi
di settore/comparto ecc.) di rilevanza locale e/o
comparativa.
Esso rappresenta, altresì, il punto di partenza
per la progettazione e la realizzazione di studi
e di ricerche finalizzate all’analisi qualitativa
dei settori e dei relativi comparti dalle quali
possano emergere le loro caratteristiche peculiari e i fabbisogni evidenziati in apertura;
b) il secondo versante d’indagine, infatti, è rappresentato da iniziative mirate all’analisi qualitativa.
Nell’ambito del Progetto CRAFTS, il Working
Package 2 manifesta in questo senso una specifica esigenza che assume caratteri di priorità
poiché si pone come precisa finalità quella di
giungere, attraverso questi strumenti d’indagine, ad individuare, ad identificare e a conoscere in maniera più approfondita un particolare
sottoinsieme di quell’universo citato in precedenza ovvero quello delle imprese artigiane di
qualità operanti nei comparti artistico, tradizionale, tipico e innovativo dei diversi settori di
attività presenti nell’area del territorio montano presa in esame.
Nella momentanea assenza dell’universo delle
imprese artigiane che operano sul territorio, la
prospettiva di individuare e di selezionare da
questo il sottoinsieme di quelle che svolgono
realmente delle attività rilevanti e significative
per la loro qualità nei comparti artistico, tradizionale, tipico ed innovativo dei settori di attività artigiana prescelti, per sottoporle ad un'indagine strutturale minuziosa, è da ritenersi, nel
breve periodo e per le ragioni dette, come assolutamente impraticabile.
L'individuazione delle fonti di dati e il lavoro di
riordino delle informazioni disponibili presso
di esse, riguardanti i due settori da indagare,
hanno rivelato, infatti, con tutta evidenza la
loro natura spuria.
Procedure burocratico-amministrative, predisposte da soggetti istituzionali diversi
(Consiglio Nazionale dell'Artigianato, ISTAT,
INFOCAMERE), hanno consentito di acquisire fino ad oggi un insieme di dati relativi a
queste attività, mirato essenzialmente al recupero di una documentazione di base che giustificasse il loro avvio, la loro gestione e il loro
controllo nel tempo.
La loro classificazione merceologica, ad esempio, è stata perlomeno approssimativa, se non
addirittura arbitraria e casuale: molto spesso
quest'operazione si è configurata come semplice attribuzione d'ufficio di codificazioni ufficiali (ISTAT, altre), effettuata sulla base di
dichiarazioni spontanee degli interessati e mai
verificate in concreto.
I dati di settore finora disponibili, derivati dall'analisi dell'universo delle imprese artigiane
registrate negli archivi camerali, sono purtroppo inaffidabili per l’accertamento delle caratteristiche qualitative dei manufatti prodotti.
In alternativa a questo primo percorso d'indagine, è stato predisposto un analogo intervento
su un numero limitato e indubbiamente rappresentativo, in termini qualitativi, di testimoni privilegiati, scelti con oculatezza e ponderazione all'interno degli ambiti operativi (produzione di manufatti lignei e tessili) in cui si esprime l'artigianato di qualità a livello locale.
Gli stessi dati, di cui si è appena parlato, sono
risultati molto utili, nonostante la loro povertà
di contenuto informativo, poiché hanno consentito di arrivare per successive approssimazioni ad un “panel” di aziende artigiane del
settore delle lavorazioni del legno e del settore
delle lavorazioni delle fibre tessili, all’interno
del quale sono avvenute l’individuazione e la
scelta dei testimoni.
Il numero dei testimoni prescelto per ognuno
di essi è stato determinato in funzione di una
stima di massima dei dati attualmente disponibili e, in particolare, alla luce di una definizione dei singoli comparti ispirata a criteri di rigore e di coerenza.
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FINALITÀ E ASPETTI METODOLOGICI DELL’INDAGINE
Gli artigiani dei settori indagati presenti nell’area
del territorio montano preso in esame, scelti e
contattati in qualità di testimoni privilegiati, sono
stati sottoposti ad un'intervista nel corso della
quale sono state affrontate le tematiche più significative per la loro attività, riconducibili tuttavia a
un percorso d'indagine comune, estensibile a
tutto l’insieme delle attività svolte nell’ambito
dell'artigianato di qualità regionale, riguardante:
- Manufatti e prodotti realizzati;
- Produzione prevalente;
- Tipologia del ciclo di lavorazione impiegato;
- Estensione del ciclo di lavorazione;
- Attività di aggiornamento e/o studio in campo
artistico, tecnico, culturale, storico-geografico
ecc. richieste per recuperare e/o mantenere e/o
sviluppare la propria professionalità e la qualità dei manufatti/prodotti realizzati;
- Caratteristiche specifiche (artistiche, tradizionali, tipiche, innovative) delle attività
svolte e loro aspetti qualitativi;
- Destinazioni di mercato di manufatti e prodotti;
- Valutazione dell'opportunità di intraprendere iniziative di sostegno e di sviluppo del settore/comparto di appartenenza;
- Competenze professionali di ruolo e loro
espressione durante lo svolgimento del ciclo
di lavorazione;
- Requisiti preliminari per l'acquisizione delle
competenze di ruolo;
- Professionalità artigiane presenti nel settore/comparto e mercato del lavoro;
- Prospettive occupazionali offerte dal settore/comparto;
- Orientamento e formazione dei giovani verso
il settore/comparto e le professionalità artigiane emergenti.
Le informazioni raccolte nel corso delle interviste, rielaborate sotto forma di studio di casi
aziendali, costituiscono una documentazione
specialistica di interesse locale, da utilizzare
per la predisposizione di "Disciplinari di
Produzione” relativi ai settori di attività artigiana presi in esame.
In secondo luogo, esse forniscono un quadro
d'insieme delle problematiche che interessano,
in particolare, uno spaccato dell'artigianato
montano di qualità, dal quale emerge con
maggior chiarezza e finalizzazione la natura
degli interventi (in ambito economico, tecnologico, occupazionale, formativo ecc.) che gli
Organi di governo locale, ai vari livelli, potranno predisporre nell'immediato futuro per il suo
sostegno e il suo sviluppo.
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3. Contributi per una definizione di “Artigianato di qualità”
Riprendendo alcune argomentazioni proposte
nel recente passato, il problema di definire a
priori in che cosa si possa esprimere tale contenuto solleva, senza ombra di dubbio, questioni
di carattere teoretico e metodologico di non
facile soluzione, perlomeno in questo specifico
contesto. (2)
Bisognerebbe ripercorrere la storia dell'attività
umana, dalle sue origini fino ai giorni nostri,
per soffermarsi ad osservare e ad esaminare
l'insieme delle varie condizioni che in epoche
diverse hanno determinato la comparsa, l'affermazione e il declino di certi ruoli professionali: quello dell'artigiano-artista del mondo
classico, quello dell'artigiano-inventore
medioevale, quello dell'artista-scienziato del
Rinascimento e proseguire fino ad un passato
più recente per penetrare e capire la contrapposizione artigiano/artista proclamata dal
Bauhaus di Gropius, nell'intento di cogliere in
quali forme questi contenuti si sono di volta in
volta esplicitati, al punto da connotarli e riconoscerli in un senso o nell'altro.
Del resto, questa evoluzione non si è mai arrestata, è tuttora in atto e proseguirà di pari
passo con quella della nostra specie. Per
quanto ci riguarda, è rilevabile nei suoi vari
aspetti all'interno dei singoli comparti che
sono stati indagati e si manifesta in ognuno di
essi per qualche carattere peculiare che molto
spesso non rientra negli schemi di lettura convenzionali.
Per evitare sterili prese di posizione e per allargare il più possibile l'orizzonte speculativo,
fino a comprendere la totalità delle forme in
cui si esprime il lavoro dell'uomo, un contributo chiarificatore potrebbe fornire, attraverso
un'analisi comparata delle stesse, la chiave di
volta per un superamento di quegli schemi e
uno strumento efficace per tentare di capire in
quale direzione e verso quali prospettive procede e si sviluppa il processo evolutivo e, dunque,
anche quello che interessa più da vicino l'artigianato artistico e tipico di qualità.
Il presupposto di fondo, da cui prendono
spunto le riflessioni che seguono, è quello di
considerare il comportamento umano, e perciò
anche quello lavorativo, come forma particolare di comunicazione all'interno del gruppo
sociale in cui viviamo.
Ogni forma di comunicazione, per essere tale,
deve avvalersi di un insieme di segni e di simboli, veicolati da altrettanti comportamenti, codificati in un linguaggio (verbale, gestuale, iconico ecc.) ovvero in una struttura organizzata in
cui quei segni, quei simboli e quei comportamenti assumono un preciso significato. (3)
Ciò permetterà ai soggetti che intendono
comunicare tra loro di poterlo fare con modalità diverse, senza incorrere in errori di reciproca comprensione, ma soprattutto di chiarire
quelle situazioni in cui l'utilizzo di uno stesso
riferimento segnico può creare confusione e
fraintendimenti.
È il fenomeno della cosiddetta "ambiguità" che
affligge e caratterizza molte situazioni dialogiche, non ultima quella che vede contrapposte
due attività umane di specifico interesse per
questo contesto come, ad esempio, quella artistica e quella artigianale: evidentemente, le considerazioni che seguono potrebbero essere estese senza difficoltà anche a termini qualificativi
di tale attività, particolarmente rilevanti per le
finalità che qui ci si pone, quali “tradizionale”,
“tipica”, “innovativa”, “di qualità”. (4)
Crediamo che non ci siano più difficoltà od
ostacoli a considerare le diverse forme dell'espressione artistica come veri e propri linguaggi (quello pittorico, quello musicale ecc.) e
considerare come tali quei comportamenti specialistici che conosciamo come tecniche artigianali. (5)
Di qui la necessità di operare uno sforzo intellettuale per individuare una metodologia d'indagine unitaria, rigorosa e coerente che permetta di capire i fondamentali di queste due
attività e, nel caso specifico, quello che debba
intendersi per "artigianato artistico".
Il modello linguistico, qui proposto in forma
sintetica, serve a decifrare e a denotare forma e
contenuto dell'insieme di attività che vanno
sotto questo nome, ma anche a fare chiarezza
su ciò che può essere definito come tale ovvero
a "disambiguare" i termini del discorso.
– 15 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
Questo modello, che affonda le sue radici teoriche nei campi della linguistica e delle logica
formale, si impernia sull'approfondimento
analitico di tre aspetti fondamentali:
- l'aspetto semantico,
- l'aspetto sintattico,
- l'aspetto pragmatico.
Questi tre aspetti, che si manifestano simultaneamente nello svolgimento di una qualsiasi
attività umana attraverso specifici comportamenti, verranno trattati di seguito, in maniera
disgiunta e brevemente approfondita, per
conoscerne l'intrinseca natura e per comprenderne le potenzialità esplicative.
In primo luogo, l'aspetto semantico riguarda il
sistema di segni e di simboli utilizzati in un
determinato contesto linguistico e il significato
loro attribuito.
Per tale, i linguisti intendono la rappresentazione mentale (non condivisa) che ognuno di
noi ha di un determinato oggetto, ruolo, funzione, sentimento, attività ecc., per distinguerlo dalla sua denotazione segnica (significante),
operata all'interno di un determinato codice
linguistico (più o meno condiviso).
Dobbiamo ritenere, ad esempio, che la parola
"Madre", largamente condivisa e riconoscibile
nella lingua italiana, evochi in tutti noi ricordi,
emozioni ecc. che rimandano a una sua rappresentazione mentale esclusiva, molto intima
e personale.
In questo contesto, le parole "Arte" e
"Artigianato" sarebbero altrettanti significanti
che solleciterebbero in ognuno di noi particolari significati. Fin qui sembrerebbe abbastanza
semplice affrontare la questione, ma la complicazione nasce nel momento in cui ci accorgiamo che è proprio sul piano del significato attribuito ai due termini che non c'è accordo o, perlomeno, c'è confusione.
Tentare di addivenire ad una accezione dei termini condivisa, che tragga il suo fondamento
da analisi serie condotte nel campo della storia
dell'arte, ma anche in quella della tecnologia,
per citare due ambiti disciplinari di sicuro riferimento, consentirebbe di ordinare e di valutare meglio i dati ottenuti dalle indagini condotte sul settore.
Un approccio valutativo di natura deduttiva,
aprioristico come quello condotto, ad esempio,
sulla classificazione delle attività economiche
proposta dall’ISTAT, potrebbe essere proficuamente ed efficacemente integrato da un analogo modo di procedere di natura induttiva, di
valutazione a posteriori.
Il primo potrebbe essere utilizzato per operare
su una classificazione preesistente ma imprecisa e fuorviante, mentre il secondo per sostenere con maggior forza e fondatezza la necessità
di una sua revisione e/o aggiornamento.
In questa fase sarebbe bene far emergere la
contraddizione, il paradosso, l'antinomia esistente ed emergente dal confronto dei due termini, "Arte vs/ Artigianato", e dalle complicazioni che derivano dalla loro combinazione
"Arte artigianale vs/ Artigianato artistico" e
che potrebbero essere forse chiarite da una
rigorosa indagine filologica condotta sui due
fronti: riteniamo che solo una attenta ricostruzione e una corretta interpretazione della letteratura e della documentazione critica, prodotta dall'ambiente storico e culturale in cui questi termini sono venuti affermandosi, possa
aspirare a dirimere la questione.
Quanto della loro accezione semantica è condiviso? Quanto è rifiutato e perché? Quali le
possibili mediazioni?
Un'indagine di questo tipo coinvolgerebbe inevitabilmente, ma definitivamente l'intero vocabolario a cui si attinge ogni giorno in maniera più
che disinvolta: vengono alla mente termini come
"Artista", "Artigiano", "Opera d'arte", "Capo
d'opera", "Manufatto", "Mestiere", "Passione",
"Unicità", "Riproducibilità" e così via.
A questo punto non vorremmo essere fraintesi: lungi da noi l'idea di raggiungere in questo
senso l'esaustività semantica; riteniamo necessario e indifferibile, piuttosto, dare spessore e
credibilità culturale a una questione forse da
troppo tempo sottovalutata che danneggia
gravemente il settore dell'artigianato artistico,
tradizionale, tipico ed innovativo di qualità.
In secondo luogo, l'aspetto sintattico è costituito dalla dichiarazione delle regole che
governano l'insieme di segni e di simboli, costituenti un determinato linguaggio.
Un riferimento immediato in questo senso ci è
dato dalla "grammatica" ovvero dall’insieme
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CONTRIBUTI PER UNA DEFINIZIONE DI “ARTIGIANATO DI QUALITÀ”
delle convenzioni adottate e vigenti all’interno
di una particolare forma espressiva della
comunicazione umana, che presiede e governa
la forma del linguaggio verbale, scritto e orale.
Nel nostro contesto d'indagine l'equivalente è
costituito dall'insieme dei processi e delle tecniche impiegate nei due ambiti di attività artigiana presi in esame: una "grammatica" gestuale,
riscontrabile e riconoscibile nella manualità
necessaria per potervi agire.
Il che comporterebbe una metodica ricostruzione dei modi di produzione propri di questi
due settori ovvero delle regole e delle modalità
che presiedono alla realizzazione di un'opera
d'arte o di un manufatto di artigianato artistico, tradizionale, tipico o innovativo di qualità:
non solo dei procedimenti, delle tecnologie,
delle attrezzature, degli strumenti e altro.
impiegati nello svolgimento delle stesse e nella
valutazione dei risultati ottenuti, ma anche
delle professionalità emergenti sulle quali questi si reggono e si tramandano.
Questa dovrebbe essere, a nostro avviso, la
base costitutiva dei cosiddetti "Disciplinari di
produzione" che dovranno regolare in futuro le
attività svolte nei diversi settori del lavoro artigiano caratterizzato dalle forme e dai contenuti predetti.
Da ultimo, consideriamo l'aspetto pragmatico
che in determinato contesto linguistico rappresenta la situazione in cui l'insieme di segni e di
simboli viene usato ovvero quello della loro
riproduzione e della loro riproducibilità.
Per quanto ci riguarda, costituisce l'ambito in
cui la definizione del nostro problema sul
piano semantico (ciò che debba intendersi per
arte/artigianato e per l'insieme di riferimenti
concettuali che da questa distinzione deriva) si
fonde con quella ottenuta sul piano sintattico
(l'insieme delle regole che presiedono all’esecuzione, al controllo e alla valutazione delle due
attività e dei prodotti che esse realizzano) per
consentire la loro riproduzione e la loro riproducibilità secondo un ciclo ricorsivo diversamente finalizzato.
Una volta raggiunto un soddisfacente livello di
accezione e di condivisione della terminologia
che qui ci interessa (ad esempio, “artigiana”,
“artistico”, “tradizionale” ecc.), recuperate e
stabilite le regole e i procedimenti (materiali,
tecniche, tecnologie, conoscenze, competenze e
così via) attraverso le quali si realizza un certo
manufatto, la sua riproducibilità risulta condizionata dal rispetto di queste regole nell’ambito di quel contesto terminologico, mentre la
conformità della sua riproduzione a queste
stesse regole e a quant’altro stabilito è riconoscibile (ed eventualmente riconosciuta) attraverso riscontri oggettivi.
In altre parole, l'individuazione di ciò che si
realizza in una bottega d'arte o, viceversa, in
una bottega d'artigiano dovrebbe essere oggetto di un processo di conoscenza induttivo,
ricostruito a posteriori, basato sul sistematico
confronto tra ciò che si realizza e ciò che
dovrebbe essere realizzato, nel rispetto di regole predefinite che, nel nostro caso, coincidono
con i cosiddetti "Disciplinari di produzione".
Inutile dire che tale confronto e valutazione,
per problemi di equità e di giustizia (tralasciando la buona fede e il suo contrario)
dovrebbero essere operati da un organismo
tecnico "super partes", di provate capacità professionali e di esperienza nei due settori, garante allo stesso tempo degli interessi delle categorie artigiane e di quelli dei loro committenti.
Un primo contributo concettuale e metodologico alla stesura dei “Disciplinari di produzione” potrebbe essere quello di valutare, tra gli
“addetti ai lavori” e con l’obiettivo di cogliere i
contenuti e l’estensione del loro significato,
l’accettabilità e la condivisibilità (aspetto
semantico) delle seguenti definizioni di carattere generale:
1. Artigianato artistico
Con riferimento a quanto espresso nella premessa del presente documento potrà dirsi artistica, la realizzazione di un esemplare unico o
a numero limitato, in qualsivoglia materiale il
cui utilizzo è dettato da una esigenza estetica,
che sia eccellente da un punto di vista tecnico
ed abbia valenza formale innovativa ed autonoma; ovvero comunichi una scelta stilistica
e/o esprima il linguaggio proprio del suo creatore, sia un esempio di perfezione esecutiva nel
solco della tradizione o proponga, a livello
sperimentale, nuove procedure di realizzazione. Il concepimento e il risultato dell’opera
può essere attuato da parte di un artigiano,
– 17 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
indipendentemente dalla sua educazione
all’arte, attraverso una formazione scolastica
propria o per sensibilità personale, perfezionata da un apprendimento al fianco di esperti
maestri d’opera.
2.
Artigianato tradizionale, tipico ed innovativo di qualità.
2.1 Tradizionale è il prodotto realizzato in
qualsivoglia materiale che rispetta e ripropone una tradizione tecnica e formale che
si è conformata nel corso del tempo in un
particolare contesto storico e culturale.
2.2 Tipica è la realizzazione di un prodotto in
qualsivoglia materiale che contiene uno o
più caratteri tecnici e formali, peculiari e
nel tempo divenuti comuni ai prodotti della
stessa categoria, realizzati nella medesima
zona geografica, in modo tale che il prodotto stesso, grazie a questi suoi caratteri
propri e costanti, sia riconoscibile e la sua
origine precisamente identificabile.
2.3 Innovative sono le modificazioni introdotte in modo più o meno profondo nei materiali che costituiscono un prodotto, nelle
sue peculiarità estetiche e funzionali e/o nei
criteri e/o nei sistemi impiegati per realizzarlo che rappresentano, di per se stesse,
elementi di novità rispetto al passato.
2.4 Di qualità sono i criteri e/o i sistemi impiegati per realizzare un prodotto ai quali
siano attribuibili meriti tecnici, estetici o
bontà d’ideazione e di fattura, tali per cui
sia stata adottata, da parte dell’artigiano,
un’attenzione particolare nella scelta della
forma e dei materiali ovvero nell’applicazione delle tecniche esecutive.
3.
Settori e comparti di attività artigiana.
Dalla più ampia definizione di “Settore delle
lavorazioni del legno” o di “Settore delle lavorazioni tessili”, è necessario ricostruire il sistema di regole (materiali, tecniche, tecnologie,
conoscenze, competenze ecc.) che consentono
di realizzare un manufatto riconoscibile come
appartenente alle categorie appena citate e
organizzarlo, a seconda delle loro finalità, del
loro contenuto e della loro forma, in comparti
di attività omogenei e coerenti.
Nel “Settore delle lavorazioni del legno”, in
accordo con i sistemi di codificazione e di classificazione delle attività economiche ufficiali,
potrebbero essere ricondotte le classi seguenti: (6)
- Taglio, piallatura e trattamento del legno
(Cod. ATECO 20.1);
- Fabbricazione di fogli da impiallacciatura;
compensato, pannelli stratificati, pannelli di
truciolato ed altri pannelli di legno (Cod.
ATECO 20.2);
- Fabbricazione di carpenteria in legno e falegnameria per l’edilizia (Cod. ATECO
20.3*);
- Fabbricazione di imballaggi in legno (Cod.
ATECO 20.4);
- Fabbricazione di altri prodotti in legno, in
sughero, e materiali da intreccio (Cod.
ATECO 20.5*);
- Costruzione di veicoli in legno e di parti in
legno di autoveicoli (Cod. ATECO 35.50.2);
- Fabbricazione di altri mezzi di trasporto
(Cod. ATECO 35.11.2, 35.12);
- Fabbricazione di mobili (Cod. ATECO 36,
36.1, 36.11*, 36.12.2 36.13, 36.14*, 36.15);
- Restauro finalizzato alla conservazione di
opere d’arte (Cod. ATECO 92.31);
- Fabbricazione di oggettistica varia (Cod.
ATECO 36.40, 36.50*, 36.6*);
- Altri eventuali.
Con criteri analoghi, nel “Settore delle lavorazioni tessili” potrebbero essere fatte rientrare,
invece, queste altre classi di attività:
- Preparazione e filatura di fibre tessili (Cod.
ATECO 17.1*);
- Tessitura (Cod. ATECO 17.2*);
- Finissaggio dei tessili (Cod. ATECO 17.3);
- Confezionamento di articoli tessili, esclusi
gli articoli di vestiario (Cod. ATECO 17.4*);
- Altre industrie tessili (Cod. ATECO 17.5*);
- Fabbricazione di tessuti a maglia (Cod.
ATECO 17.6);
- Fabbricazione di articoli di maglieria (Cod.
ATECO 17.7*);
– 18 –
CONTRIBUTI PER UNA DEFINIZIONE DI “ARTIGIANATO DI QUALITÀ”
- Confezione di vestiario in tessuto ed accessori (Cod. ATECO 18.2*);
- Fabbricazione di calzature (Cod. ATECO
19.30.1. 19.30.2);
- Riparazione di altri beni di consumo (Cod.
ATECO 52.74);
- Restauro finalizzato alla conservazione di
opere d’arte (Cod. ATECO 92.31);
- Altri eventuali
All’interno di questi primi due raggruppamenti delle classi di attività potrebbero esser individuati, per ognuno dei settori artigiani considerati, specifici comparti facilmente riconoscibili
per la tipologia e per la qualità dei manufatti
che in essi vengono prodotti.
Occorre sottolineare che la classificazione operata dall’Istituto centrale di statistica, molto
spesso, non riflette un'immagine dell’organizzazione della produzione e del lavoro nei due
settori che abbia un risconto attuale.
Questo accadeva, soprattutto per quelle lavorazioni che un tempo costituivano una vera e
propria specializzazione professionale all'interno del ciclo di produzione di un determinato
manufatto, erano estranee alla logica organizzativa del laboratorio artigiano che lo doveva
costruire e venivano, perciò, affidate all'esterno, ad altri artigiani dotati di quella competenza esclusiva.
Nel settore delle lavorazioni del legno, ad
esempio, il costruttore di mobili affidava, di
regola, la verniciatura del manufatto prodotto
a un collega, esperto in questo tipo di trattamento superficiale, che aveva fatto di questa
attività il suo mestiere.
In tempi più recenti, per un insieme di vicissitudini che hanno interessato e travagliato gran
parte del settore, queste lavorazioni sono state
riassorbite e riportate all'interno del suo laboratorio: le sue competenze, tra l’altro, hanno
necessariamente assorbito quelle del verniciatore e questa trasformazione ha inevitabilmente ridisegnato il suo ruolo professionale nel
senso del "job enlargement" e del "job enrichement". (7)
Spetterà, dunque, a una Commissione di
esperti e di artigiani dei due settori proporre
una nuova aggregazione che riconduca le singole lavorazioni, effettuate al loro interno e
riconoscibili, per la loro natura, come lavorazioni artistiche, tradizionali, tipiche ed innovative di qualità, a un certo numero di comparti
principali, individuati secondo principi di rigore e di coerenza: principi che consentiranno
successivamente di pervenire a una precisa
regolamentazione degli stessi, esplicitata e formalizzata in uno specifico “Disciplinare di
produzione” di settore.
Per ogni comparto, inoltre, dovranno valere le
regole generali dettate da questo documento e
la Commissione incaricata di valutare e di
riconoscere l’eccellenza della produzione realizzata da una certa impresa artigiana dovrà
svolgere questo compito verificandone la conformità e l’adeguatezza: a questo proposito,
sembra opportuno suggerire fin d’ora che con
il termine manufatto si debba intendere “il prodotto finito della lavorazione di propria competenza”.
Le imprese artigiane, infine, qualora ne posseggano i requisiti, potranno essere annotate contemporaneamente in più comparti di uno stesso
settore per la tipologia delle lavorazioni (artistiche, tradizionali, tipiche ed innovative di qualità) eseguite sui materiali che gli sono propri.
Sulla base di queste considerazioni di carattere
concettuale e metodologico dovrebbe ora risultare più agevole riconoscere i tratti che caratterizzano le lavorazioni eseguite nei diversi comparti
produttivi dei settori artigiani indagati: cosa che
ci proponiamo di fare in un prossimo capitolo.
Note
(2) Cfr. BAUSSANO A. A., “L’arte come risorsa d’impresa”, cit.
(3) Cfr. HJELMSLEV L., “Il linguaggio”, Einaudi,
Torino, 1970; ECO U., “Trattato di semiotica generale”,
Bompiani, Milano, 1991.
(4) Cfr. MORRIS C., Segni, linguaggio e comportamento”, Longanesi & C., Milano, 1977; GOODMAN N., “I
linguaggi dell’arte”, Il Saggiatore, Milano, 1991.
(5) Cfr. EMPSON W., “Sette tipi di ambiguità”,
Einaudi, Torino, 1965.
(6) Classificazione delle attività economiche ATECO
2002, ISTAT, Roma.
(7) Cfr. BONAZZI G., “Dentro e fuori della fabbrica”,
Franco Angeli, Milano, 1984.
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4. Cultura e tradizione alpina: alla ricerca di un’identità
Come veniva anticipato in Premessa, se viene
superato il momento di piacevole coinvolgimento e di suggestione emotiva provocati dall’impatto con una delle tante espressioni dell'artigianato artistico, tradizionale, tipico ed
innovativo di qualità di una certa area geografica del nostro Paese è possibile individuare il
percorso attraverso il quale le stesse, arrivate in
molti casi pressoché intatte fino ai giorni
nostri, sotto forma di manufatti di pregio ad
elevato contenuto artistico o di semplici prodotti tipici derivati da antiche tradizioni locali,
si sono consolidate e affermate nel tempo.
Esse, si diceva, rappresentano il risultato di un
"saper fare" artigiano particolarmente ricco e
diversificato nei vari settori di attività, depositario di connotazioni tipiche, proprie di aree
regionali specifiche, tramandato gelosamente,
dove possibile, di generazione in generazione.
L’individuazione di questi caratteri originali ed
autoctoni, che risultano appartenere a popolazioni insediatesi storicamente in questi territori e che ci si appresta a definire in modo rigoroso e coerente, deve avvenire nel rispetto di un
preciso contesto culturale e la loro ricerca deve
essere effettuata all’interno della trama profonda di consuetudini, di usanze, di modi di
vivere riconoscibili, da un punto di vista filologico, come elementi fondamentali riconducibili a una precisa identità regionale. (8)
Quest’ultimo aspetto è di importanza cruciale
e, in accordo con le premesse concettuali e
metodologiche avanzate nelle pagine precedenti, pare indispensabile fare un’attenta riflessione proprio sul significato da attribuire al termine “identità”.
Facendo riferimento a certi manufatti o a certi
prodotti, sembrerebbe scontato immaginarla
come un qualcosa che appartiene a un determinato territorio: manufatti o prodotti realizzati in un luogo ben individuato.
Così facendo, tuttavia, si dimentica che l’identità si definisce, in primo luogo (e soprattutto)
come differenza emergente e rilevabile dal confronto con altre entità e/o realtà: nel caso specifico, l’identità “locale” di quei manufatti o di
quei prodotti assume una fisionomia propria,
sottolineata da tratti inconfondibili, in funzione di un rapporto di reciprocità e di scambio,
nel momento in cui (e nella misura in cui) li si
confronta con omologhi, appartenenti a culture e a sistemi di vita diversi.
Questa affermazione, ancorché condivisa,
sembra particolarmente vera per le finalità
della presente iniziativa se la ricerca ha per
oggetto le attività svolte nei diversi comparti
del settore delle lavorazioni del legno e di quello delle lavorazioni tessili in una specifica area
montana della Regione Autonoma Friuli
Venezia Giulia, la Carnia, poiché esse, di tale
identità, sono parte costitutiva essenziale.
Riteniamo che quella appena formulata, da
semplice proposta assertiva, si trasformi possibilmente in concreta e convinta prassi operativa per individuare e per identificare le forme di
artigianato artistico, tradizionale, tipico ed
innovativo, rilevabili nei settori di attività
appena ricordati e presenti nell’area montana
presa a riferimento, nell’intento di attribuire
loro uno specifico riconoscimento di qualità e
di eccellenza.
È assai probabile, allora, che i manufatti e i
prodotti realizzati da questi artigiani e da questo artigianato, in una prospettiva di continuità nella tradizione e di apertura all’innovazione, riescano ancora a veicolare e a trasmettere
magicamente quel piacevole coinvolgimento e
quella suggestione emotiva rendendocene partecipi: del resto, per sottolineare l'abilità e la
maestria di un provetto artigiano non si dice
forse di lui che "è un mago"?
In Carnia, la ricerca di questa identità è stata
agevolata dalla presenza di attività artigiane
superstiti, nonostante gli sconvolgimenti di
varia natura che la memoria storica ci consente di ripercorrere e di ricordare, ma anche dal
cospicuo numero di manufatti che, nel tempo,
sono stati salvati dal degrado e dall’incuria.
Una buona parte di essi, insieme a quelli provenienti dalla tradizione locale precedente, è
conservata ed è visibile nelle sale del Museo
Carnico delle Arti Popolari di Tolmezzo (UD),
allestito intorno a un consistente nucleo di
reperti, significativi dell’espressione della
– 21 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
valentia artigiana e della cultura materiale di
quell’area, raccolti negli anni dal suo fondatore, Michele Gortani (1883-1966), esponente di
spicco della comunità scientifica friulana e
della vita politica locale.
Un patrimonio di testimonianze di quella cultura e di quel “saper fare”, sviluppatasi nel
tempo tra le genti carniche, a dir poco inestimabile, recuperato e sistematizzato con la
meticolosità e con la competenza che erano
proprie di questo studioso, nell’intento di preservarlo dalla distruzione e dall’oblio per trasmetterlo, intatto, alle generazioni successive;
un patrimonio di beni culturali che va inteso
nella sua accezione più ampia ed estesa, fino a
comprendere, oltre ai capolavori e alle espressioni artistiche di maggior pregio, anche la cultura e le tradizioni popolari, gli strumenti di
lavoro, gli oggetti di uso quotidiano, la cosiddetta “cultura materiale”, lo stesso paesaggio.
L’intenzionalità manifestata da Gortani, forte
e determinata, si riscontra come costante rintracciabile nei vari aspetti della sua esistenza
ed è particolarmente evidente nelle sue parole
quando chiarisce le motivazioni che lo hanno
animato e spinto ad intraprendere questa faticosa e difficile impresa:
“Amor mi mosse,che mi fa parlare… amore
verso la mia terra e la sua gente, la sua vita, le
sue tradizioni; tanto più forte, quanto più
povera, dimenticata, priva di appoggi e di
aiuti. Nel ricercare, dopo le devastazioni della
guerra 1915-18, quali delle patrie memorie si
potevano rintracciare, esultammo nello scoprire quali tesori rimanevano ancora a testimoniare il gusto e la capacità tecnica degli artigiani carnici.
Abilità e buon gusto non limitati alle abitazioni, nelle loro strutture e nei mobili, ma estesi
agli attrezzi da lavoro, ai doni per le spose, alla
biancheria da casa, agli arnesi più umili della
cucina.
Amore alla casa, alla famiglia, al lavoro: le virtù
cardinali di una stirpe forte e gentile…” (9)
Una testimonianza lucida, cosciente e, soprattutto, appassionata nella quale è riconoscibile
la stessa intenzionalità che oggi muove i prosecutori della sua opera perché “funga da supporto storico, divulgativo e promozionale dell’antico artigianato artistico locale da prende-
re quale modello per il rilancio del settore
(assai auspicato dallo studioso) nell’ambito di
un più ampio progetto di rivitalizzazione dell’economia montana della zona” (10), ma
anche un prezioso documento che attesta con
quale sensibilità e con quale attualità lo studioso guardava alla conservazione di tale
patrimonio culturale.
Dal testo riportato emerge la sua forte identificazione con i valori propri della cultura alpina
che, pur nella diversità dei contesti ambientali
tipici di quest’area, appaiono essere il denominatore comune rintracciabile nell’impronta
etica alla quale le genti che li abitano conformano la loro esistenza: spirito di sacrificio,
forte e responsabile senso del dovere, profondo
legame affettivo provato per i luoghi della propria nascita, senso di appartenenza, di rispetto
e di difesa affermato nei confronti degli elementi fondamentali grazie ai quali si perpetuano le tradizioni locali.
Impronta etica che in Friuli, e particolarmente
in Carnia, risente dei fortissimi condizionamenti esercitati nel tempo dalle credenze religiose che hanno dato conforto e speranza alle
popolazioni locali e nella quale convivono inevitabilmente aspetti sacri, intimamente mescolati con quelli profani.
Nel presentare i risultati di una ricerca condotta sul patrimonio edilizio superstite in quest’area montana, un profondo conoscitore
della cultura alpina ribadiva che, nonostante le
critiche ricevute, rimaneva fermamente convinto che un’analisi dell’architettura rustica
dovesse “partire dalle radici etno-culturali
della gente che l’ha prodotta; prime fra tutte le
religiose, le più documentate e le meglio documentabili anche attraverso l’arte povera, quella compresa, voluta e vissuta dalla gente.
D’altronde lo studio della casa non può prescindere dall’uomo, anzi su di lui va incentrato: l’abitazione, i suoi insiemi e i suoi dintorni
rappresentavano un tempo tutto il mondo, la
vita, il lavoro del contadino.
Da questo microcosmo riuscivano ad evadere
a malincuore i più intraprendenti, non per propria scelta, ma costretti ad emigrare per sfamare le bocche a carico; sulla donna gravava allora un impegno doppio in ossessiva ripetitività
stagione dopo stagione.
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CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
Tuttavia anche la donna conosceva altri mondi
attraverso gli occhi del suo uomo o quelli della
fantasia, stimolata da un ricco patrimonio di
credenze popolari; ed a sua volta, la donna, se
ne faceva interprete coi figli.
Le veglie invernali, las filas, occasioni di ritrovo comunitario, consentivano di sognare
ascoltando resoconti di viaggi o racconti
immaginari dei gans, pagàns, salvàns, mazzaròt di bosc, o storie di strìes, le streghe ritenute
di casa in alcune località della Carnia…
…Connesso al sentimento religioso, parte
innato, parte inculcato…, non poteva mancare
un doveroso rispetto verso autorità ed istituzioni. La storia, a questo proposito, insegna
che gli uomini della Carnia, i Ciarniéi, si dimostrarono sempre sudditi fedeli del Patriarcato
d’Aquileia prima, della Repubblica Veneta poi;
ciò perché tra tutti gli abitanti del Friuli, i
Carnici erano i più radicati nelle tradizioni.
Lo stesso legame di Patria [Patrie Friul],
instauratosi coi secoli, costituiva una sorta di
patto di solidarietà sancito al fine di ribadire
l’unità storico-linguistica, cementata dallo
stesso credo religioso.
A ben analizzare, il concetto di patria, proprio
perché formatosi quando il divino contenuto
in natura formava ancora per molti versi
oggetto di culto, nasconde anch’esso un significato immanente e viscerale, assai più intimo
di quanto non sia l’astrazione romantica che
ne verrà fatta negli anni del Risorgimento.
Patria è dolce suono di lingua materna; profilo
di case ben noto in una cerchia di montagne
amiche; rimembranza di luoghi; avvenimenti,
canti liturgici e feste paesane; dovere civico ed
impegno politico; fatica quotidiana rallegrata
da gioie famigliari; angolo di terra sacra nel
cimitero del villaggio…
Patria e famiglia si sposano integrandosi a
vicenda: la terra natale simboleggia la prima, il
focolare domestico, il fogolar, la seconda. Sulla
montagna friulana questa parte della casa,
l’essenza addirittura di essa, riveste quasi il
ruolo di ara destinata ad alimentare gli affetti,
la fede-fiducia nei legami di sangue, lo struggente desiderio del ritorno per chi è costretto a
lavorare lontano.” (11)
Probabilmente, è in questo continuo divenire
degli eventi che deve essere ricercata la risposta
su ciò che debba intendersi con la notazione
“tradizione alpina” alla quale spesso si fa riferimento discutendo e argomentando di questioni concernenti l’ambiente montano e alla
quale lo stesso Gortani dedica nel suo scritto
un esplicito rimando.
Recentemente, alcune attente riflessioni, sviluppate intorno a questo stimolante interrogativo, propendono per ritenere che esso come
concetto statico sia “qualcosa che non esiste,
perché si tratta di una frontiera culturale in
continuo movimento, che proprio nel movimento trova la sua ragione di esistere e la propria sopravvivenza. Nel senso che se si ferma
muore.” (12)
Di qui l’osservazione puntuale, sotto il profilo della ricostruzione storica e storiografica,
che gran parte delle trasformazioni introdotte
nel corso dei secoli, a formare il fitto ed intricato tessuto della cultura e della tradizione
alpina, non sono mai rimaste estranee a questo territorio.
Esse rientrano “nel quadro di una circolarità –
fra montagna e pianura, fra realtà rurale e
urbana, e addirittura fra continenti – e di processi di innovazione che interessano la civiltà
alpina al pari di ogni altra. La storia [di queste
trasformazioni] smentisce una volta di più il
luogo comune che porta a considerare le Alpi
una realtà separata e chiusa, refrattaria agli
apporti esterni, al mutamento. Una sorta di
naturale riserva dell’arcaicità, distinta dalla
purezza di una tradizione, contaminata dall’esterno solo in tempi recenti e per questo in
declino o in via di scomparsa.
In epoca moderna gli scambi fra montagna,
pianura e città sono stati certamente più intensi e profondi che nelle epoche precedenti,
determinando mutamenti radicali e generalizzati. Si è anche determinata una maggiore
asimmetria, a tutto danno della montagna,
colonizzata dalla cultura urbana, accrescendone la funzione di luogo di consumo anziché di
produzione; ma non per questo le Alpi e la cultura alpina hanno perso la loro vitalità e specificità. Queste si sono piuttosto trasformate, in
grado maggiore che in passato, e anche in
tempi molto più rapidi, ma attraverso processi
che, a ben vedere, non sono mai stati estranei
alla realtà alpina.
– 23 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
Oggi come ieri, l’innovazione, il cambiamento,
hanno assunto (in molti casi, non in tutti) il
carattere di un’appropriazione da parte della
cultura alpina, il cui successo si dimostra tanto
maggiore quanto più felice è l’innesto su una
tradizione esistente, la cui trasformazione non
corrisponde necessariamente a un suo degrado
o a un suo depauperamento, quanto piuttosto
a un processo fisiologico. Perché non c’è tradizione senza innovazione. Perché se non si rinnova, una tradizione muore: ne può essere conservata la memoria ma non il valore, che o è
attuale o non è.” (13)
Dalle considerazioni fin qui sviluppate sembrano emergere con particolare evidenza due
categorie storico-antropologiche che aiutano a
comprendere con maggiore chiarezza l’evoluzione determinata dalle trasformazioni introdotte nel passato nella cultura e nella tradizione alpina e a dare una prospettiva di mantenimento e di sviluppo, verosimile ed attendibile,
per il prossimo futuro: lo stato di bisogno legato alla sopravvivenza dell’Homo alpinus in
quell’ambiente e il processo di acculturazione
nel quale è stato giocoforza coinvolto per favorire l’assimilazione e l’integrazione di tali trasformazioni nella tradizione locale, al punto
da essere considerate caratteri autoctoni.
Capacità di adattamento alle condizioni
ambientali e compatibilità spasmodicamente
ricercata tra tradizione ed innovazione sembrano, dunque, essere gli elementi fondamentali sui quali è venuta affermandosi e consolidandosi la cultura alpina; ma se l’ambiente
montano modella gli uomini attraverso i loro
vari tipi di attività, questa impronta non incide
ovunque nello stesso modo. (14)
I brevi cenni storici che seguono si propongono di evidenziare le tappe più importanti e
significative di questo percorso con evidente
riferimento ai settori artigiani presi in esame,
soffermandosi in particolare e appositamente
su quegli aspetti prettamente tecnici e/o locali,
recuperati da un lontano passato e/o da un più
vicino presente, che conferiscono a tali attività
i tratti e le connotazioni, si diceva, di un’inconfondibile identità.
L’approccio metodologico è stato orientato, in
questo caso, verso il recupero, senza dubbio
inconsueto, di frammenti che solitamente non
compaiono nella “Grande Storia” degli eventi
politici ed economici ai cui si fa normalmente
riferimento, né alla subalterna ma, perlomeno,
documentata “Storia dell’Arte”: quelli difficilmente recuperabili e, ancor meno, databili che
contribuiscono alla faticosa ricostruzione di
una promettente “Storia delle tecniche”, ingiustamente trascurata nell’ambito della ricerca
storica ufficiale.
Pur riconoscendo il fatto che questa “Storia”,
rispetto alle consorelle, è troppo poco progredita, uno dei più grandi cultori di queste discipline, vissuto nel secolo scorso, considerava
che sarebbe stato tuttavia giusto chiedersi se il
ritardo di cui soffre non dipendesse, almeno in
parte, dall’estrema difficoltà che si incontra a
scriverla.
Ostacoli che, a suo avviso, non erano insormontabili, a patto che si prendesse chiaramente coscienza della loro natura, utilizzando al
proposito tre grandi categorie di documenti
estremamente illuminanti, i testi, l’iconografia
e gli oggetti: in ogni caso, purtroppo, tali documenti, molto spesso, non restituiscono altro
che delle informazioni frammentarie ed incerte.
“Lavori senza gloria, gli sforzi degli artigiani
non hanno che assai raramente attirato l’attenzione delle cronache” osservava, a proposito
della lacunosità dei testi, lo studioso chiedendosi subito dopo: “Certo un resoconto o una
carta segnalano, qua e là, più o meno oscuramente, uno strumento o un procedimento
nuovo; ma dov’è la prova che questa testimonianza sia coeva all’invenzione o all’acquisizione?” (15)
D’altra parte, l’iconografia è sovente “anacronistica” perché legata a rappresentazioni di
maniera, riprodotte per consuetudine, e gli
oggetti sono, in gran parte, venuti meno: qualora se ne sia recuperato qualcuno, solo eccezionalmente è possibile determinare con relativa certezza il momento della sua fabbricazione.
Se, dunque, la “Grande Storia” tace sulle vicissitudini incontrate dalla “Storia delle tecniche”,
a partire dagli ultimi tumulti della preistoria
fino al XVIII secolo, invenzioni e acquisizioni
avvenute in questo lunghissimo lasso di tempo
stanno a testimoniare la notevole capacità di
rinnovamento del lavoro e delle professionalità
artigiane al mutare delle condizioni di vita.
– 24 –
CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
L’Homo Europaeus, in altri termini e in modo
specifico, fu per eccellenza un Homo faber, non
soltanto perché, da sempre, seppe creare ma
anche perché seppe imitare o adattare e perché,
dalla fusione di questi apporti, riuscì a costruire una civiltà della tecnica.
Ritornando al tema della nostra ricerca, possiamo allora constatare che il periodo storico compreso tra i secoli XVII e XVIII è per le genti
della Carnia quello in cui i tratti e le connotazioni di cui si parlava poc’anzi prendono una forma
più marcata, rispetto al passato, e si affinano al
punto da conferire, a quella che oggi conosciamo come tradizione locale, una fisionomia
autentica, immediatamente riconoscibile.
Nei suoi scritti Gortani riporta che “grama e
faticosa esistenza condusse per millenni la
popolazione della Carnia, costretta ad una
laboriosa povertà dall’avversa natura del suolo
e del clima. Del suolo, perché, anche a prescindere dalla frequenza di terreni improduttivi per
la sterilità della roccia madre, troppe sono le
pendici in rapida degradazione sotto l’attacco
delle acque sregolate, che raccolte in torrentacci impetuosi si affrettano al vicino mare con
veloci correnti.
Del clima, per la piovosità eccessiva che non
soltanto richiede amplissimi greti onde smaltire le acque, ma abbassa le fasce altimetriche
della vegetazione arrestando a bassissima
quota le colture redditizie e troppo limitando
l’area delle foreste.
In tali condizioni, l’industriosità delle genti
carniche, forzate dalla penuria a procacciarsi
nutrimento fuori dai confini della patria, diede
vita per secoli ad una emigrazione diffusa,
sostenuta in parte dagli scambi commerciali e
in parte dall’abilità dei nostri operosi e
coscienziosi lavoratori.
La lunga forzata lontananza non valse ad
estinguere e neppure a illanguidire nei nostri
l’amore per la casa e per il luogo natale, che
anzi trassero vigore dal sentimento nostalgico,
ravvivato al contatto con le genti cui arrideva
la fortuna di poter lavorare in casa loro. E ciascuno, non appena lo favoriva la sorte, volle da
sé costruire la propria abitazione, e ingentilirla
poi, con innato buon gusto e con abilità
paziente, per la sua famiglia e per quella dei
propri figli.
Ogni generazione contribuendo in tal modo ad
abbellire la casa, e ogni generazione contando
fra i suoi membri artigiani più valenti degli
altri, o commercianti più fortunati, o imprenditori più abili, si venne a costituire col tempo
in ogni villa (tale era in passato la designazione delle singole borgate e borgatelle) una
gerarchia di patrimoni più o meno consistente
quindi una diversa capacità economica e abitazioni di diversa struttura e diversamente arredate, pur sempre restando nel dominio delle
arti e tradizioni popolari.
Né si devono prendere i fenomeni demografici
attuali [1965] a modello di quelli del passato:
ché se oggi la consistenza numerica della popolazione stenta a mantenere le sue posizioni, così
non era in passato; e agli 80.000 abitanti attuali della zona vediamo contrapporsi i 23.000 che
si contavano alla metà del Cinquecento, i
31.291 risultanti dai censimenti veneti negli
anni 1780-84 ed i 42.608 nel 1802, designando
così un progressivo incremento assai notevole,
malgrado avverse circostanze, nei secoli XVII e
XVIII. Declinando col passare del tempo le
fortune delle famiglie, anche i beni mobili ed
immobili passarono di mano, e, così cangiando,
pervennero frazionati ai tardi nipoti.
Si spiega in tal modo la ventura che avemmo di
trovare ancora, sia in umili case, sia in dimore
quasi signorili, testimonianze (a noi preziose
per nobiltà di linee o per dovizia di ornati) di
un artigianato artistico che risale in massima
parte al Settecento, anche se ripete motivi tramandati da tempi assai anteriori.
Si tenga presente che siamo in una regione
montana con viabilità fino a pochi anni addietro difficile e scarsa, e dove non poté venir
meno la norma che rende alle nuove fogge, dettate dalla moda o dal gusto, lenta e tardiva la
penetrazione tra i monti.” (16)
4.1 Artigianato del legno e radici
della tradizione carnica
Le ricerche intraprese nell’ambito della “Storia
delle tecniche” si avvalgono della tecnologia,
come strumento di analisi e opportunità di studio, per riconoscere nelle varie epoche i processi di acquisizione, di trasformazione, di utiliz-
– 25 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
zazione e di consumo dei diversi materiali e dei
prodotti della natura da parte di una certa
popolazione, insediatasi in un certo luogo,
siano essi ben conservati o dei quali siano
rimasti solo frammenti o tracce indirette.
Le modalità di gestione, che conosciamo
comunemente sotto il termine di “economia”,
delle materie prime sono desunti dallo studio
della selezione dei materiali grezzi utilizzati e
dalla destinazione d’uso dei prodotti ottenuti
dalla loro trasformazione.
Il ciclo delle lavorazioni ovvero, per dirla in
altro modo, la concatenazione delle operazioni
che hanno consentito di fabbricare strumenti e
utensili, e così pure i manufatti ricavati dal loro
impiego, viene ricostruita non solo attraverso lo
studio di questi oggetti, ma anche da un insieme
di informazioni aggiuntive raccolte, come ricordato, da documenti diversi: nel caso di epoche
storiche remote tali informazioni provengono
dalla ricerca archeologica che non sempre riesce
a fornire conferme affidabili alle ipotesi e alle
congetture formulate dagli studiosi.
Gli anelli di queste catene operazionali, infatti,
solitamente legati tra loro da criteri improntati a principi di logica e di razionalità, possono
essere suddivise in tappe, fasi o stadi costituiti
da una serie di azioni che rivelano una stessa
tecnica o una stessa finalità perseguita da sottoporre ad attenta analisi: in questo modo,
procedendo dal concreto all’astratto e viceversa, sono messi in evidenza gli schemi mentali,
concettualizzati e resi operativi, sottesi a tutte
le attività di carattere tecnico.
L’interpretazione e la sintesi di queste informazioni, tenendo conto delle costrizioni esercitate dall’ambiente naturale e dai materiali stessi,
permettono di distinguere le scelte tecniche
specifiche e tradizionali di quella popolazione
e di avvicinarsi, quindi, alla sua cultura materiale e alla sua economia: non solo, ma di metterle anche in stretta relazione con altre manifestazioni del suo comportamento (ad esempio, l’alimentazione, l’organizzazione dello
spazio, le credenze religiose ecc.) e, attraverso
studi comparati, con quelle di altri gruppi
sociali. (17)
È con questi riferimenti analitici e metodologici, purtroppo sommari in questo particolare
contesto, che tentiamo di ricostruire e di evi-
denziare alcuni dei momenti più importanti e
più significativi del percorso evolutivo compiuto dall’Homo sapiens dal momento in cui si
trasforma in Homo faber per mettere a punto
una tecnologia che, a ben vedere, è servita a
scandire la periodizzazione di tale percorso,
dalla preistoria (età della pietra, del bronzo,
del ferro) fino ai giorni nostri: la tecnologia del
legno.
Il legno è una materia prima che per le particolarità delle sue caratteristiche è assai prossima
a quella “ideale”: è un materiale leggero, facile
da lavorare, dal quale si possono ricavare
manufatti di dimensioni relativamente grandi,
ha buona resistenza alle sollecitazioni meccaniche e via dicendo.
Probabilmente i suoi unici inconvenienti sono
quelli di non essere reperibile in aree climatiche
avverse o poco favorevoli allo sviluppo di
forme di vita vegetale e la sua deperibilità con
il passare del tempo che provoca deterioramenti irreversibili e distruttivi sulle suppellettili e sugli oggetti con esso realizzati.
L’analisi funzionale effettuata dagli studiosi su
reperti preistorici hanno evidenziato che gli
strumenti di pietra ritrovati servivano in gran
parte a lavorare proprio il legno, utilizzato
come materiale da costruzione (e non solo)
estremamente versatile ed efficiente.
L’utilizzo di materiali alternativi (ad esempio,
l’osso) per realizzare strumenti, utensili, immanicature ed oggetti vari non è sempre facile da
interpretare in quanto non è dato sapere se
questi venissero scelti per le loro caratteristiche
intrinseche o piuttosto come suoi sostituti perché diventato raro o introvabile a causa delle
mutate condizioni ambientali e climatiche o,
ancora, per il loro specifico significato simbolico e/o la loro funzione rituale nel contesto
delle pratiche cultuali.
Il legno non è soltanto un materiale da costruzione, ma è sempre stato impiegato dall’uomo
anche come combustibile con il quale riscaldarsi o con il quale realizzare procedimenti
fisico-chimici ( si pensi a quello ceramico o a
quello metallurgico) sempre più complessi per
trasformare altre materie prime.
La scoperta del fuoco e il conseguente sviluppo della capacità di utilizzo di questa fonte
energetica rappresentano un punto di svolta
– 26 –
CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
fondamentale nella storia dell’umanità soprattutto dal punto di vista cognitivo.
“Un diverso modo di considerare la storia procede… dalla convinzione che la prima creazione
di sussidi tecnici per il mantenimento dell’esistenza fisico-biologica non costituisca un presupposto, ma sia piuttosto a sua volta espressione della storicità (o cultura) umana. Questa si
fonda su quel modo d’essere specificamente
umano, che si manifesta fondamentalmente
nella coscienza, propria solo dell’uomo. Questa
capacità di riflessione che contraddistingue la
natura umana è, nella sua genesi iniziale sotto
l’aspetto di un primordiale risvegliarsi dell’Io,
qualcosa d’ indipendente e di primario rispetto
a mutamenti nella costituzione fisica e nelle
capacità tecniche.
Il problema della misura in cui una impresa culturale abbia per conseguenza uno sviluppo della
coscienza, o invece sia essa stessa il frutto di un
tale sviluppo, si pone molto spesso nella storia. Il
constatare in ciò una evidente interazione non
basta a caratterizzare il fenomeno.
Un’analisi di sviluppi storici posteriori, meglio
documentati dalle fonti, nella loro concomitanza
di mutamenti tecnico-materiali e di trasformazioni attinenti alla sfera dello spirito e della
coscienza, mostra una distinzione tra la creatività culturale del singolo e l’imitazione dei molti.
Per questi ultimi è evidente che, assieme alle
manifestazioni culturali tecnico-materiali, essi
accolgono e realizzano anche l’espressione della
coscienza ad esse collegata.
All’opposto, in chi è creativamente attivo, l’atteggiamento della coscienza che è alla base di
una realizzazione culturale è da considerarsi primario rispetto a questa. Nel caso dell’utilizzazione del fuoco ciò significa: la caduta di un fulmine con il conseguente incendio di una steppa
non avrebbe potuto stimolare un essere prometeico alla utilizzazione di quella forza naturale,
se tale essere non avesse posseduto la predisposizione a ciò necessaria.” (18)
Fino a quel momento, dunque, è possibile
affermare che, nella prima fabbricazione di
utensili e di oggetti, la via che collega lo scopo
proposto al manufatto finito attraverso la
materia prima fornita dalla Natura appare
relativamente breve, mentre l’impresa mitologicamente attribuita a Prometeo presuppone
non solo una maggiore misura di intenzionalità razionale, congiunta a una capacità cognitiva (intelligenza) differenziata, ma soprattutto
una forma di coscienza più caratterizzata.
Al di là della metafora, il superamento della
fatidica “prova del fuoco” dischiude all’umanità scenari fino ad allora inimmaginabili all’interno nei quali le tecniche si affinano e si consolidano con il trascorrere dei millenni: in questo ambito, parlare di date non ha molto senso
ma grosso modo i riferimenti cronologici si
rifanno a circa due milioni di anni fa.
Non dovrebbe, quindi, sorprendere più di tanto
constatare che nell’antico Egitto, per tutto il
periodo di sviluppo della civiltà faraonica, gli
attrezzi degli artigiani siano rimasti sostanzialmente gli stessi: già nella lontana epoca della
prima dinastia (intorno al 3.000 a. C.) gli artigiani possedevano una completa padronanza
delle tecniche di trasformazione dei diversi
materiali conosciuti e disponevano di strumenti, utensili e attrezzature specifici per assolvere
questo scopo.
Per quanto ci riguarda, nel campo della lavorazione del legno, i falegnami di quei tempi
erano in grado di fabbricare un gran numero di
manufatti di qualità, sia sotto il profilo tecnico
sia sotto quello estetico, impiegando sistemi
costruttivi del tutto identici a quelli attuali
come, ad esempio, le connessioni tra singoli
particolari mediante incastri a linguetta o a
coda di rondine. (19)
Gli ebanisti erano in grado di realizzare con
grande abilità manufatti sui quali eseguivano
delicati intarsi con l’apporto di essenze lignee
diverse, di avori e di “faience”, nonostante la
materia prima fosse assai poco disponibile
localmente.
“Soltanto di un prodotto naturale l’Egitto presenta una notevole deficienza, precisamente di
un buon legname da costruzione, che doveva
essere importato dal Libano tramite un commercio che è altrettanto antico quanto la navigazione marittima.
Gli alberi indigeni, principalmente l’acacia e il
sicomoro, erano troppo nodosi e poco elastici per
fornire un legname di buona qualità, benché dal
loro legno si ricavassero semplici mobili di uso
domestico quali scatole spesso impiallacciate con
avorio, ebano e altri legni per abbellirne l’aspetto.
– 27 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
Gli Egiziani, fin dalla più remota antichità si
mostrarono abili nell’utilizzare varie specie di
giunchi e canne nel confezionare molti oggetti
di vimini, quali tavole, supporti, sgabelli e recipienti.” (20)
È possibile rilevare, a questo punto evolutivo
delle tecniche di costruzione di ciò che serviva
alla vita quotidiana di quella popolazione, uno
snodo fondamentale e determinante per lo sviluppo di procedimenti e di sistemi costruttivi
differenziati, a seconda dei materiali di base
impiegati e delle finalità a cui tali modalità
operative miravano, che conservano tuttavia
nella loro essenza logica una base concettuale
e cognitiva comune.
A proposito della produzione di cesti e stuoie,
gli archeologi documentano che “i lavori d’intrecciatura più primitivi ritrovati in Egitto rivelano, già dagli albori, raffinati prodotti artigianali, produzione di qualità in quel più ampio
contesto di materiali etnologici che comprende
tutti gli utensili gli strumenti utili alla ricostruzione della vita di una comunità.
Per le fasi più antiche, quelle cioè in cui probabilmente l’intrecciatura preesistette alla tessitura, non si conserva al momento attuale
documentazione di sorta, mentre i primi resti
databili di stuoie o di cesti risalgono ad
un’epoca in cui già compaiono esemplari di
tessuti.
A partire dal 5.000 a. C. circa, le tecniche di
intrecciatura e di tessitura appaiono già diversificate, sebbene siano ancora riconoscibili
molte affinità nel processo di lavorazione, che
prevede per esempio nel caso delle stuoie una
sorta di primitiva tessitura.” (21)
Molti dei reperti ritrovati dagli archeologi nei
diversi siti in cui si sviluppò la civiltà egizia
sono dunque particolarmente significativi in
quanto ci permettono di comprendere come
funzionasse, dal punto di vista economico e
sociale, una comunità di quel antico passato.
Alcuni di questi ritrovamenti hanno di per sé
qualcosa di unico e di irripetibile (si pensi alla
scoperta nel 1922 della tomba intatta del giovane faraone Tutankhamon ad opera di
Howard Carter e di lord George Herbert
Carnarvon, contenente uno stupefacente ed
inimmaginabile corredo funebre), mentre altre
hanno fornito e forniscono tuttora informazio-
ni sufficienti perché gli studiosi possano
cominciare a valutare, a verificare e a trovare
eventuali conferme alle ipotesi formulate a
proposito degli sviluppi delle varie branche
della tecnologia antica: quella relativa alle
lavorazioni eseguite sul legno appare, come si
accennava, straordinariamente avanzata. (22)
“Tra gli arredi domestici, una rilevanza particolare hanno i mobili, che rivestono un duplice
significato: puramente strumentale, se si considerano le esigenze pratiche cui essi rispondono,
ma allo stesso tempo estetico, per la varietà di
forme e di decorazioni che li caratterizzano
come espressione di alto artigianato.
In questo settore, la documentazione proveniente dall’Egitto è eccezionalmente ampia rispetto
a quella di altre civiltà antiche, e la conservazione di una quantità così elevata di reperti è stata
possibile grazie al clima egiziano che presentava
caratteristiche di notevole equilibrio idrometrico
ed anche, soprattutto, alla collocazione in ipogei
sigillati, dunque quasi insensibili alle variazioni
climatiche esterne: da necropoli desertiche è pervenuta appunto la maggior parte di materiale
egizio pur afferente alla vita quotidiana.
Nelle collezioni del Museo Egizio di Torino gli
elementi d’arredo rappresentano un’entità particolarmente consistente dal punto di vista sia
qualitativo sia quantitativo e consentono perciò
di valutare la vastissima area di impiego del
legno, le conoscenze tecniche allora raggiunte,
gli strumenti e i modi di lavorazione, e di seguire l’evolversi delle tipologie e delle forme attraverso i tempi ed il loro diversificarsi a seconda
della destinazione.
Il legno, che è la materia prima più ampiamente
usata per fabbricare mobili, pur essendo assai
scarso in Egitto (ma forse meno di oggi, almeno
fino in epoca storica), ebbe tuttavia numerosi
campi di applicazione: dalle opere architettoniche all’arredo domestico, agli strumenti di lavoro, ai mezzi di trasporto (imbarcazioni, carri),
alla scultura a tutto tondo e a rilievo, alle suppellettili strettamente funerarie (sarcofagi, stele,
apparati canopici).
La sua scarsità, o ancor più l’assenza di varietà
pregiate o di dimensioni tali da ottenere grandi
tavole, incrementarono assai precocemente, e su
larga scala dalla III dinastia, le importazioni;
contemporaneamente, si sviluppò una tecnologia
– 28 –
CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
assai affinata, basata su rigorosi criteri di economia, finalizzati al massimo utilizzo delle
risorse interne: tutte le specie locali adatte per
lavori di falegnameria erano impiegate, sopperendo alle piccole dimensioni e al minor pregio
con una scelta oculata dei materiali a seconda
della destinazione e con accurati sistemi di
assemblaggio e di rifinitura.” (23)
La qualità che contraddistingue i diversi
manufatti è percepibile non solo dalla loro
accurata fattura, evidente testimone di una
competenza tecnica molto elevata, ma anche
dalla loro singolare semplicità e dal loro elegante disegno.
“Privi di qualsiasi aggancio decorativo superfluo, trovano nella loro funzionalità le ragioni
della loro forma: ma questa funzionalità è interpretata nei termini di quella stessa pulizia geometrica che nella statuaria riusciva a trasferire il
caratterizzante di una figura (come qui la possibilità di impiego di un oggetto) in un limpido
rapporto di elementi.
Lo stesso si può dire di un poggiatesta, scelto un
po’ a caso, da una tomba di ignoto a Torino: il
legno è amorosamente plasmato, appena rifilato
sui margini delle varie parti dell’oggetto, equilibrato e armonioso quanto ben adoperabile.
Questo congiungere un modo di vedere così altamente razionale e matematico con un piacere
tecnico del fare manuale senza pecche appare in
una folla di monumenti del tempo…
… Ma abbiamo preferito mettere in evidenza
esempi meno illustri, perché in realtà più significativi di un livello quotidiano del gusto. Arte e
artigianato son difficili da separare nella cultura
egizia.” (24)
Guardando allo sviluppo di altre civiltà preesistenti o coeve a quella egizia, l’esiguità delle
testimonianze raccolte e dei reperti archeologici ritrovati, unita alla loro specifica natura ha
indotto gli studiosi interessati a ricostruire una
“Storia delle tecniche”, fondata su criteri di
rigore scientifico e di coerenza metodologica,
ad avvalersi di approcci comparativi.
In questi casi, gli studi di “tecnologia comparata” costituiscono l’unico modo adeguato di
trattare i pochi dati a disposizione e, ai fini di
una maggiore comprensione, è più promettente paragonare specifiche tecniche in civiltà
diverse che fare un inventario separato per cia-
scuna civiltà per poi confrontare, valutare e
decidere quali siano i dati utilizzabili.
I confronti effettuati su specifici manufatti
dovrebbero riguardare non solo la forma, la
funzione e l’esecuzione degli stessi, ma dovrebbero superare quest’approccio meramente
descrittivo e studiare l’esito della sfida che vede
contrapposti il costruttore e i materiali a sua
disposizione, gli attrezzi, gli strumenti e gli
utensili impiegati per eseguire un certo intervento e i risultati ottenuti.
Di pari importanza sono i vantaggi offerti e le
limitazioni poste dalle condizioni ecologiche
ed ambientali di un particolare territorio che
molto spesso contribuiscono ad indicare e a
determinare la direzione nella quale potrà
avvenire lo sviluppo della tecnologia e, più in
generale, come si è ricordato in precedenza,
dell’intera economia delle popolazioni che lo
abitano.
A quest’ultimo proposito, occorre tenere in
debita considerazione l’influenza esercitata su
tale sviluppo dal contesto ideologico-religioso
che permea la loro cultura poiché esso può causare effetti inaspettati e contradditori: imporre
restrizioni o creare nuovi bisogni, provocare
ristagni o stimolare innovazioni creative.
Nella civiltà mesopotamica, ad esempio, la
mancanza di legname, di pietre adatte alla
costruzione e alla decorazione di edifici, unita
alla scarsità di minerali metallici, fornì lo stimolo per intraprendere un’attività economica
che superava il quadro del sistema ridistribuivo
e che trovava negli scambi commerciali con i
paesi stranieri una valida alternativa di sopravvivenza e di sviluppo. (25)
Infine, non deve essere sottovalutato il condizionamento che la struttura sociale di quelle
popolazioni può produrre sull’evoluzione della
tecnologia praticata: la sua stratificazione può
favorire la coesistenza di livelli separati all’interno della stessa tecnologia, di sue espressioni
che accostano il sacro al profano, di condizioni esistenziali che vedono convivere posizioni
di prestigio con posizioni di sussistenza, di
competenze autoctone sovrapposte a competenze importate o imposte.
Per la comprensione dello sviluppo di una civiltà in riferimento ad altre, gli studi di tecnologia
comparata assumono, dunque, un significato
– 29 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
ed un’importanza pari (o addirittura maggiore)
a quella rivestita da analoghi approfondimenti
compiuti in ambito filologico e/o religioso.
Alla luce di questi riferimenti metodologici
diventano allora intelligibili periodi oscuri
della “Grande Storia, altrimenti indecifrabili,
in cui non si fa menzione (o ci si limita a citazioni marginali) di ciò che accadde a questa
importante componente della cultura umana.
In epoca ellenistica, a partire dall’VIII secolo
a. C., le arti sono al centro di riflessioni che
pongono le basi sulle quali si fonda la tradizione più antica del pensiero filosofico europeo
ma anche quelle da cui si origina una disciplina di pensiero specifica, l’estetica.
Fa la sua comparsa l’idea del bello, certamente la più vicina al mondo sensibile, che diviene
oggetto di dispute nelle quali viene coinvolto
direttamente e pesantemente il ruolo svolto
dall’ arte (tékhne) nel miglioramento della vita
spirituale dell’uomo: il pensiero arcaico distingue tra le sue varie forme assegnando questa
definizione solo a quelle attività che comportano il trattamento di certi materiali e l’uso di
determinati strumenti ed implicano, pertanto,
un lavoro manuale.
A differenza delle altre, poste sotto la tutela
delle Muse, tali attività sono considerate servili e, perciò, degne di spregio: il giudizio espresso dal pensiero platonico è estremamente severo a questo riguardo poiché considera l’arte
come cosa frivola, indegna dell’uomo saggio,
che distrae e irretisce l’anima (psykhé) rendendola succube dei sensi e delle passioni.
Pur continuando a fornire il loro costante contributo al miglioramento delle condizioni di vita
quotidiana, queste attività sono successivamente
riscattate dal pensiero aristotelico che intravede
nelle loro manifestazioni, nonostante le implicazioni di natura servile, un esplicito legame di
connessione con la scienza (epistéme). (26)
È da queste dispute e da un’iconografia superstite che veniamo a sapere che i colonnati dei
templi greci, come ad esempio l’Heraion di
Olimpia, erano in origine realizzati in legno e
che, a causa dei frequenti incendi, vennero in
seguito sostituiti da manufatti in pietra.
Eventi che non hanno risparmiato la colossale
e stupefacente statua di Zeus, collocata nel
tempio a lui dedicato nella stessa città, capola-
voro di ebanisteria e di intarsio alto oltre dodici metri, realizzato da Fidia nel V secolo a. C.
e descritto da Pausania nella sua “Periegesi
della Grecia”. (27)
A questi importanti documenti si aggiungono
le rappresentazioni dipinte sul vasellame o
modellate sugli innumerevoli pìnakes fittili
ritrovati tra le offerte votive dei templi dedicati ai diversi esponenti del Pantheon greco nelle
quali sono chiaramente riconoscibili un gran
numero di suppellettili domestiche e di arredi
come sedie, scranni, tavoli, letti, cassapanche,
serramenti ecc. di evidente uso quotidiano.
In tali rappresentazioni e nei pochi reperti,
giunti fino a noi e provenienti dagli scavi
archeologici, i manufatti lignei appaiono torniti, incisi, intagliati a rilievo, dipinti e denotano
una capacità costruttiva pienamente padroneggiata da coloro che li hanno realizzati,
unita a un disegno ispirato da un raffinato
gusto estetico.
Competenze tecniche che ritroviamo impiegate
in epoca romana per le stesse finalità ma
anche, e soprattutto, in modo massiccio per
rafforzare la poderosa macchina bellica predisposta per l’espansione dell’impero: gli studi
avviati in questo senso dal siracusano
Archimede proseguono con Erone di
Alessandria d’Egitto, divenuta nel frattempo
centro di una cultura sempre più specializzata
anche dal punto di vista tecnico e scientifico, e
raggiungono con Ctesibio di Alessandria,
Stratone di Lampsaco e Vitruvio la loro massima espressione sul piano applicativo.
Emerge in questo contesto il ruolo determinante svolto da una professionalità complessa,
del tutto inedita rispetto al passato, quella dell’architetto-ingegnere-meccanico.
“L’architetto-ingegnere-meccanico è al vertice
di una gerarchia che comprende tutti gli addetti
alle macchine, sia quelli che le costruiscono, sia
quelli che le mettono in opera. C’è una graduazione molto articolata in questa gerarchia che
gli sottostà. Al livello più basso si collocano
quanti devono erogare forza con un grado zero
di intelligenza o di abilità; la migliore esemplificazione è data qui da coloro che camminano
sulle ruote idrauliche, facendole girare, da quelli che tirano la corda delle pulegge o spingono i
bracci degli argani.
– 30 –
CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
Costoro possono essere sostituiti da animali, se
la situazione lo consente, o anche da forze fenomeniche, come l’acqua che cade, se ce n’è di
disponibili. Non appena si sale in questa gerarchia, c’è la fascia molto differenziata di tutti
coloro che compiono le operazioni in cui una tale
sostituzione non è più possibile. Sono coloro che
devono regolare la forza che erogano, in base sia
al funzionamento della macchina, sia alle diverse circostanze del suo uso. Si tratta di esperti che
devono avere colpo d’occhio e pratica dei materiali e dei limiti della loro affidabilità; devono
poi, in certe occasioni, avere ulteriori qualità,
come l’audacia.
Vi sono poi coloro dai quali dipende, nel momento della costruzione e non dell’uso, la qualità
della macchina, sotto il profilo per cui questa
dipende a sua volta dalla qualità del materiale
impiegato e dal suo trattamento: fabbri, carpentieri ecc. Costoro detengono un certo sapere e
una certa intelligenza empirici. Va sottolineata
l’ampiezza di questa fascia; le capacità che vi si
trovano depositate non sono soltanto quelle
acquisite in un pratica ripetuta, ma anche quelle
trasmesse oralmente, lungo canali padre-figlio e
maestro-apprendista, relative a tutte le tecniche
che non hanno superato la soglia della trattazione scritta.” (28)
Dopo la caduta dell’Impero Romano
d’Occidente, bisogna giungere fino agli inizi
del XI secolo, vale a dire in quel periodo storico che molto spesso si suole designare con il
nome di Alto Medioevo, per vedere cambiare
lo scenario dell’arte europea e con essa le sue
applicazioni decorative o minori.
Fino a quel momento, le sue connotazioni
sono molto discontinue, sia per le diverse
ascendenze culturali che, per la stretta connessione con le tradizioni locali e con le vicende
storiche in atto in quel periodo, contribuirono
a delineare e a rendere riconoscibili i tratti
delle produzioni artistiche nelle singole e ben
differenziate aree nelle quali vennero realizzate, sia per i diversi risultati da esse conseguiti
sul piano qualitativo nel riferirsi a linguaggi e
a stili che ben poco o nulla ebbero a che fare
tra loro.
L’arte alto-medioevale fu straordinariamente
ricca di suggerimenti e di fermenti, alcuni dei
quali giunsero a maturazione nell’XI e XII
secolo, creando le basi per la formazione dello
stile romanico: anche in questo caso, le testimonianze iconografiche e i manufatti rimasti
indicano indirettamente l’esistenza di una cultura tecnica particolarmente affermata.
L’invasione longobarda in Italia, avvenuta nel
568, penetrò nel Paese dal Friuli e proprio qui,
a Cividale, ha lasciato alcune importanti tracce del suo passaggio: nella Chiesa di S.
Martino, sul fronte dell’altare, fatto costruire
dal duca Ratchis (Altare Ratchis) intorno al
744-49, è visibile un esempio della scultura
barbarica meno raffinata che raffigura una
Maiestas Domini ovvero il Cristo assiso su un
trono, fiancheggiato da due serafini, mentre
sui fianchi appaiono la Visitazione e
l’Adorazione dei Magi. (29)
In quest’ultima scena, come in quella centrale,
nonostante le limitazioni tecniche dello scultore, è osservabile la rappresentazione di manufatti (trono, trono con baldacchino, poggiapiedi) che denotano una fattura particolarmente
elaborata e curata.
Nel frattempo, l’avvento e l’affermazione della
religione cristiana avevano spostato dai luoghi
di culto pagani il complesso sistema della
ritualità che accompagna il rapporto dell’uomo con la sua spiritualità e con la sua concezione del “Divino”, per trasferirlo all’interno
di chiese e di abbazie sorte in tutt’Europa, a
seguito dell’opera di evangelizzazione praticata da schiere di monaci e di predicatori.
“Verso il terzo anno dopo il Mille avvenne in
quasi tutto l’orbe terrestre, ma specialmente in
Italia e in Gallia, che si rinnovassero le basiliche
delle chiese, ancorché molto opportunamente
situate ne avessero pochissimo bisogno… Era
come se il mondo stesso, scrollandosi di dosso
quanto aveva di antico e respingendolo, si rivestisse di un candido mantello di chiese. I fedeli non si
contentarono di cambiare in meglio quasi tutte le
chiese cattedrali e i monasteri di diversi santi, ma
anche i piccoli oratori dei villaggi.” (30)
Con queste parole un monaco cluniacense del
XI secolo, Rodulfus Glaber, riferiva alle cronache gli accadimenti di quel lontano passato e
rendeva testimonianza del fervore costruttivo
che annunziava l’avvento dell’arte romanica.
Lo straordinario fiorire delle arti in questo
periodo coincide essenzialmente con un gene-
– 31 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
rale riassetto della vita politica, economica e
sociale e con un intensificarsi del sentimento
religioso, stimolato dalla crescente autorità
degli ordini monastici e manifestato nel diffusissimo rituale del pellegrinaggio, compiuto da
sterminate masse di fedeli di ogni estrazione
sociale verso i luoghi di culto più venerati del
mondo cristiano.
Nell’ambito dell’architettura e delle arti decorative, la scultura svolge un ruolo di primo
piano interpretando un repertorio vastissimo
nel quale sia i fondamentali temi della religiosità cristiana, sia le più sottili rappresentazioni
simboliche e le più dotte allegorie si traducono
figurativamente con una concretezza che testimonia un’adesione totale e profonda all’essenza umana e ai suoi stili di vita quotidiana.
Temi ricorrenti, riprodotti con particolare efficacia per quei tempi, che si ritrovano nei
manufatti lignei che si sono conservati come i
portali delle chiese, spesso decorati con intagli
minuti e preziosi, e gli arredi sacri: doveva trattarsi molto probabilmente di un capolavoro il
crocifisso ligneo di Lavaudieu, realizzato intorno al 1130, di cui si è conservata la testa al
Louvre di Parigi.
Negli anni successivi, e fino agli inizi del
Rinascimento (periodo di discussa determinazione cronologica, comunque compreso tra il
XIV e il XVI secolo) è lo stile gotico a trionfare, con la sua elegante linearità che trova nell’arte sacra il modo di suggerire lo slancio
verso l’alto e di esprimere l’intensa aspirazione
alla trascendenza. (31)
Le cosiddette arti minori o decorative fanno da
sfondo a questo trionfo o vi compaiono marginalmente, soverchiate dai capolavori dell’architettura, della scultura e, in minore ma crescente misura, dalla pittura: le scene giottesche,
osservabili negli affreschi conservati nella
Basilica di S. Francesco ad Assisi e nella
Cappella degli Scrovegni a Padova e realizzate
dal pittore fiorentino intorno al 1300, rappresentano, a margine della sacralità dei soggetti
celebrati, scene di vita quotidiana in cui sono
visibili arredi e suppellettili del tempo.
Nel Quattrocento prende avvio il rinnovamento artistico probabilmente più profondo e
decisivo che abbia mai sperimentato la civiltà
occidentale:
“a tal punto determinante per gli sviluppi successivi dell’espressione artistica, che una tradizionale storiografica ormai plurisecolare ha
voluto attribuire a tale fenomeno, specie nel suo
svolgimento italiano, i caratteri di una vera e
propria resurrezione delle arti; emerse a nuova
consapevolezza e a nuovo fulgore dopo l’eclisse
medioevale e quasi rinate, alla fine di una lunga
faticosa gestazione, agli ideali e alle forme dell’antichità classica. Da ciò appunto il termine
Rinascimento con il quale si usa indicare la
civiltà artistica rinnovata del XV secolo, soprattutto nel suo polo italiano.” (32)
In questo periodo, trascurando di soffermarci
(per evidenti motivi) sulle trasformazioni
introdotte da questo rinnovamento nelle arti
maggiori, la tarsia lignea assume quasi il valore di “dimostrazione” esemplare dei principi
prospettici proposti da Brunelleschi, diventando anche mezzo di diffusione di stili pittorici
più (Bramante e Botticelli) o meno (Piero della
Francesca e Paolo Uccello) raffinati: le cronache raccontano come quest’ultimo passasse
giorno e notte a scervellarsi per disegnare, in
prospettiva e da angoli diversi “delle palle a
settantadue facce a punte di diamanti”. (33)
Il vertice più alto nello sviluppo anche tecnico
della tarsia fu raggiunto, probabilmente, da
Fra Giovanni da Verona, monaco olivetano
(ramo dell’Ordine benedettino) vissuto tra il
1457 e il 1525, nella decorazione degli stalli e
del leggio visibili nella sagrestia di S. Maria in
Organo a Verona.
“La più bella sagrestia che fusse in Italia… Una
sagrestia bellissima di prospettive di legno, fatte
da Fra Giovanni da Verona, gran maestro di
commessi, e in tal magisterio nessuno mai fu più
valente di lui”, scriveva Giorgio Vasari a proposito di questi arredi. (34)
In accordo con i nuovi ideali estetici e in
parallelo con lo svolgimento contemporaneo
dell’architettura, l’arredo domestico, al pari
di quello ecclesiastico, si rinnova radicalmente e il mobile viene concepito secondo criteri
di monumentale semplicità e di armoniosa
eleganza.
“Nessun’altra epoca ebbe, come questa, il culto
della bellezza e mai gli artisti profusero quantità
altrettanto cospicue di genialità e di impegno
per produrre una saliera o un cofano, una spada
– 32 –
CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
o un arazzo… Il mobile, soprattutto in area
toscana, romana e veneta, si ispira ai moduli
architettonici dominanti e ai repertori della
decorazione classica (bacellature e zampe leonine, girali d’acanto, lesene scanalate, mascheroni,
grottesche).
Tipici sono i cassoni in noce scolpito con superbi
motivi antichizzanti di mitologia e di storia
romana, traduzioni liberamente creative del sarcofago classico; gli armadi a uno o a due ordini ,
di struttura parallelepipeda, con una decorazione
architettonica più o meno esuberante a seconda
delle aree culturali di produzione; la sedia nei tipi
sempre più elaborati della dantesca, della savonarola (quest’ultima evoluzione del modello antico della sedia da campo o del faldistorio); il seggiolone a gambe diritte con schienale in cuoio
spesso preziosamente operato; il tavolo ottagonale o rettangolare con sostegni ad anfora, a
zampe leonine, a cariatidi grottesche o antropomorfe; la credenza con o senza alzata, a due o
più ante che nell’Italia centrale, e a Firenze in
particolare, si distingue per l’eleganza delle proporzioni e la sobrietà della raffinata decorazione.
C’è da dire infatti che in quest’epoca i legnaioli
dipendono direttamente dagli architetti i quali
progettano i manufatti più importanti oppure
forniscono repertori di forme con i loro trattati
teorici. Così, a Firenze, l’artigianato ligneo
dipende da Baccio d’Agnolo, dall’Ammannati,
dal Buontalenti, dal Vasari, mentre a Venezia gli
ispiratori principali dei locali marangoni [falegnami, maestri d’ascia, carpentieri] sono il
Sansovino e il Palladio.
Il Vasari arriva addirittura a teorizzare una
sorta di legittima continuità professionale fra il
mestiere del legnaiolo e quello di architetto, in
quanto le due attività si fondano entrambe sulla
conoscenza delle forme e sulla pratica del loro
corretto rapporto.” (35)
Già prima del Rinascimento, le varie attività
artigianali e artistiche si erano organizzate in
efficienti corporazioni: queste non avevano,
come alla Corte sabauda, il solo scopo di curare l’addestramento e di controllare la perizia
dei loro affiliati, ma specialmente di salvaguardarne gli interessi, assistendoli in caso di
malattia o in altre necessità.
I “marangoni” veneziani erano divisi in quattro categorie, tre delle quali si dedicavano alla
costruzione di mobili: i “marangoni da noghera”, dediti alla fabbricazione di arredi in noce
senza impiallacciatura; i “marangoni da
remessi”, più raffinati dei primi, ai quali soli
era riservato il diritto di impiallacciare e di
intarsiare; i “marangoni di soazze” che costruivano cornici e anche le finestre delle gondole;
la quarta categoria comprendeva, infine, i
maestri d’ascia e i carpentieri.
In questo contesto e in aggiunta alle testimonianze dell’influsso longobardo ritrovate a
Cividale, le tracce dell’evoluzione subita nel
tempo dall’artigianato ligneo friulano ricompaiono grazie agli studi condotti in questo
senso dal già citato Gortani.
Nel tentativo di recuperare informazioni e
documenti che potessero permettere una ricostruzione attenta e minuziosa delle tradizioni e
delle arti popolari in Carnia, a proposito delle
lavorazioni del legno, lo studioso arriva a concludere che “anche per il settore artigianale dell’intaglio, dove i carnici eccellono, sappiamo
assai poco, eccezion fatta di quelli che passarono nel campo dell’arte. Dagli intagliatori in
legno della Carnia rampollarono verso la metà
del Quattrocento tre famiglie di artefici che nelle
botteghe di Udine acquistarono abilità e rinomanza: Domenico Mioni da Tolmezzo, Martino
(Mioni) da Tolmezzo col figlio Giovanni
Martini e Floriano Floreali col figlio Floreano
delle Catinelle. Artisti che in quei tempi calamitosi acquietarono l’ansia dei conterranei di
abbellire con figurazioni propiziatrici le chiese e
diedero modo ai posteri di constatare a quale
altezza era assurto l’artigianato della scultura
lignea in Carnia fin da quel tempo remoto.
Dei loro discendenti e seguaci opere modeste e
pochi nomi ci sono rimasti. Il numero delle opere
eseguite fa pensare che verso la metà del ‘600
avessero bottega anche in Carnia Giovanni
Antonio Agostini da Udine e Girolamo Comuzzi
e figli da Gemona, con i quali lavorò Giovanni
Paulini da Formeaso: intagliatori cui si devono
le macchinose incorniciature barocche di altari,
a colonnine traforate con intrecci sovraccarichi
di fronde, che adornano tuttora numerose chiesuole dei nostri paesi.” (36)
Il fervore rinascimentale si protrae, dunque,
fino agli inizi del Seicento, preparando un fertile terreno per l’affermarsi di nuove e feconde
– 33 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
correnti di pensiero (si pensi al Classicismo, al
Naturalismo, al Barocco, all’Accademismo)
che imprimeranno al settore artistico, nella sua
più vasta accezione, un impulso di straordinaria intensità dal quale non resteranno immuni,
come si è appena visto, neanche gli artigiani
del legno che operavano in Carnia.
Nel corso del XVII secolo, l’arte di costruire
mobili è protagonista di uno sviluppo senza
precedenti che conduce all’elaborazione di
nuovi manufatti come il tavolo a muro, poi trasformato dalla creatività degli artigiani nella
“console” o il divano, mentre a quelli preesistenti (sedie, scrivanie, stipi ecc.) viene riconosciuta una maggiore importanza alla loro funzione di componenti d’arredo.
“Ebano, noce, bosso, palissandro, ciliegio sono
fra le essenze più usate. Molti dei mobili più
importanti del secolo presentano un carattere
monumentale, ricco e sontuoso, determinato
dagli intagli dorati e dalla coesistenza di legni
rari e di materie pregiate quali la tartaruga,
l’avorio, l’argento, le pietre dure. Si rompono ora
gli schemi rettilinei e si affermano linee curve e
spezzate, elementi scolpiti, torniti, dipinti.
L’arte del mobile italiano, così come le altre arti
applicate, mostra una grande varietà di forme
nelle diverse regioni, più o meno condizionate
dalle tradizioni locali e dalle novità del
Barocco.” (37)
Novità che in Carnia tarderanno ad arrivare e
ad affermarsi poiché la tradizione è ancora saldamente ancorata alla produzione di componenti d’arredo essenziali, dal punto di vista
funzionale, ma fortemente caratterizzati sotto
il profilo del significato simbolico loro assegnato: emblematico, a questo proposito, è il
caso della cassapanca nuziale.
La forma e il sistema di costruzione di questo
genere di mobile rispecchiano antiche caratteristiche, derivate dalle epoca storiche precedenti e condivise, come riferimento culturale e
tecnico, con le popolazioni dell’area circostante, che sono state conservate e mantenute inalterate anche in quelle successive. (38)
A proposito degli esemplari conservati nel
Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari di Tolmezzo, Gortani commenta:
“Il mobile che fu maggiormente diffuso nelle case
della Carnia, e ritenuto indispensabile per fondare
un nuovo focolare, è la cassa o cassapanca nuziale (casse), in cui era contenuto il corredo della
sposa. È logico pertanto che sulla cassa nuziale si
siano concentrate di preferenza l’ingegnosità e la
perizia degli artigiani locali, e si gareggiasse nell’averla elegante, - povera o ricca che fosse –
secondo canoni che ne stabilivano le proporzioni,
che, se anche non risultano da documenti, emergono dal confronto tra gli esemplari superstiti…
… L’ossatura è quanto mai semplice: quattro
assi piane e due fianchi, quasi sempre tutti di
noce e in un pezzo solo ciascuno; i fianchi assicurati con un incastro a coda di rondine. Il lato
posteriore sempre grezzo; i fianchi solo raramente decorati. Coperchio piatto, sporgente
qualche centimetro sulla facciata e sui fianchi,
articolato con cardine a bandelle lanceolate o
gigliate, o (nella bassa Carnia, e specie in tipi
economici), ad anelli accoppiati. La forma
generale è sempre quella del cassone sansovino,
cioè del cassone veneto cinquecentesco.
Internamente su un fianco c’è un ripostiglio con
coperchio ove si mettevano le cose preziose.
Sotto il coperchio, sul davanti e sui fianchi, corre
costantemente un dentello, intagliato da una
serie simmetrica di incavi eseguiti a sgorbia,, in
direzione perpendicolare al coperchio; disegno
del dentello per lo più molto semplice, a guisa di
ugnatura, ma talora variato e aggraziato, ora
soltanto con fossette puntiformi, ora con archetti o incavi arcuati, alternati con le ugnature, ora
con minute festonature, ora inclinando gli incavi
in direzione obliqua al coperchio, ora simulando
col disegno una fila di foglie sfrangiate, o, nelle
casse intarsiate, con una stretta fascia di linee
chiare disposte a zig-zag.
La facciata, secondo il costume friulano, è per lo
più divisa in tre scomparti; due lesene laterali
molto larghe (fino a 20 cm), e un vasto campo
mediano in cui domina un motivo di ornato che
abbraccia il foro della serratura. Talvolta, e
sopra tutto nelle casse più lunghe, si aggiunge
una lesena centrale.” (39)
È in questa tipologia di manufatti che ritroviamo i caratteri di una schietta originalità dai
quali emergono i tratti inconfondibili di quell’identità culturale, propria di quest’area montana, che andavamo ricercando.
Gli stili della regalità francese, affermatisi in
quegli anni in tutt’Europa, o la preziosità del
– 34 –
CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
mobile laccato veneziano, fisicamente assai più
vicino ad essa e potenzialmente in grado di
condizionarla sotto il profilo del gusto, non
intaccano né contaminano la sua fisionomia
originale, nonostante la produzione di questo
genere di mobilio sia stata molto abbondante.
Occorre notare, infatti, che nel caso del mobile
veneziano, “per soddisfare la forte richiesta di
arredi raffinati e al fine di contenere i costi e i
tempi di lavorazione, le maestranze si indirizzavano verso un’alta specializzazione. Esse si dividevano le varie fasi di lavorazione di uno stesso
mobile: agli intaiadori si affiancavano altre
categorie di artigiani che ne completavano l’opera: i tappezzieri, i bolzeri, i doratori, i vetrai, gli
specchieri e, soprattutto, i depentori.
Questo lavoro collettivo spiega come quasi tutti
gli arredi settecenteschi veneziani, anche i più
ricercati, siano rimasti anonimi….
…La metà del Settecento segna il prevalere dell’attività di intaiadori e di depentori su quella
dei marangoni da noghera e da remessi: accanto agli arredi in noce naturale e impiallacciati si
afferma infatti la moda dei mobili intagliati e
laccati. Si usavano raramente, a Venezia, i preziosi legni orientali come il palissandro o il
mogano. Più adoperato di tutti era il cirmolo che
bene si prestava a venir impiallacciato o, essendo tenero e docile all’intaglio, dipinto e laccato.
[A differenza del passato] Eccezionalmente un
intaiadore sottostava alle direttive dell’architetto per rari mobili imponenti, ma solitamente
modellava e scolpiva guidato dal suo estro. Il
mobile veneziano trae la sua bellezza proprio
dall’improvvisazione sia nell’intaglio sia nella
decorazione policroma. I depentori della
Serenissima furono i primi in Italia ad imitare le
lacche cinesi e giapponesi…
… L’intaiadore consegnava il mobile in cirmolo
accuratamente levigato e stuccato al depentore;
questi disegnava e dipingeva la decorazione,
abilmente componendola su superfici piane,
curve, incavi o rilievi, dopo aver steso il colore di
fondo. Poi, per proteggerla, vi stendeva fino a
diciotto strati successivi di vernice trasparente,
la sandracca, preparata seconda svariate ricette. Nei mobili meno costosi, detti appunto a
lacca povera, le scene figurate erano, anziché
disegnate, stampate su carta, ritagliate, incollate e quindi ricoperte di sandracca.” (40)
Il rispetto della tradizione nella costruzione del
mobile in Carnia resiste anche alle influenze
esercitate sul settore dalle mode ottocentesche
e dai successivi suggerimenti avanzati dal
Liberty e dall’Art Nouveau, anche se, attualmente, qualcosa di questo periodo sembra
essere stato assorbito a livello locale ma, per il
momento, ancora in misura marginale e limitatamente a uno specifico comparto: la carpenteria in legno.
Almeno trent’anni prima che il Liberty teorizzasse e divulgasse i propri ideali di rinnovamento, un artigiano austriaco, Michael
Thonet, aveva sperimentato, intorno al 1840,
nuove tecniche per laminare e curvare il legno
in modo da ottenere forme che evitassero o
riducessero drasticamente i costosi sistemi di
modellazione ad intaglio e di connessione ad
incastro.
Il procedimento consisteva nel sottoporre le
lamine di legno, imbevute di colla, al calore e
all’umidità prodotti dal vapore, in modo da
ottenere una massa compatta, elastica e flessibile da sottoporre successivamente a pressione
e a modellatura in forme speciali: una volta
raffreddate, le forme venivano aperte e il legno
si presentava nelle dimensioni e nel disegno
corrispondenti alle singole parti del mobile da
realizzare, che venivano poi assemblate tra loro
mediante semplici viti.
“Il sistema, oltre a consentire una produzione a
livello industriale, anticipava uno dei principi
del moderno design: quello della comprensione
delle caratteristiche del materiale come sistema
generatore non solo di tecniche, ma anche di
forme. Le strisce di faggio incollate, trattate al
vapore e piegate erano provviste infatti di elasticità maggiore rispetto al pezzo di legno massiccio modellato secondo la stessa forma e potevano dar luogo a disegni più liberi piegandosi agevolmente in curve, riccioli, complesse volute che
formavano schienali di sedie, braccioli di poltroncine e divanetti, gambe di tavoli o ganci
appendiabiti.” (41)
Questa tecnica geniale, pensata per ottenere un
diverso e migliore impiego della tradizionale
materia prima, il legno, è stata applicata in una
molteplicità di contesti per la realizzazione di
manufatti inediti: nella patria del suo inventore (e da qualche tempo anche in Carnia, in Val
– 35 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
Canale) essa è oramai applicata con efficacia
ed affidabilità nella produzione del legno
lamellare, prevalentemente destinato ad usi di
carpenteria.
Dal punto di vista tecnico, il legno lamellare
nasce col fine di superare i limiti dimensionali
del tondame dal quale si ricavano le travature:
infatti, da un solo fusto è impossibile ottenere
elementi di sezione e lunghezza necessarie a
consentire la copertura di luci libere superiori
ad una certa ampiezza ed inoltre il portamento tipico dei fusti non consente di ottenere
travi curve, o della curvatura voluta, di sezione sufficiente.
Al primo problema si è ovviato storicamente
tramite la realizzazione di travi composte più o
meno effettivamente collaboranti, ad esempio
tramite giunzioni a dente di sega; quest’ultima
soluzione, la cui prima intuizione si fa risalire
a Leonardo, è attuabile con semplicità, ed è
stata frequentemente utilizzata nel caso di
membrature orizzontali, quali ad esempio le
catene, che devono superare luci molto ampie.
Nel passato, il secondo problema fu affrontato
per la prima volta nel XVI secolo, quando si
sviluppò nei costruttori l’idea di utilizzare il
legno mediante assemblaggio di varie parti per
ottenere centine ed archi.
Il primo tentativo concreto a cui si sappia dare
paternità è stato quello di Philibert Delorme in
Francia, il quale riuniva mediante chiodatura
più tavole in strati sovrapposti dando approssimativamente la forma dell’arco voluto, quindi
profilando con una sega l’estradosso.
Le tavole mantengono la loro planarità e la
trasmissione dei carichi è affidata essenzialmente alla tenuta della chiodatura: il passo
successivo è stato compiuto da Emy nel 1823,
realizzando archi mediante chiodatura di tavole unite in pacchi con bulloni passanti.
In seguito, prima Migneron e poi Wiebeking,
misero a punto un sistema che prevedeva un
arco con lamelle formate da travi curvate a
freddo e tenute a pressione da staffe metalliche,
ma a differenza del francese Migneron, nel
sistema ideato da Wiebeking, il bloccaggio
delle travi era assicurato da biette in legno che
assorbivano le possibili tensioni di scorrimento; infine, nel 1905, con lo sviluppo delle potenzialità prestazionali dei collanti, Hetzer iniziò
ad applicare la tecnica che ha portato alle
attuali strutture in legno lamellare incollato.
In Italia, l’introduzione del legno lamellare
come sistema costruttivo alternativo è storia
recente e ha avuto inizio nella regione alpina
che per tradizione storica possiede una solida
cultura del legno, in Alto Adige: è soprattutto
in Val Pusteria, intorno al 1960, che il lamellare, importato dalla vicina Austria, fa la sua
prima comparsa per essere utilizzato, soprattutto, nella ricostruzione dei fienili dove è
impiegato per sostituire le grandi travi di colmo
in legno massello, introvabili sul mercato.
Fu così, che nel 1970, per non dover ricorrere
all’importazione, un’impresa italiana impiantò
a Bressanone uno stabilimento e iniziò per
prima la produzione del legno lamellare nel
nostro Paese.
Questa moderna tecnologia di utilizzo del
legno, consiste nella divisione del tronco in
tavole, essiccate ed assortite in qualità, giuntate di testa a formare le “lamelle” calibrate in
spessore (di norma intorno ai 33 mm) che vengono successivamente disposte a pacchi e tra
loro incollate a formare le travi, elementi strutturali compositi di dimensioni, sezione e caratteristiche geometriche, svincolate dalla geometria iniziale del tronco.
Le caratteristiche di resistenza meccanica sono
superiori a quelle del legno massiccio da cui
provengono, grazie alla scelta delle tavole ed
alle eliminazioni di tutti quei difetti non compatibili con l’uso strutturale, nonché all’uso di
collanti sintetici ad elevata resistenza, sia meccanica che all’azione prolungata nel tempo
degli agenti atmosferici.
Affinché si possa parlare di travi in legno
lamellare, si deve essere in presenza di più di
due tavole incollate tra loro, lo spessore delle
lamelle di regola non dovrebbe superare i 40
mm e la larghezza i 220 mm: nel caso che la
larghezza superi tale misura si dovrà procedere
ad utilizzare tavole tra loro accostate (procedimento che tuttavia non può essere agevolmente utilizzato nei moderni cicli produttivi automatizzati) oppure snervate tramite fresature
longitudinali.
La lunghezza degli elementi costruttivi non è
limitata, se non da problemi di produzione
(predisposizione degli stabilimenti con spazi ed
– 36 –
CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
attrezzature idonee), di trasporto e di montaggio: la dimensione in altezza della sezione è
condizionata dagli stessi fattori suddetti e in
Italia, di regola, non si superano i 2,20 metri.
Con il sistema costruttivo in legno lamellare,
applicato su vasta scala nel secondo dopoguerra, grazie allo sviluppo ed all’affidabilità raggiunta dai collanti, è possibile realizzare travature in legno a sezione piena di diverse misure,
di lunghezze notevoli ed anche curvate: il tutto
con una crescente automazione degli impianti
di produzione ed con una tendenza sempre
maggiore della filosofia di progettazione, rivolta alla costruzione di prefabbricati.
Senza fare violenza al materiale legno e senza
snaturarlo è, quindi, possibile produrre travature nelle dimensioni e nelle forme volute, tali
da rendere agevole ed economica la realizzazione dei più svariati sistemi statici.
Il comparto della carpenteria, tuttavia, non è
che uno degli ambiti di utilizzo di questa materia prima “ricreata”: a conclusione di questi
brevi, e necessariamente sintetici, cenni storici
sulla tecnologia del legno, crediamo di poter
affermare che, come avvenuto per il passato,
anche per il presente, sarà la fantasia e la creatività degli artigiani contemporanei a suggerirci se con essa si possono realizzare manufatti di
qualità, sia sotto il profilo di un loro impiego
funzionale sia sotto il profilo della loro gradevolezza estetica.
4.2 Artigianato tessile e radici della tradizione
carnica
Se i protagonisti della trattazione appena terminata sono stati il legno e i suoi straordinari
impieghi, soprattutto, nell’ambito delle cosiddette arti minori o arti applicate che dir si
voglia, in quella che seguirà non sarà una specifica materia prima ad attirare la nostra attenzione ma, piuttosto, uno strumento di lavoro, a
dir poco, geniale, utilizzato dall’uomo fin dai
tempi più remoti.
Anche in questo caso, attraverso una sintetica
ricostruzione delle vicende storiche legate
all’evoluzione di questo strumento e delle sue
modalità di utilizzo, dai primordi ai giorni
nostri, andremo a ricercare le tracce che segna-
lano la nascita di una tradizione tessile in
Carnia, fortunatamente sopravvissuta agli
eventi del passato grazie al suo forte radicamento nella cultura locale.
La tecnica della tessitura, conosciuta fin dal
Paleolitico Superiore, è derivata dalla pratica
di intrecciare elementi vegetali come giunchi,
vimini o erbe per ottenere cesti e stuoie: poi,
come forse si ricorderà, le produzioni di specifici manufatti si sono diversificate e sono
diventate autonome.
Il ciclo delle operazioni compiute sulle materie
prime impiegate per produrre il tessuto segue
una logica di addizione graduale che gli studiosi considerano del tutto analoga a quella utilizzata per la realizzazione dei primi manufatti
ceramici finora rinvenuti, appartenenti alla
stessa epoca storica.
Fibre animali e vegetali venivano ritorte a formare fili che, opportunamente e precisamente
interconnessi, servivano a formare strutture e
materiali inesistenti in natura, come gli intrecci e i tessuti: la ricostruzione dei procedimenti
tecnici, messi a punto dai nostri progenitori
per sopravvivere, fornisce elementi estremamente interessanti per formulare l’ipotesi di
una prima suddivisione della “Storia delle tecniche”, operata anche su base sessuale a partire proprio da quel periodo, in due grandi
ambiti di attività.
“Il primo comprende le attività che procedevano
per estrazione e per riduzione, cioè prelevando
dall’ambiente naturale le materie prime e frammentandole progressivamente. Tale ambito
include in primo luogo la caccia e la scheggiatura della selce, attività che ricadrebbero nella
sfera maschile.
Un secondo ambito potrebbe invece includere
attività femminili, quali la fabbricazione della
ceramica e la tessitura, che avrebbero potuto
procedere in senso esattamente contrario, cioè
aggregando parti minori in strutture complesse,
e nell’invenzione di materiali artificiali.
Il rischio di queste interpretazioni è che esse si
basano sui modelli di divisione del lavoro del
mondo moderno ; nessuno può escludere, in realtà, che esistessero cacciatrici abilissime, o che
gli splendidi coltelli solutreani fossero stati fabbricati da donne. È certo, invece, che i più antichi ornamenti, che dovevano essere affissi
– 37 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
mediante fili (perline, alamari, bottoni), si datano a 30.000 ani fa circa; mentre le più antiche
raffigurazioni di copricapi e di perizomi intrecciati, e forse tessuti, si ritrovano proprio sulle
statuette delle Veneri che, come quella di Dolni
Vestonice, risalgono a 23.000 anni fa circa,
quando fanno la comparsa anche i primi aghi in
osso.” (42)
L’ipotesi avanzata, nonostante l’incertezza
delle interpretazioni, appare verosimile, almeno per ciò che riguarda la suddivisione tra
uomini e donne dei ruoli svolti all’interno del
gruppo sociale di appartenenza: la condizione
femminile, come vedremo in seguito, è sempre
stata fortemente discriminata e penalizzata.
Con l’apprendimento della filatura di fibre
vegetali, quali il lino e la canapa, si ottennero
tessuti anche di ottima fattura per quei tempi,
se si considera che erano prodotti su telai poco
più che rudimentali
Il telaio, infatti, anche se realizzato in questa
forma ancora primitiva, rappresenta lo strumento che, a differenza dell’intreccio eseguito
manualmente “hic et nunc”, consente di
approntare in anticipo (oggi diremmo “programmare”) tutte le condizioni (ideazione e
progettazione di un particolare tipo di intreccio, scelta e predisposizione dei materiali da
impiegare, definizione delle operazioni che si
intendono eseguire su di essi ecc.) per ottenere
un manufatto con caratteristiche particolari, il
“tessuto” appunto.
Si tratta, dunque, di utilizzare il filato disponendolo nel modo più appropriato perché possa
essere eseguito il suo intreccio e, proprio prendendo spunto dalla gestualità manuale primigenia, operare opportunamente perché ciò avvenga: questo significa che avendo sistemato e teso
un certo numero di fili in verticale (ordito),
attraversandolo con altri fili disposti in orizzontale (trama), si ottiene un loro intreccio che
costituisce la cosiddetta “armatura” del tessuto.
Da questa prima ed elementare descrizione, si
intuisce facilmente quanto si possa, volendo,
rendere più complesso il procedimento intervenendo su un insieme di variabili combinate tra
loro in modo differenziato: ad esempio, il
materiale utilizzato come filato, le sue dimensioni o il suo colore, per limitare il discorso ad
alcune di esse.
Ciò ha consentito in tempi successivi di riprodurre il manufatto stesso secondo principi di
efficienza e di affidabilità senza porre, peraltro,
limiti alla fantasia e alla creatività di chi lo eseguiva e di trasformare una semplice tecnica in
una vera e propria forma di espressione artistica.
Come è stato anticipato, la ricerca antropologica e le scoperte archeologiche testimoniano
in modo ancora frammentario che le origini
della tessitura sono da far risalire ad epoca
preistorica: bisogna arrivare a tempi relativamente più recenti per ritrovarla come tecnica
oramai affermata, attraverso la quale poter
realizzare un gran numero di manufatti, diversificati tra loro per destinazione funzionale,
accuratezza di esecuzione e qualità estetica.
Studi molto sistematici, condotti sulla civiltà
egizia, rivelano che:
“La tessitura in Egitto risale alle epoche preistoriche. Un frammento di tessuto di lino, a trama
semplice, è stato rinvenuto dentro un vaso in un
granaio datato intorno al 5.000 a. C. (Faijum
A) e, in uno strato sottostante, si trovavano dei
semi di lino. Un telaio orizzontale, formato da
due bastoni fissati al suolo per mezzo di quattro
pioli, su cui sono tesi i fili dell’ordito, è dipinto su
un piatto rosso a decorazione bianca rinvenuto
in una tomba femminile di Badari (fine V millennio). Accanto al telaio sono rappresentate
due figure umane che tendono i fili su uno stenditoio.” (43)
Tra i materiali impiegati per produrre i filati, il
lino era certamente quello utilizzato più frequentemente e in larga misura, mentre le altre
fibre, animali (lana) o vegetali (canapa e altre)
che fossero, erano piuttosto rare, anche per
ragioni diverse dalla loro difficile reperibilità.
“La lana, che pur doveva essere ben nota, data la
presenza di pecore e capre, non sembra fosse
usata, o almeno non era usata nelle sepolture da
cui provengono nella quasi totalità i tessuti
rimasti, forse per interdetti di natura rituale.
Erodoto (II, 81) infatti afferma: “Si vestono di
tuniche di lino, guarnite di frange pendenti sulle
gambe, e che si chiamano calasiris; su di essi gettano mantelli di lana bianca. Ma, vestiti di lana,
non entrano nei templi né si fanno seppellire, chè
sarebbe sacrilegio”. E altrove (II, 37) dice:
“Tutta di lino deve essere la veste dei sacerdoti;
e di papiro i calzari”. Anche nella Bibbia le fibre
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CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
animali sono considerate impure e non devono
essere indossate durante i riti religiosi.” (44)
Se si escludono le lavorazioni di materiali
intrecciati a mano, usati per produrre ceste,
stuoie e attrezzature per la pesca come reti e
nasse, non si ritrovano in quella civiltà, almeno
in epoca più antica, sistemi e tecniche diverse
dalla tessitura.
Un’eminente egittologa inglese riporta a questo riguardo una descrizione sorprendente che
chiarisce in modo più che soddisfacente a
quale livello tecnico si fosse giunti in quei
tempi lontani:
“Gli attrezzi per la tessitura trovati a Kahun
(Faijum) sono forse pochi di numero ma, insieme con i fusi e il filato, ci forniscono molte informazioni sulla pratica della tessitura nella città.
Non vi era traccia in Egitto di apparecchi per
tessere molto primitivi, come il telaio a tensione;
il telaio più antico e unico fino al Secondo
Periodo Intermedio, il telaio orizzontale o a
terra, benché semplice, non è affatto primitivo. È
ancora usato dai tessitori di villaggi e tribù del
Vicino e Medio Oriente, perché è versatile e può
essere facilmente riposto e trasportato in caso di
migrazioni. Esso compare per la prima volta in
Egitto dipinto su un piatto di ceramica da una
tomba di donna di Badari, ed è il telaio usato dai
tessitori di Kahun, che lasciarono dietro di sé un
subbio (rullo) e alcuni portalicci. Si ritiene che
il telaio verticale sia stato introdotto in Egitto
dall’Asia occidentale per opera degli Hyksos
intorno al 1.600 a. C. Questo telaio ha, invece di
un subbio, una fila di pesi attaccati all’estremità
inferiore dell’ordito, può produrre un tessuto più
alto e i tessitori che sono raffigurati nell’atto di
usarlo sono generalmente uomini. Tuttavia, il
telaio orizzontale, secondo la consuetudine egiziana, rimaneva in uso.
Esso consiste di due robusti subbi di legno, il
subbio dell’ordito e quello del tessuto, ciascuno
dei quali è sorretto da pioli infissi nel terreno.
L’ordito è teso sopra i subbi e il tessitore lavora
dalla parte del subbio del tessuto. È più difficile
arrotolare il tessuto finito, e quindi pezze molto
lunghe si tessono più facilmente sul telaio verticale, ma un vantaggio del telaio a terra è che
permette l’inserimento di un certo numero di
bacchette portalicci. Benché si supponga che la
presenza di pesi da telaio in un sito denoti l’im-
piego del telaio verticale, questi si possono
anche appendere ai quattro angoli del telaio
orizzontale, per tenere spaziati regolarmente i
fili dell’ordito.
Per produrre un tessuto semplice si dispongono
attraverso i fili dell’ordito due bacchette portalicci, ciascuna delle quali porta una serie alterna
di fili fissati ad essa mediante asole di spago.
Sollevando una bacchetta, si alza una serie completa di fili alterni formando un’apertura, o
primo passo d’ordito, attraverso cui la navetta
della trama viene passata da un lato all’altro del
telaio. Poi si abbassa questa bacchetta e si solleva l’altra per formare il secondo passo d’ordito,
che permette alla trama di ritornare. Le bacchette portalicci sono sorrette da coppie di pietre
o da appositi sostegni.
Ben sette di questi ultimi furono trovati a Kahun.
Tutti di legno, rozzamente sagomati per adattarsi alla bacchetta portalicci, quattro di peso leggero e gli altri tre di legno pesante e duro.
Uno è anche stato usato come martello. Inoltre,
rimangono tre modellini di sostegni per portalicci
di legno dipinto, forse fatti per divertire i bambini
e risvegliare il loro interesse per la tessitura.” (45)
Come possiamo notare, il problema della sensibilizzazione e dell’orientamento dei giovani
verso il lavoro artigiano veniva avvertito, in
tutta la sua importanza e con evidente preoccupazione, già fin da allora.
Sta di fatto che il telaio orizzontale rimase per
lungo tempo il protagonista assoluto, insieme
alla professionalità degli artigiani che lo sapevano utilizzare, di quella che possiamo rappresentarci come una delle fasi evolutive più significative e importanti nella storia dell’umanità.
La studiosa citata ci ricorda che:
“Questa attrezzatura, praticamente immutata,
servì a tessere tutti i tipi di tessuto conosciuti
sino al termine del Medio Regno, dalla stoffa
finissima, quasi trasparente, a quella medio-fine
per abiti, usi domestici e bende per mummie, e
tela da sacchi grossolana che spesso si trova riciclata come involucro esterno per mummie.” (46)
In coincidenza cronologica con quanto avveniva nel bacino del Nilo circa 5.000 anni fa, possiamo constatare che la tecnica della tessitura
approdava a diversi risultati nella terra compresa più ad est, tra le rive del Tigri e
dell’Eufrate: la Mesopotamia.
– 39 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
Ai fini del nostro studio, il recupero per brevi
cenni di una memoria storica quasi totalmente rimossa, al di fuori del ristretto ambito
accademico e/o dell’expertise, diventa necessario per cogliere l’ampiezza dell’evoluzione di
cui si è parlato poc’anzi, ma anche per stabilire sorprendenti e istruttivi confronti con la
realtà attuale.
Probabilmente ai “non addetti ai lavori” sfuggono le distinzioni e le particolarità di certe
lavorazioni, i loro contenuti tecnici, le abilità e
le competenze necessarie per eseguirle a regola
d’arte ecc., ma è proprio in questo antico contesto che hanno origine le tipologie di manufatti che ancora oggi sopravvivono, magari
profondamente mutate rispetto a quei tempi,
sotto terminologie ricorrenti delle quali è
andata perduta molto spesso la connotazione
semantica.
È così che si scopre l’esistenza di profonde differenze tra i percorsi seguiti da tale evoluzione
all’interno di civiltà coeve che, a prima vista,
apparirebbero ingiustificate e inspiegabili, sul
piano eminentemente ed esclusivamente tecnico, ma che diventano plausibili e comprensibili alla luce dei tratti culturali, etico-religiosi e
di adattamento ambientale che le contraddistinguono.
“Gli Egiziani svilupparono una tecnica di tessitura per il lino che fu chiaramente influenzata
dalla tecnica di intrecciamento della stuoia; la
fibra del lino fu usata solo per la semplice tessitura di stoffa. Né si ammisero elaborazioni tecniche, né si usarono alcuna delle possibilità
offerte dalla sottile e regolare struttura della
fibra del lino e della sua forza elastica.
Quegli accorgimenti tecnici relativamente semplici che così facilmente modellano la struttura
della tela sistemando l’ordito tramite l’uso di
licci furono anch’essi ignorati.” (47)
In assenza di restrizioni religiose come quelle
vigenti in Egitto, le popolazioni nomadi e
sedentarie stanziate nella terra tra i due fiumi
(Sumeri, Assiri, Babilonesi) presero dimestichezza nella filatura e nella tessitura di una
fibra animale largamente disponibile e particolarmente adatta alle condizioni climatiche di
quelle zone, la lana.
“L’arte della tessitura si sviluppò in
Mesopotamia in circostanze differenti. L’uso
naturale del pelo sottile e soffice strappato o
cardato dalla pecora è quello di intrecciarlo
mediante delle stecche e di ricavare da quest’intreccio, usando vapore e pressione, un materiale
pieghevole, caldo e resistente all’acqua. Il prodotto che ne risulta è il feltro.
Vorrei avanzare la proposta che fu appunto il
feltro il prototipo cui si ispirò l’arte mesopotamica di tessere la lana, esattamente come alla
stuoia di canne si ispirò l’arte egiziana di tessere il lino.
In Mesopotamia il tessitore non si preoccupava
della struttura del tessuto. Egli usava grattarlo,
garzarlo e infeltrirlo in superficie per nascondere una qualsiasi struttura visibile e per presentare una superficie liscia e feltrosa. Piuttosto che
usare differenti colori nella trama e nell’ordito
egli amava decorare il prodotto finito con applicazioni, alamari e frange. Dal momento che il
pezzo finito veniva usato come abito nel modo in
cui usciva dal telaio, senza né tagliarlo, né cucirlo, potevano essere aggiunte delle strisce decorative multicolori per ravvivare il tessuto.
Sembra che le popolazioni mesopotamiche siano
state consapevoli del fatto che il livello tecnico
dei loro prodotti tessili fosse inferiore a quello
dell’Occidente. I re assiri nei loro resoconti sul
bottino preso nel corso della loro continua attività bellica contro i loro vicini occidentali si riferiscono agli abiti multicolori non meno frequentemente che all’argento, all’oro e agli altri oggetti preziosi, sicché diviene evidente che essi
apprezzavano moltissimo questi tessuti. Nel
secondo millennio la regione oltre l’Eufrate, fino
ai confini con l’Egitto, sviluppò una tecnologia
tessile che superò tanto quella egiziana che quella mesopotamica specialmente per l’uso di fibre
vivacemente colorate e di altre tecniche decorative, facendo uso probabilmente di un tipo primitivo di tessitura a modello, che consisteva nella
produzione di strette strisce di stoffa. La famosa industria fenicia della porpora deve essere
stata costruita su una lunga tradizione. A causa
della scarsezza delle testimonianze letterarie,
tutta questa evoluzione può essere solo arguita
dalle superstiti descrizioni egiziane e mesopotamiche… Tutto il Vicino Oriente non sembra sia
mai andato al di là del sistema di tessitura ad un
liccio, che si sviluppò in Egitto e in
Mesopotamia da fonti tecnologiche affatto
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CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
distinte, come abbiamo qui cercato di mostrare.
Fu la tecnica cinese a più licci – che permette la
tessitura a modello – a diffondersi verso occidente dall’India al Mediterraneo negli ultimi secoli
del primo millennio e a soppiantare i metodi
arcaici delle prime grandi civiltà.”(48)
Al tempo della fioritura della civiltà greca, la
tessitura utilizzava indifferentemente telai sia a
struttura orizzontale, sia a struttura verticale:
ad essi lavoravano più persone contemporaneamente e la loro larghezza arrivava quasi ai
due metri per produrre tessuti aventi un’altezza tale da potere confezionare tuniche senza
maniche e senza cuciture, come il chitone ionico o quello dorico, aperto su un fianco, indossate, sorrette e adattate alle diverse esigenze
grazie all’impiego di accessori quali borchie,
cinture e fibbie.
Paradossalmente, rispetto almeno alla moderna concezione del termine, con l’avvento della
democrazia ad Atene, “il mutare della natura
della ricchezza che circolava in città cambiò le
usanze matrimoniali, e la donna perse qualsiasi
diritto civile, finendo per esser costantemente
relegata in casa. Si praticava spesso il matrimonio obliquo, nel quale ragazze poco più che adolescenti venivano date in sposa a uomini anziani,
spesso della generazione precedente. La tessitura rimase una fondamentale attività economica,
ma le donne erano condannate a svolgerla, con o
senza l’aiuto di serve, nell’oscurità dei ginecei.
Conocchia e telaio divennero metafore dell’asservimento della donna a una società che tollerava l’omosessualità maschile, ma era maschilista
fino all’ottusità.” (49)
Sembra non ci siano dubbi sul fatto che tale
cambiamento abbia proiettato, in maniera più
o meno direttamente, la sua ombra sulla
costruzione del mito che ruota intorno alla
figura di Aracne che, con la sua triste storia,
sembra riflettere nella realtà quella di molte
altre donne dell’epoca.
Aracne, secondo il racconto di Ovidio, è una
giovane della Lidia, il cui padre, Idmone di
Colofone, era un tintore: la giovane si era
acquistata una grande reputazione nell’arte di
tessere e di ricamare, al punto che le tappezzerie che lei disegnava erano così belle che le
ninfe della campagna circostante venivano ad
ammirarle.
La sua abilità faceva ritenere che fosse stata
allieva di Atena Pallade, la dea delle filatrici e
delle ricamatrici, ma la giovane negava di aver
appreso alcunché dalla dea e affermava che
quella capacità fosse dovuta esclusivamente al
suo innato talento.
Il suo orgoglio, che ci pare umanamente giustificabile, la portò impudentemente a sfidare la
dea a gareggiare con lei, pronta a subire ogni
pena in caso di sconfitta: fu così che Atena le
apparve sotto le sembianze di una vecchia e,
avvicinatala, la consigliò di chiedere perdono
per l’offesa recata alla dea e di evitare, in tal
modo, di scatenare la sua collera.
I consigli rimasero inascoltati e, a rincarare la
dose, Aracne, per nulla intimorita dalle eventuali conseguenze che ne sarebbero potute
derivare, assunse in quel frangente un atteggiamento sprezzante nei confronti della dea: fu a
questo punto che Atena si rivelò in tutta la sua
maestà per raccogliere ed accettare la sfida.
Entrambi si lanciano nella disputa con grande
fervore realizzando ognuna una pezza finemente tessuta e riccamente ricamata: la dea
riproduce il colle di Atene e rappresenta con
dovizia di particolari la contesa accesasi tra i
numi dell’intero Pantheon greco sul nome da
attribuire alla città, mentre Aracne realizza,
con eguale forza descrittiva, scene molto più
prosaiche che ritraggono gli amori indecorosi
ai quali questi si abbandonano.
Atena, constata la perfezione tecnica con la
quale Aracne ha eseguito il suo lavoro, è
impossibilitata a sollevare critiche: neppure la
divina Invidia l’avrebbe potuto fare, dice
Ovidio, ma il disappunto provato dalla dea di
fronte a quel capolavoro è tale da scatenare la
sua collera furibonda
Si avventa sulla tela ricamata che rivelava le
colpe dei numi, la straccia in mille pezzi e con
la spola di bosso, utilizzata per eseguire il lavoro e trovata a portata di mano, colpisce più
volte alla fronte la malcapitata Aracne che,
oltraggiata e in preda alla disperazione, tenta
di suicidarsi impiccandosi.
A questo punto Atena è mossa a compassione
e decide pietosamente di mantenere in vita la
giovane, liberandola dal cappio che le stringeva la gola e infliggendole una severa punizione,
accompagnata da una terribile maledizione.
– 41 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
“Vivi, o malvagia, ma così come ora, pendente
da un filo. E anche tra i tuoi discendenti continui il castigo fino ai tardi nipoti”: immediatamente dopo spruzzò il corpo di Aracne con un
liquido magico che lo trasformò in quello di un
ragno. (50)
La cultura tecnica dei Greci, e come abbiamo
visto, non solo quella, venne assimilata dai
Romani, ma organizzata in modi produzione
schiavistica ai quali molto probabilmente
non potevano sottrarsi neppure le stesse
donne romane, visto che erano ancora gli
uomini a stabilire quali fossero i doveri femminili: “casta, pia, domiseda, lanifica” recitano quasi monotamente le epigrafi funerarie
sulle quali i mariti ricordavano le virtù delle
mogli defunte. (51)
Evidentemente, quello raggiunto dalle arti
muliebri dedite alla filatura e alla tessitura,
doveva essere un livello di sviluppo particolarmente elevato, curato fin dal momento in cui
prendeva forma la materia prima, la lana,
attraverso forme di allevamento del bestiame
che sorprendono per la loro ingegnosità.
Strabone distingueva, infatti, tra la ruvida
lana prodotta dai Galli nella Provenza settentrionale da quella, molto più fine, prodotta
nella stessa regione dai Romani, grazie alla
tecnica di tenere coperti gli ovini con delle
pelli, la stessa che rese famose le lane di
Taranto e dell’Attica. (52)
Bisogna arrivare fino al XIII secolo d. C. per
trovare un telaio i cui licci sono alzati e abbassati per mezzo di un sistema di leve azionato a
pedale e la trama, avvolta su una spola, viene
fatta transitare attraverso l’ordito mediante
una rudimentale “navetta”: fino a quel
momento, dunque, queste operazioni dovevano essere compiute manualmente dal tessitore
ad ogni passo d’ordito.
Intanto, la diffusione della tessitura a modello,
impone gradualmente una tipologia di manufatto di grandissimo pregio, l’arazzo: si tratta
di un tessuto ornamentale destinato soprattutto a rivestire pareti, eseguito a telaio con fili di
seta, lana, oro e argento sul modello di cartoni
figurati realizzati da valenti pittori.
Come abbiamo visto nel capitolo precedente,
se gli architetti ispirarono il lavoro dei falegnami, al punto che la storia del mobile italiano
del Cinquecento finisce col diventare una pietra miliare nella storia dell’architettura monumentale di questo secolo, nel settore tessile
furono i grandi pittori dell’epoca a rifornire di
disegni, che le avrebbero rese famose in tutta
Europa, le arazzerie italiane.
Gli esemplari più antichi, di produzione tedesca, risalgono al XI secolo, ma solo nel XIV
secolo si affermano in Francia, a Parigi e
Arras, città dalla quale il particolare tessuto
eredita il nome, sedi di importanti manifatture
che nel ‘400-‘500 vengono però eclissate da
quelle fiamminghe di Tornai e Bruxelles.
Arazzieri e pittori, come si diceva, collaborano
strettamente: nel 1515-17 Raffaello invia
all’arazziere Pietre Van Aelst di Bruxelles, il
più titolato del momento, dieci cartoni con Gli
atti degli Apostoli che serviranno per realizzare
altrettante splendide opere destinate a impreziosire la Cappella Sistina a Roma, e in contemporanea sorgono anche in Italia, a Ferrara
e a Firenze, le prime manifatture. (53)
Nel ‘600 la scuola francese torna in auge per
merito di Luigi XIV, il Re Sole, che promuove
e sostiene la manifattura della famiglia
Gobelin a Parigi e quella sorta nella città di
Beauvais nel dipartimento dell’Oise, affidando
agli arazzi la massima rappresentazione dei
fasti reali.
“La famiglia Gobelin possedeva una tintoria nel
borgo Saint-Marcel sulle rive della Bièvre, alle
cui acque erano attribuite proprietà eccezionali
per questa industria: lì Enrico IV installava le
manifatture di Francois de la Planche e di Marc
de Comans. Nel 1662 (il primo ministro)
Colbert decide di acquisire e di ampliare questi
primi laboratori per costruirli come centro della
Manifacture Royale des Meubles de la
Couronne. Nel 1667 l’opera di ampliamento è
pressoché terminata e viene concesso uno statuto agli addetti alla tessitura degli arazzi, come
del resto anche agli scultori, ai pittori, ai bronzisti, ai mosaicisti, agli ebanisti, agli orafi attivi in
quella sede: lo statuto indica chiaramente l’intenzione di creare una manifattura a forte organizzazione centralizzata con caratteri di industria protetta.
Attivi nell’ambito delle norme del re, interpretate dal suo ministro, gli addetti alle manifatture
sono artigiani di alto livello legati da un forte
– 42 –
CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
spirito di corpo, ma che hanno perso la loro indipendenza disciplinare ed economica; devono
esplicare il loro talento nell’obbedienza ai programmi culturali e artistici dettati dal potere; ai
maestri inoltre è imposto di reclutare giovani
apprendisti francesi per educarli, nella loro specialità, alla grande arte tipica dell’assolutismo,
avviandoli a perpetuare la tradizione. Singolare
è il fatto che la manifattura reale comprenda
tutte le arti e non solo quella degli arazzi: ma,
proprio per il prestigio della produzione degli
ateliers reali in questo campo, Gobelins diventa
un termine generico sinonimo di arazzi…
… Colbert mette a capo dei Gobelins un solo
maestro con pieni poteri: è lui che deve fornire i
modelli e dirigerne l’esecuzione. La scelta cade
sul pittore Charles Le Brun che in quell’anno, il
1667, aveva quarantadue anni: uscito dall’atelier
di Simon Vouet era stato in Italia tra il 1642 e il
1646, seguendo da vicino la linea di Poussin;
l’atmosfera italiana non l’aveva però distratto
dai suoi doveri di servitore del suo sovrano, nel
cui nome egli esercita subito il proprio potere
assoluto sulla manifattura reale.” (54)
L’arazzo è comunemente considerato come un
tessuto pesante, normalmente in lana, fatto a
mano, a macchina, anche ricamato, usato per
rivestire mobili o pareti e si differenzia da altre
forme di tessuto disegnato per il fatto che le
trame non si estendono lungo tutta l’ampiezza
del tessuto, eccetto rarissime accidentalità del
disegno.
Ogni parte del disegno e dello sfondo è tessuta
con la trama del giusto colore che viene inserito, avanti e indietro, solo nel punto o nella
zona dove questo compare nel disegno.
Tipicamente nella tessitura del tessuto liscio, la
trama passa alternativamente sopra e sotto i
fili d’ordito e nella passata di ritorno, sotto,
dove prima era sopra e viceversa; le trame
coprono completamente i fili d’ordito che
appaiono nel tessuto solamente come una cordonatura parallela più o meno marcata secondo se sono più grossolani o più fini.
A questo punto, vale la pena soffermarsi brevemente sulla tecnica di costruzione dell’arazzo che è certamente un esempio dell’altissima
professionalità raggiunta nell’arte della tessitura dagli artigiani che lo eseguivano, gli
arazzieri.
“L’arazzo viene realizzato con una tecnica che ha
molto in comune con la tecnica tessile, anche se
per alcune particolarità è accostabile al ricamo.
Con il ricamo ha in comune la possibilità di realizzare disegni a colori con particolari talora
finissimi, con grande varietà di contrasti.
Con la tecnica tessile ha in comune l’uso di un
telaio costituito da un rullo, detto subbio (ensouble), sul quale è avvolto l’ordito (chaine), e da
un altro subbio, sul quale viene avvolto il tessuto:
come nel telaio tessile, i fili dell’ordito sono divisi in pari e dispari, tenuti separati da righelli di
legno, chiamati verghe. I fili dell’ordito sono
comandati da licci che, mentre nella tecnica tessile hanno collegamenti meccanici, qui sono
comandati a mano dall’arazziere.
La navetta (broche) passa tra i vari fili dell’ordito, percorrendolo però sempre nei due sensi: la
trama viene così a ricoprire completamente sulle
due facce, ogni filo dell’ordito (passata intera).
Mentre nella tecnica tessile la navetta percorre
l’ordito per tutta la larghezza del telaio, nella
tecnica dell’arazzo la navetta può percorrere
anche solo un tratto dell’ordito, seguendo le linee
di contorno dettate dal disegno.
Così il maestro dei ritratti o il maestro degli
incarnati possono tessere di seguito un intero
volto, un intero braccio, anche se i campi laterali
e superiori al volto o al braccio sono ancora da
tessere o sono già stati tessuti da altri specialisti.
La spola contenuta nella navetta porta avvolto il
filo della trama: in molti casi, avvolto sulla
spola, non vi è un solo filo, ma vi sono più fili, di
diversi colori. Si ottengono così sfumature di
colore, anche disponendo di un basso numero di
filati colorati di base.
Un altro tipo di sfumatura si ottiene attraverso il
cosiddetto tratteggio d’arazzo, che consente di
realizzare campiture di colore, accostando a una
passata intera un’altra passata di tono diverso.
La combinazione dei due accorgimenti tecnici –
avvolgimento sulla spola di più fili di colore
diverso e trame accostate di sfumature diverse –
ha consentito di realizzare già in epoca molto
antica effetti divisionisti: quelli che seguono i
pittori del tardo Ottocento, come Segantini e
Seurat, cogliendo il principio della scomposizione della luce nei colori dello spettro solare e
della sua ricomposizione mediante l’accostamento di colori complementari.
– 43 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
Come per il tessuto, permane la difficoltà nell’arazzo di rappresentare le linee delimitanti
zone di colore diverso, quando esse non siano
perpendicolari all’ordito o alla trama: le linee
oblique risultano quindi spesso seghettate, come
si può riscontrare anche nei damaschi.
Data la possibilità di manovrare i licci solo in
alcuni tratti del telaio, tessendo separatamente
alcune campiture, si possono formare, parallelamente ai fili dell’ordito, linee di stacco, cioè fessure in cui il disegno è segnato da un taglio sottilissimo (hachure) e non da un colore scuro
ottenuto con il filo della trama.
Questo accorgimento indebolisce tuttavia la
consistenza dell’arazzo ed esige l’esecuzione di
ricuciture a mano ad arazzo finito.
La difficoltà delle linee oblique seghettate e la
presenza di linee di stacco solo in parallelo
all’ordito hanno spesso consigliato di tessere
l’arazzo in orizzontale anziché in verticale, realizzando cioè figure, che risultano in piedi nel
cartone, sdraiate. Tale decisone è talora legata
alla necessità di realizzare arazzi con subbi lunghi come il lato breve dell’arazzo e non come il
lato lungo: infatti, data l’estensione di molti
arazzi, il telaio risulterebbe di dimensioni
eccessive.
L’ordito dell’arazzo risulta essere realizzato
dalle origini al Settecento con diversi tipi di filato: la scelta del filato è importante per la durata
del’arazzo, ma non per il suo aspetto, essendo
l’ordito ricoperto dalla trama.
Questa particolarità consente anche di riportare
direttamente sull’ordito le linee di contorno del
disegno, mediante tacche ad inchiostro.
Le tacche dividono la superficie dell’ordito, delimitandola in vari campi, lavorabili ciascuno
separatamente.
L’aumento del numero dei fili dell’ordito – dai
quattro fili per ogni centimetro di rullo, come
negli arazzi più antichi, agli otto fili dei Gobelins
sotto Le Brun – è conseguente alla necessità di
ottenere particolari minuti e sfumature pittoriche, dettate dai quadri ad olio dei grandi artisti
del Seicento.
Per realizzare i volti, veri e propri ritratti, ci si
avvale di specialisti, chiamati ai Gobelins officiers de portraits; per eseguire i nudi ci si serve
dei “maestri degli incarnati”; per le bordure dei
“maestri delle bordure”.
La trama, che è la sola parte in vista dell’arazzo,
è costituita dal filato di lana, di seta, talora di
lino e da fili d’oro e d’argento.
Il filato viene tinto da specialisti, con le varie
couleurs de tapisserie, secondo tecniche coperte
dal segreto.
Il filato della trama viene quindi avvolto sulla
spola, un fuso in legno lungo una ventina di centimetri con un diametro di circa un centimetro.
Su ogni spola può essere avvolto un filo di un
solo colore, o, come si è detto, più filati di più
colori, necessari per ottenere le sfumature. A
ogni spola corrisponde un colore di base o una
sfumatura di base.
Per eseguire l’arazzo, l’arazziere è posto con il
viso verso la finestra e ha davanti a sé l’ordito;
dopo che è stato tracciato sull’ordito il modello
egli collega i vari fili dell’ordito ai licci, per ogni
campo delimitato dal modello, e tirando i fili del
liccio fa passare la navetta con il braccio sinistro
fra i fili pari e quelli dispari dell’ordito, eseguendo così la prima mezza passata. Segue la seconda mezza passata, ottenendo così una passata
intera. La passata è fatta a mano nei telai ad
alto liccio, a pedale in quelli a basso liccio.
Con i secoli si è infatti affermato, accanto al telaio tradizionale detto “alto liccio”, con i fili dell’ordito verticale e subbi in basso e in alto, un tipo
di telaio orizzontale detto “basso liccio”, con i
fili dell’ordito in piano e subbi posti tutti e due in
orizzontale davanti all’arazziere che lavora
appoggiato sul subbio che avvolge l’arazzo finito.
Nell’alto liccio l’arazziere ha la luce davanti a sé
e l’ordito in controluce: lavorando ai licci e
tenendo le spalle al di qua dell’ordito. Egli vede
solo il rovescio dell’arazzo, mentre il diritto
rimane rivolto verso la fonte di luce.
Per vedere l’arazzo lavorato, l’arazziere deve
spostarsi sull’altro lato. Il cartone è invece appeso parallelamente al telaio, dietro la schiena dell’arazziere: questi per vederlo deve volgere il
capo all’indietro. Per semplificare il controllo
dei particolari (disegno e colori) l’arazziere
dispone di un piccolo specchio scorrevole, appeso sul telaio dietro l’ordito; tale specchio gli consente di osservare il cartone senza voltarsi e il
lavoro eseguito senza girare la testa verso l’altra
faccia del telaio.
La grande lentezza del lavoro all’alto liccio – da
mezzo a un metro quadro per ogni arazziere in
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CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
ogni anno di lavoro – ha consigliato l’uso di telai
a basso liccio, più simili a quelli correnti nel settore tessile, con ordito posto in orizzontale: il
basso liccio consente il lavoro di più arazzieri
allo stesso telaio e il comando a pedali per effettuare il passaggio della spola. Nella lavorazione
a basso liccio l’arazziere ha sempre la finestra di
fronte, il telaio di fronte a sé, il cartone dietro la
schiena.
Per semplificare il lavoro, il cartone o una sua
copia è posto in orizzontale, davanti all’arazziere, sotto i fili dell’ordito. Così facendo l’arazziere finisce per realizzare, nell’arazzo ultimato,
immagini speculari rispetto al cartone posto
sotto l’ordito.
Non sono rari, nei primi esempi, arazzi a basso
liccio con scene di guerra nelle quali i combattenti sono tutti mancini, con la spada sempre
nella mano sinistra e lo scudo infilato nel braccio destro. Per evitare questo inconveniente sono
stati realizzati cartoni speculari rispetto
all’arazzo, usando anche tecniche di ricalco
oppure di spolvero, come per gli affreschi, oppure ancora di quadrettatura, come per la riproduzione o l’ingrandimento di un quadro.
La distinzione fra arazzi eseguiti ad alto o a
basso liccio è puramente tecnica: difficile notarla una volta che un arazzo sia staccato dal telaio. La riproduzione speculare (di figure umane,
di sigle) è l’unico indizio che consenta di distinguere un arazzo eseguito a basso liccio da uno
tessuto ad alto liccio. (55)
A questo manufatto “rimane assegnato, anche
nel Settecento, il tema della mediazione fra antico e nuovo: con tutte le resistenze che vengono
da una tecnica complicata e costosa, saldamente gestita all’inizio da dinastie fiamminghe, che
le volontà dei principi europei – francesi e italiani – non riuscivano facilmente a sostituire con
maestranze locali; e insieme con tutte le flessibilità che vengono da un passaggio attraverso i
cartoni, dei temi di una pittura a tesi, secondo i
dettami di una committenza di corte destinata
alle capitali europee.
Il passaggio fra il Seicento e il Settecento avviene sotto il segno della sensibilità, e cioè, per
quanto riguarda gli arazzi, della concreta possibilità di rappresentare in maniera vivida i segni
di un gusto in veloce mutamento, in rapida evoluzione, attraverso tecniche perfezionate.” (56)
Nella seconda metà del Settecento, ultimo
interprete della trasposizione di questo genere
di pittura in cartoni per arazzi sarà il pittore
spagnolo Francisco Goya y Lucientes; la produzione di arazzi decade nell’Ottocento per un
sensibile mutamento del gusto e della moda nel
campo dell’arredo, in particolare di quello
domestico, ma viene ripresa all’inizio del
Novecento: la manifattura francese di
Aubusson, già nota fin dai tempi dei Gobelins,
commissiona cartoni a Pablo Picasso, a Joan
Mirò, a Jean Lurcat.
Resta, comunque, questo il tipo di telaio usato
per diversi secoli con pochissimi miglioramenti, sul quale si sono poi innestati gli studi per la
realizzazione dei telai meccanici che fanno la
loro comparsa nel XVIII secolo: queste macchine erano azionate grazie allo sfruttamento
dell’energia idraulica tramite l’impiego di
ruote e mulini, sistemati lungo i corsi d’acqua.
Nel corso di questo secolo, Francesi e Inglesi
modificarono in continuazione il telaio meccanico fino a renderlo capace di produrre tessuti con piccoli disegni ed armature complesse, arrivando anche a servirsi di meccanismi
tali da inserire in automatismo trame di differenti colori.
È in questo periodo che la produzione di tessuti in Friuli conosce un’espansione senza precedenti che vede come protagonista l’intraprendenza di una nascente imprenditoria locale e
che interessa, in particolare, l’area carnica.
Agli inizi del 1700, la Repubblica di Venezia
versava in uno stato di grave crisi economica e
politica determinata da indirizzi di governo
evidentemente contraddittori e controproducenti, rispetto ai segnali di profonda trasformazione provenienti dal contesto internazionale, tendente a salvaguardare ad oltranza gli
interessi e i privilegi delle classi dominanti con
strumenti opprimenti che penalizzavano ancora una volta le popolazioni residenti nelle aree
più povere e decentrate della sua giurisdizione.
“Un paio di necessarie riflessioni… sullo stato
di salute della Repubblica e dei rapporti con la
Terraferma, devono tuttavia tener conto di un
panorama eteroclito, spesso interpretato, e non
a ragione, unicamente come il riflesso di un progressivo disgregamento delle egemonie, quasi
che l’indebolimento politico seguisse, in stretto
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TRA TRUCIOLI E TELAI
rapporto di causa-effetto, la volontà di difendere il nucleo storico-economico della città con
misure che stringevano sempre di più il laccio
alla vita del Dominio; con il corollario poi di
una classe politica e patriziale parassitaria ed
incapace.
Il progressivo incremento della politica fiscale,
la frammentarietà giuridico-economica, erano
dunque, secondo moraleggianti linee di giudizio,
il risultato palese dei colpi di coda di una struttura politico-sociale in profonda crisi che agiva
in modo addirittura incongruo alla sua stessa
sopravvivenza.
Secondo questa chiave di lettura la cesura con la
storia precedente veniva ampliata nell’opposizione tra l’immagine quattro-cinquecentesca di
uno Stato fondato sulle “spontanee” dedizioni e
sulla difesa dei costumi e dei privilegi locali, e
l’ostilità, pur di lunga tradizione, con cui veniva
mortificata ogni iniziativa che potesse competere con il mito della ricchezza della città…
Il rigido protezionismo applicato dalla
Repubblica e attuato attraverso una ferrea e
mastodontica normativa di dazi e gravezze (si
pensi che nel 1726 nella sola città il denaro pubblico veniva amministrato da 213 casse di 54
magistrature diverse), e un puntuale controllo
doganale di ogni merce in transito attraverso il
territorio, proprio nel Friuli frammentato
com’era da “una pleiade di privilegi e di barriere
difese con sanguinose turbolenze”, pareva scontrarsi con situazioni conflittuali innestandosi in
un tessuto sociale spesso gravato da calamità
naturali, da una congerie di ordinamenti di connotazione medievale e storicamente marginale.
Lo iato sembrava inoltre sottolineato dal mancato assecondamento, da parte della
Serenissima, di quei “segni di nuova vita” e di
fermento economico e commerciale che avrebbe
fatto da controcanto agli ultimi fuochi del
patriarcato, e dal persistere di una identità storica molto singolare confluente nel concetto unitario di “Patria del Friuli”.” (57)
Sta di fatto che le descrizioni del Friuli settecentesco, redatte minuziosamente dai cronisti
dell’epoca, forniscono una conferma diretta
della scarsa attenzione prestata dalla
Serenissima nei confronti delle esigenze manifestate dalle popolazioni residenti sul territorio
amministrato e della necessità improcrastinabi-
le di porre mano allo stato di abbandono in cui,
da troppo tempo, lo stesso territorio era stato
lasciato, con il conseguente risultato di un progressivo impoverimento delle sue capacità economico-produttive e di un sensibile aumento
dello stato di indigenza dei suoi abitanti.
In questo difficile contesto “si rivela l’intatta
vitalità e varietà delle imprese produttive e mercantili borghesi, ma anche aristocratiche, favorite dall’indirizzo liberista dei V Savi alla
Mercanzia e, per alcuni anni, dall’azione della
Deputazione al Commercio.
I settori più attenti e culturalmente informati del
panorama commerciale veneziano sembrano allora prodigarsi, nei primi decenni del Settecento,
nella realizzazione di una integrazione coesiva tra
l’attitudine mercantile di Venezia e un diverso
modello imprenditoriale collegato alla rivitalizzazione delle antiche arti della terraferma.
Lo stesso processo ha luogo in Friuli e in particolare in Carnia, dove era presente una lunga
tradizione nel settore della filatura e tessitura
domestica della lana, del lino e della canapa:
l’obiettivo da raggiungere in questo comparto,
era un prodotto economico, di larga produzione,
che potesse affiancare i tradizionali prodotti di
lusso e contrastare la concorrenza straniera,
soprattutto tedesca, austriaca e svizzera.” (58)
Nel XVIII secolo, infatti, Venezia è l’unico
centro italiano che tenta ancora di reggere il
mercato con una gamma piuttosto ampia di
tessuti preziosi e raffinati, testimoniata da fonti
informative anglosassoni che segnalano la produzione di ingenti quantità di tessuti in oro, in
argento e in seta, realizzate nella città intorno
al 1754. (59)
Per la Repubblica veneta, gli inizi del
Settecento sono caratterizzati, dunque, da un
clima di cambiamento economico-produttivo
che potrebbe essere definito come strutturale e
“non è un caso che i riconosciuti precursori di
questa concreta tendenza al rinnovamento, da lì
a pochi lustri, in tempi di più diffusi dibattiti
illuminati, fossero due imprenditori tessili,
Nicolò Tron e Jacopo Linussio, così diversi negli
esordi, quanto accomunati negli esiti.
Nelle pagine del Dizionario delle arti e dei
mestieri e del “Giornale d’Italia” di Francesco
Griselini, - il più acuto diffusore delle nuove
accezioni economiche nella Repubblica, -
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CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
entrambi verranno infatti celebrati, intorno agli
anni ’60 del Settecento, come i più autorevoli
artefici di nuovi e possibili itinerari economici: il
primo per essere il degno rappresentante di una
nobiltà aurea ancora in grado di riproporsi come
attiva e intraprendente, sensibile ed aperta ai
fermenti culturali di stampo ormai irrinunciabilmente europeo e che all’occorrenza riesce ad
investire ingenti capitali nell’introduzione di
moderne tecnologie in grado di creare nuovi
assetti produttivi; il secondo perché dimostrava
molto praticamente che la prosperità poteva crearsi ovunque quasi dal nulla, da “piccolissimi
principii” che si coniugavano all’acutezza delle
scelte, alla perseveranza del lavoro. Entrambi
comunque meritevoli di aver risanato, tramite il
larghissimo impiego di forza-lavoro, intere aree
antropiche: ed è forse questo l’aspetto di maggiore interesse.
L’impatto sulla realtà sociale friulana, prettamente rurale, di un’attività che arriverà a coinvolgere il lavoro di 30.000 persone (tra diretti
lavoranti e indotto), eviterà il penoso esodo dell’emigrazione fornendo nel contempo la garanzia di un felice dinamismo produttivo il cui successo (elevate produzioni di buona qualità a
costi competitivi), avrebbe avuto riscontro in
provvedimenti della Repubblica, come agevolazioni daziarie, diritti di privativa, incoraggiamenti produttivi.” (60)
Ai fini della presente ricerca, l’attività avviata
da Jacopo Linussio a Moggio (UD), nel lontano novembre del 1717, è inizialmente orientata
a “far pettinar linni pella fabbrica di rigadini et
altre tellerie da biancheggiarsi che venivano
manipolate da tesseri nella provincia della
Cargna.” (61)
Viene acutamente osservato che “si tratta quindi di una lenta partenza, ma sin dall’inizio, si
noti, consapevolmente organizzata su un sistema
di produzione collegato al territorio che prevedeva l’utilizzazione di un prodotto già “manipolato”, semilavorato, accompagnandosi, nella sede
centrale (dove si applicavano le lavorazioni di
più alto mestiere), ad un uso limitato di telai e
operai, conseguentemente mantenendo bassi
salari e minimi investimenti.
È la strategia industriale che sottenderà, coniugando tradizione carnica e nuova imprenditoria,
l’intero ciclo vitale dell’azienda.” (62)
Dopo gli esordi, nel volgere di pochi anni, questa strategia porterà ad una sorprendente
espansione dei livelli produttivi e degli insediamenti manifatturieri sorti sul territorio carnico
per farvi fronte: a quello di Moggio, fanno
seguito gli opifici di Gleria di Moggio e di
Tolmezzo.
“L’attività produttiva, ormai rilevante (se si
pensa che dalla sola manifattura di Moggio uscivano, nel 1725, 3.000 pezze di renzetti con un
impiego di 200 maestri tessitori e 2.500 filatrici
domiciliari), esigeva una accurata previsionalità
che tenesse conto, per un verso, di limitare i costi
produttivi (secondo l’ormai collaudato ciclo
lavorativo, che alle operazioni di rocca e fuso
domiciliari faceva seguire le lavorazioni più specializzate come la tessitura, la biancheggiatura e
la tintura nelle due manifatture), e dall’altro di
sfruttare al meglio, nella progressiva dilatazione
dei mercati, gli indirizzi di carattere mercantilistico propugnati dalla magistratura dei V Saggi
alla Mercanzia e supportati dalle compagini
intellettuali più avanzate.” (63)
Una strategia lungimirante, molto oculata ed
attenta, tra l’altro, a non creare eccessiva competizione e ad evitare possibili conflittualità
con le attività svolte dai tessitori veneziani: “le
tendenze produttive poste in atto dal Linussio
con il virage del 1726 tendevano piuttosto alla
diversificazione e sperimentazione di nuove
linee, in grado di fornire anche tessuti in larga
misura precedentemente importati (servendosi
delle informazioni e dei campioni che probabilmente gli fornivano i commercianti carnici, operanti dalla Boemia alla Baviera) senza pregiudicare dunque i tradizionali prodotti tessili
veneziani.” (64)
Nel Settecento, dunque, dalle manifatture
Linussio usciva una gamma di prodotti estremamente varia e di buona qualità, all’interno
della quale si ritrovavano, accanto a quelli propri della tradizione locale, quelli riprodotti traendo ispirazione da modelli importati da altri
Paesi europei.
“Questi suoi prodotti abbracciano in primis il
“tessuto unito” che utilizzava soprattutto le
fibre di lino ma anche di lana, originando numerose tipologie di stoffa.
In buona parte di esse si evidenzia una caratteristica che ricorre nella produzione Linussio, cioè
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TRA TRUCIOLI E TELAI
quella di avvalersi dell’impostazione dell’ordito
per creare nella stoffa a righe di colore e di
dimensioni diverse, con l’ausilio di una sola
trama monocroma. Nel genere unito, con questa
impostazione, sono stati fabbricati i famosi
“rigadini”.
Righe di colore uniforme, ma anche in tonalità
sfumata, disposte sempre in equilibrati ritmi,
furono usate anche per realizzare i fondi delle
stoffe del genere tessile con decoro, prodotto
anch’esso da una sola trama.
La larga produzione del tessuto unito, che ha
portato a definire la fabbrica Linussio come la
più grande manifattura di “tele” dell’Europa del
Settecento, era affiancata alla fabbricazione di
altre tipologie definite del genere “piccolo operato”, ossia di un tessuto decorato con minuti
apporti di disegno solitamente eseguito con telaio a licci. Questo genere fa parte della cosiddetta transizione e va collocato appunto tra le stoffe “unite” e quelle definite “operate”.” (65)
Una buona parte di questi manufatti, come è
stato detto, è conservata ed è visibile nelle sale
del Museo Carnico delle Arti Popolari di
Tolmezzo (UD), allestito da Michele Gortani
che, motivando la sua iniziativa, individuava
nell’amore per la casa, per la famiglia e per il
lavoro le virtù cardinali della stirpe carnica.
L’obiettivo di rivitalizzare l’economia montana della zona, auspicato dagli attuali continuatori della sua opera, venne raggiunto con successo da Jacopo Linussio nel Settecento, al
quale lo stesso Gortani riconosce le virtù cardinali appena menzionate ricordando che:
“La tessitura era un’antica arte friulana, già fiorita durante il Patriarcato d’Aquileia (ossia
prima del Quattrocento) e nel ‘500 dava pane e
lavoro al gran numero di carnici che portavano
in tutta Europa l’arte loro in cui si dimostravano
“eccellenti e rari” secondo la testimonianza di
Jacopo Valvason di Maniago.
Jacopo Linussio era un uomo di eccezionale perspicacia negli affari, abilità nell’industria, tenacia nel lavoro; e dovette la sua fortuna non soltanto alla capacità delle maestranze e all’eccellenza dei manufatti, ma anche alla abilità con
cui seppe legare la grande industria all’artigianato domestico tradizionale, fino ad avere più di
1.200 telai sparsi nei vari centri abitati della
regione, che lavoravan per lui…
Il residuo di incannatoio per trarre la seta, gli
stampi per decorare stoffe e gli scampoli di rasi
e damaschi che abbiam potuto recuperare dopo
le devastazioni belliche, mostrano con quanto
garbo tutto fosse ordinato e disposto nella
Fabbrica Linussio e presso i suoi collaboratori.
La fabbrica, che era famosa in tutta Europa e
che esportava i suoi manufatti in Asia e in
America, si chiuse ai primi dell’Ottocento. Ma
le sue maestranze artigiane continuarono, sia
pure illanguidendosi via via, a produrre tessuti
durante tutto il secolo, sì da bastare in parecchi
luoghi ai bisogni locali, e da lasciare a noi le
testimonianze visibili di simile attività.
Vogliamo accennare in primo luogo alle coltivazioni di canapa e di lino che perduravano nel
primo decennio del Novecento in tutte le nostre
valli; alle gramole (frac da cjanàipe) e ai pettini (piètins) per dirompere e cardare i manipoli di
fibre, ai fusi (fus) e mulinelli (mulignèi) e alle
conocchie e ai telai superstiti della tessitura casalinga ed ai campioni delle stoffe con essi tessute,
tutti residui di cui è larga rappresentanza nel
Museo Carnico, sì da poter persuadere che perfino una parte delle così dette tovaglie umbre, trovate ancora in buon numero, se pure su disegni di
importazione, erano qui di fattura locale…
Delle tele di lino e di canapa tessute in loco,
abbiam potuto riunire nel Museo Carnico una
ricca serie di esemplari. Sono lenzuola per letti
da uno a due posti, con relative federe, tovaglie e
tovaglioli, asciugamani (sempre di canapa e di
lino); non sappiamo se prodotti a mano in sito
anche i fini tessuti di mussola e batista dei bianchi veli e fazzoletti da testa.
Ma in famiglia non consta che si producessero i
tessuti di maggior pregio, propri della fabbrica
Linussio, quali rasi e damaschi; mentre si tessevano coperte e sopracoperte da letto bianche e
colorate, e, oltre a tutta la biancheria di famiglia, tanto liscia quanto operata, stoffe per
vestiti a molti colori svariati, di lana e mezzalana (lana e canapa), di lino, di cotone, di bavella, di seta.
Circa la versatilità, dei nostri artigiani, il campionario del tessitore Comis di Forni di Sopra,
conservato nel Museo, è veramente istruttivo.
E i documenti rinvenuti a Solars di
Ravascletto… mostrano, con l’eloquenza dei
vecchi stampi, come non soltanto nella fabbrica
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CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
Linussio, ma anche in località sperdute (come
era sino a tutto il secolo XIX la remota
Valcalda) vissero artigiani che sapevano decorare le tele con gli stampi a colori…
Gli ultimi tessitori, sui primi del Novecento,
andavano ancora in giro per vendere la merce di
loro fattura, disposta in pezze sulla crame,
sostegno legnoso in forma di seggiolino che si
adattava con cinghie sulle spalle; i prodotti consistevano per lo più, ormai, in tela di canapa per
biancheria da lavoro e da letto, e solo nei centri
più remoti, come Sauris e Forni di Sopra e di
Sotto, si tessevano ancora coperte da letto anche
in lana colorata con disegni geometrici, e tele di
cotone e di lino. Dovrebbero quindi trovare buon
terreno i tentativi che si fanno per rinnovare l’artigianato della tessitura a mano, che ha nelle
nostre valli così antiche e nobili tradizioni.” (66)
Ritornando alle tappe salienti del processo storico-evolutivo che ha interessato il settore tessile, rileviamo che, all’inizio dell’Ottocento, un
artigiano francese perfezionò i tentativi che si
erano susseguiti per costruire una macchina
che avesse la possibilità di produrre tessuti e
tappeti a grandi disegni e con molti colori,
secondo schemi costruttivi programmati: nacque così il telaio omonimo, tuttora largamente
impiegato, che utilizzando un sistema di schede perforate era in grado di assicurare questo
risultato.
“Nei primi anni del nuovo secolo il tessitore di
seta Jean Marie Jacquard costruiva il primo
prototipo del nuovo telaio meccanico.
Jacquard non era stato il primo a tentare un perfezionamento sostanziale del telaio a trazione;
già nel 1725 Bouchon aveva fatto dei primi tentativi col sistema delle schede e nel 1745
Vaucanson aveva costruito un modello di telaio
ulteriormente perfezionato, ma che si rivelò di
poca utilità pratica.
Nel 1804 Jacquard portò a termine il suo
primo telaio che costituiva il risultato di lunghi
studi e di precedenti scoperte e che presto si
dimostrò non solo di grande valore pratico ma
rappresentò anche il passaggio decisivo da un
artigianato vecchio di secoli alla moderna produzione industriale.
La novità essenziale del nuovo telaio, legato
ancor oggi al nome di Jacquard, sta nel fatto che
il lungo e stancante lavoro del tiratore, che fino
a quel momento doveva preparare, per ogni
nuova istruzione tecnica, le corrispondenti combinazioni di fili dell’ordito, veniva sostituito dal
sistema delle schede perforate.
Inoltre il lavoro veniva enormemente accelerato e fu possibile, per esempio, conservare il corredo di schede di un determinato disegno e ripeterlo poi al momento voluto senza che fosse
necessaria la procedura, incredibilmente complicata, dell’allestimento del telaio fino allora
indispensabile.
I tessitori di seta lionesi, che per primi si erano
trovati in piena crisi economica causata dalla
Rivoluzione, videro nell’invenzione di Jacquard
una minaccia.
Quando questi lasciò Parigi per tornare a Lione,
si trovò in piena rivolta: il nuovo telaio fu bruciato pubblicamente e Jacquard dovette abbandonare di nascosto la sua città natale.
Il nuovo telaio non fu usato fino al 1820 dai tessitori di seta francesi. Ma questo non fu che un piccolo ritardo. Presto o tardi in tutta Europa e
intorno al 1830 i telai meccanici tessevano ogni
tipo di tessuto decorato – di seta o no – come pure
producevano tappeti tessuti a macchina.” (67)
Quindi si può affermare che il telaio meccanico con le sue continue modifiche è diventato la
macchina per tessere. L’attuale tessitura è in
grado di produrre una serie di articoli vastissima, che non solo utilizza tutte le tipologie di
filati prodotti con tutte le fibre conosciute
(animali, vegetali, minerali, artificiali, sintetiche ecc.), ma va dal tessuto per l’abbigliamento e per l’arredamento al tappeto, fino ai pizzi
e ai merletti.
Tutto questo grazie ai continui miglioramenti
tecnici e tecnologici fatti nel corso degli ultimi
trent’anni alla macchina per tessere.
Oggi i telai non hanno più la navetta che interseca i fili d’ordito, ma una coppia di pinze che
trasportano il filo di trama per tutta l’altezza
del tessuto: questa modifica ha permesso di
passare da una velocità di 80/90 colpi al minuto agli attuali 450 colpi al minuto con filati di
pura lana, o ai 600/700 colpi al minuto con
filati più resistenti.
Altra innovazione è la “ratiera” elettronica che
permette di gestire fino a 32 quadri con 6.000
licci leggendo l’armatura in modo computerizzato; i calcoli oggi gestibili da un telaio norma-
– 49 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
le a ratiera, quindi non “Jacquard”, arrivano
fino a otto, mentre su telai manuali non c’era
limite di inserimento dei colori poiché veniva
fatto manualmente. (68)
Per questo motivo l’artigiano poteva esprime la
sua creatività senza limiti, in quanto poteva,
lavorando a mano, dare libero sfogo alla propria fantasia e alla propria creatività: riteniamo
che queste doti e queste capacità siano ancora
presenti e particolarmente vive tra gli artigiani
tessili della Carnia che abbiamo incontrato. (69)
Note
(8) Cfr. BAUSSANO A. A., “Sapori, aromi e cultura. Fare impresa nell’artigianato alimentare in
Piemonte”, REGIONE PIEMONTE- Stendhal,
Torino, 2001.
(9) GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il
Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”,
Catalogo del Museo, Società Filologica Friulana,
Udine, 2000.
(10) CARGNELUTTI R., “Presentazione”, in
GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il
Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, cit.
(11) DEMATTEIS L., “Case contadine nella Carnia
e nel Friuli montano”, Quaderni di cultura alpina,
Priuli & Verlucca, Editori, Ivrea (TO), 1989.
(12) CAMANNI E. e JALLA D., “Il caso e la necessità” in AA. VV., “Prodotti della montagna”, L’Alpe,
n. 9, Priuli & Verlucca, Editori, Ivrea (TO), 2003.
(13) JALLA D., “La tradizione siamo noi”, in AA.
VV., “Prodotti della montagna”, cit.
(14) NIEDERER A., “Mentalità e sensibilità”, in
GUICHONNET P., “Storia e civiltà delle Alpi.
Destino umano”, Jaca Book, Milano, 1987.
(15) BLOCH M., “Lavoro e tecnica nel Medioevo”,
Laterza, Roma-Bari, 1998.
(16) GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il
Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, cit.
(17) Cfr. LEROI-GOURHAN A., “Dizionario di
preistoria”, Vol. I, Culture, vita quotidiana, metodologie, Einaudi, Torino, 1991.
(18) MULLER-KARPE H., “ Storia dell’età della
pietra”, Mondadori, Milano, 1992.
(19) Cfr. GOYON G., “Il segreto delle grandi piramidi”, Newton Compton, Roma, 1985.
(20) ALDRED C., “Gli Egiziani, tre millenni di
civiltà”, Newton Compton, Roma, 1988.
(21) BONGIOANNI A., “Lavori di intreccio per
stuoie e cesti”, in DONADONI ROVERI A. M.,
“Civiltà degli Egizi. La vita quotidiana”, Museo
Egizio di Torino-Istituto Bancario San Paolo di
Torino, Electa, Milano, 1987.
(22) Cfr. DAVID A. R., “I costruttori delle piramidi”, Einaudi, Torino, 1989.
(23) LEOSPO E., “Lavorazione del legno: mobilio
ed ebanisteria”, in DONADONI ROVERI A. M.,
“Civiltà degli Egizi. La vita quotidiana”, Museo
Egizio di Torino-Istituto Bancario San Paolo di
Torino, Electa, Milano, 1987.
(24) DONADONI S., “L’Egitto”, Storia universale
dell’arte, UTET, Torino, 1981.
(25) Cfr. OPPENHEIM A. L., “Uno sguardo generale alla storia economica della Mesopotamia”, in
POLANY K., “Traffici e mercati negli antichi imperi”, Einaudi, Torino, 1978.
(26) Cfr. ARISTOTELE, “Fisica”, II, 2 e 8.
(27) Cfr. PAUSANIA, “Periegesi della Grecia2, V, 11.
(28) REPELLINI F., “Tecnologie e macchine”, in
AA.VV., “Storia di Roma. Caratteri e morfologie”,
Vol IV, Einaudi, Torino, 1989.
(29) Cfr. PAOLO DIACONO, “Historia
Langobardorum”, Rizzoli, Milano, 1991.
(30) CARLI E., “Il Medioevo”, in AA. VV., “Storia
universale dell’arte”, Vol. III, Fabbri Editori,
Milano, 1984.
(31) Il termine “gotico” fu originariamente usato
dagli umanisti del XV secolo per indicare un ben
noto tipo di scrittura medioevale opposto alla scrittura “ romana”. Più tardi, esso fu applicato con connotazione deprezzativi all’architettura (e in seguito
anche alla scultura, alla pittura e alle arti minori) del
periodo compreso fra la fine del romanico e l’inizio
del Rinascimento). Cfr. CARLI E., “Il Medioevo”,
in AA. VV., “Storia universale dell’arte”, cit.
(32) PAOLUCCI A., “Il Quattrocento e il
Cinquecento”, in AA. VV., “Storia universale dell’arte”, Vol. IV, Fabbri Editori, Milano, 1984.
(33) POLVARA G. A., “Quei prodigiosi intarsi di
Fra Giovanni”, Antiquariato, n. 86, Giorgio
Mondatori e Associati, Milano, 1987.
(34) Ibidem.
Con il termine “commesso” si intende, più in generale, il disegno ornamentale ottenuto mediante una
composizione di tessere con mastice su una superficie: in questo caso, Vasari si riferisce alla tarsia.
(35) PAOLUCCI A., “Il Quattrocento e il Cinquecento”,
in AA. VV., “Storia universale dell’arte”, cit.
– 50 –
CULTURA E TRADIZIONE ALPINA: ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ
(36) GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il
Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, cit.
(37) SPINOSA N., MARTINELLI PEDROCCO
E., “Il Seicento e il Settecento”, “Storia universale
dell’arte”, Vol. V, Fabbri Editori, Milano, 1984.
(38) Cfr. BREZIGAR I. M. et alii, “Cassoni popolari nel Goriziano sloveno”, Goriski Muzej, Nova
Gorica, 2001.
(39) GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il
Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, cit.
(40) Cfr. DISERTORI A., NECCHI DISERTORI
A. M.,” Il mobile del Settecento. Italia”, Istituto
Geografico De Agostini-Sotheby’s, Novara, 1985.
La “sandracca” è una resina naturale che si ottiene
dalla Tetraclinis articulata, una conifera dell’Africa
settentrionale, fragile e trasparente, di colore giallo,
inodore, solubile in alcol, etere e acetone, usata in questo caso per la preparazione di una vernice protettiva.
(41) SELVAFOLTA O., “Il mobile del Novecento.
Liberty”, Istituto Geografico De Agostini-Sotheby
Parke Bernet & Co., Novara, 1985.
(42) VIDALE M., “La lunga via dei tessuti”,
Archeo, n. 219, De Agositini Rizzoli Periodici, 2003.
Il Solutreano è una delle maggiori culture del Paleolitico
Superiore, che prende nome dal sito di Solutré, nel dipartimento di Saone-et-Loire, in Aquitania, nel quale sono
stati ritrovati i coltelli citati. Dolni Vestonice è anch’esso
un sito archeologico della Moravia nel quale è stata rinvenuta la Venere preistorica di cui si parla, una statuetta
femminile in terracotta che, al pari delle Veneri coeve
finora ritrovate, presenta, nelle sue fattezze, dei caratteri
sessuali fortemente accentuati.
(43) DONADONI ROVERI A. M., “Civiltà degli Egizi.
La vita quotidiana.”, Museo Egizio di Torino-Istituto
Bancario San Paolo di Torino, Electa, Milano, 1987.
(44) Ibidem
(45) DAVID A. R., “I costruttori delle piramidi”,
Einaudi, Torino, 1989.
(46) Ibidem
(47) OPPENHEIM A. L., “L’antica Mesopotamia”,
Newton Compton, Roma, 1980.
(48) Ibidem. A proposito delle pratiche cultuali delle
civiltà sviluppatesi in quell’area Cfr. BOTTERO J.,
KRAMER S. N., “Uomini e dèi della
Mesopotamia”, Einaudi, Torino, 1992.
(49) VIDALE M., “La lunga via dei tessuti”, cit.
(50) Cfr. OVIDIO, “Metamorfosi”, VI,1-145.
(51) Cfr. CANTARELLA E., “La vita delle donne”
in AA.VV., “Storia di Roma. Caratteri e morfologie”, Vol IV, Einaudi, Torino, 1989.
(52) Cfr. GIARDINA A., “Uomini e spazi aperti” in
AA.VV., “Storia di Roma. Caratteri e morfologie”, cit.
(53) GABETTI M., “Arazzi. Rinascimento e
Barocco”, Istituto Geografico De AgostiniSotheby’s, Novara, 1985.
(54) Ibidem
(55) GABETTI M., “Arazzi del Settecento”, Istituto
Geografico De Agostini-Sotheby’s, Novara, 1985.
(56) Cfr. FORTI GRAZZINI N., “La donazione di
Francesco II Sforza, l’eredità dell’Infante d’Africa e
gli arazzi del Museo del Duomo di Vigevano” in AA.
VV., “Fra trama e ordito 2”, Catalogo della mostra,
Leonardo-De Luca Editori, Roma, 1992.
(57) GANZER G., “La Repubblica e la Terraferma:
il XVII secolo” in AA. VV., “Jacopo Linussio. Arte e
impresa nel Settecento in Carnia”, Regione
Autonoma Friuli-Venezia Giulia e Comunità montana della Carnia, Udine, 1991.
(58) Ibidem
(59) Cfr. DEVOTI D., “L’arte del tessuto in
Europa”, Bramante Editrice, Milano, 1993. Sembra
importante, a questo proposito, riportare il commento dell’Autrice che rileva:
“Discordanti sono i pareri sull’indirizzo della tessitura veneta: da una parte si hanno documentazioni
dirette di disegni veneziani che recano la scritta
“Copiato da un campione di Francia” (disegno del
1765 nella Biblioteca del Musée des Arts Décoratifs
di Parigi), dall’altra il Lalande, nel suo Viaggio in
Italia, fatto nel 1765-1766, parla di sete scadenti prodotte a Venezia e rileva che la moda francese non ha
attecchito molto nella città. Dopo la caduta della
Repubblica Veneta sotto il dominio austriaco, si
sperò in un nuovo potenziamento dell’industria a
seguito dell’apertura dei mercati tedeschi; ciò però
non avvenne, e alla gloriosa manifattura serica veneziana non rimase che ridursi a uno stato semiartigianale di cui a tutt’oggi sopravvivono alcune vestigia.”
(60) GANZER G., “La Repubblica e la Terraferma:
il XVIII secolo”, cit.
(61) Ibidem
(62) Ibidem
(63) Ibidem
(64) Ibidem
(65) ARGENTIERI ZANETTI A., “Introduzione
alle schede tecniche tessili della Manifattura Linussio”,
in AA. VV., “Jacopo Linussio. Arte e impresa nel
Settecento in Carnia”, Regione Autonoma FriuliVenezia Giulia e Comunità montana della Carnia,
Udine, 1991. L’Autrice osserva, in nota, che:
– 51 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
“Ottenere soluzioni di decoro solo attraverso la fase
di preparazione della macchina tessile e non con
l’ausilio manuale dovuto all’inserimento delle trame
broccate, costituisce un genere di produzione a costi
contenuti.”
(66) GORTANI M., “L’arte popolare in Carnia. Il
Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari”, cit.
(67) HEINZ D., “Tessuti”, in HEINZ D., BRUNHAMMER Y., NOUVEL O., ”Tessuti, tappeti e
carte da parati“, I nuovi quaderni dell’antiquariato,
Fabbri Editori, Milano, 1991.
L’introduzione del telaio meccanico non suscitò
solamente le proteste tra i tessitori lionesi: nel 1779
in Inghilterra, a Manchester, importante polo laniero e cotoniero britannico nel quale aveva fatto la sua
comparsa questo nuovo telaio, Ned Ludd si scagliò
contro uno di essi e lo distrusse dando origine, con
questo gesto estremo di protesta, a un movimento
popolare, il luddismo appunto, ostile all’introduzione delle macchine nell’industria, ritenute causa di
disoccupazione e di bassi salari. Tra il 1811 e il 1816
si estese in tutto il Regno Unito, effettuò numerosi
atti di vandalismo contro di esse e subì sanguinose
repressioni. [N. d. A.]
(68) La ratiera (dal francese ratière, trappola per
topi, dalla quale viene qui recuperato un aspetto tecnico) è un dispositivo che comanda il movimento dei
licci nei telai conformemente al disegno che corrisponde all’intreccio voluto. Secondo il tipo di telaio,
tale comando può essere diretto o effettuato mediante apposito meccanismo.
Viene impiegato per creare motivi piccoli a tutto tessuto e in questo caso si parla di disegni eseguiti “a
ratiera”. I tipi più comuni di ratiera sono quelli detti
rispettivamente a semplice alzata, a doppia alzata, a
passo aperto, a passo chiuso, in funzione del diverso sistema di apertura dei licci. Cfr. PAINE M.,
“Tessuti classici”, Rizzoli, Milano, 1991.
(69) Cfr. GRI G. P., “Tessere tela, tessere simboli.
Antropologia e storia dell’abbigliamento in area
alpina”, Forum, Udine, 2000.
– 52 –
5. Le attività svolte dalle imprese artigiane
Le considerazioni di carattere concettuale e
metodologico avanzate nei capitoli precedenti,
formulate nell’intento di attribuire, secondo
fondamenti teorici di carattere interdisciplinare e criteri di rigore e di coerenza scientifica,
una connotazione più precisa e circostanziata
alla terminologia e al contesto operativo nel
quale la stessa viene utilizzata, costituiscono
un utile e, perlomeno, iniziale approccio a
tematiche certamente complesse.
Ad esse, ancorché condivise, si è fatto riferimento specifico nell’intraprendere le attività di
studio e di ricerca sull’artigianato presente
nella zona carnica, per riconoscerlo come artigianato di qualità e di eccellenza.
A tale proposito, le tipologie di attività praticate dalle imprese artigiane, scelte in qualità di
testimoni privilegiati e operanti nel settore delle
lavorazioni del legno e nel settore tessile, sono
state sottoposte ad un’analisi comparata che
mette a confronto le attività economiche rilevate in questi settori dal Consiglio Nazionale
dell’Artigianato e la relativa classificazione
ISTAT delle stesse, in modo da verificare la
loro corretta riconducibilità in quegli ambiti.
Successive valutazioni e raffronti, avviati con le
Associazioni Regionali Artigiane di Categoria,
sulla cui collaborazione la Regione FriuliVenezia Giulia ha potuto contare anche nella
fase della individuazione e della scelta dei testimoni privilegiati, hanno fatto ritenere possibile e metodologicamente corretto pervenire ad
un’ulteriore aggregazione di queste lavorazioni
in comparti omogenei e coerenti, effettuata in
base ai processi tecnologici da esse impiegati.
L’aggregazione ottenuta suddivide l’insieme
delle lavorazioni artistiche, tradizionali, tipiche
ed innovative di qualità realizzate dalle imprese artigiane del settore ligneo prese in esame,
assegnandole a cinque comparti principali:
- Fabbricazione di carpenteria in legno e falegnameria per l’edilizia
- Fabbricazione di mobili;
- Fabbricazione di serramenti;
- Fabbricazione di oggettistica varia;
- Esecuzione di interventi di restauro su
manufatti lignei.
Essa ha trovato oggettivo riscontro e validazione metodologica nella distribuzione delle stesse imprese per tipo di attività svolta, raramente riconducibile ad uno solo dei comparti produttivi prescelti come particolarmente rappresentativi dell’artigianato locale (TAB. 1 )
TAB. 1 - Imprese artigiane del settore ligneo prese in esame per comparto di attività
CASI
COMPARTO
1
Fabbricazione di carpenteria in legno
x
Fabbricazione di mobili
2
3
x
Fabbricazione di serramenti
x
Fabbricazione di oggettistica varia
x
Esecuzione di interventi di restauro
x
Come si rileva dalla tabella, parte delle imprese che costruiscono mobili abbinano a questa
attività prevalente, che rispecchia fondamentalmente quella della tradizione locale, quella
della costruzione di serramenti o quella del
restauro di manufatti lignei: i Casi 4 e 5 sono
aziende artigiane particolari che, pur rientran-
4
5
6
7
8
9
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
do formalmente nel medesimo comparto, eseguono rispettivamente finiture superficiali
(decorazioni pittoriche su mobili tradizionali),
l’una, e interventi di restauro conservativo,
l’altra.
Il che potrebbe significare (e l’ipotesi è confermata per alcuni dei casi esaminati) che, rispet-
– 53 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
to al passato, è stato necessario diversificare la
produzione dei manufatti perché, nello specifico comparto, la sola domanda di manufatti di
qualità, legati alla tipicità e alla tradizione, ha
subito una vistosa contrazione.
La distribuzione per classi di ampiezza del personale occupato delle imprese coinvolte nell’indagine, ad esempio, assume un diverso
significato, a seconda dei comparti in cui si
articolano le attività di settore. (TAB. 2)
TAB. 2 - Imprese artigiane del settore ligneo prese in esame per numero di addetti
CASI
NUMERO DI ADDETTI
1
2
Da 1 a 3
3
4
5
6
7
8
x
x
x
x
x
x
9
Da 4 a 5
Da 6 a 10
x
Superiore a 10
x
x
Nel settore tessile, le imprese esaminate riprendono e innovano profondamente la tradizione
locale di linussiana memoria, re-interpretandola ed arricchendola di nuovi manufatti di
grandissima qualità: arazzi, tappeti, raffinata
biancheria per la casa, capi d’abbigliamento in
lana cotta. (TAB. 3)
Nei singoli comparti appare più evidente, come
avremo modo di vedere meglio in seguito, lo
sforzo prodotto dagli artigiani, per lo più
donne, nel senso dello studio e della ricerca
orientata su più fronti: quello dei manufatti realizzati, dei sistemi di produzione, dei mercati di
sbocco, dei sistemi di comunicazione e così via.
TAB. 3 - Imprese artigiane del settore tessile prese in esame per comparto di attività
CASI
COMPARTO
10 11 12 13
Fabbricazione di arazzi e di tappeti
Fabbricazione di biancheria per la casa
x
x
x
x
x
Fabbricazione di tessuti a maglia e confezione
La distribuzione per classi di ampiezza del personale occupato delle imprese coinvolte nell’indagine, a parte i Casi 10 e 11, riflette la
x
x
struttura tecnologica ed organizzativa, tipica
delle attività svolte nei diversi comparti del settore. (TAB. 4)
TAB. 4 - Imprese artigiane del settore tessile prese in esame per numero di addetti
CASI
NUMERO DI ADDETTI
10 11 12 13
Da 1 a 3
x
Da 4 a 5
Da 6 a 10
Superiore a 10
x
– 54 –
x
x
LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE
In realtà, da questo punto di vista, il Caso 11 è
esemplificativo di scelte imprenditoriali molto
coraggiose e determinate, pur di mantenere in
vita l’attività d’impresa in condizioni operative
e logistiche disagiate; l’azienda, in particolare,
destina solo pochi addetti alla produzione tessile, mentre gran parte della manodopera viene
occupata in altro settore produttivo.
I casi citati sono emblematici del processo di
trasformazione, avvenuto in questi ultimi anni
all’interno del settore, che ha portato ad innovare profondamente i sistemi produttivi pervenuti dalla tradizione ed utilizzati finora, senza
apportare loro significative modificazioni: ad
essa sono state affiancate soluzioni tecnologicamente molto avanzate che consentono di
ottenere manufatti di qualità molto elevata.
Di seguito, all’interno del loro specifico settore
artigiano di appartenenza, questi comparti
verranno presi in esame separatamente per
poter conoscere più da vicino le loro connotazioni peculiari, le trasformazioni in atto e le
problematiche emergenti dal contesto economico-produttivo che li caratterizza.
5.1 Comparti di attività relativi al settore delle
lavorazioni del legno
5.1.1 La fabbricazione di carpenteria
Nel settore delle lavorazioni del legno, questo è
il comparto di attività che, negli ultimi decenni, ha subito il processo di trasformazione e di
innovazione tecnologica più significativo e
radicale, a seguito dell’introduzione di un
materiale con caratteristiche prestazionali
migliori del legno naturale, il legno lamellare.
Come abbiamo visto in precedenza, dal punto
di vista tecnico, il legno lamellare nasce dall’esigenza di superare i limiti dimensionali dei
tronchi degli alberi abitualmente impiegati in
carpenteria ovvero da quel complesso antichissimo di metodi e di tecniche costruttive che
consentono di realizzare strutture portanti,
come ponteggi, travature, pareti ed altre, in
grado di sopportare determinati carichi, in edifici ad uso civile e industriale.
Delle origini storiche di questa nuova tecnologia si è già detto ed è ora il caso di descrivere
brevemente il ciclo di lavorazione che essa uti-
lizza per produrre questo legno re-inventato,
riportandone le fasi principali.
Il processo di produzione del legno lamellare
incollato è l’insieme delle operazioni, eseguite
in un apposito impianto, che consistono essenzialmente nella riduzione del tronco in tavole e
nella loro ricomposizione, tramite incollaggio,
fino a dare origine a elementi di forma e
dimensione prestabilita. Il ciclo di lavorazione
consiste nelle seguenti fasi:
A) Scelta del legname.
Le caratteristiche tecniche del prodotto finito
dipendono ovviamente dalla qualità del materiale di base impiegato e per ottenere risultati
affidabili occorre, dunque, partire da materie
prime aventi caratteristiche il più omogenee e
uniformi possibile.
Qualsiasi tipo di legname può essere potenzialmente utilizzato per tale tecnologia, anche se
scelte tecnico-economiche indirizzano, di fatto, i
produttori verso l’impiego di essenze lignee facilmente reperibili, incollabili e poco costose, compatibilmente con i requisiti richiesti al prodotto
finito: in Europa si utilizza, a questo scopo e in
forma quasi esclusiva, l’abete rosso, mentre, per
la realizzazione di lavorazioni speciali, si impiega talvolta il pino silvestre, il larice e il rovere.
Per la produzione di legno lamellare, le essenze
vengono suddivise dalla normativa internazionale (DIN 1052) in due categorie o classi (I e II
Categoria), che ne individuano la qualità e le
caratteristiche fisico-meccaniche e che condizionano i valori delle corrispondenti tensioni
massime ammissibili.
B) Dimensionamento del materiale.
La normativa appena ricordata, mentre non
fissa la lunghezza minima delle assi, ne limita
invece lo spessore e la sezione trasversale e più
precisamente:
a) l’area della sezione trasversale massima non
deve superare 60 cm2 (per legni di conifera),
50 cm2 (per legni di latifoglia);
b)la massima larghezza consentita è pari a 25
cm per la singola lamella con uno spessore
non superiore a 30 mm, anche se può essere
aumentato fino a 40 mm in elementi costruttivi diritti, i quali non siano esposti a variazioni climatiche rilevanti.
– 55 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
Nella pratica costruttiva le lamelle hanno uno
spessore finito di misura intorno ai 33 mm e
una larghezza pari a quella della sezione trasversale dell’elemento strutturale, normalmente variabile fra 10 e 22 cm, con variazioni
modulari di 2 cm e lunghezza delle lamelle di
400-500 cm.
Nelle travi curve, per limitare le tensioni di curvatura che possono nascere in direzione sia
parallela sia normale alle fibre, il raggio di curvatura degli elementi strutturali in lamellare
deve essere pari almeno a 200 volte lo spessore
delle singole lamelle.
C) Essiccazione.
L’essiccazione è l’operazione che tende ad
ottenere un grado di umidità del legno compatibile col tipo di colla usata per congiungere le
lamelle e, soprattutto, confacente alla destinazione delle strutture realizzate: generalmente
essa deve essere compresa fra il 7 e il 16%,
mentre tra due lamelle successive la differenza
di umidità non deve superare il 4%.
Gli impianti per la produzione di legno lamellare dispongono di essiccatoi nei quali il legname è sistemato in apposite celle e portato al
grado di umidità necessario alla lavorazione ed
alla resistenza richiesta; dopo l’essiccazione,
poiché il tasso di umidità non è regolare all’interno di una stessa lamella, essendo più basso
in periferia che al centro, le lamelle vengono
lasciate riposare per due, tre giorni all’interno
di magazzini prima di essere portate alla linea
di lavorazione.
D) Controllo della qualità delle tavole.
Prima della giunzione, le tavole subiscono un
controllo dell’umidità e della difettosità, più o
meno automatizzato a seconda dell’azienda, il
quale porta all’eliminazione dei difetti più
gravi e delle eventuali sacche di umidità.
La verifica dell’umidità avviene sulle lamelle
prima della loro lavorazione all’estremità di
dimensioni minori (intestatura) per mezzo di
test selezionatore del tipo “passa/non passa”
che consente di eliminare dalla produzione le
tavole fuori dei limiti prefissati.
Le condizioni ambientali, invece, sono costantemente registrate su apposite carte che segnalano eventuali anomalie, evidenziando i valori
che superano i limiti inferiori e superiori delle
bande di controllo: queste verifiche interessano l’intero percorso lungo il quale avvengono
le successive lavorazioni, dall’intestatura alla
pressatura.
Contemporaneamente al controllo dell’umidità delle lamelle, viene effettuato quello visivo
degli eventuali difetti, del legno come, ad esempio, l’eccessivo numero di nodi, gli svergolamenti delle tavole, la disposizione irregolare
delle fibre, le “cipollature” ecc. che vengono
eliminati.
Le tavole, infine, vengono tagliate all’estremità
in modo da eliminare eventuali screpolature
e/o fessurazioni di testa che comprometterebbero la successiva giunzione: questa fase di
lavorazione particolarmente delicata è affidata
a maestranze qualificate e responsabili.
E) Giunzione di testa.
Per realizzare elementi strutturali di lunghezza
maggiore delle singole tavole è necessario realizzare la loro giunzione di testa: di solito le
giunzioni correnti fra le varie lamelle vengono
effettuate con giunti detti “a pettine” o “a
dita” che vengono opportunamente sfalsati al
fine di non indebolire una stessa sezione trasversale o una zona dell’elemento strutturale.
Questo tipo di giunto è oramai considerato,
nella prassi, come il più vantaggioso in quanto
consente di ottenere un’ampia superficie di
incollaggio, è autoserrante, dopo che è stata
effettuata la giunzione, e consente di ridurre gli
sfridi di lavorazione rispetto ad altri tipi di
giunzione quale, ad esempio, il bisello, detto
anche “a becco di flauto”.
Successivamente alla fresatura del profilo di
giunzione avviene l’incollaggio di testa delle
tavole, effettuato da apposite macchine che
applicano forze di compressione variabili in
relazione alla profondità dell’intaglio (pettine)
praticato nei giunti.
F) Piallatura e calibratura delle tavole.
Le tavole così composte vengono piallate, in
modo da offrire superfici piane e lisce, in vista
dell’incollaggio delle facce delle tavole stesse
per la successiva formazione della trave: questo
tipo di operazione, unitamente alla calibratura, attraverso la quale si ottengono tavole di
– 56 –
LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE
spessore costante, evita l’instaurarsi di tensioni
che potrebbero dare luogo alla formazione di
cretti (fenditure) durante la pressatura.
G) Incollaggio delle lamelle.
La scelta delle colle da utilizzare e le operazioni di incollaggio costituiscono, dal punto di
vista operativo e tecnologico, due momenti
particolarmente importanti e delicati del ciclo
produttivo.
Le prime devono instaurare con il legno legami intermolecolari identici a quelli esistenti tra
gli elementi che costituiscono il legno stesso,
cioè le fibre di cellulosa e la lignina, in modo
da garantire, nel piano di incollaggio, lo stesso
legame della corrispondente essenza legnosa.
Le prestazioni in fatto di resistenza fisico-meccanica del collante devono essere almeno eguali
a quelle del legno, in modo che i piani di incollaggio non siano piani preferenziali di rottura.
H) Pressatura.
Per realizzare l’incollaggio fra le lamelle bisogna sottoporre l’elemento strutturale a una
pressione il più possibile uniforme e tale operazione viene effettuata impiegando apposite
presse che agiscono per via idraulica o per via
pneumatica.
L’impresa artigiana (Caso 1), presa in esame
nel corso dell’indagine, ha iniziato la sua attività proseguendo quella precedentemente avviata dal padre dei suoi titolari e praticata in zona
anche da altre aziende artigiane ovvero la segagione del legname, proveniente dal taglio del
patrimonio boschivo locale.
Inizialmente, per un paio di anni l’azienda si è
dedicata a questo genere di attività ma subito
dopo si è orientata verso l’attuale produzione
di travi lamellari che in misura graduale e crescente hanno soppiantato i manufatti tradizionali, nel settore delle costruzioni in cui sono
necessari lavori di carpenteria in legno.
Progressivamente le strategie di sviluppo dell’impresa hanno privilegiato tale ambito economico-produttivo, decisamente avanzato ed
innovativo rispetto alla tradizione artigiana
locale, trascurando quello precedente oramai
obsoleto: la segheria è stata conservata e viene
utilizzata solo in occasione di lavori particolari che qualche cliente richiede espressamente.
5.1.2 La fabbricazione di mobili
Questo è il comparto che ha risentito maggiormente e più profondamente della crisi iniziata
alcuni decenni fa, e tuttora in atto, nel settore
delle lavorazioni artistiche, tradizionali e tipiche del legno nell’area carnica.
Le cause che l’hanno determinata sono molteplici e in primo luogo il rapido processo di
industrializzazione subito dal ciclo tecnologico-organizzativo richiesto per la produzione di
questo genere di manufatti.
Fino intorno agli Anni ‘60, il concetto di arredamento di un’abitazione era legato ad una
visione d’insieme degli spazi che, pur conservando la loro destinazione d’uso, venivano
completati e abbelliti cercando di salvaguardare, il più possibile, il principio della coerenza
estetico-stilistica degli arredi con quello della
loro funzionalità.
Le residenze dei ceti sociali più abbienti erano
arredate in ogni loro angolo e curate in ogni
particolare perché rispondessero a questi
requisiti, mentre in quelli più popolari questa
attenzione era rivolta agli ambienti domestici
che potevano rafforzare il loro prestigio e la
loro immagine sociale (sala da pranzo, camera
da letto) nei quali venivano sistemati, dopo
aver sopportato grandi sacrifici economici, i
manufatti più pregiati e preziosi.
In Carnia, il gusto e il costume di arredare la
propria casa con mobili che ripropongono lo
stile della tradizione locale, sono sempre stati
molto diffusi tra i suoi abitanti e rispecchiano
il loro forte senso di appartenenza e di identità
sociale.
I caratteri peculiari e distintivi di tale tradizione sono stati rilevati, studiati e riprodotti in
base all’esame di documenti e di reperti, risalenti al Seicento e al Settecento e all’esperienza
acquisita nel corso del restauro di esemplari
superstiti, fin dagli inizi del secolo scorso: un
buon numero di questi manufatti è conservato
nel Museo Carnico delle Arti e Tradizioni
popolari di Tolmezzo e questo patrimonio è
una vera e propria miniera dalla quale l’artigianato del mobile di qualità, sia quello di un
tempo sia quello superstite, ha attinto continuamente idee e suggerimenti.
I manufatti costruiti secondo i canoni dello
stile carnico, vengono riproposti al mercato
– 57 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
intorno agli Anni Cinquanta, quando alcuni
valenti artigiani della zona, avendo intuito le
potenzialità di sviluppo dell’artigianato del
mobile di qualità, conseguenti alla riscoperta
della tradizione locale, si erano dati un gran da
fare per cercare di conoscerla meglio, di capirla, di recuperare alcune sue testimonianze,
sotto forma di manufatti scampati alla distruzione e dispersi nel vasto territorio, che sono
poi servite da “campione” per riqualificare e
per specializzare l’attività delle loro imprese.
Ad esempio, dallo studio e dall’analisi di questi reperti si è scoperto che, per motivi diversi
tra i quali rientrano sicuramente il risparmio
economico e la funzionalità, la costruzione del
mobile carnico prevedeva la realizzazione di
alcune parti componenti, per le quali venivano
impiegate essenze lignee di minor pregio
rispetto ai materiali usati per quelle a vista, in
quanto risultavano particolarmente adatte a
diminuirne sensibilmente il peso e il costo.
Schienali e parti posteriori a muro erano
costruiti in legno di abete e di larice, mentre i
rivestimenti, i piani divisori e la parte interna
dei cassetti erano realizzati ancora con legno di
abete o di tiglio: sistemi costruttivi che sono
rimasti gli stessi di quelli praticati attualmente
dalle imprese artigiane del comparto che
abbiamo incontrato.
In tempi più recenti, questa logica legata alla
tradizione locale ha ceduto progressivamente il
passo a quella più pratica, economica e certamente meno impegnativa sotto il profilo del
gusto che contraddistingue il mobile industriale: il comparto della fabbricazione di mobili in
stile ha dovuto confrontarsi con i rapidi e sconvolgenti mutamenti, avvenuti nella realtà economica e sociale italiana a seguito dell’avanzare del processo di industrializzazione, che
hanno inevitabilmente e massicciamente coinvolto nella loro dinamica anche quella friulana.
Questi cambiamenti hanno provocato fenomeni migratori interni al nostro Paese che hanno
interessato in primo luogo le principali aree
urbane delle regioni settentrionali nelle quali
l’edilizia residenziale si verticalizza e riduce
sensibilmente gli spazi abitativi, il ceto popolare cresce a dismisura e le sue nuove capacità di
acquisto vengono orientate sempre più spesso
verso beni di più rapido consumo e di dubbio
gusto: per quel che ci riguarda, in FriuliVenezia Giulia, la costruzione artigianale di
mobili in stile carnico viene confinata in aree
di mercato sempre più anguste.
Molte imprese artigiane del comparto hanno
dovuto trasformare ed adeguare, con notevoli
difficoltà e sacrifici, le loro attività originarie
alle nuove esigenze tecnologico-organizzative e
di mercato; altre hanno dovuto riconvertirle in
forme alternative e/o di ripiego (ad esempio, il
restauro ligneo, la costruzione di serramenti, il
commercio di mobili ecc.) per poter intravedere in queste una prospettiva di continuità e di
sopravvivenza economica; altre, ancora, incapaci o impossibilitate a reggere l’impatto di
queste trasformazioni e di questi mutamenti,
hanno dovuto cessare, purtroppo, il loro lavoro.
Tra le imprese artigiane indagate ritroviamo
evidenti conferme del processo evolutivo che
ha interessato il comparto: alcune di esse (Casi
2, 6, 7), nell’arco di un paio di generazioni, ha
trasformato la produzione originaria, dedicata
esclusivamente alla costruzione di mobili tradizionali e in stile carnico, nella realizzazione
di arredamenti su disegno e di architetture
d’interni che costituiscono attualmente la loro
attività prevalente.
Un aggiornamento indispensabile per soddisfare le mutate esigenze di una clientela certamente esclusiva che affida ad architetti e designers l’incarico di risolvere, sul piano estetico e
funzionale, i problemi riguardanti l’arredamento di abitazioni, di luoghi di lavoro e di
svago.
Talvolta si tratta di progettare e di realizzare
l’arredamento di spazi abitativi o di ritrovo
rispondenti ad esigenze di gusto più moderno
ed attuale; tal altra le richieste sono quelle di
integrare, di adattare, di accostare tra loro
manufatti realizzati in stili diversi; in altra,
ancora, occorre recuperare con gusto, creatività e coerenza estetica soprattutto la funzionalità e la destinazione di certi ambienti.
Da segnalare, infine, come esempio di diversificazione produttiva inconsueta, il caso di
un’impresa artigiana (Caso 2) per la quale
hanno assunto particolare rilevanza le attività
svolte da uno dei soci nel settore della liuteria
con la costruzione e con il restauro di strumenti musicali ad arco, per le quali ha ottenuto
– 58 –
LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE
numerosi e prestigiosi riconoscimenti anche a
livello nazionale.
In questo ambito, egli si è specializzato e fatto
apprezzare nel restauro delle varie tipologie di
strumenti, in particolare dei contrabbassi,
facendosi aiutare in questo lavoro dal figlio
musicista, diplomatosi al Conservatorio.
Per altre imprese artigiane (Casi 8, 9) invece, la
costruzione di mobili rappresenta un’attività
marginale o, addirittura, occasionale: quella
principale è svolta in altri comparti ed è da
questi che saltuariamente provengono queste
commesse di lavoro atipiche.
Si tratta di incarichi assolti con grande soddisfazione ed orgoglio degli artigiani che li eseguono perché rappresentano un esplicito riconoscimento, sia sul piano economico sia su
quello professionale, della loro valenza e della
loro maestria.
Due imprese (Casi 4, 5), infine, di recente costituzione, rientrano marginalmente nelle attività
di comparto in quanto, come è già stato segnalato in precedenza, realizzano sui mobili solo
alcune lavorazioni di finitura superficiale
(decorazione pittorica), ma le ritroveremo tra
breve in quello che si occupa dell’esecuzione di
interventi di restauro su manufatti lignei.
I processi di lavorazione delle materie prime
impiegate e dei singoli particolari che si realizzano nei laboratori delle imprese artigiane del
comparto visitate utilizzano macchine utensili,
attrezzature e strumenti, magari di nuova
costruzione, ma a tecnologia tradizionale, al
pari delle tecniche costruttive e dei procedimenti di finissaggio adottati per la produzione
dei diversi manufatti.
In alcuni casi sono stati introdotti miglioramenti o semplici adeguamenti che rendessero
queste operazioni conformi alle necessità organizzative del proprio lavoro e/o all’evoluzione
tecnologica dei materiali e degli strumenti
impiegati: sono, pertanto, escluse dal ciclo di
produzione dei manufatti fasi di lavorazione in
serie di singoli particolari, perlomeno nell’accezione data a queste trasformazioni in ambito
industriale.
Accade, a volte, che vengano prodotte serie
limitate di componenti necessari alla costruzione di un certo manufatto, ma queste attività
non configurano un’organizzazione delle atti-
vità svolte, paragonabile a quella adottata dall’industria del mobile.
Nella costruzione artigianale di mobili in stile
e di qualità vengono impiegati in prevalenza
materiali grezzi (tavolame), lavorati in proprio
o acquistati sul mercato da grossisti e da rivenditori.
Le essenze lignee più pregiate cominciano a
scarseggiare, l’offerta dei produttori locali si
assottiglia rapidamente e il loro prezzo lievita
in continuazione: tra quelle maggiormente
impiegate ritroviamo il noce, il ciliegio, il rovere, l’olmo, l’abete, il larice, il cirmolo ma, se
necessario, vengono utilizzate varietà di legno
in grado di soddisfare le specifiche esigenze
eventualmente manifestate dalla clientela.
Molto di rado vengono utilizzati materiali
semilavorati che vengono impiegati talvolta, in
alternativa al legno massello per la realizzazione di particolari non in vista.
Le fasi che precedono il ciclo di lavorazione
vero e proprio riguardano l’acquisto della materia prima, le essenze lignee utilizzate per la
costruzione dei manufatti, che viene concluso,
ove possibile, con privati contattati, direttamente o indirettamente, e disponibili alla vendita.
Molto spesso, infatti, la scelta del legname più
adatto alla bisogna riguarda tronchi già tagliati nella stagione e nella lunazione giuste, ma
capita ancora che questa avvenga, come nei
tempi passati, quando le piante sono ancora
vive e vegete (la cosiddetta “stima in piedi”) e
al taglio si provveda successivamente.
In segheria il legname viene ridotto in tavolame di dimensioni adatte alle lavorazioni eseguite in laboratorio che viene poi fatto essiccare in modo naturale all’interno di un deposito
proprio: parlando di noce, ad esempio, lo spessore delle tavole arriva ai 50/60 mm e la durata
della loro stagionatura si protrae, come minimo, per 5/6 anni.
Per certe essenze pregiate si applica e si rispetta una regola empirica che calcola questa
durata in base allo spessore della tavola (un
anno per dieci millimetri di spessore), mentre
per altre come, ad esempio, quelle ricavate
dalle conifere, la stagionatura dura periodi di
tempo di gran lunga inferiori.
Prendendo a riferimento la costruzione di
mobili di pregio artistico, tradizionale o tipico
– 59 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
che rimandano alla cultura materiale della
Carnia, l’insieme delle lavorazioni viene ancora eseguito passo dopo passo, secondo la logica di un artigianato d’altri tempi nella quale
prevaleva l’idea di realizzarli, completamente o
limitatamente alle parti in vista, in legno massello di varietà pregiata.
La preparazione dei singoli componenti, il loro
assemblaggio, il montaggio della ferramenta,
la finitura superficiale vengono eseguite ognuna con le tecniche messe a punto nel passato e
riprodotte fedelmente in laboratorio grazie alla
competenza, alla professionalità e all’esperienza degli artigiani intervistati.
Con altrettanta cura vengono costruiti i mobili e gli arredi moderni, richiesti da eventuali
committenti, per i quali è necessario aver sviluppato una sensibilità particolare nei confronti dell’evoluzione del gusto estetico contemporaneo perché bisogna saperla coniugare
strettamente al medesimo processo che ha interessato le conoscenze tecniche e tecnologiche,
relative ai nuovi materiali adottati per la loro
costruzione e ai sistemi utilizzati per la loro
lavorazione.
5.1.3 La fabbricazione di serramenti
In questo comparto delle lavorazioni del legno
eseguite dalle imprese artigiane prese in esame
viene realizzato l’insieme dei manufatti che tradizionalmente completano la costruzione di
un’unità abitativa e di altro locale destinato ad
usi diversi.
Ne fanno parte infissi, finestre, porte interne ed
esterne, avvolgibili, scuri; in realtà, nella definizione di “serramento”, molto ampia e generica,
sono compresi manufatti che richiedono delle
lavorazioni piuttosto semplici, prive di particolari caratteristiche qualitative dal punto di vista
estetico e funzionale e, come tali, acquistabili a
basso costo, ma anche prodotti di qualità,
caratterizzati da livelli di complessità progettuale e realizzativa estremamente elevati, il cui
valore economico è assai più consistente.
Una tecnologia di costruzione che impiega nel
primo caso macchine utensili e attrezzature
tradizionali, mentre nel secondo caso si avvale
di impianti molto avanzati.
Le imprese artigiane del comparto intervistate
(Casi 3, 8, 9) rispecchiano fedelmente questo
assetto organizzativo ed occupano sul mercato
posizioni molto diverse, sia sotto il profilo
quantitativo sia sotto quello qualitativo.
La prime due utilizzano una tecnologia tradizionale per fabbricare questo genere di manufatti, costruiti esclusivamente su misura e destinati nella loro totalità all’utilizzatore finale, e
integrano rispettivamente la loro produzione
con la fabbricazione di oggettistica varia (Caso
3) e con la costruzione di mobili (Caso 8).
La terza impresa (Caso 9), invece, rivolge la
sua attività sia alla fabbricazione di serramenti
che a quella di mobili e colloca anch’essa l’intera produzione presso la propria clientela: in
laboratorio, la tecnologia tradizionale è affiancata da sistemi di lavorazione innovativi che
consentono di realizzare serramenti speciali.
In questo comparto le innovazioni di prodotto
sono piuttosto rare: quella più significativa e
rilevante è costituita dalla progressiva e sempre
più vasta introduzione nella costruzione di
questi manufatti di materiali succedanei del
legno (alluminio, PVC), accompagnata da
modesti rinnovamenti di natura tecnologica
(sistemi di apertura/chiusura, tipo di finitura
superficiale ecc.), dettati molto di frequente
dalle più diverse esigenze di mercato.
Su questo versante, la domanda di serramenti
tradizionali (porte e finestre) si mantiene su
livelli costanti, mentre per gli altri la richiesta
subisce variazioni meno prevedibili, provocate
da cause diverse (ad esempio, l’avvolgibile sostituito con la persiana tradizionale o lo scuretto).
I serramenti speciali, al contrario, tendono a soddisfare una domanda particolarmente esigente:
molti di questi sono pezzi unici richiesti da clienti particolari o creazioni originali di professionisti
che operano nel settore dell’arredamento.
La loro realizzazione pone alle imprese artigiane
del comparto problemi estetico-funzionali che
vengono risolti con soluzioni progettuali e tecnico-costruttive, a volte, molto avanzate, consentendo in tal modo alle stesse di consolidare in
questo ambito uno specifico “know how”.
Evidentemente le differenti dimensioni aziendali e la diversa impostazione organizzativa
delle imprese artigiane prese in esame si riflettono direttamente sul volume delle loro produzioni che variano tra loro in modo piuttosto
considerevole.
– 60 –
LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE
Nonostante il divario, il ciclo di lavorazione
impiegato per la realizzazione di questi manufatti rimane per tutte loro quello tradizionale:
nella costruzione artigiana di serramenti non è
possibile organizzare una lavorazione in serie,
in quanto il cliente, di norma, si rivolge all’artigiani del comparto perché non ha potuto
reperire sul mercato il manufatto prodotto
industrialmente o perché ha delle esigenze particolari del tutto particolari.
Pertanto, ognuno di tali manufatti si differenzia per il tipo di intervento richiesto per la sua
costruzione: nel caso di serramenti speciali, la
produzione molto spesso è di tipo prototipale
e necessita di approfonditi studi di progettazione e di fattibilità.
Nella costruzione di serramenti, il ciclo di lavorazione realizza i diversi particolari partendo
dal tavolame e da semilavorati che vengono poi
assemblati nel prodotto finito: lungo questo
percorso si succedono lavorazioni e trattamenti che consentono di ottenere manufatti con
caratteristiche qualitative, rilevabili sia sul
piano funzionale sia su quello estetico, molto
diverse.
Di solito la parte esterna di una porta, ad
esempio, è realizzata in legno massello, mentre
quella interna viene costruita utilizzando quasi
esclusivamente materiali alternativi, sottoprodotti della lavorazione del legno ottenuti in
pannelli (tipologie diverse di “tamburati”).
Raramente si fabbrica l’interno in massello
perché chi lo fa deve disporre di tecnologie
adeguate per il trattamento delle essenze lignee
impiegate in quanto gli sbalzi termici e l’umidità possono provocare nel manufatto deformazioni e fessurazioni rilevanti.
Tra le essenze lignee più frequentemente impiegate si utilizzano in prevalenza quelle resinose
d’importazione, provenienti da ogni parte del
mondo e in particolare, per questa zona,
dall’Austria; oramai alcune di esse scarseggiano, mentre altre si affacciano sul mercato in
numero sempre crescente, sulla spinta di una
lenta ma continua innovazione che interessa da
vicino questo comparto.
Sul manufatto finito di falegnameria vengono
poi montati gli accessori (ferramenta) che consentono di completarne l’impiego dal punto di
vista funzionale (cardini, cerniere, serrature,
maniglieria ecc.) ed eseguiti i trattamenti di
finitura superficiale (verniciatura, trattamenti
speciali ecc.).
5.1.4 La fabbricazione di oggettistica varia
Il comparto è stato preso in esame attraverso le
valutazioni espresse da una sola impresa artigiana che si dedica principalmente alla produzione di un’ampia gamma di articoli per uso
domestico e per l’arredamento, facendo rivivere in chiave moderna, la tradizione dell’arte del
legno: i prodotti realizzati, grazie all’utilizzo di
materie prime scelte accuratamente e all’adozione di tecniche di lavorazione particolari,
risultano funzionali ed esteticamente gradevoli.
I materiali lavorati comprendono un gran
numero di essenze lignee autoctone, visto che
l’area montana in cui opera vanta da sempre
un ricco patrimonio boschivo, e le tecniche utilizzate per farlo sono tipicamente artigianali:
tra queste ultime, la tornitura e la sagomatura
del legno massello e di varietà lignee diverse,
incollate tra loro a formare effetti cromatici
particolari, ha un posto di rilievo.
A differenza degli oggetti ottenuti in un sol
pezzo, la realizzazione di alcuni altri richiede,
invece, piccoli assemblaggi che consentono di
ottenere il prodotto finito, conferendogli particolari caratteristiche estetiche e funzionali.
I trattamenti superficiali di finitura dei manufatti, come la levigatura, ad esempio, viene eseguita a mano, mentre quelli eseguiti su oggetti
per uso alimentare prevedono il trattamento
con olio di oliva o la semplice lavorazione del
legno al naturale.
La produzione di oggettistica varia comprende
piatti e ciotole tornite di varie dimensioni, scatole e cofanetti con intarsi in legno policromo
di grande effetto decorativo, un vasto assortimento di taglieri e di taglieri portacoltello con
superfici in marmo o lavorati con motivi a
scacchiera, componenti d’arredo, giocattoli,
suppellettili da cucina ed altri ancora.
Un secondo ambito di attività completa la sua
produzione ed è quello relativo alla fabbricazione
di serramenti che recupera l’esperienza e la professionalità maturata nel tempo dal suo titolare e
costituisce al momento la produzione prevalente.
Sopravvive in questo caso la condizione propria
di molte attività artigiane di un recente passato,
– 61 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
oramai scomparse o riassorbite in quelle superstiti, che fondavano la loro esistenza su un’organizzazione della produzione e del lavoro meno
integrate, in cui potevano emergere e distinguersi le capacità di un valente artigiano.
Nell’impresa artigiana intervistata, la lavorazione dei vari articoli di oggettistica varia è
realizzata in lotti di piccola e di media grandezza per rifornire il magazzino e per soddisfare le specifiche richieste della committenza,
attraverso l’utilizzo di macchinari tradizionali
e automatizzati.
5.1.5 L’esecuzione di interventi di restauro
Le imprese artigiane intervistate che operano
nel comparto sono tre (Casi 2, 4, 5) ma solo
per due di esse (Casi 4, 5) il restauro di manufatti lignei costituisce l’attività principale, mentre per la terza (Caso 2) questo tipo di interventi rappresenta una componente specialistica e complementare, ma pur sempre di rilevanza secondaria rispetto a quella principale, concentrata sulla costruzione di mobili.
Per le prime (Casi 4, 5), l’attività d’impresa è
fondata su un rapporto professionale di stretta
collaborazione tra le due titolari che si potrebbe definire “simbiotico” per gli aspetti di intensa relazione, di forte reciprocità e di sistematico scambio che lo contraddistinguono.
Esse condividono lo stesso laboratorio nel
quale vengono realizzati rispettivamente la
decorazione e il restauro pittorico di mobili
dipinti (Caso 4) e gli interventi di restauro conservativo su manufatti lignei (Caso 5): non
disponendo di manodopera dipendente, all’occorrenza, si impegnano entrambi nei lavori
necessari, ora sull’uno ora sull’altro fronte, per
portare a termine commesse particolarmente
onerose.
Normalmente l’attività svolta dall’una (Caso
4) si colloca al termine del ciclo tecnologico
imperniato sulle lavorazioni del legno che consentono di costruire un mobile per la casa, tra
quelle operazioni che vengono sommariamente e sbrigativamente definite come “finiture”,
anche se in realtà si tratta di interventi di ben
altra natura.
Occorre ricordare, tuttavia, che le tecniche di
costruzione di tali manufatti rimanda a tradizioni artigiane sviluppatesi all’interno di speci-
fiche culture, i cui tratti tipici sono molto spesso rilevabili sui manufatti stessi, attraverso le
lavorazioni e/o le decorazioni eseguite che connotano e che distinguono tra di loro la diversità delle culture stesse.
Un tempo, la zona del tarvisiano (l’area montana in cui operano le due aziende artigiane)
apparteneva all’Austria e il modello culturale e
di vita al quale si rifacevano le popolazioni
locali era quello tirolese, il più prossimo per
contiguità, per affinità linguistica e per origini
etniche: di conseguenza è del tutto normale che
da queste parti vi sia una grande richiesta di
mobili costruiti secondo le forme di quello stile.
Chi vuole arredare la propria casa secondo gli
usi derivati dalla tradizione richiede evidentemente mobili decorati con motivi tratti da
un’iconografia che le è propria: tra i principali
committenti che si rivolgono all’azienda artigiana che si sta esaminando, un posto di rilievo è occupato dai proprietari che hanno acquistato in zona le loro seconde case e che amano
molto abbellire la loro abitazione di montagna
con gli arredi e gli ornamenti decorativi che gli
sono tipici.
Si parte dal mobile finito di falegnameria, che
può essere stato portato in laboratorio direttamente dal cliente o che può essere commissionata a un artigiano del comparto, e da lì
comincia tutta la lavorazione preliminare alla
decorazione pittorica.
Solitamente la superficie del mobile da decorare è grezza e deve essere accuratamente levigata con carta-vetro di grana progressivamente
più fine per eliminare ogni asperità del legno e
renderla perfettamente liscia: era tradizione
impiegare per la sua costruzione essenze lignee
piuttosto povere, come l’abete, che venivano
impreziosite e nobilitate proprio grazie a questo genere di decorazione.
Questo procedimento nasce, infatti, dall’esigenza di abbellire un manufatto realizzato con
materie prime scadenti, perché diversamente
non avrebbe avuto senso ricoprire di vernice le
suggestive venature naturali di legni pregiati
come il noce o come il rovere.
Se si deve lavorare su un mobile nuovo va
innanzitutto eliminata la porosità del legno
stendendo su di esso una vernice apposita
(turapori) perché altrimenti assorbirebbe trop-
– 62 –
LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE
po il colore, mentre se il lavoro viene eseguito,
invece, a tecnica antica per questa operazione
si impiega una colla naturale.
Successivamente la superficie trattata viene
lasciata ad asciugare per poi essere nuovamente levigata in modo da eliminare imperfezioni
residue: eseguite queste prime fasi di lavorazione è necessario decidere se il mobile va dipinto
interamente, dandogli una base di colore che
rispettivamente sarà alla caseina o all’uovo, se
il cliente vuole un prodotto il più possibile
naturale, oppure a tempera o con qualsiasi
altra tecnica più moderna, se lo stesso non
manifesta esigenze particolari.
Per quanto riguarda il disegno la scelta può
variare tra motivi decorativi proposti al cliente o richiesti esplicitamente dal medesimo:
alcuni committenti arrivano in laboratorio
con le idee ben chiare su ciò che vogliono, perché magari hanno visto un certo disegno da
qualche parte, presso un conoscente o su una
rivista d’arredamento.
In questi casi, l’artigiana intervistata rispetta
un codice deontologico che si è imposta e che
esclude la riproduzione della copia esatta dell’originale: piuttosto se lo fa mostrare e ne fornisce un’interpretazione preparando un bozzetto o fornendo precise indicazioni su che
cosa intende fare.
La fase finale del ciclo di lavorazione è la patinatura che serve a dare al mobile l’aspetto di
un manufatto datato e “vissuto” e che viene
realizzata applicando sul mobile una colla speciale: è importante e necessario conoscere, preliminarmente e in modo approfondito, il legno
che si va a patinare, perché altrimenti ne verrebbe fuori un disastro.
Se si tratta di legno mai trattato, ad esempio, la
colla verrebbe assorbita in maniera eccessiva e
renderebbe la superficie di colore troppo scuro:
quella descritta è una fase di lavorazione importante e delicata tanto quanto le altre e, come la
cottura per i cibi, se non viene fatta a puntino,
rischia di compromettere tutto quanto.
Trascorsa una quindicina di giorni dalla patinatura, viene eseguita l’inceratura: queste
sono, dunque, le fasi del normale ciclo di lavorazione anche se ognuna di esse ha le sue caratteristiche particolari: ci sono clienti, ad esempio, che non desiderano la patinatura, ma l’in-
tervistata lo sconsiglia, soprattutto per la pittura tirolese, perché essa costituisce una sua
caratteristica tipica.
Tra le soluzioni che vengono proposte alla
clientela c’è anche una finitura antichizzata o
anticata, realizzata con una tecnica che concepisce e riproduce la pittura come se fosse stata
fatta da un artigiano di secoli fa.
In questo caso viene escluso l’impiego di pigmenti moderni: si utilizzano procedimenti utilizzati in passato come la pittura a uovo o la
pittura alla caseina, tipica del luogo, finiture
con la gomma-lacca o con la cera naturale e si
preparano i diversi colori necessari partendo
dalle “terre”, i loro costituenti originari.
Gli interventi di restauro operati dalla titolare
dell’altra azienda artigiana (Caso 5), invece,
vengono eseguito su manufatti di epoca e di
provenienza geografica diversa che rivestono
interesse artistico, culturale e storico di particolare rilievo: l’insieme di questi oggetti ha
subito, fin dal momento della loro comparsa
nella vita quotidiana, l’azione di degrado e di
progressiva distruzione provocata da eventi o
da processi di natura diversa (antropica, biologica, fisico-chimica, geologica ecc.).
Un fondamentale ed irrinunciabile interesse
conoscitivo per l’intero genere umano è costituito dalla possibilità di mantenere inalterato
questo patrimonio culturale, accumulatosi nel
tempo e giunto fino a noi attraverso i manufatti superstiti, per poterlo trasmettere alle generazioni future, come testimonianza della
nostra civiltà e della nostra evoluzione.
Ciò impone di contrastare in ogni modo, con i
mezzi più adeguati e per quanto possibile, quei
fenomeni che compromettono la sua integrità,
predisponendo azioni appropriate che ne assicurino la sua conservazione o ne restituiscano,
attraverso il restauro, il suo significato e la sua
funzione.
Agli inizi del Novecento si era affermata e consolidata una prassi del restauro che riproduceva i particolari compromessi o andati perduti,
attraverso la costruzione di loro copie e la loro
successiva integrazione e dissimulazione nel
manufatto originale.
Più di recente, tale metodologia ha lasciato il
posto a modalità di intervento che prevedevano
la costruzione di quei particolari utilizzando
– 63 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
materiali diversi (ad esempio, materiali plastici,
plexiglas ecc.), in modo tale che venissero evidenziate la sua localizzazione e la sua estensione.
Attualmente si è ritornati alla metodologia primigenia evidenziando, in questo caso con sfumature di diverso colore, le parti recuperate e/o
restaurate e volendo esplicitamente operare in
questo modo una netta distinzione tra interventi di restauro e interventi di falsificazione
dell’originale.
Una distinzione che pone attualmente interrogativi sempre più pressanti dal punto di vista
dell’etica professionale, visto che i servizi resi
dalle imprese artigiane intervistate si rivolgono
sia
a
una
committenza
pubblica
(Sovrintendenze ai beni artistici e culturali
nazionali) che a una privata (privati cittadini e
mercato antiquario).
Sul primo versante, la correttezza degli interventi eseguiti è rigorosamente controllata in
ogni loro fase, ma è la continuità delle commesse che è messa a rischio da una procedura
di assegnazione degli incarichi incerta e discutibile, mentre sul secondo versante la situazione è completamente ribaltata.
Una maggiore libertà d’azione, esercitata al di
fuori di ogni controllo, può prestarsi ai disegni
truffaldini di operatori, dotati di pochi scrupoli e di scarsa professionalità, che agiscono indisturbati, ora più che mai, in questo specifico
comparto.
Nell’ambito del restauro conservativo di un
manufatto è possibile introdurre una distinzione tra restauro ligneo in senso stretto e restauro
del suo trattamento o decorazione superficiale
(doratura, laccatura, pittura policroma ecc.).
L’intervento di restauro procede da un’attenta
ispezione dei danni inferti da varie cause al
manufatto (reintegro di pezzi mancanti, di
dorature in oro zecchino, di pitture a tempera
ecc.) al restauro ligneo vero e proprio delle
parti compromesse e alla finitura superficiale.
Quelle impiegate in ogni fase dell’intervento
sono tecniche tradizionali delle epoche a cui
appartengono i singoli pezzi che, in alcuni casi,
sono rimaste immutate nel tempo, in altri
hanno subito delle trasformazioni più o meno
significative.
Il procedimento di doratura a foglia, ad esempio, non ha nulla a che vedere con la moderna
doratura eseguita con metodi e prodotti industriali in quanto, a differenza di questa, esso
richiede l’impiego di materiali comuni che
devono essere scelti e/o preparati però con
estrema cura e perizia, come l’oro zecchino,
l’acqua, la colla animale (quella di pelle di
coniglio), l’argilla, il gesso di Francia e altri
ancora.
La maestria nell’eseguire le operazioni di doratura risiede nella capacità e nell’abilità dell’artigiano di rispettare i tempi di esecuzione delle
varie operazioni che consistono nella preparazione delle superfici da dorare (detersione e
sgrassatura, ammannitura, apprettatura, stesura del bolo) e nella doratura vera e propria.
Trascorso un congruo periodo di tempo, per
consentire che il pezzo diventi perfettamente
asciutto, la doratura è seguita dalla brunitura
finale con pietra d’agata: la cautela e l’abilità
con cui devono essere eseguiti i vari passaggi è
fondamentale per la buona riuscita del procedimento.
Le operazioni che si eseguono nel corso di un
intervento per il restauro di un manufatto
ligneo non costituiscono un vero e proprio
ciclo di lavorazione, come lo si potrebbe intendere, ad esempio, nella costruzione di mobili:
men che meno esse si configurano come fasi di
una lavorazione in serie.
È un procedimento che formalmente si differenzia in misura considerevole a seconda della
committenza: gli interventi eseguiti su manufatti sottoposti alla tutela delle Sovrintendenze
ai beni artistici e culturali nazionali devono
rispettare protocolli d’intervento molto rigorosi e dettagliatamente documentati che permettano di accertare la riconoscibilità del restauro
effettuato lungo tutte le sue fasi, mentre per
quelli realizzati su oggetti di proprietà privata,
normalmente, ciò non è richiesto.
Contraddicendo questa prassi, nella scheda
tecnica del restauro effettuato che accompagna
ogni manufatto passato tra le mani dell’artigiana intervistata viene sempre indicato il percorso compiuto in modo tale che, se il cliente
ricorda come erano le sue condizioni al
momento dell’arrivo in laboratorio, quando
verrà a riprenderlo, potrà verificare quali sono
le parti che sono state rifatte proprio sulla base
di quello che troverà scritto su di essa.
– 64 –
LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE
Questo è il modo di procedere per quanto
riguarda l’integrazione, mentre per il resto, se
per esempio c’è un’infestazione di tarli estremamente vistosa e una lucidatura che lascia a
desiderare, di solito si arriva anche a sverniciare il mobile.
Altrimenti si eseguono tutti i passaggi previsti
dal protocollo del restauro tradizionale: il
nutrimento del legno, la ricostruzione di quello che è mancante (la chiusura delle fenditure,
la stuccatura dei fori di tarlo, ecc.), la pulitura
o la sverniciatura, la riverniciatura (che a
seconda del periodo può essere fatta con la
cera, per i manufatti del ‘700 locali, o con la
gomma-lacca che viene data a tampone e non
a pennello).
I materiali utilizzati per il consolidamento
sono sostanze sintetiche prodotte dalla chimica moderna che si prestano egregiamente per
salvare delle parti del manufatto che altrimenti andrebbero perse, mentre le stuccature vengono realizzate impiegando terre ed pigmenti
naturali (il gesso di Bologna e al limite un po’
di colla): c’è una commistione perfetta tra
quelle che sono le nuove sostanze e le antiche
ricette.
I passaggi sono più o meno obbligati e questo
lascia poco all’inventiva: il primo obiettivo che
ci si pone e che non bisogna mai dimenticare
eseguendo un restauro è sempre quello di
rispettare il manufatto, soprattutto perché il
restauro in sé è un intervento estremamente
invasivo, anche se fatto secondo i sacri crismi.
La prima cosa da chiedersi è quanto si va ad
incidere, perché a seconda dello stato di conservazione è consigliabile intervenire il meno
possibile: bisogna, però, stare molto attenti al
famoso tarlo, perché magari il mobile sembra
necessitare di un piccolo intervento ma, se è
infestato, bisogna procedere ad un lavoro più
accurato e profondo per poi permettere, in
futuro, di salvarlo.
Bisogna guardare il mobile, per capire come
lavorare, perché a volte gli interventi rispecchiano strategie duttili ed adattabili ai singoli
casi, per cui magari una volta prima si stucca e
poi si nutre e un’altra viceversa, a seconda di
quelli che sono i risultati di questa attenta
osservazione: i passaggi sono sempre gli stessi
ma molto flessibili e grazie ad essi il mobile
deve tornare al meglio, non come nuovo, perché deve evidentemente conservare le sue
caratteristiche originarie.
Se il manufatto da sottoporre a restauro non è
trasportabile in laboratorio, le operazioni relative iniziano con un sopraluogo, per rendersi
conto della natura e dell’estensione dell’intervento da effettuare.
È in questo preciso momento che si esprime
l’abilità e la competenza del vero restauratore:
bisogna saper “leggere” il manufatto per poter
agire di conseguenza e le informazioni necessarie per farlo correttamente sono già tutte lì,
racchiuse nell’oggetto che si ha davanti, commentano gli “addetti ai lavori”.
Riconoscere la linea, lo stile, l’epoca e ogni
altro elemento significativo che contraddistingue la fattura del manufatto rende possibile la
pianificazione dell’intervento e riduce le possibilità di compiere errori, peraltro sempre possibili: in particolare, sono le tecniche costruttive che sono state utilizzate per realizzarlo, e
non il suo aspetto estetico, che devono essere
osservate.
Sono le tecniche impiegate per la sua costruzione che parlano per lui, sono i dettagli che
normalmente un occhio inesperto non riesce a
cogliere che bisogna “saper leggere”, è una
netta distinzione tra l’essere e l’apparire che
occorre saper fare.
Queste capacità si acquisiscono con l’esperienza e non possono che migliorare se l’artigiano
restauratore è fortemente motivato verso il suo
lavoro perché il processo che si innesca potrebbe essere considerato come una forma di
aggiornamento continuo che ravviva e alimenta la passione per continuare a farlo con dedizione, interesse e piacere.
Questa tensione emotiva che lo stimola a
migliorarsi continuamente, anche quando ha
raggiunto livelli di professionalità molto elevati sta rapidamente scemando e nel comparto
c’è molta confusione ed improvvisazione.
Per quanto concerne i materiali impiegati, le
eventuali integrazioni utilizzano materiali
grezzi, lavorati con tecniche e strumenti tradizionali presso il laboratorio delle imprese artigiane visitate o, se necessario, commissionati
all’esterno, a provetti e fidati colleghi, mentre
per i trattamenti di finitura o di decorazione
– 65 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
superficiale (verniciatura, laccatura, doratura
ecc.) si ricorre a prodotti preparati appositamente o normalmente in commercio.
Questi vengono poi manipolati secondo i dettami e le tecniche acquisiti e perfezionati nel
corso di una lunga esperienza: inutile dire che
tali procedimenti vengono gelosamente custoditi e contraddistinguono l’abilità dell’artigiano che li esegue.
5.2 Comparti di attività relativi alle lavorazioni
tessili
5.2.1 La fabbricazione di arazzi e di tappeti.
In questo comparto produttivo compaiono ben
tre imprese artigiane (Casi 11, 12, 13), ognuna
delle quali si caratterizza per la tipologia dei
manufatti tessili realizzati che rispecchia efficacemente, sia la tradizione locale, tipica del settore,
sia il processo di trasformazione, attualmente in
corso, che mira ad una sua profonda innovazione.
Occorre precisare che la fabbricazione di arazzi e di tappeti non costituisce la loro produzione prevalente o esclusiva quanto, piuttosto,
una sua componente significativa, all’interno
di una sua necessaria diversificazione avente
per oggetto una pluralità di manufatti.
L’attività svolta dall’impresa artigiana (Caso
12) che recupera e utilizza le tecniche del passato è iniziata con la produzione di tappeti realizzati su telaio tradizionale, la sola attrezzatura che ancora oggi viene normalmente impiegata in azienda: successivamente la tipologia
dei manufatti prodotti ha subito una diversificazione tale da consentire una maggiore e più
diretta commercializzazione.
Nella bottega visitata, oltre ai tappeti, oggi
vengono prodotti anche arazzi, stuoie, centrotavola, tappeti da tavolo ma anche sciarpe,
gilet e scialli che vengono rigorosamente tessuti con filati ottenuti da materie prime naturali
e confezionati a mano.
Alcuni capi, come la tovaglieria, utilizzano
stoffe acquistate in Trentino ma vengono lavorati e rifiniti in laboratorio: lo svolgimento dell’intero ciclo produttivo sarebbe stato, in questo caso, troppo impegnativo ed avrebbe comportato una conseguente ed eccessiva lievita-
zione del loro prezzo di vendita e ridotto la
loro commerciabilità.
Quest’ultima, infatti, è strettamente legata al
flusso turistico che raggiunge la località montana nella quale è insediata l’azienda, soprattutto nel periodo estivo, ed è in funzione della
sua stagionalità che viene organizzata la produzione: in questo contesto si alternano
momenti in cui le vendite si concentrano su
particolari manufatti che devono essere pertanto realizzati con buon anticipo.
Non si può parlare, dunque, di produzioni prevalenti ma di produzioni realizzate per rifornire un
magazzino molto ridotto ma di elevata qualità,
visto che il lavoro svolto nell’impresa coinvolge
direttamente le titolari e una loro collaboratrice.
Nella loro bottega-negozio, unico esercizio commerciale predisposto alla vendita di questo genere
merceologico di questo comune della Carnia, vengono anche smerciati altri prodotti dell’artigianato di qualità, come giacche in lana cotta, oggetti in
legno e in ceramica, realizzati da altre imprese artigiane del fondovalle per soddisfare una domanda
di mercato particolare (quella degli oggetti-ricordo) che consente all’azienda di sopravvivere.
Il ciclo delle lavorazioni eseguite in azienda ha
inizio con la tessitura dei filati che provengono
da varie parti d’Italia: questi ultimi utilizzano
esclusivamente materie prime naturali come il
lino, la canapa, la lana e la seta.
Nel caso delle lane impiegate nella realizzazione di tappeti, ad esempio, il fornitore più adatto ad assolvere questo genere di esigenza è
stato individuato in Sardegna, mentre i filati
utilizzati nella produzione di tessuti per la confezione giungono in parte dalla Toscana e in
parte dal Piemonte.
Con questi filati vengono preparati gli orditi
che vengono poi montati su telaio per la successiva tessitura a mano: quest’ultima mantiene le caratteristiche della lavorazione artigianale e i manufatti prodotti si distinguono per la
particolarità dei disegni, d’antica fattura ma
rivisitati, in chiave più attuale, nei loro tratti
geometrici e nelle loro sfumature cromatiche.
Parte dei tessuti realizzati viene poi impiegata per
la confezione di capi che richiedono questo genere di lavorazione e ulteriori interventi di finitura.
Una seconda impresa (Caso 13), invece, realizza piccoli arazzi in lana tessuta a maglia e a
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LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE
questo genere di manufatti affianca la produzione di capi d’abbigliamento di grande qualità, confezionati con lo stesso tessuto, trattato
con il metodo della follatura: di tale produzione e del ciclo di lavorazione realizzato in azienda si parlerà più diffusamente nel capitolo
dedicato a questo specifico comparto.
La terza impresa artigiana incontrata (Caso
11), infine, produce tappeti, arazzi e tessuti per
arredare la casa, gli ambienti di lavoro e ogni
altro luogo a cui si vuole conferire un tocco di
particolare gusto e ricerca estetica che trae suggerimenti e ispirazione, oltre che dai modelli
rivisitati provenienti dalla tradizione locale,
anche dagli esponenti più prestigiosi dell’arte
moderna e contemporanea e che si avvale, sul
piano della creazione e della realizzazione dei
manufatti, di una tecnica compositiva di assoluta eccellenza.
La diversificazione produttiva, come si diceva,
si è resa necessaria per contrastare, da un lato,
la concorrenza sempre più agguerrita che
caratterizza il comparto produttivo e, dall’altro, per ricavarsi una nicchia di mercato nella
quale sono la creatività, la ricerca e l’innovazione a fare la differenza.
Nella produzione di tessuti da arredamento, la
domanda è fortemente influenzata dalle tendenze della moda e da una ciclicità stagionale
che è bene saper prevedere con largo anticipo:
l’esperienza maturata nel corso degli anni passati nell’azienda in cui aveva iniziato a lavorare
è stata di fondamentale importanza per capire
questi fenomeni e per mettere a punto le strategie più adeguate per farvi fronte.
Quando si avverte la possibilità che ci siano
delle eventuali ricadute sulla produzione, conseguenti alle loro dinamiche, è bene correggere
opportunamente i piani di lavoro con interventi mirati: potenziarla o diminuirla, a seconda
dei casi, avviare la ricerca di nuovi prodotti,
farla convergere su quelli alternativi ecc.
Per la titolare dell’impresa artigiana, diversificare significa avere la possibilità di compensare tra loro le opportunità produttive in funzione delle variabili esterne, difficilmente controllabili, che intervengono nel processo di lavorazione e che condizionano il suo normale svolgimento, nella prospettiva di dargli continuità
e occasione di sviluppo.
Dal punto di vista organizzativo, questo modo
di gestire l’attività d’impresa deriva dal fatto
che il settore tessile non offre altre alternative
ed è difficilissimo poter conciliare allo stesso
tempo obiettivi tra loro differenziati.
Per un’azienda artigiana, che solitamente non
può permettersi di fare investimenti significativi sul versante della ricerca e dello sviluppo, è
assai improbabile che si possa arrivare alla
diversificazione: se si accetta la competizione
bisogna impostare il proprio lavoro per reggerla e non si ha la possibilità di fare altro.
Con grande impegno e determinazione la sua
titolare, da alcuni anni, sta cercando invece di
trovare il giusto mix di produzione che consenta di modificare questo stato di cose e i risultati finora ottenuti le stanno dando ragione.
Il ciclo di lavorazione inizia con l’orditura dei
filati scelti per produrre un certo manufatto:
che si tratti di un tendaggio, per il quale si
impiega un filato di lino sottilissimo, piuttosto
che di un tappeto, per il quale si usa un filato
di lana grossolano, il procedimento utilizzato
rimane sempre lo stesso.
Il lavoro si complica evidentemente quando si
ha a che fare con filati molto sottili poiché l’orditura deve essere fatta a mano e, se l’ordito
non viene arrotolato sul subbio con grande
attenzione ed estrema cura, il rischio è quello
di ingarbugliare il tutto, di aver sprecato del
materiale e di dover ricominciare daccapo.
Tappeti e arazzi vengono realizzati su telai verticali in ferro, mentre il tessuto utilizzato per
confezionare tendaggi, tovagliati e altri articoli viene prodotto con telai verticali di legno del
tutto tradizionali.
L’aspetto fortemente innovativo nella lavorazione dei tappeti è costituito dalla tecnica
impiegata, il tufting, che sostituisce il procedimento di annodatura manuale classicamente
utilizzato, ad esempio, nella produzione del
tappeto orientale, mantenendo peraltro la
caratteristica principale di quest’ultimo, il
vello.
L’idea di costruire tappeti impiegando una tecnica diversa da quella tradizionale venne a una
signora statunitense, Catherine Evans, che, nel
1895, ispirandosi al corredo di famiglia, realizzò un copriletto utilizzando a questo scopo
una macchina da cucire modificata.
– 67 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
La tecnica del tufting, infatti, ricorda da vicino
quella utilizzata dalla macchina da cucire nella
quale una bobina di filato alimenta un ago che
infila, attraverso il supporto di ancoraggio, il
filo che formerà il vello del tappeto: il sistema
di produzione, dunque, nella sua forma più elementare, consiste nell’infilare un filo attraverso
un supporto o canovaccio già tessuto formando così un occhiello.
A differenza di quanto accade nella tessitura,
nel tufting il supporto ed il vello non sono prodotti simultaneamente ma il primo, che serve
da ancoraggio per il secondo, è fabbricato preventivamente: una volta disteso su un apposito
telaio, è possibile riportare o tracciare su di
esso un qualsiasi disegno che verrà successivamente riprodotto riempiendo le sue linee e le
sue campiture con un fitto trapunto di occhielli di altezza (quella del vello) uniforme.
Questi, a loro volta, terminate le operazioni di
trapuntatura, potranno essere tagliati o meno,
in modo da ottenere un vello lavorato a velluto o a bouclé.
Fino intorno agli Anni ’30 del secolo scorso, il
tufting rimase una tecnica prettamente artigianale con la quale si fabbricavano copriletto e
tappeti, mentre in quelli successivi divenne un
processo industriale sempre più avanzato, utilizzato attualmente per produrre “moquette”,
in quantità elevatissime e in alternativa alle
tecniche tradizionali (Axminster, Wilton) che
la ottengono per tessitura.
Attraverso questa tecnica, dunque, è possibile
riportare sull’armatura del tessuto le campiture disegnate su un modello in carta, al pari di
quanto facevano i pittori del Settecento con i
loro “cartoni” per istruire gli arazzieri, componendole con un’attrezzatura speciale, azionata
manualmente, che “spara” su di essa fiocchi
(tufts) di filato di materiali, diametro e colore
diversi.
Come nell’arazzo, il disegno del “cartone” è
realizzato al rovescio in modo tale che dopo la
composizione, realizzata necessariamente su
questo fronte, esso compaia correttamente sul
diritto: dopo aver riportato sull’armatura le
linee che delimitano le campiture si procede
riempiendole di “fiocchi” del materiale e del
colore voluti: un intervento successivo uniforma la densità dei fiocchi per unità di superficie,
eliminando il pelo superfluo fino a trasformare il tessuto in un velluto.
Il risparmio di tempo ottenuto nella realizzazione di un manufatto impiegando questa tecnica è certamente notevole se si pensa che,
mediamente, la produzione di un tappeto di
quattro metri quadrati, ad esempio, richiede
all’incirca due giorni e mezzo di lavoro: ma
non è questo il solo vantaggio perché, inoltre,
occorre pensare che il tappeto realizzato è un
esemplare unico, di ottima qualità, che riesce a
spuntare sul mercato un prezzo altamente
remunerativo.
Il tufting è, pertanto, una tecnica di lavorazione molto versatile che consente di produrre
manufatti disegnati in proprio o da una committenza molto particolare: è a questa committenza che la nostra interlocutrice si è rivolta
per far conoscere e per promuovere l’attività
svolta dalla sua azienda.
Si tratta di stilisti, arredatori, mercanti d’arte,
che collaborano normalmente con i più noti
designers esistenti al mondo, ai quali ha illustrato le potenzialità di originalità e di innovazione insite in questo procedimento tecnico e le
possibilità del suo utilizzo per realizzare una
loro commessa.
5.2.2 La fabbricazione di biancheria per la casa
Nel comparto produttivo ritroviamo tre imprese artigiane (Casi 10, 11, 12), ma se per due di
esse (Casi 11, 12), come abbiamo visto in precedenza, la fabbricazione di biancheria per la
casa costituisce una forma di diversificazione
produttiva, per la terza (Caso 10) tale attività è
quella decisamente prevalente.
La produzione realizzata da quest’ultima comprende una ricca gamma di articoli, disegni,
modelli e colori per il tovagliato, gli asciugamani, le lenzuola, i copriletto e i tendaggi: l’impresa artigiana, oltre alla linea classica e
moderna di biancheria per la casa, cura con
particolare attenzione anche una collezione
tradizionale che riproduce alcuni modelli di
tessuti antichi, conservati presso il Museo delle
Arti e Tradizioni popolari di Tolmezzo ed altri,
ricavati da motivi caratteristici regionali.
Il lino, il cotone, la seta e la lana, impiegati
nella tessitura, sono scelti tra i filati di maggior
pregio reperibili sul mercato per poter ottenere
– 68 –
LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE
quei risultati di eccellenza e di qualità, raggiunti sul piano della curatissima fattura e del
raffinato gusto estetico, che contraddistinguono le sue creazioni.
I 4/5 della produzione attuale è riservata a questo genere di biancheria domestica che richiede, oltre alla qualità dei filati utilizzati per confezionare il tessuto, un grande sforzo progettuale per conferire allo stesso motivi e disegni
decorativi che, pur attingendo al repertorio
della tradizione locale, propongono suggerimenti originali ed innovativi inconfondibili.
Il tessuto prodotto con il telaio Jacquard è il
risultato di una straordinaria versatilità di
composizione delle variabili che intervengono
nel processo di lavorazione e, pertanto, con
questa tecnica è possibile realizzare tipologie
di tessuto estremamente elaborate: in azienda
si usano frequentemente i tessuti ornati (broccati, nel linguaggio dei setaioli), come ad esempio, taffetas, rasi, lampassi, damaschi, velluti
ecc., stoffe molto ricche e fitte, slegate al rovescio e ottenute con questo tipo di tessitura per
creare motivi e disegni accentuati, sul diritto,
da superfici e colori contrastanti.
Una produzione esclusiva, di fascia medio-alta
e alta, riservata a una clientela particolarmente esigente e raffinata che ricerca in questo
genere di prodotti un tocco di eleganza abbinato alla loro quotidiana funzionalità, per arredare la propria casa e per soddisfare il proprio
gusto personale: il titolare dell’impresa artigiana sottolinea, con giustificato orgoglio, che
sono ormai pochissime le tessiture che eseguono lavori del genere.
Fondamentalmente, dunque, il settore produttivo prevalente è quello della biancheria per la
casa: il tale ambito, il tovagliato è l’articolo più
richiesto, sia perché il suo consumo è quello più
elevato sia perché, per le ragioni appena ricordate, rappresenta un bene di particolare qualità
sotto il profilo del prestigio e dell’ eleganza.
A proposito del ciclo di lavorazione adottato
in azienda, il nostro interlocutore considera
che la sua impresa si colloca in una zona situata un po’ ai margini dei grossi centri di tessitura ed ha come strategia di sviluppo quella di
continuare a produrre tipologie di tessuti realizzati con una tecnica particolare, quella che
impiega il telaio Jacquard, che ha ragione di
esistere in quest’area perché qui esiste una tradizione tessile fortemente viva e radicata, fondata sulla produzione e sull’utilizzo di questo
genere di manufatti.
Tale scelta, certamente coraggiosa e non priva
di rischi, è diventata la ragione di vita dell’impresa stessa che ha richiesto, in primo luogo, di
poter disporre “in loco” di tutto ciò che occorre per giungere alla loro confezione.
Pertanto, vengono acquistate da filature particolarmente affidabili e prestigiose (generalmente italiane), in grado di garantire la qualità delle materie prime e delle lavorazioni eseguite su di esse, tutte le tipologie di filati necessarie alla realizzazione dei tessuti utilizzati in
azienda: successivamente, dal trattamento dei
filati al prodotto confezionato nel proprio
imballo e consegnato al rivenditore, ogni fase
di lavorazione del ciclo produttivo, prevista per
ottenere il prodotto finito, viene svolta completamente al suo interno.
La prima di queste fasi è l’orditura dei filati,
seguita dalla seconda, la loro annodatura, che
rende possibile la messa in opera dell’ordito
sul telaio: il ciclo delle lavorazioni prosegue poi
con la tessitura su telaio, il taglio e la confezione del tessuto in funzione del capo da realizzare, la sua stiratura, il suo imballo e la sua spedizione, curata nei suoi dettagli dal un apposito reparto commerciale.
A differenza di altre tessiture, organizzate
diversamente, magari impegnate nell’esecuzione di specifiche fasi di lavorazione (ad esempio,
solo l’orditura oppure solo l’annodatura,
oppure, ancora, solo la tessitura ecc.), in azienda vengono portate a termine tutte le operazioni richieste per produrre un certo capo di biancheria per la casa e per collocarlo sul mercato.
Al suo interno, ci si conforma a un modello di
organizzazione verticale del lavoro estremamente integrato ed efficiente, scaturito dalla
necessità di ovviare il forzato (ma cosciente)
isolamento dai poli di produzione tessile del
Nord-Est d’Italia, a sua volta determinato
dalle scelte strategiche aziendali, con la filosofia del do it yourself: quello di cui si può
disporre, si dispone, diversamente ci si deve
arrangiare!
Una logica organizzativa generalmente alla
base, peraltro, del sistema organizzativo sul
– 69 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
quale si regge gran parte delle imprese di tessitura di tipo artigianale perché in questo modo
hanno la possibilità di produrre quantità di
tessuto limitate, su misura, particolarmente
curate sotto il profilo della qualità e attente a
soddisfare le specifiche esigenze dei committenti: una logica che consente di seguire, passo
dopo passo e al meglio, l’intero ciclo di lavorazione, e che risulterebbe del tutto inadeguata se
applicata a sistemi di produzione industriale.
5.2.3 La fabbricazione di tessuti a maglia
e confezione
Come veniva anticipato nel capitolo relativo
alla fabbricazione di arazzi e di tappeti, nel
corso della presente indagine è stata presa in
esame un’impresa artigiana (Caso 13) che,
oltre a realizzare quel genere di manufatti, si
dedica prevalentemente alla produzione di tessuti a maglia, utilizzati per la confezione di
capi d’abbigliamento di alta sartoria.
La sua titolare propone alla clientela giacche e
gilè da uomo, da donna e da bambino in lana
cotta, mantelle, pianelle, piccoli arazzi: manufatti caratterizzati da un gusto e da una qualità di sicura eccellenza.
In laboratorio vengono realizzati soprattutto
capi classici ai quali se ne sono aggiunti da
poco altri, di concezione e disegno più recente e moderno come, ad esempio, delle maglie
non rifinite, senza i bordini ma fatte a zig-zag.
oppure capi eleganti come giacchine ispirate
ai modelli Chanel, delle magliette con degli
spicchi, cappotti lunghi, delle gonne a teli,
giacchine strette e ponchos: sono capi, insomma, che spesso si collocano al di fuori della
impostazione tradizionale e che vengono
creati per divertimento e per innovare la produzione.
Quella realizzata è, dunque, una produzione
dalle caratteristiche uniche, che solo l’incontro
tra una paziente lavorazione a mano e la tecnologia contenuta nei materiali naturali più
all’avanguardia, può consentire.
I tessuti sono morbidi e caldi, ottenuti con
l’utilizzo di pregiati filati in lana come il
cashmere, l’angora e il mohair: questi filati vengono tessuti a macchina e le pezze ricavate vengono successivamente lavate in acqua calda
(cottura) per provocarne l’infeltrimento.
Si ottengono così tessuti in lana particolarmente consistenti che, asciugati al sole e stirati con
un semplice ferro a vapore, diventeranno impermeabili e resistenti nel tempo: indossare un capo
in lana cotta è particolarmente gradevole e
costituisce, inoltre, una eccellente protezione
naturale contro il vento, il freddo e l’umidità in
quanto lascia traspirare liberamente la pelle.
Il ciclo di lavorazione praticato in laboratorio
inizia dalla scelta dei filati che vengono acquistati già tinti da vari fornitori molto selezionati, a seconda delle specifiche esigenze o necessità della produzione.
La scelta è orientata su due sole possibilità,
costituite rispettivamente dal filato unico e da
quello variegato: il filato unico, secondo la
nostra interlocutrice, è quello su cui un domani lavoreranno gli altri, coloro che in futuro
erediteranno la sua attività.
Il perché è semplice ma non così facilmente
comprensibile al giorno d’oggi; ella, infatti,
archivia da sempre tutte le conoscenze acquisite sui diversi materiali utilizzati per permettere
a chi proseguirà la sua attività di maneggiarli
con competenza e in assoluta sicurezza: a quel
punto basterà seguire le istruzioni e il gioco
sarà fatto.
La seconda prospettiva di scelta, invece, contempla l’acquisto di una moltitudine di filati,
spaziando su tutti i generi di lana che riesce a
trovare sul mercato (merinos, mohair, merinosmohair, ecc.) sui quali scatena la sua fantasia,
per sperimentare le possibilità di una loro
combinazione e del loro trattamento.
Per la nostra interlocutrice è fondamentale
giocare con i colori, i tessuti, le forme: è una
vera e propria esigenza fisiologica, che deve
essere lasciata libera di sfogarsi, perché altrimenti rischierebbe di annoiarsi, mentre per lei
è, invece, un vero e proprio divertimento che
intende trasmettere come un’eredità importante che permetterà a qualcun’altro, dopo di lei,
di fare altrettanto.
Talvolta i fornitori dei filati la contattano per
proporle i loro prodotti di punta, per cui lei
acquista unicamente certi tipi di lana e lavora
solo quelli: per realizzare tessuti da impiegare
nel settore dell’arredamento, ad esempio, se il
committente desidera foderare i suoi divani in
lana, per farlo, non sarà possibile impiegare
– 70 –
LE ATTIVITÀ SVOLTE DALLE IMPRESE ARTIGIANE
lana merinos-mohair perché questa fibra naturale ha delle caratteristiche particolari, che mal
si adattano a questo utilizzo.
Le lane che vengono acquistate sono già tinte,
ma di grandissima qualità e particolarmente
resistenti allo scolorimento: questo genere di
filati è quello che viene utilizzato in laboratorio, dove viene lavorato per realizzare dei tessuti, impiegando per questo scopo macchine per
maglieria del tutto tradizionali.
Il passaggio successivo è la loro cottura e in
questa fase è necessaria una grande competenza, perché bisogna conoscere i tempi giusti del
trattamento riservato ad ogni filato: dopo di
che, le stoffe vengono fatte asciugare necessariamente in un essiccatoio che, al pari di altri
macchinari diventati oramai indispensabili
come quello impiegato per l’eliminazione dell’acqua residua (centrifuga).
Alcuni anni fa, si lasciavano asciugare i tessuti
naturalmente, stesi direttamente al sole; ora
questo modo di procedere nella loro asciugatura non è sempre possibile e occorre avvalersi
delle macchine citate anche se, purtroppo, que-
ste li sollecitano eccessivamente dal punto di
vista fisico.
Il problema, infatti, è che la lana, essendo un
materiale naturale, ha bisogno di umidità e con
quel modo di procedere è molto difficile conservarne il giusto grado: la raccomandazione
che la nostra interlocutrice rivolge alla sua
clientela è quella di esporre i capi realizzati nel
suo laboratorio al sole, alla pioggia, all’umidità, perché la lana ha bisogno di vivere e, se vengono a mancare queste condizioni, è inevitabile che alla lunga si danneggino.
La stoffa viene poi stirata con il ferro a vapore che rimane ancora l’unico sistema di finitura della pezza tessuta: una volta stirata la stoffa viene immagazzinata, in attesa di essere
successivamente tagliata per la confezione dei
capi citati.
Il taglio della stoffa dipende da molteplici fattori: a volte può essere utilizzata immediatamente dopo l’asciugatura, a seconda della sua
fattura e del modello che si sta realizzando,
oppure, come spesso accade, viene messa da
parte per successivi impieghi.
– 71 –
6. Il contenuto di qualità delle lavorazioni eseguite sotto il profilo
artistico, tradizionale, tipico ed innovativo
6.1 Comparti di attività relativi alle lavorazioni
del legno
Nel concludere alcune riflessioni sulle implicazioni di carattere concettuale e metodologico
relative all’individuazione e al riconoscimento
dei tratti che caratterizzano e che contraddistinguono le forme di artigianato di qualità, sotto il
profilo artistico, tradizionale, tipico ed innovativo, ci si proponeva di farlo nell’ambito dei comparti produttivi dei settori indagati. (70)
Dopo aver preso in esame le attività svolte nel
settore delle lavorazioni del legno, si tratta ora
di analizzare il loro contenuto specifico con
l’obiettivo di far emergere e di sottolineare i
tratti di cui si è appena parlato.
Nel comparto della fabbricazione di carpenteria, l’attività svolta dall’impresa artigiana visitata è contraddistinta da elementi di forte
innovazione, riguardanti la lavorazione del
legno naturale, che consentono di utilizzarlo
secondo principi tecnologicamente più avanzati di quanto fatto finora.
La produzione e la lavorazione del legno
lamellare hanno superato, oramai da alcuni
anni e con pieno successo, le valutazioni e i
controlli condotti nell’ambito della sperimentazione dei nuovi materiali e hanno aperto
interessanti prospettive di sviluppo nel settore
delle costruzioni edili.
La tradizione consolidatasi nel modo di progettare e di costruire immobili ad uso civile e industriale trova nel legno lamellare un sacco di
motivazioni per evolvere ed innovarsi, soprattutto dal punto di vista tecnico: per circoscrivere tale ambito alle sole discipline inerenti le
scienze delle costruzioni, possiamo certamente
affermare che le ricadute provocate dall’introduzione e dall’utilizzo di questo nuovo materiale sono, a dir poco, straordinarie.
L’impresa artigiana che opera in questo comparto costituisce un esempio di come la tradizione e l’innovazione possano non soltanto
coesistere ma come l’una trovi nell’altra una
prospettiva di continuità e di sviluppo.
In questo caso, l’artigianato di qualità è fatto
innanzitutto di contenuti tecnici e tecnologici
molto avanzati: il contatto del titolare dell’impresa con i committenti e con i progettisti è
quotidiano per affrontare e per risolvere insieme a loro questioni di carattere prevalentemente tecnico, riguardanti le strutture in legno
che si intendono realizzare e la loro capacità di
adempiere con le loro prestazioni alle funzioni
progettate.
In questo ambito è necessario avere ottime
conoscenze fisiche e meccaniche per valutare
attentamente l’entità e la natura dei carichi che
le solleciteranno, prima della loro posa in
opera: la conoscenza degli aspetti tecnici legati alla progettazione, da un lato, e quella delle
capacità tecniche e prestazionali dei materiali
impiegati, dall’altro lato, costituiscono le aree
tematiche all’interno delle quali vengono condotti studi, ricerche, prove di laboratorio,
approfondimenti tecnici di ogni genere.
Nel comparto relativo alla fabbricazione di
mobili, per le imprese artigiane visitate è praticamente impossibile fare una valutazione o
una semplice stima dell’incidenza di questi
contenuti di qualità sul lavoro complessivo
necessario per la produzione di un manufatto,
a causa della diversità delle richieste che provengono da una committenza eterogenea.
Nella realizzazione di architetture d’interni è
sicuramente rilevante il tempo dedicato allo
studio e alla progettazione d’insieme delle
soluzioni d’arredo: qui antico e moderno, tradizionale ed innovativo possono fondersi in
accostamenti originali e irripetibili.
Per questi motivi, alcuni manufatti prodotti
dalle imprese artigiane intervistate esprimono
in misura molto modesta i valori propri della
tradizione e della cultura che contraddistinguono l’area geografica in cui operano, mentre
altri li esaltano al massimo grado.
Dal punto di vista costruttivo la perizia tecnica di un buon artigiano si esprime ai massimi
livelli su entrambi i fronti: non c’è differenza
tra la manualità richiesta per riprodurre un
particolare in stile e quella impiegata nella
costruzione di un particolare disegnato da un
moderno architetto: in entrambi i casi occorre
esprimere una capacità tecnica molto elevata.
– 73 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
Pertanto, non è possibile assegnare la definizione di “artigianato di qualità e di eccellenza”
esclusivamente a quelle attività di riproduzione
di manufatti in stile o propri della tradizione
locale: se questi fossero gli unici parametri utilizzati per valutare il lavoro di molti artigiani
del comparto, in Carnia e nell’intero FriuliVenezia Giulia, questo riconoscimento verrebbe probabilmente dato a pochissimi operatori.
Non si tratta solo più di sottoscrivere l’impegno a mantenere la tradizionale “fedeltà allo
spartito” (per servirsi di un’analogia ricorrente
nel comparto che tira in ballo gli interpreti di
musica classica), ma anche quello di cimentarsi con “spartiti” inediti, usciti dalle mani di
“compositori” moderni.
Piuttosto, bisogna riconoscere loro la capacità
di saper sviluppare e di saper realizzare ciò che
ha prodotto la creatività di un architetto, di un
progettista o di un designer dandogli una forma
ovvero di saper passare dall’astrazione alla concretezza, dalla semplicità alla complessità, dall’unicità alla molteplicità: in questo sono indiscutibilmente dei valenti esecutori, rappresentanti superstiti di una tradizione artigiana locale di tutto rispetto e moderni interpreti dell’artigianato di qualità dei nostri tempi.
Attualmente sembra essersi affermata la convinzione, errata e fuorviante, che gli artigiani
ancora in grado di costruire un mobile secondo quella tradizione e con quelle tecniche si
siano trasformati in artisti.
Senza nulla togliere alla loro valentia, occorre
doverosamente precisare che il loro lavoro non
è quello proprio di questa figura, l’artista
appunto, nella quale la componente creativa è
intimamente connessa a quella realizzativa, ma
solo quello di bravissimi esecutori che hanno
“mestiere”, ovvero di coloro che hanno la
capacità di interpretare fedelmente le indicazioni costruttive ricevute da altri e di saperle
tradurre, con la loro competenza e la loro esperienza, nel manufatto desiderato.
È anche vero, però, che la tendenza, oramai
dilagante, sta diventando quella di inglobare,
in un parco macchine sempre più sofisticato,
queste abilità individuali per ridurle a quelle di
un assemblatore: l’artigianato che contraddistingue le produzioni delle imprese intervistate
usa egregiamente le tecnologie tradizionali ma,
per ragioni di competitività e di sopravvivenza,
ha anche bisogno di usare quelle più innovative, senza compromettere o diminuire con ciò la
qualità dei manufatti realizzati.
Questo non vuol dire che la loro attività si sia
staticizzata in una routine, anzi: in esse è stato
avviato un processo di aggiornamento e di
approfondimento delle conoscenze, non sempre agevole ma sicuramente avvertito, che interessa più versanti del loro lavoro (artistico, tecnico, organizzativo ecc.), nell’intento di migliorarlo continuamente.
Per quanto concerne la tradizione, i manufatti
conservati nel Museo Carnico delle Arti e
Tradizioni popolari di Tolmezzo rappresentano un patrimonio insostituibile al quale gli
artigiani incontrati attingono continuamente
idee e suggerimenti che poi sviluppano e utilizzano nei loro laboratori.
In alcuni casi, le posizioni acquisite sul mercato dalle imprese di maggiori dimensioni hanno
richiesto di ridisegnare il loro assetto organizzativo originario: le competenze professionali
sono state suddivise tra ruoli esecutivi, ruoli di
studio e progettazione e ruoli organizzativogestionali.
I primi sono affidati a personale specializzato
che conosce a fondo il proprio mestiere ed è in
grado di eseguire con maestria i lavori che vengono richiesti di volta in volta, i secondi sono
affidati a risorse specialistiche interne e/o
esterne alle aziende, mentre gli ultimi sono
svolti direttamente dai titolari.
Nella costruzione di serramenti, le lavorazioni
comunemente eseguite dalle imprese artigiane
intervistate richiedono perizia e buona manualità, espresse però in forme diverse da quelle
finora rilevate negli altri comparti.
È sotto questo aspetto che deve essere precisato il contenuto di qualità delle loro produzioni
che coincide con una perfetta conoscenza delle
materie prime impiegate e delle tecnologie che
meglio si prestano alla loro trasformazione per
ricavarne manufatti pregevoli, sia sotto il profilo estetico sia sotto quello funzionale.
Ciò richiede un costante impegno dedicato
all’approfondimento di studi e di ricerche che
incidono sulla realizzazione di questi manufatti in misura variabile, a seconda della loro particolarità, della loro complessità esecutiva e
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IL CONTENUTO DI QUALITÀ DELLE LAVORAZIONI ESEGUITE SOTTO IL PROFILO ARTISTICO
dell’accuratezza delle lavorazioni a cui vengono sottoposti.
Nella produzione di serramenti tradizionali,
queste esigenze sono meno sentite in quanto le
vere innovazioni sono piuttosto rare e non
richiedono all’artigiano un aggiornamento
continuo; nel comparto, tuttavia, si assiste ad
un sensibile restringimento dell’area della
costruzione del serramento in legno, a favore
di quello prodotto industrialmente con materiali alternativi che viene realizzata da maestranze di bassissimo profilo professionale:
queste non eseguono evidentemente né studi di
fattibilità né progetti ma si limitano a condurre e a controllare macchinari automatizzati che
eseguono le varie lavorazioni necessarie per
realizzarlo.
La produzione di serramenti speciali, al contrario, rappresenta l’ambito più innovativo per
questo tipo di lavorazioni ed esige livelli di qualità particolarmente elevati, raggiungibili con
una diversa impostazione del lavoro artigiano.
In tale impostazione sono riconoscibili i tratti
di una nuova cultura d’impresa che non si
fonda su valori acquisiti storicamente o affermatisi sul piano estetico, ma sul patrimonio
tecnologico che con il tempo è andato consolidandosi al suo interno, sulla professionalità
degli operatori e sugli obiettivi di sviluppo e di
eccellenza che essa persegue.
È una cultura soprattutto tecnica, che considera la componente estetica per quello che è ovvero una variabile che muta continuamente e che
in questo comparto deve essere tenuta in debito conto: di qui la necessità di saper utilizzare
in modo estremamente diversificato e coerente
le diverse forme estetiche, da quelle tradizionali o classiche a quelle più moderne, sempre considerando che il contenuto di qualità di queste
ultime non è da meno di quello delle prime.
Nel comparto della fabbricazione di oggettistica varia, saper conciliare l’aspetto della tradizione con quello dell’innovazione è fondamentale e strategico per la vita di un’azienda perché bisogna considerare che, se un cliente
avanza una determinata richiesta non si può
che accontentarlo, mettendo inevitabilmente
da parte ogni altra considerazione.
Se non c’è una richiesta di mercato che sostenga l’attività dell’impresa, ci si deve dare da fare
per crearla perché, diversamente, è inutile intestardirsi proponendo oggetti, magari di grande
pregio, ma che non piacciono o che sono estranei alla cultura della gente comune.
Il titolare dell’impresa artigiana visitata è dell’idea che la necessità primaria per ognuno sia
quella di sopravvivere e tale necessità si traduce
nell’esigenza di avere una produzione abbastanza elevata da permettere all’artigiano di “sbarcare il lunario” e di “tirare avanti” perché altrimenti è costretto a interrompere la sua attività.
Egli si è trovato più volte impegnato nello studio e nella realizzazione di progetti innovativi
riguardanti manufatti di gran pregio e di sicuro gusto estetico, ma nonostante gli sforzi
compiuti ha dovuto alla fine desistere perché
rimanevano invenduti.
Da queste considerazioni emerge la convinzione, condivisa peraltro anche dagli artigiani
degli altri comparti, che se si vuole sviluppare
un mercato per l’artigianato di qualità (e si
deve cominciare di qui se si vuole che l’azienda
artigiana si regga in piedi, si affermi e sopravviva) questo deve avere un riconoscimento da
parte del pubblico e ciò è possibile solo se da
quest’ultimo provengono forti segnali di
apprezzamento e di condivisione.
L’area geografica nella quale opera l’impresa
artigiana presa in esame esprime nei suoi
manufatti una tradizione e una cultura locale
molto marcata e certamente riconoscibile, al
punto da caratterizzarli, ma tutto ciò riguarda
il passato, mentre sarebbe opportuno pensare
seriamente di dar loro continuità per il futuro
Nel comparto relativo all’esecuzione di interventi di restauro, il contenuto di qualità delle
attività svolte è senza dubbio molto rilevante:
continuando nell’analogia musicale proposta
per la costruzione di mobili, qui si tratta di
“ricostruire lo spartito” andato perso o reso
illeggibile dal passare del tempo e/o dal susseguirsi degli eventi.
Di solito un accurato esame dell’oggetto da
sottoporre al restauro suggerisce la natura e
l’estensione dell’intervento da effettuare: è solo
attraverso questa attenta “lettura” del manufatto che possono avvenire la sua ricostruzione
e il suo recupero.
Poi tutto procede impiegando le tecniche
manuali più adatte allo scopo, ma è proprio
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TRA TRUCIOLI E TELAI
nella manualità che si apprezza un provetto
restauratore e nel suo corretto esercizio che
risiede la difficoltà di eseguire un buon restauro.
A questo proposito le imprese artigiane intervistate sono concordi nel precisare che il loro
lavoro non è quello dell’artista perché gli artisti sono piuttosto coloro che hanno costruito
gli oggetti, i manufatti che ci si trova davanti e
che necessitano un restauro: come “addetti ai
lavori”, se coerenti e rigorosi nel loro lavoro,
non inventano nulla, devono solo (si fa per
dire) “saperli leggere” e “saperli capire”.
La formazione della professionalità degli artigiani che in esse lavorano si è consolidata e
perfezionata attraverso un lungo apprendistato
di bottega, accompagnato da frequenti e non
sempre facili approfondimenti tematici, condotti presso scuole specializzate o come autodidatti.
Un percorso che viene continuamente reiterato
nello svolgimento del proprio lavoro e che
mette sistematicamente a confronto le conoscenze e le esperienze acquisite con i problemi
posti dall’intervento da eseguire.
Da questo punto di vista, non è solamente una
cultura storica e artistica consolidata che
occorre dimostrare quanto piuttosto una
padronanza nel saperla riconoscere nei manufatti da restaurare e nel saperla interpretare
tecnicamente nel corso dell’intervento: in ogni
caso il moderno restauro ligneo richiede
costanti aggiornamenti di natura interdisciplinare e non lascia spazio alle improvvisazioni.
6.2 Comparti di attività relativi alle lavorazioni
tessili
La tessitura, come abbiamo visto sinteticamente in precedenza, è uno dei metodi più
antichi che l’uomo abbia escogitato per fabbricare la stoffa: nella sua forma più semplice tale
procedimento consiste nell’intrecciare ad
angolo retto due distinti sistemi di fili, secondo
tecniche diverse più o meno elaborate.
Il telaio da tessitura è costituito essenzialmente da una struttura elementare che tiene tesi e
paralleli i fili verticali (ordito), mentre quelli
orizzontali (trama) sono intrecciati con i primi
grazie a un movimento alternativo che li attraversa con una sequenzialità preordinata.
Nonostante siano trascorsi millenni dalla comparsa di questa tecnica e alcuni secoli dalla sua
meccanizzazione, il principio su cui si basa la
tessitura a mano è rimasto praticamente inalterato fino ai giorni nostri: attualmente, nell’artigianato tessile lo troviamo molto spesso
affiancato a quello che sovrintende al funzionamento del telaio meccanico nella produzione di manufatti di qualità.
Nel comparto della fabbricazione di arazzi e di
tappeti, le imprese artigiane dell’area carnica
esaminate interpretano efficacemente questa
realtà composita nella quale ritroviamo, sia la
tessitura a mano tradizionale sia quella che
impiega sistemi tecnologicamente più avanzati
ed innovativi, per realizzare, oltre a questi
manufatti, anche altri prodotti.
Ricerche, studi e approfondimenti condotti
dall’impresa artigiana che opera in questo
primo contesto riguardano soprattutto i motivi decorativi che caratterizzano gran parte dei
manufatti prodotti: le titolari hanno cercato di
mantenere impostazioni decorative e stilistiche
coerenti con la produzione tradizionale che
contraddistingueva l’artigianato tessile praticato un tempo nella località montana nella
quale svolgono la loro attività.
Si trattava però di un repertorio espressivo
molto semplice e povero, legato a riferimenti e
a simboli propri della cultura alpina locale, che
sono stati ripresi, integrati ed arricchiti di
nuovi e coerenti suggerimenti, raccolti qua e là,
che ora impreziosiscono gli attuali manufatti.
In questo senso sono stati utilizzati i disegni trovati, ad esempio, su corredi nuziali dell’Ottocento
e quelli rilevati dall’intarsio di antiche cassapanche adibite a riporli e a conservarli nel tempo: il
Museo Carnico delle Arti e Tradizioni popolari
di Tolmezzo si è rivelato, a questo proposito, una
preziosa fonte informativa.
Dagli esemplari della tradizione locale prescelti sono stati tratti non solo i disegni ma anche
i colori, specialmente il rosso e il blu, simboli
della Carnia: lo stesso è stato fatto con altre
decorazioni come, ad esempio, il cuore fiorito,
il cui motivo ricorre frequentemente in certi
– 76 –
IL CONTENUTO DI QUALITÀ DELLE LAVORAZIONI ESEGUITE SOTTO IL PROFILO ARTISTICO
manufatti e rimanda a una tradizione simbolica molto ricca e partecipata, rintracciabile non
solo in ambiente montano. (71)
Per una seconda impresa, la fase di progettazione, sia che riguardi una specifica commessa
sia che interessi un singolo prodotto o un’intera collezione, richiede studi e ricerche sistematici in ogni direzione, necessari per rispondere
pienamente al concetto di “qualità” più volte
considerato.
È il caso degli approfondimenti compiuti dalla
sua titolare sulle attività svolte dalle manifatture tessili, sorte in Carnia nel Settecento, grazie
all’intraprendenza di Jacopo Linussio, che le
hanno consentito di sperimentare anche qui
una nuova produzione oramai pronta per essere lanciata sul mercato.
La sua curiosità e il suo interesse andavano
ben oltre, evidentemente, il fatto storico: si
trattava di capire il “fenomeno Linussio” in
tutta la sua portata, soprattutto per quanto
concerne gli aspetti tecnici ed organizzativi che
consentivano di realizzare a quei tempi prodotti di qualità.
Di qui, ad esempio, è partita la ricerca sul territorio di filati in lino particolari, prodotti a
mano e con fibra grezza, da impiegare nella
produzione predetta che, in coerenza con la
logica del lavoro artigiano, è stata condotta nei
ritagli di tempo, ricavati dal proprio lavoro o
sottratti, a volte, agli impegni familiari.
Studi analoghi sono stati condotti necessariamente sui filati di lana impiegati nel tufting e, in
questo caso, la fibra doveva possedere caratteristiche specifiche, sia perché la nuova tecnologia sia perché il manufatto realizzato, il tappeto, lo richiedevano: in Italia sono moltissime le
aziende che producono filati in lana ma questi
sono adatti per il comparto della maglieria,
mentre sono molto rare quelle che li fabbricano
per essere utilizzati nella produzione di tappeti.
Queste ultime si trovano in Sardegna ma realizzano una tipologia di filato, derivato da una
lana molto grezza, che mal si adattava al nuovo
impiego: è stato, dunque, necessario reperire
fornitori che producessero appositamente il
filato richiesto ma è a questo punto che si sono
incontrate le maggior difficoltà.
Inizialmente, non si riusciva a trovare, tra i fornitori, qualcuno che fosse disponibile a pro-
durre questo genere di filato nelle modeste
quantità e nei pochi colori che normalmente
necessitano a un’impresa artigiana: poi una
paziente ricerca ha consentito di trovare una
soluzione soddisfacente al problema.
Nel caso delle lavorazioni eseguite sui manufatti che si rifanno alla tradizione, come tendaggi, arazzi, tovagliati e altri, questa impronta distintiva è, dunque, immediatamente distinguibile nei suoi tratti qualitativi particolarmente evidenti.
Nel caso del tufting, utilizzato per la lavorazione dei tappeti, ci troviamo di fronte a una concreta e promettente opportunità di innovare la
tradizione consolidata nel settore tessile e di
arricchire il patrimonio di cultura locale.
Per la terza impresa artigiana esaminata, il
lavoro di progettazione, coniugato con i dati
provenienti dall’esperienza consolidata negli
anni, consente di arrivare a soluzioni che soddisfano le diverse esigenze della clientela e
incontrano il suo gradimento.
Nel momento in cui si decide di dar vita a una
nuova linea di prodotti ci si interroga proprio
su questi temi e su come riuscire a conciliare la
conservazione di un patrimonio di conoscenze
oramai acquisite, sul piano della tradizione e
del know how, con l’esigenza di arricchirlo
attraverso proposte innovative coerenti.
La scelta di avvalersi di una tecnologia specifica, quella che realizza tessuti Jacquard, pone
evidentemente dei vincoli dei quali è bene avere
piena coscienza per evitare di essere attratti da
prospettive o scenari fuori della propria portata.
Il titolare dell’azienda spiega che con questa
tecnica di tessitura si può ottenere una gamma
molto estesa e variata di tessuti che trovano
impiego in altrettanti settori (arredamento,
biancheria per la casa, tendaggi ecc.): in azienda si è scelto di utilizzare una tipologia particolare di tessitura Jacquard, la tessitura “a
pannello”.
Si tratta di un sistema di tessitura che è in
grado di riprodurre disegni molto complessi ed
elaborati partendo da quelli tracciati sul capo
che si vuole realizzare dove possono comparire motivi centrali o bordure perimetrali: queste
caratteristiche particolari pongono dei limiti
oggettivi al processo produttivo che non possono essere elusi.
– 77 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
La complessità dei disegni da realizzare e il
tipo di filato normalmente utilizzato per questi
scopi richiedono l’impiego di velocità di tessitura molto basse che si riflettono sulla quantità del tessuto prodotto nell’unità di tempo: in
questo caso, infatti, il lino non sopporta grandi sollecitazioni a trazione e tende facilmente a
spezzarsi quando vi è sottoposto.
Rispetto al passato, le migliorie introdotte dall’innovazione tecnologica in questo genere di
tessitura sono state notevoli e questo fatto sta
a testimoniare l’ampiezza di questa evoluzione: i telai che un tempo venivano azionati a
mano ora sono governati da unità di controllo
elettroniche estremamente sofisticate.
La scelta operata in azienda, che consegue da
questo continuo aggiornamento tecnico, è
stata quella di adeguarsi, per quanto possibile,
a questi cambiamenti e di utilizzare questi vantaggi, non tanto per aumentare la quantità
della produzione, quanto per migliorarne la
qualità: la prospettiva a medio termine sulla
quale il titolare dell’azienda sta lavorando è
quella di rinnovare le attuali attrezzature di
laboratorio installandone altre a tecnologia
più avanzata, in grado di risolvere proprio questo genere di problematiche.
Altri approfondimenti di carattere tecnico, oltre
che culturale, sono necessari nell’ambito della
ricerca e nella progettazione di un nuovo prodotto: le motivazioni che inducono a intraprendere
queste attività possono essere molteplici ma si
avvertono, si intuiscono con largo anticipo.
A volte si vuole completare una gamma di prodotti già in produzione e nell’iniziativa si intravede la possibilità di esprimere la propria creatività e la propria fantasia: molto spesso rivisitando i motivi e i decori della tradizione locale
che si sono conservati si ricavano suggerimenti
e stimoli per disegnare una nuova tovaglia o
per studiare un’intera linea di capi coordinati.
In altre occasioni, invece, sono le richieste del
mercato a spingere nel senso del rinnovamento
e, in questi casi, le indicazioni raccolte in questo ambito forniscono, di solito, anche le direzioni verso le quali si deve orientare la progettazione: la tipologia delle materie prime impiegate, quella del tessuto da realizzare, quella
della decorazione proposta, quella del capo da
confezionare e così via.
Il nostro interlocutore è dell’avviso che, la
chiave del successo raggiunto, sia l’originalità
di quello che si propone alla clientela: articoli
particolari che nessuno ha in mente di fare e
che evitano accuratamente di riprendere o di
imitare le produzioni altrui.
Anche questa fase molto importante del ciclo
produttivo è supportata da tecnologie avanzate come, ad esempio, le applicazioni del
Computer Aided Design (CAD) al settore tessile, ma in azienda questi strumenti vengono utilizzati per verificare la fattibilità del progetto
piuttosto di impiegarli per il suo sviluppo: l’intervistato ha imparato dalla madre a servirsi di
carta e penna per tracciare i suoi disegni ed è
questo il metodo a cui ricorre quando deve
materializzare le sue idee.
Il passo successivo è quello di sperimentare
tecnicamente la possibilità realizzativa del progetto, eseguendo prove su telaio che confermano o meno la sua praticabilità, e il tessuto, a
questo punto, è qualcosa di concreto che si
può non solo vedere ma, soprattutto, toccare:
superato questo ultimo esame potranno essere
preparati dei campioni da sottoporre al vaglio
della clientela.
La progettazione richiede tempi mediamente
lunghi anche se a volte capita di centrare da
subito gli obiettivi che ci si era proposti: è il
caso di articoli che sono entrati in produzione
dopo appena un paio di mesi dall’ideazione,
ma altri hanno richiesto periodi di più attenta
valutazione che si sono protratti per un anno,
un anno e mezzo perché i risultati raggiunti
non corrispondevano a ciò che il nostro intervistato aveva in testa.
Egli stesso cita, ad esempio, il percorso particolarmente impegnativo, sotto vari profili,
seguito un paio di anni fa per arrivare alla confezione di un paramento ecclesiastico, la casula, l’antico nome assegnato alla pianeta sacerdotale, costituito essenzialmente da un mantello con cappuccio modernamente rivisitato, che
è durato circa un anno ma che si è concluso
con sua grande soddisfazione
Si trattava di produrre un tessuto particolarmente ricercato, confezionato con filati di seta
laminati molto preziosi, destinato alla realizzazione di un capo certamente nuovo, rispetto
alla produzione corrente, nel quale si somma-
– 78 –
IL CONTENUTO DI QUALITÀ DELLE LAVORAZIONI ESEGUITE SOTTO IL PROFILO ARTISTICO
no funzioni molteplici, rispondenti ognuna e in
diverso modo, a un preciso scopo pratico e/o
simbolico.
La casula non è altro che l’abito indossato dal
sacerdote per celebrare il rito per antonomasia, nell’ambito della cristianità, la messa, dove
le forme del linguaggio gestuale e di quello iconico assumono espressioni codificate e riconoscibili per celebrare la comunicazione dell’uomo con il Divino.
Tuttavia, la messa non è il solo evento liturgico
in cui viene indossata la casula: la ritualità si
estende e sottolinea momenti della vita religiosa molto caratterizzati dal punto di vista dell’atteggiamento emozionale dei partecipanti al
rito che esprime, di volta in volta, gioia, dolore, speranza, passione e ogni altro sentimento.
Un repertorio di sentimenti che la liturgia ha
codificato con particolari colori, assegnando
loro una funzione evocativa di un significato e
di un significante piuttosto complessi e di non
facile comprensione, sia per quanto riguarda la
loro dimensione teologica sia per quanto attiene, invece, quella teoretica, ma immediatamente riconoscibili in questa forma, attraverso la
percezione visiva.
Ecco, allora, che la gioia e il clima di festosità
di un evento vengono richiamati dal colore
bianco, la mestizia e il dolore di un altro vengono sottolineati dal viola, la passione e
l’amore ardente di un altro, ancora, con il
rosso e via dicendo: attualmente la casula con
fondo bianco e fregi colorati, insieme a quella
a fondo verde, è quella più usata nelle celebrazioni rituali festose (Natale e Pasqua ma anche
battesimi, matrimoni ecc.) ed è su questo capo
inconsueto che si è sviluppato il lavoro di progettazione.
In questo caso particolare, si è andati oltre allo
studio della tipologia di tessuto da realizzare e
dei filati più idonei da utilizzare, per giungere
fino alla confezione dell’abito e alla sua rifinitura: il personale impegnato in queste operazioni,
eseguite fino a quel momento su tovaglie e
tende, si è trovato ad intervenire, forse con maggior attenzione e cura, su un nuovo prodotto.
Le ricadute dell’investimento effettuato sulla
sua progettazione non si sono fatte attendere
ripagandolo positivamente: ora si producono
anche tovaglie da altare su misura, parures di
servizi da messa che riforniscono punti di vendita situati a Parigi piuttosto che in Australia.
La produzione realizzata dall’impresa artigiana si divide in due grandi settori: un primo
settore, definibile come “classico”, costituito
da un insieme di capi di biancheria per la casa
che vengono prodotti in funzione di una
domanda di mercato che interessa un’area
molto ampia (l’intero territorio nazionale) e
che è condizionata, in una certa misura, dalle
tendenze della moda.
Si tratta di articoli, concepiti e progettati direttamente dal nostro interlocutore in ogni loro
dettaglio (anche quello esecutivo) per soddisfare questo genere di domanda, che si ispirano
alle tipologie di tessuto tradizionali e/o classiche, normalmente impiegate per la loro confezione nei quali è, tuttavia, riconoscibile la qualità dei motivi decorativi, dei materiali impiegati e delle lavorazioni eseguite in azienda.
Un secondo settore di produzione riguarda,
invece, quegli articoli che sono stati ricavati da
vecchi disegni di tradizione carnica e che interessano un mercato più contenuto, di nicchia, si
potrebbe dire, ma certamente più orientato al
gusto e alla preziosità che li contraddistingue.
Accanto a questi motivi decorativi originali si
affiancano quelli che si sono ottenuti da una
loro elaborazione, resasi necessaria per adeguarli al gusto di una clientela non strettamente locale e comunque sensibile e attenta a riconoscerne la qualità e la cura con la quale sono
stati realizzati.
Ciò ha comportato una diversificazione della
produzione a seconda della domanda espressa
da specifiche aree del mercato nazionale: al
Sud del nostro Paese, ad esempio, anche se
certi disegni recuperati dalla tradizione carnica
non vengono apprezzati, si è riscontrato un
notevole interesse degli acquirenti per la tipologia dei capi prodotti e per la loro fattura.
In questo caso, si sono adattati disegni e decori in modo da interpretare e da soddisfare questo interesse anche dal punto di vista estetico:
lo stesso accade per il Nord dove forse la
richiesta di capi fortemente connotati dal
punto di vista della tradizione è più marcata.
Per la quarta impresa artigiana del settore visitata, sono la fantasia e la creatività della sua
titolare a costituire la fonte del suo aggiorna-
– 79 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
mento professionale e dipende dai suoi clienti
la possibilità di tradurre ciò che ha elaborato
astrattamente in colorata, divertente, sbarazzina o elegante realtà.
Non sfoglia mai i giornali e le riviste dedicate
alla moda, se non in coincidenza del periodo in
cui si fanno le sfilate ed è allora che osserva
attentamente i modelli proposti e immagina
come sarebbero potuti risultare impiegando
nella loro confezione la sua stoffa: il fatto di scoprire che probabilmente si sarebbe rivelata adatta per molti di essi la sorprende piacevolmente.
In fatto di moda l’intervistata ha le idee molto
chiare, nel senso che non si lascia assolutamente condizionare dalle sue seducenti proposte;
se, ad esempio, una cliente si rivolge a lei per
commissionarle una giacca nera, perché magari in quel periodo le tendenze dettate sono
quelle, lei si rifiuta di farla.
Piuttosto la indirizza in questo o in quell’altro
negozio dove può trovare mille alternative di quel
capo tanto in voga perché è solo lì che può essere
soddisfatta, mentre invece la caratteristica più
evidente delle giacche che lei confeziona è l’estrema variabilità di colori che le compongono.
A lei piace miscelare i colori per realizzare un
capo che possa essere abbinato gradevolmente
e coerentemente con ogni altro perché la sua
più grande soddisfazione è vedere le sue creazioni indossate e non lasciate nell’armadio.
Al giorno d’oggi, uomini e donne hanno sempre meno tempo da dedicare alla scelta di come
abbigliarsi la mattina per andare al lavoro; per
questo motivo lei ha pensato di realizzare capi
indossabili facilmente, con praticità, senza per
questo dover rinunciare a un tocco più o meno
marcato di eleganza e di buon gusto.
La tradizione tessile a cui si rifanno i capi prodotti dal laboratorio artigiano visitato è quello
tipicamente locale, anche se è facile confonderli con quelli della tradizione tirolese: in questo
caso, infatti, si commette un grosso errore di
fondo perché la lana cotta con la quale vengono realizzati, e che spesso ritroviamo nell’abbigliamento tipico del popolo austriaco, non è
originaria di quei luoghi, ma costituita esclusivamente da filati prodotti in Italia, nella città
di Firenze.
Il termine italiano che la designa è lana gualcata, dal verbo “gualcare” (derivato a sua volta
dal termine longobardo walkan, “rotolare”),
un sinonimo del verbo “follare”, ad indicare
che la fibra naturale ha subito un processo di
infeltrimento.
Un tempo, a Firenze, negli opifici che si dedicavano a questo tipo di lavorazione, le gualchiere, erano impiegati degli schiavi che trascorrevano la loro giornata a trattare la lana
degli ovini locali dentro appositi mulini, dove
veniva pestata in continuazione
Orinandoci dentro, essi aggiungevano l’ammoniaca necessaria per facilitarne la lavorazione e
in tal modo i peli animali, sotto l’effetto del
continuo sbattimento, della temperatura e dell’ammoniaca si dilatavano per poi restringersi e
amalgamarsi tra loro in un fitto intreccio: la
fibra così ottenuta era particolarmente resistente e risultava “gualcata”, infeltrita appunto.
Con questo sistema di lavorazione, la stoffa
che si realizza, leggera o pesante che sia, permette di ottenere capi di abbigliamento idrorepellenti, termici (perché la lana è già naturalmente termica), antimacchia (perché con uno
straccio asciutto si leva qualsiasi macchia) e
ignifughi, esaltando in questo modo le sue
caratteristiche tipiche.
Un tempo, le donne della Carnia realizzavano
calzette e maglie con tessuti a maglia del tutto
normali e non era necessario cuocerle perché il
processo di infeltrimento della lana avveniva
attraverso il semplice sfregamento con la pelle
intrisa di sudore.
La Storia delle tecniche utilizzate nel settore
tessile ci porta indietro negli anni e ci fa riscoprire dei veri e propri tesori: noi ora non abbiamo più i problemi degli antichi abitanti di
Sumer, in Mesopotamia, gli originari ideatori
di queste tecniche, che avevano a che fare con
una materia prima naturale ricavata dal vello
delle loro greggi.
Il loro “saper fare”, affinatosi con il trascorrere del tempo, non è più sufficiente perché
attualmente ci si trova a lavorare materiali trattati in chissà quale maniera e questo rende
tutto più difficile.
Per questo motivo, l’intervistata utilizza raramente, e solo in casi estremi, questo genere di
materie prime perché risultano alla fine poco
affidabili: il caso delle stoffe realizzate con filati d’angora è emblematico a questo proposito.
– 80 –
IL CONTENUTO DI QUALITÀ DELLE LAVORAZIONI ESEGUITE SOTTO IL PROFILO ARTISTICO
Questo genere di filato è costituito dal pelo di
una particolare razza di coniglio e per sua
natura è piuttosto corto: una simile caratteristica determina il fatto che esso sia più difficile
da ridurre in filo per cui i suoi produttori, per
farlo, lo trattano con dell’olio.
Una volta acquistato, prima di essere tessuto
in laboratorio, il filato deve essere accuratamente lavato con detersivi appositi per rimuovere quella patina oleosa che, diversamente,
renderebbe assai problematica l’esecuzione di
quell’operazione.
I capi in lana che tendono a perdere peli sotto
forma di piccoli agglomerati (la lana fa i “pallini”) si presentano in questo stato non perché
la lana è di scarsa qualità ma perché, essendo
costituita da velli a pelo corto, può presentare
questo tipo di problema a causa di una cattiva
filatura.
La lana di cashmere, ad esempio, è costituita
da peli sottili come la seta e per questo motivo
è molto difficile da lavorare per cui è assai probabile che sui capi realizzati con questa fibra
naturale compaiano i “pallini” ma la cosa non
deve preoccupare eccessivamente perché, dopo
due o tre volte che la si spazzola, questo brutto effetto scompare lasciando la lana proprio
come seta.
Come si può constatare, in quest’azienda artigiana, la tradizione locale ha fatto propri i suggerimenti e le esperienze introdotte nel settore
tessile dall’innovazione che hanno consentito
in questo modo di riscoprirla e di valorizzarla.
Note
(70) Vedasi, al proposito, il Capitolo 3 del presente
volume.
(71) Cfr. GRI G. P., “Tessere tela, tessere simboli.
Antropologia e storia dell’abbigliamento in area
alpina”, cit.
– 81 –
7. Le destinazioni di mercato dei manufatti prodotti e/o dei servizi resi
7.1 Settore di attività relativi alle lavorazioni
del legno
Per motivazioni diverse, gli artigiani carnici,
che operano nei settori delle lavorazioni del
legno, distribuiscono la loro produzione
soprattutto su mercati locali, come si può rilevare dalle destinazioni di mercato dei manufatti realizzati nei loro laboratori. (TAB. 5)
TAB. 5 - Imprese artigiane del settore ligneo prese in esame. Motivazioni del loro posizionamento di
mercato.
CASI
MOTIVAZIONI *
1
2
3
Problemi di distribuzione
x
x
Visibilità limitata/Scarsa promozione
x
x
Mercato marginale/nicchia
4
5
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
6
7
8
9
x
x
x
x
x
x
x
x
x
Scarso valore aggiunto per prodotto
Elevata competitività
x
x
Altra
(*) Max 3
L’impresa artigiana che opera nel comparto
della fabbricazione di carpenteria (Caso 1)
soddisfa con la sua produzione un’area di mercato prevalentemente regionale e una clientela
costituita in gran parte da committenti privati:
inoltre, una quota piuttosto limitata (20%)
della stessa è destinata al magazzino.
L’attuale posizionamento di mercato è dovuto
principalmente a problemi di distribuzione, di
visibilità limitata della produzione realizzata e
alla forte competitività esercitata dagli operatori del comparto della vicina Austria.
Con il passare degli anni, la produzione iniziale dell’impresa, legata ai manufatti tradizionali ottenuti dalla segagione del legno, è andata
via via riducendosi ed è stata sostituita sistematicamente con quella del legno lamellare.
Una scelta strategica certamente lungimirante
ma molto rischiosa per quei tempi, visto che
andava contro corrente: il titolare dell’impresa,
tra i primi in Friuli-Venezia Giulia a proporre
tale innovazione, ricorda di aver testardamente
perseguito i suoi intendimenti, nonostante gli
operatori della zona lo criticassero e cercassero
di dissuaderlo da tale proposito.
Iniziò a collaborare con studi tecnici di progettazione e professionisti impegnati nel settore
delle costruzioni che avevano cominciato a utilizzare il nuovo materiale nei loro lavori: la
possibilità di sviluppo dell’azienda era inevitabilmente legata alla costruzione e al consolidamento di tale rapporto che si rivelò in seguito
molto proficuo.
La collaborazione professionale avviata rappresenta attualmente la forza propulsiva che
anima la ricerca e lo sviluppo dell’impresa:
l’intervistato sperimenta in continuazione
nuovi materiali e sta lavorando alacremente
alla realizzazione di un prototipo di abitazione
costruita interamente in legno lamellare che,
superate le prove e i tests di conformità alla
normativa vigente, verrà brevettato.
Nel comparto della fabbricazione di mobili, i
manufatti prodotti dalle imprese artigiane visitate (Casi 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9) sono realizzati generalmente su commessa e soddisfano una
– 83 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
domanda costituita essenzialmente da privati:
spesso il cliente arriva nei laboratori delle
imprese visitate con le idee ben chiare per cui
gli artigiani incontrati si limitano ad eseguire
ciò che viene loro richiesto.
Molto spesso, in tali occasioni essi intervengono dando qualche piccolo consiglio, suggerendo qualche dettaglio, sia nell’immediato che in
fase di lavorazione, ma niente di più.
Altre volte, invece, il loro lavoro viene anche
integrato da una vera e propria consulenza,
andando a fare delle misurazioni a casa del
cliente, cercando di offrire qualche consiglio,
realizzando schizzi esemplificativi per dare
un’idea più precisa e chiara del risultato finale:
dopo di che hanno inizio i lavori veri e propri.
Attualmente, con l’ausilio dei moderni mezzi
informatici e con del software apposito
(Autocad), alcune aziende facilitano il percorso immaginativo dei loro clienti anticipando
virtualmente il succedersi delle varie fasi della
progettazione con rappresentazioni grafiche
anche molto elaborate.
Si agisce in modo del tutto analogo anche
quando si tratta di procedere alla la scelta dei
materiali da impiegare nella costruzione dei
manufatti: se un cliente ha una precisa esigenza, non si fa altro che soddisfarla, mentre, invece, se non si è chiarito a sufficienza le idee a
questo proposito, si possono realizzare componenti che si abbinano facilmente all’arredo
preesistente, altrimenti gli si mostra una campionatura delle essenze lignee disponibili,
attraverso cui è possibile orientare maggiormente le sue scelte.
La visibilità di mercato della loro produzione è
piuttosto limitata e i canali informativi attraverso i quali vengono raggiunte continuano a
rimanere quelli del “passa parola” tra conoscenti ed estimatori: rilevano che il mercato in
Carnia è oramai poco sensibile ad accogliere i
loro prodotti e si rivolge ad altri di qualità
mediocre.
Il grosso problema che ostacola l’espansione
economico-produttiva delle imprese artigiane
della zona è costituito dalla sua ubicazione fortemente decentrata rispetto alle direttrici normalmente percorse dai flussi turistici.
La gente si orienta verso soluzioni d’arredo
diverse, certamente lontane da quelli che sono
i canoni e il gusto della tradizione, soprattutto
perché non riesce a comprendere il vero significato del rapporto qualità-prezzo.
Capita più raramente, invece, che la committenza sia costituita da architetti o da studi di
professionisti associati che si dedicano ai temi
dell’arredamento per conto di terzi.
Al giorno d’oggi, infatti, può accadere che, lavorando in stretta associazione con studi d’architettura o con aziende a capo di grandi commesse, per
le quali è una prassi commissionare lavori particolari solo ed esclusivamente a ditte artigiane di settore, sia più facile espandere il proprio campo
d’azione anche al di fuori della propria realtà.
Il mercato ha un’estensione prevalentemente
regionale e, in questo ambito, si concentra nei
grandi centri urbani, come Udine e Trieste: a
volte quest’area si amplia con richieste che
provengono dall’intero territorio nazionale e
in alcuni casi, peraltro limitati, dall’estero.
L’allargamento dell’area di mercato nella
quale viene collocata questa categoria di
manufatti, più precisamente di quelli di maggior pregio artistico, tradizionale e tipico, è
conseguente a un processo di diffusione che si
è sviluppato attraverso sistemi e canali informativi di potenzialità limitata ma estremamente efficaci, e che ha proposto, a clienti molto
attenti e sensibili alla qualità, un’immagine
delle aziende artigiane produttrici particolarmente forte sotto il profilo della competenza,
della coerenza e dell’affidabilità.
Nel comparto relativo alla fabbricazione di
serramenti, la produzione realizzata delle
imprese artigiane incontrate (Casi 3, 8, 9) è
distribuita prevalentemente sul mercato regionale e talvolta anche su quello nazionale.
Esse devono confrontarsi quotidianamente
con la concorrenza esercitata sul mercato dai
prodotti realizzati dalle grandi industrie del
comparto, sebbene la qualità esecutiva dei serramenti, anche in virtù di questa accanita competizione, sia notevolmente migliorata: la loro
produzione si è rapidamente adeguata agli
“standard” di mercato, sia per quanto riguarda
le forme e le innovazioni tecnologiche introdotte sia per quanto riguarda la loro rispondenza alle normative europee.
Un minaccia, in fatto di concorrenza, è rappresentata dalle grandi imprese impegnate nella
– 84 –
LE DESTINAZIONI DI MERCATO DEI MANUFATTI PRODOTTI E/O DEI SERVIZI RESI
realizzazione di grandi opere edili per uso civile, industriale o di servizi perché l’organizzazione dei loro cantieri tende ad esclude, a priori, il
coinvolgimento di imprese artigiane e a privilegiare le forniture proposte da altri operatori.
In questo ambito sono coinvolte falegnamerie
industriali che producono serramenti in serie e
che ultimamente sono sconfinate nel mercato
solitamente occupato dalle imprese artigiane
perché dotate di macchinari adatti a realizzarne piccole quantità.
A questo problema si aggiungono quelli relativi alle difficoltà di distribuzione della produzione su un territorio più vasto, alla limitata
visibilità della loro immagine e alla scarsa promozione dei loro prodotti: si tratta di ostacoli
che le aziende artigiane incontrate, con le sole
risorse interne, non riescono a superare.
Nel comparto della fabbricazione di oggettistica varia, l’impresa artigiana che si dedica a
questo genere di produzione (Caso 3) distribuisce i suoi manufatti principalmente in ambito
regionale, attraverso canali che privilegiano la
loro vendita diretta su fiere e mercati locali.
Il suo titolare riferisce di aver avuto dei contatti commerciali sia con le altre regioni italiane
sia con altri Paesi, in particolare con l’Austria,
ma che si è sempre trattato di rapporti occasionali, basati più sulla vendita al dettaglio che su
un rapporto di scambio continuativo.
I manufatti immessi sul mercato, pur avendo
caratteristiche di qualità, entrano in competizione con quelli realizzati da “hobbisti” o con
quelli che vengono importati da altri Paesi,
dove i costi di produzione sono molto bassi, per
essere venduti qui da noi a prezzi stracciati.
È inevitabile che certe produzioni vengano imitate, che certi oggetti vengano migliorati e che
il loro costo venga abbassato: per tenere la
posizione conquistata bisogna continuare nel
processo di innovazione della produzione e del
prodotto.
Molto spesso, però, questi prodotti mancano
di originalità e non hanno alcuna caratteristica
particolare che recuperi i tratti e le connotazioni tipiche della tradizione carnica, per cui il
valore aggiunto che potrebbe derivarne è praticamente irrilevante.
Di fronte a queste situazioni ci si trova spiazzati dal punto di vista economico, si raccolgono
le briciole rimaste e si occupa una piccola nicchia in cui ci si limita a fare quei piccoli lavori
originali e di qualità che richiedono però molto
tempo e, alla fine, sono poco remunerativi.
Sono questi i motivi che inducono l’impresa
artigiana a ricercare nuove prospettive di sviluppo per la sua attività, attraverso una diversificazione produttiva orientata verso il comparto della fabbricazione di serramenti.
Nel comparto relativo all’esecuzione di interventi di restauro, infine, le imprese artigiane
prese in esame (Casi 2, 4, 5) forniscono in prevalenza i loro servizi a un mercato di estensione regionale, con occasionali incursioni su
quello nazionale e, per prossimità, su quello
internazionale (Austria).
La committenza è costituita quasi esclusivamente da una clientela privata che richiede le
loro prestazioni per intervenire su manufatti
d’epoca e non sui quali vengono effettuate operazioni specialistiche che tendono al loro recupero conservativo: purtroppo è del tutto assente
la domanda di questo genere di servizi da parte
del settore pubblico, in particolare dalle
Sovrintendenze ai beni culturali della regione.
La Sovrintendenza di Udine, ben conosciuta
dalla titolare di una delle imprese visitate
(Caso 5) per via dei suoi studi universitari,
opera con un numero limitato di propri restauratori che devono intervenire su un patrimonio
sterminato di beni che solo da pochi anni
comincia ad essere valorizzato e che necessiterebbe di interventi conservativi, e, a differenza
di quella di Trieste, ha finora evitato di affidare l’esecuzione di questi lavori a privati: il risultato (beffardo per un bravo restauratore) è
quello di assistere impotenti (così sembrerebbe) al suo irreversibile degrado.
Ciò potrebbe essere evitato, soprattutto se
venissero individuati gli artigiani e i professionisti veramente capaci di farli a regola d’arte,
nel pieno rispetto dei protocolli ufficiali di
intervento: a questo proposito, appare significativa l’esperienza vissuta di recente dall’intervistata che, in occasione del bando di concorsi
pubblici per il restauro di intere sezioni museali, non ha potuto parteciparvi per problemi di
scarsa e corretta visibilità di mercato.
In realtà, il disguido era dovuto al fatto che i
committenti non erano potuti risalire alle atti-
– 85 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
vità svolte dalla sua azienda e da quella della
sua collega (Caso 4) perché queste risultano
assurdamente classificate negli elenchi ufficiali
delle Camere di Commercio, Industria,
Artigianato e Agricoltura come le attività praticate da “finitori di mobili in legno”: per questo e altri motivi occorre che la professionalità
artigiana di qualità venga finalmente riconosciuta pubblicamente.
Si eviterebbe in tal modo di alimentare la concorrenza tra professionisti del comparto e operatori improvvisati e inesperti che sempre più
spesso si affacciano sul mercato, attratti da
prospettive di facile guadagno, e si tutelerebbe
maggiormente il consumatore da spiacevoli
esperienze.
Quello antiquario, avvertono i nostri interlocutori, è un mercato vivacissimo in cui è molto
facile e frequente, per il neofita o per la persona inesperta, incorrere in vere e proprie buggerature: sembra che per alcuni artigiani del
comparto sia altrettanto facile venire molto
sovente a patti con i principi fondamentali
della loro etica professionale.
Il restauro di strumenti musicali ad arco, infine, eseguito da una delle imprese artigiane
incontrate (Caso 2) occupa una nicchia di
mercato con caratteristiche proprie, spesso
estranee a vincoli di natura geografica o territoriale, nella quale, a volte, sono l’esclusività e
l’eccellenza a prevalere, altre volte, invece, le
barriere protezionistiche poste da certi
ambienti.
Capita, allora, che sia molto difficile vendere
uno strumento ad un allievo di Conservatorio,
perché questi, per i suoi acquisti, viene indirizzato verso costruttori accreditati presso tali
strutture, mentre è più agevole farlo con un
musicista più o meno affermato che risiede in
zona, piuttosto che in Austria o in Paesi oltre
oceano: in ogni caso, si tratta di strumenti realizzati e/o restaurati su commessa di privati.
7.2 Settore di attività relativi alle lavorazioni
tessili
Il posizionamento di mercato delle imprese
artigiane contattate che operano nel comparto
della fabbricazione di arazzi e tappeti è piuttosto vario e crediamo che ciò possa dipendere
principalmente dalla tipologia dei manufatti
prodotti e dalla loro localizzazione territoriale.
(TAB. 6)
TAB. 6 - Imprese artigiane del settore tessile prese in esame. Motivazioni del loro posizionamento di
mercato.
CASI
MOTIVAZIONI*
10 11 12 13
Mercato marginale/nicchia
x
x
Problemi di distribuzione
x
x
x
x
Visibilità limitata/Scarsa promozione
x
x
x
x
Scarso valore aggiunto per prodotto
Elevata competitività
x
x
Altra
(*) Max 3
Per una di esse (Caso12), l’intera produzione è
destinata al consumatore finale rappresentato,
in questo caso, dal turista che visita brevemente la località montana nella quale l’azienda
svolge la propria attività o vi trascorre un
periodo di vacanza in estate (più frequentemente) o in inverno (più raramente).
Nel periodo estivo capita molto spesso che,
dopo aver visionato il laboratorio e i manufatti esposti e aver deciso un primo acquisto, il
turista dimostri il suo interesse per qualche
articolo che in quel momento non è disponibile o è impossibile realizzare: si trasforma allora in committente che ordina la merce richiesta
– 86 –
LE DESTINAZIONI DI MERCATO DEI MANUFATTI PRODOTTI E/O DEI SERVIZI RESI
e che la riceverà direttamente a casa qualche
mese dopo.
Gli ordinativi di questo genere vengono raccolti ad iniziare dal mese di luglio e proseguono
fino alla fine della stagione estiva: nei mesi
autunnali l’attività in azienda riprende a gran
ritmo per poter effettuare le consegne alla fine
di ottobre e prosegue in quelli invernali e primaverili per ricostituire le scorte di magazzino.
Arazzi e tappeti rientrano in una produzione
diversificata che comprende anche altri manufatti, come la tovaglieria per usi domestici e
capi d’abbigliamento, ma è la loro realizzazione
che risulta essere particolarmente impegnativa.
In passato si è tentata una distribuzione dei
manufatti prodotti in un ambito più ampio di
quello strettamente locale, presso negozi del
fondovalle particolarmente attenti a questo
genere di produzione, ma alla fine l’intermediazione è risultata troppo onerosa, sia sotto il
profilo economico sia sotto il profilo organizzativo, e attualmente ha una rilevanza estremamente ridotta.
Il mercato a cui si rivolge l’azienda presa in
esame è, dunque, un mercato locale di nicchia,
riservato a manufatti di elevata qualità nel
quale prevale la componente rappresentata da
una domanda esterna collegata ai flussi turistici che interessano la Carnia.
Una seconda impresa artigiana del comparto
(Caso 11), pur avendo sede in un comune montano, non produce per il magazzino come accade per altre imprese del settore, operanti in
quest’area del Friuli e situate in località frequentate stagionalmente da flussi turistici, che
invece hanno questa specifica esigenza per soddisfare questo genere di domanda.
Purtroppo, la località nella quale svolge la sua
attività non è stato finora metà di una frequentazione turistica significativa, neanche attraverso
l’avvio di iniziative appositamente studiate e predisposte in questo senso (“Gira Carnia”) dagli
Enti e dalle Istituzioni preposte a tale scopo, e
una scelta orientata nel senso predetto sarebbe
risultata ingiustificata e particolarmente onerosa.
La titolare dell’azienda, fin dagli inizi della sua
attività, ha dovuto cercare la clientela principalmente al di fuori del contesto locale che, da
solo, non avrebbe assicurato la sopravvivenza e
la possibilità di sviluppo della sua impresa.
La tipologia stessa dei manufatti prodotti,
inoltre, è del tutto particolare sia per le sue
caratteristiche funzionali sia per quelle estetiche: molto spesso si tratta di pezzi unici realizzati da artisti, arredatori, architetti, stilisti, galleristi, mercanti d’arte ecc. che le affidano la
realizzazione dei loro “cartoni” e dei loro progetti oppure è lei stessa che propone loro delle
sue creazioni.
Quella occupata è una nicchia di mercato
molto esclusiva, di fascia medio-alta, dove la
qualità dei prodotti fabbricati deve raggiungere e mantenere nel tempo livelli di assoluta
eccellenza sotto ogni punto di vista: tali prodotti vengono venduti principalmente in Italia,
ma alcune commesse sono giunte anche da
Paesi esteri come gli Stati Uniti, la Germania,
l’Inghilterra.
Il conseguimento di questo prestigioso traguardo ha richiesto sforzi e sacrifici notevolissimi, sopportati e superati dall’intervistata grazie alla sua tenace determinazione e alla sua
elevatissima professionalità: da qualche
tempo, ci confida con meritata soddisfazione,
arrivano in paese personaggi importanti, nel
campo dell’arte piuttosto che in quello del
design, che, venuti a conoscenza dell’attività
svolta, vogliono visitare l’azienda e avviare
rapporti di collaborazione.
Per la terza impresa artigiana visitata (Caso
13), la produzione di arazzi e tappeti è secondaria e non risulta determinante per spiegare il
suo attuale posizionamento di mercato: ad
ogni modo, la sua collocazione in questo ambito verrà esaminata tra breve.
Nel comparto della fabbricazione di biancheria
per la casa, l’impresa artigiana presa in esame
(Caso 10) destina il 95% della sua produzione
al territorio nazionale: una buona area di mercato è proprio quella regionale dove la sua attività è forse più conosciuta ed apprezzata.
Il Nord Italia invece è meno sensibile al genere
di articoli che viene realizzato in azienda e ciò
è probabilmente dovuto alle profonde trasformazioni subite dagli attuali stili di vita che
stanno mutando radicalmente quelli del passato, decisamente più ancorati alla tradizione
classica.
Esistono, comunque, aree del Paese che si
dimostrano ancora troppo poco ricettive nei
– 87 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
confronti di questi prodotti ma rappresentano
un mercato potenziale: il Piemonte, la
Lombardia, la Liguria, sono aree nelle quali
esiste già una tradizione tessile piuttosto marcata ed è normale aspettarsi che la gente preferisca generalmente acquistare gli articoli prodotti in loco per motivi perfettamente comprensibili (prezzo, affettività, tradizione ecc.)
Il titolare ha osservato però che i prodotti realizzati dalla sua azienda, fortemente connotati
dal punto di vista della tradizione locale, carnica in particolare, esercitano una notevole
attrazione su qualunque mercato: magari non
vengono venduti in Piemonte, ma i piemontesi
che vengono in Carnia o che hanno l’opportunità di conoscere e di apprezzare i suoi prodotti ne fanno incetta.
Il Sud dell’Italia, invece, è quella che soddisfa
maggiormente le aspettative del nostro interlocutore perché esistono delle attenzioni particolari riservate alla tavola, al corredo, alla biancheria per la casa molto più forti che altrove e
di conseguenza la commercializzazione di questi articoli è molto buona in Puglia, in Sicilia,
in Campania, un po’ meno, in Abruzzo.
Limitatamente ad alcuni di essi, le vendite
sono molto buone in Umbria, un’area di mercato certamente difficile visto che in questa
regione la tradizione tessile locale, artistica e di
qualità, ha ispirato, fin dal Medioevo, quelle
sviluppatesi successivamente nelle varie aree
del Paese: alcuni esemplari di manufatti realizzati con motivi decorativi provenienti da questa regione sono attualmente conservati nel
Museo delle Arti e Tradizioni popolari di
Tolmezzo, a testimonianza della notorietà e del
prestigio godute a quel tempo dal suo artigianato in questo specifico settore di attività.
Nel comparto della fabbricazione di tessuti a
maglia e confezione, infine, la titolare dell’impresa artigiana presa in esame (Caso 13), attraverso il punto vendita di sua proprietà aperto
molti anni fa in una località rivierasca molto
conosciuta, riesce a commercializzare gran
parte della produzione realizzata nel laboratorio della località montana nella quale ha sede
l’azienda.
Le vendite, di per sé molto soddisfacenti, oltre
a questo ambito locale, si estendono anche
all’intero territorio regionale e a quello nazio-
nale per soddisfare una clientela di fascia
medio-alta che ama (o ha imparato ad amare)
manufatti di questo genere, nei quali emerge la
qualità, l’eleganza, l’esclusività, il gusto.
Le sue creazioni, molto note tra gli stilisti di
moda e tra gli operatori del settore, sono visibili, oltre che in laboratorio e nel negozio citato, anche sul sito Internet dedicato all’attività
d’impresa.
Un tempo, alcuni capi venivano affidati in
conto vendita a delle boutiques di prestigio
che, senza motivo apparente, ritardavano sistematicamente i pagamenti; l’intervistata, in
breve tempo, ha scoperto che le sue giacche,
esposte puntualmente in vetrina, servivano da
richiamo per la clientela alla quale venivano
venduti però altri capi: a quel punto, stanca dei
raggiri, ha pensato, com’è nel suo carattere, di
fare da sé e, dobbiamo dire, che c’è riuscita con
ottimi risultati.
Per promuovere le sue creazioni in un ambito
di mercato più vasto ha investito molto in
pubblicità, utilizzando a questo proposito
canali informativi diversificati come, ad esempio, Internet, riviste specializzate sia italiane
che estere, televisione ecc.: per aumentarne
ulteriormente la visibilità, l’intervistata ritiene
che sarebbe necessaria una persona che dedicasse tutto il suo tempo a curare solo questi
aspetti dell’attività e lei, da sola, non può farlo
evidentemente.
Afferma, con sfumata civetteria, di essere
molto brava a vendere i suoi capi direttamente
ai suoi clienti perché con loro si stabilisce un
rapporto fiduciario, attraverso il quale passano, con sua grande soddisfazione, i suoi consigli e i suoi suggerimenti: con i proprietari di
negozi e di boutiques, come abbiamo visto, il
rapporto è più problematico e diventa impossibile ed irritante per lei, se dimostrano di non
saper dovutamente e giustamente apprezzare i
suoi lavori.
La qualità, se di questo effettivamente si tratta, deve essere riconoscibile e va riconosciuta
in modo tale che venga immediatamente individuata sul mercato e, a quel punto, troverà la
sua più adatta collocazione.
Gli artigiani che hanno coscienza di ciò e che
producono manufatti di questo genere hanno
tutto l’interesse a mantenere un giusto equili-
– 88 –
LE DESTINAZIONI DI MERCATO DEI MANUFATTI PRODOTTI E/O DEI SERVIZI RESI
brio fra qualità e prezzo, per cui sarà difficile
che si prestino ad aumentare la produzione per
soddisfare richieste che ne comprometterebbero la validità, ed è anche per questo motivo che
i professionisti del settore vogliono lavorare
solo con certe nicchie di mercato.
La nostra interlocutrice ama talmente tanto il
suo lavoro che spesso vende le sue creazioni a
prezzi forse un po’ troppo inferiori a quelli di
mercato, ma il suo vero guadagno sta nell’acquisto delle ottime materie prime che impiega
per realizzarle perché sa dove trovarle e dove
comprarle convenientemente: ad esse aggiunge
il suo lavoro, che non ha un costo vero e proprio, in quanto non viene percepito come un
sacrificio ma, piuttosto, come un’attività estremamente piacevole e gratificante.
– 89 –
8. Le azioni da intraprendere per il sostegno e lo sviluppo dei settori
artigiani indagati
Le valutazioni espresse dai titolari delle imprese artigiane, che operano nei diversi comparti
dei due settori di attività indagati, in merito
alle iniziative che la Regione Friuli-Venezia
Giulia potrebbe intraprendere per il sostegno e
lo sviluppo dell’artigianato artistico, tradizionale, tipico ed innovativo di qualità, sono concordi nel ritenere tale intervento molto opportuno e sottolineano con forza la necessità di
effettuarlo al più presto. (TAB. 7)
TAB. 7 - Imprese artigiane dei settori indagati prese in esame. Livelli di opportunità delle azioni di
sostegno e sviluppo, eventualmente intraprese dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, a favore dell’artigianato di qualità.
CASI
LIVELLI
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13
Molto opportuno
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
Abbastanza opportuno
Poco opportuno
Non opportuno
Nelle varie proposte avanzate è riconoscibile un
denominatore comune, che privilegia i vari
aspetti qualitativi e di innovazione delle azioni
da compiere, per agevolare e per valorizzare l’artigianato di qualità della regione nel suo insieme.
Ognuno di essi presenta delle peculiarità particolari che dovrebbero essere preventivamente
analizzate, studiate e documentate con molta
attenzione per essere successivamente proposte
a potenziali interlocutori nazionali ed internazionali scelti con la medesima cura.
Per agevolare l’incontro tra domanda ed offerta occorre conoscere il mercato dal punto di
vista quantitativo, ma anche da quello qualitativo e l’artigianato di eccellenza, sotto il profilo artistico, tradizionale, tipico ed innovativo,
può e deve offrire solo qualità.
Poter disporre di indicazioni affidabili sui fabbisogni di una domanda allargata al mercato
nazionale ed internazionale non è certo alla
portata del singolo artigiano o delle
Associazioni di categoria che lo rappresentano: è in questo ambito che la Regione FriuliVenezia Giulia potrebbe intervenire promuovendo e predisponendo, dal punto di vista
organizzativo, vere e proprie operazioni di
strategic marketing, riservate ai singoli settori
di attività artigiana e ai relativi comparti.
Come si diceva, ognuno di essi ha delle precise
connotazioni, che traspaiono con evidenza dai
suggerimenti raccolti e che vengono riportate
di seguito.
8.1 Settore di attività relativo alle lavorazioni
del legno
Dal comparto della fabbricazione di carpenteria proviene la richiesta, rivolta in particolare
all’Amministrazione regionale, di porre maggiore attenzione alle problematiche di un settore produttivo strategico e in crescita.
In questo caso, gli interventi dovrebbero essere
di tutt’altra natura, rispetto a quelli che vengono solitamente proposti, perché si tratta di
sostenere un settore fortemente innovativo nel
quale l’esigenza di una maggiore affermazione
è fondamentale per il suo sviluppo.
Nel nostro Paese non si presta particolare
cura a tale genere di problematiche e gli
imprenditori che lavorano in questo senso
sono lasciati soli, devono provvedere ad ogni
cosa quando addirittura non vengono ostacolati in vario modo, pur sapendo che delle eventuali benefiche ricadute sull’economia locale
(e non solo) ne trarrebbero vantaggio tutti
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TRA TRUCIOLI E TELAI
quanti, anche coloro che si dimostrano restii
al cambiamento.
Nell’area in cui opera l’azienda vengono privilegiate prospettive di sviluppo locale poco credibili che prevedono interventi di operatori
economici esterni e che appaiono finalizzate a
raggiungere obiettivi meramente speculativi
piuttosto che il rilancio dell’economia dell’intera valle.
La logica di basare lo sviluppo locale su
un’economia di servizi, che, anche a seguito
della caduta delle barriere doganali in ambito
europeo, si è fortemente ridimensionata e che
ha ridotto fortemente i livelli occupazionali,
dovrebbe essere rivista e corretta nel senso di
rivitalizzare e sostenere quella fondata sulle
attività manifatturiere e, in particolare, viste le
caratteristiche di quest’area montana, su quelle artigiane innovative e di qualità.
Basterebbe documentarsi e informarsi maggiormente su ciò che stanno facendo, in questo
senso, altri Paesi europei che, attraverso le loro
politiche e le loro iniziative, si dimostrano particolarmente attenti e sensibili a tali trasformazioni, soprattutto se offrono l’opportunità di
rilanciare lo sviluppo di aree in crisi.
L’Austria, ad esempio, nel settore del legno
lamellare ha fatto passi in avanti straordinari,
sia dal punto di vista della ricerca tecnologica
e sperimentale sia dal punto di vista di una
normativa rigorosa in fatto di impatto ambientale, per evitare i rischi di alterazione e di
degrado
Il sistema di costruire case, realizzate interamente con questo materiale, è oramai molto
avanzato perché supportato fin dall’inizio delle
sperimentazioni intraprese molti anni fa dalla
competenza specifica di Organismi tecnici e
dalla intenzionalità dichiarata di Istituzioni
pubbliche che, oltre a fornire il loro sostegno
nella messa a punto del sistema stesso, si fanno
carico di effettuare le valutazioni e i controlli
necessari per garantire la sua efficienza, la sua
efficacia, la sua affidabilità e per individuare e
correggere la sua eventuale vulnerabilità.
Valutazioni e controlli molto accurati e precisi
che servono ad accertare se la costruzione è
stata fatta secondo i criteri prestabiliti per
rispondere ai requisiti che consentono di riconoscerla come eco-compatibile e a basso con-
sumo energetico e di assegnare al proprietario
una serie di agevolazioni e di incentivi.
In Italia, invece, si è ben lontani dal concepire
una procedura del genere e il tutto si riduce ad
applicare la normativa esistente in modo blando e approssimato: si compila un modulo da
presentare all’Ufficio Tecnico del Comune in
cui è stata realizzata la costruzione e tutto finisce lì!
Non esistono Organismi e professionalità preposte a controllare quello che è stato fatto e,
tanto meno, a verificare sul cantiere se ciò che
è stato dichiarato risponde a verità: in questo
caso, lo stesso importante e delicato problema,
viene affrontato e risolto in modo approssimato e sbrigativo, nel senso che si è badato più
alla forma che al contenuto.
La normativa nazionale in materia è stata giustamente recepita da quella regionale ma nulla
si è fatto in concreto per procedere a una sua
corretta applicazione, mentre sarebbe perlomeno auspicabile che ciò venisse fatto in modo
rigoroso e sistematico.
La Regione Friuli-Venezia Giulia, a questo
proposito, potrebbe fare certamente molto, sia
sul piano della formazione professionale degli
operatori del settore sia sul piano delle verifiche e dei controlli ai quali sottoporlo, con iniziative ed interventi mirati.
In Trentino-Alto Adige, ad esempio, si è pensato di lavorare sul primo versante fornendo servizi adeguati per soddisfare, ai vari livelli, il
fabbisogno formativo esistente nel campo delle
lavorazioni del legno giungendo addirittura
all’istituzione di corsi universitari: il nipote
dell’intervistato, oramai coinvolto nei disegni
di sviluppo dell’impresa familiare, seguirà un
percorso formativo, dedicato all’argomento,
della durata di sei mesi, senza avere, peraltro,
la certezza che l’esperienza formativa effettuata gli venga ufficialmente riconosciuta come
facente parte del suo piano di studi.
Per quanto concerne, invece, il versante delle
verifiche e dei controlli, la realtà regionale
dispone di un organismo di certificazione che
si occupa esclusivamente del settore della fabbricazione di mobili, mentre quello in cui
opera il nostro interlocutore avrebbe bisogno
di un riferimento del genere, soprattutto per il
supporto tecnico-scientifico che potrebbe dare
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LE AZIONI DA INTRAPRENDERE PER IL SOSTEGNO E LO SVILUPPO DEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI
allo studio, alla ricerca e alla sperimentazione
di nuovi materiali da costruzione.
In questo ambito, il confronto di mercato tra
gli operatori, avviene oramai su queste basi,
nel senso che i prodotti presentati alla clientela
devono rispondere inequivocabilmente a determinate caratteristiche tecnico-strutturali che
devono essere certificate da organismi preposti
a farlo: in Friuli-Venezia Giulia questo genere
di servizi è assolutamente carente e sarebbe
certamente vantaggioso per tutto il settore
poterne disporre.
A proposito dell’attribuzione di un eventuale
riconoscimento delle attività artigiane d’eccellenza, attraverso un apposito marchio di qualità, il nostro interlocutore si dichiara pienamente d’accordo, ma ritiene, per quanto appena detto, che la stessa sia al momento del tutto
inefficace perché mancano, sia sul versante
degli operatori del settore coinvolti sia su quello delle Istituzioni pubbliche interessate, le premesse tecniche e culturali per recepirla e per
renderla credibile.
Nella costruzione di mobili, a giudizio delle
imprese artigiane contattate, le azioni da intraprendere sono quelle di promuovere la loro
attività presso la potenziale clientela in Italia e
all’Estero che va ricercata, selezionata, assistita attraverso strutture organizzative complesse,
che rendano meno aleatorie le prospettive di
eventuali ricadute economiche
Un insieme di servizi specularmente offerti
anche agli operatori del comparto, per i quali è
richiesto un profondo mutamento nel modo di
fare il loro mestiere e un radicale cambiamento della mentalità con la quale hanno affrontato, finora, il loro lavoro.
Le manifestazioni tradizionali, anche di rilievo,
organizzate attualmente non hanno mai raggiunto gli obiettivi economici sperati dagli operatori del comparto che vi hanno partecipato
perché questi ultimi non si rivolgono a un mercato di massa ma destinano, quasi per intero, la
loro produzione ad una precisa committenza.
Sarebbe, dunque, più utile e proficuo organizzare manifestazioni mirate alla presentazione
dei loro prodotti a questa categoria di utenza e
valutare contemporaneamente le potenzialità
produttive delle aziende che vi partecipano: è
inutile alimentare sul mercato una domanda di
prodotti di elevata qualità che non può essere
poi soddisfatta in tempi ragionevoli o che comporta problemi organizzativi, sul piano della
distribuzione e della logistica, particolarmente
complessi.
È bene precisare che, a livello locale, le lavorazioni del legno costituiscono ancora una quota
rilevante e significativa delle attività manifatturiere ma, a monte e valle del ciclo di trasformazione della materia prima, la filiera produttiva
presenta evidenti lacune, in particolare nel il
sistema delle forniture.
Da questo punto di vista, invece, sarebbero
molto utile poter usufruire delle opportunità
offerte da un organismo pubblico come la
Regione Friuli-Venezia Giulia, per accedere
più agevolmente alle informazioni necessarie
(cataloghi, annuari, repertori merceologici e
altre) per il loro reperimento sotto forma di
servizi specialistici, predisposti e destinati alle
imprese artigiane del comparto.
Uno di questi potrebbe essere l’istituzione di
un capillare sistema di aggiornamento professionale a favore degli artigiani che operano in
questi ambiti: anche se l’artigianato affonda le
sue radici nella tradizione ciò non toglie che,
per crescere professionalmente, una buona
dose di energie debba essere spesa e investita
guardando con particolare sensibilità e attenzione agli aspetti di ricerca e di innovazione
che li riguardano.
Molti artigiani, infatti, non hanno la possibilità di andare alle manifestazioni organizzate in
questo senso o di accedere agli strumenti e alle
opportunità che consentirebbero di seguire la
loro evoluzione e, in ragione di ciò, molto spesso essi rimangono attardati o addirittura estranei rispetto al naturale processo di trasformazione che investe la loro professionalità e alla
possibilità di accedere alle nuove soluzioni.
Se si considera, inoltre, che nella maggior parte
dei casi la media degli occupati nelle aziende
artigiane del comparto è limitata, come abbiamo visto, ad alcune unità, il rischio di deludere le richieste di una domanda più ampia di
quella attuale è notevole e si accompagna a
quello di perdere o di offrire ad altri importanti quote di mercato.
Per promuovere le attività del comparto, dunque, non sarebbero necessarie molte iniziative,
– 93 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
ne basterebbero poche ma molto mirate come
quella, ad esempio, di poter contare su mostre
permanenti e/o spazi espositivi, allestiti nelle
città e nei luoghi di maggior transito o segnalati
come mete di itinerari alternativi, inseriti nei circuiti del turismo organizzato (tour operators).
I percorsi dovrebbero essere studiati attentamente nei vari dettagli ed essere orientati a far
conoscere la pluralità delle risorse reperibili e
fruibili (storia, ambiente, arte, religiosità, economia, cultura, folclore, enogastronomia,
ricettività alberghiera, servizi di pubblica utilità e così via) nelle aree montane in cui si è conservato un artigianato di qualità legato alla
tradizione, attraverso i quali il visitatore
potrebbe apprezzare non solo i manufatti che
gli sono propri, ma anche quelli realizzati a
seguito di una sua più recente evoluzione.
A tal proposito, viene suggerita l’organizzazione di iniziative concorsuali tra architetti e designers per la messa a confronto e la definizione
di nuovi stili che, se apprezzati dal mercato,
rappresenterebbero una sicura opportunità di
rilancio delle attività asfittiche di questo specifico comparto, ma anche di una miriade di
attività indotte.
È la moda a dettare le regole del mercato e gli
architetti ne sono gli artefici, per cui ignorarla
vorrebbe dire porsi al di fuori di questo contesto e si potrebbero facilmente immaginare le
inevitabili e tristi conseguenze che graverebbero sulle imprese artigiane incontrate.
Sulla base delle tendenze sospinte con forza
dal mercato, la gente propende a credere che
quelle rappresentino l’idea di ciò che è bello,
senza rendersi conto che si tratta, invece, di
suggerimenti fuorvianti, mirati ad allontanare
sempre più il gusto da quelli che sono i suoi
riferimenti veri e propri: questi sono gli effetti
che certe forme di comunicazione martellante
provocano sulla formazione del gusto.
Gli artigiani del settore non si schierano contro
questo punto di vista, anche se preferirebbero
trovarsi di fronte a scenari e a prospettive decisamente diversi come quella, ad esempio, di
veder collaborare attivamente tra loro designers, architetti, arredatori d’interni e artigiani.
Sarebbe certamente positivo poter immaginare
forme di collaborazione tra queste professionalità, nel tentativo di generare nuove idee da
sviluppare: certamente una soluzione del genere potrebbe essere molto costosa, ma se si riuscisse a trovare la maniera di sponsorizzare
questo progetto si potrebbe nel contempo permettere a questi professionisti di sviluppare,
all’interno della tradizione, aspetti innovativi.
L’idea di attribuire all’artigianato di qualità
un marchio specifico che consenta il suo riconoscimento è accolta con favore dagli intervistati perché, in questo modo, verrebbero tutelati, non solo i contenuti artistici, tradizionali,
tipici ed innovativi della cultura locale, ma
anche la qualità dei manufatti prodotti e la
professionalità degli artigiani del comparto
che li realizzano.
Tempo fa, gli artigiani locali avevano già pensato alla possibilità di dotarsi di un marchio di
qualità: poco dopo il disastroso terremoto che
colpì il Friuli nel 1976, si era fatta strada l’idea
di trasformare Tolmezzo in un grosso polo dell’artigianato, coinvolgendovi tutte le imprese
della Carnia.
Il secondo passo previsto da questo progetto
sarebbe dovuto essere quello relativo all’istituzione di un marchio di qualità, denominato
“Carnia Produce”, e alla creazione di un catalogo, da diffondere anche all’estero, contenente
tutte le indicazioni riguardanti l’insieme delle
opportunità offerte dall’artigianato locale.
I partecipanti all’iniziativa si sarebbero impegnati a produrre solo ed esclusivamente i
manufatti di loro competenza e gli stessi manufatti sarebbero stati successivamente commercializzati presso punti vendita specializzati,
dislocati in tutti i comuni della Carnia, autorizzati a trattare solo merci contrassegnate con
quel marchio.
Purtroppo, però, il progetto, forse troppo
ambizioso per quei tempi, si è arenato e tutto è
andato a monte: il fatto che quest’area montana del Friuli si trovi al di fuori delle direttrici di
traffico principali, potrebbe aver giocato a suo
sfavore.
Oggi, probabilmente, questo strumento
potrebbe rivelarsi molto efficace per riconoscere, per difendere e per tutelare quei valori e per
certificarne l’esistenza: la possibilità che operatori del settore senza scrupoli propongano
sul mercato manufatti realizzati con materiali e
con sistemi produttivi che nulla hanno a che
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LE AZIONI DA INTRAPRENDERE PER IL SOSTEGNO E LO SVILUPPO DEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI
fare con quelli impiegati tradizionalmente non
è così remota.
Le attuali politiche commerciali privilegiano la
quantità piuttosto che la qualità ma queste
sono strategie sbagliate che non pagano e che
rovinano il mercato: è vero che la gente compra di più spendendo di meno nella convinzione di fare un affare, ma in breve tempo si rende
conto di essere stata ingannata e di aver messo
in casa un mucchio di ciarpame.
Purtroppo, anche a causa di questi comportamenti, il destino dei mestieri artigiani di qualità, legati a forme di espressione artistica, tradizionale e tipica, sembra essere segnato: più o
meno lentamente questo patrimonio culturale
va perdendosi e con esso il lavoro e la professionalità di coloro che intendevano salvaguardarlo per trasmetterlo alle nuove generazioni.
Molto spesso gli acquirenti non hanno una
conoscenza specifica di questi manufatti, ma
ne hanno sentito parlare per le loro caratteristiche peculiari, e si aspettano che siano proprio coloro che li realizzano a garantirne l’autenticità e la qualità.
Finora gli artigiani incontrati hanno fornito
questa garanzia ai loro clienti, attraverso la
qualità dei materiali utilizzati e dei manufatti
realizzati, la competenza e l’esperienza di coloro che li hanno costruiti, l’assistenza fornita
loro successivamente alla vendita, la documentazione specialistica che testimonia i caratteri
della loro originalità e quant’altro potesse rassicurarli a questo proposito.
Un marchio di qualità dovrebbe avere queste
caratteristiche perché in tal modo la sua diffusione permetterebbe di aumentare la visibilità
di mercato di un certo prodotto e dei suoi produttori, rafforzerebbe l’immagine di originalità
e di qualità del modo di produrre che accomuna gli operatori di un certo settore di attività
economica e la comunicherebbe ben al di là del
contesto locale ed operativo nel quale questa
viene svolta.
Oltre alla tutela della qualità delle lavorazioni
eseguite, attraverso appositi strumenti da mettere a punto (marchi, disciplinari di produzione, commissioni di esperti e altri), la Regione
Friuli-Venezia Giulia potrebbe fornire un valido contributo agli artigiani, agevolandoli in
vari modi, affinché sia loro possibile parteci-
pare alle manifestazioni più importanti e
significative.
Dovrebbe trattarsi però di eventi che prevedono a monte una rigorosa selezione dei partecipanti per evitare di confondere la professionalità, la capacità e l’esperienza di coloro che
hanno scelto di lavorare in questo ambito da
quelli che, senza scrupoli, pensano solo a fare
affari, gettando il discredito su chi ha lavorato
correttamente.
La partecipazione delle imprese artigiane a
questo genere di manifestazioni molto spesso è
ridotta o poco significativa perché le loro
dimensioni e, a volte, la loro dimestichezza con
i problemi che queste comportano, non consentono di farvi fronte, sia sul piano economico sia sul piano organizzativo.
La presenza in azienda dei titolari e dei loro
collaboratori è, per molte di esse, fondamentale perché il lavoro deve comunque proseguire e
le scadenza devono essere rispettate: interruzioni e ritardi non giovano certamente all’immagine di serietà, di responsabilità e di affidabilità che il cliente vuole percepire quando si
rivolge ad essa per assegnargli una commessa.
D’altra parte, senza queste iniziative promozionali, più che di sostegno, che aumentano la visibilità sul mercato del lavoro artigiano e della
sua qualità, queste forme di attività, così importanti per lo sviluppo dell’economia montana,
rischiano di scomparire progressivamente.
In Carnia, gli artigiani che sanno fare il loro
mestiere non vogliono sentire parlare di “sostegno” perché il loro orgoglio è tale da far percepire nel significato di questo termine un’accezione sminuente e riduttiva che richiama atteggiamenti orientati alla passività e all’assistenzialismo: richiedono, invece, alle varie Istituzioni di
governo locale di fornire loro degli aiuti e delle
agevolazioni per poter aderire, ad esempio, a
iniziative come quelle di cui si è parlato.
I servizi alle imprese che potrebbero essere predisposti in tal senso sono moltissimi e dovrebbero essere pensati appositamente per costituire dei reali strumenti operativi che forniscono
un aiuto e agevolano la specificità del lavoro
dell’artigiano, sotto tutti i punti di vista e in
tutti i suoi aspetti.
Sapendo, ad esempio, di poter partecipare ad
una rassegna particolarmente importante e
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TRA TRUCIOLI E TELAI
qualificante per il suo lavoro, che può rappresentare un’opportunità per far conoscere la
propria professionalità e la qualità dei propri
manufatti, senza dover sostenere i costi economici ed organizzativi ad essa connessi o concorrervi in misura ragionevole, un artigiano del
settore sarebbe incentivato a farlo e non
vedrebbe più queste iniziative come inutili e
dispendiose perdite di tempo.
Nella provincia di Udine e nello stesso FriuliVenezia Giulia si stanno organizzando rassegne mirate di livello qualitativo elevato nel
corso delle quali il pubblico ha la possibilità di
fare dei confronti e di cogliere le differenze: se
si selezionano preventivamente le proposte si
seleziona contemporaneamente anche la
potenziale clientela che, soprattutto di questi
tempi, deve essere educata a riconoscere la
qualità di ciò che acquista.
Un marchio di qualità, assegnato con rigore e
con la necessaria selettività, dunque, sarebbe
un ottimo riconoscimento per quelle professionalità artigiane che, nell’ambito delle lavorazioni del legno, sanno farle a regola d’arte.
Gli artigiani che vogliono rimanere tali hanno
tutto l’interesse ad accentuare il livello qualitativo di loro manufatti perché, a differenza di ciò
che si trova normalmente in giro, hanno un loro
pregio e un loro valore, anche economico: per
tutti loro, puntare al miglioramento qualitativo
dei prodotti è assolutamente fondamentale e
riconoscere con un marchio di qualità la professionalità che contraddistingue l’artigiano che li
ha realizzati rappresenta il miglior modo per
farli emergere e per farli conoscere sul mercato.
Nella costruzione di serramenti, le iniziative
promozionali alle quali hanno partecipato
alcuni degli artigiani incontrati non hanno
prodotto ricadute significative, dal punto di
vista economico sulla loro attività, ma non si
esclude che si possano avere in futuro, organizzandone altre con una precisa finalizzazione
per il comparto.
Secondo il suggerimento fornito, la Regione
Friuli-Venezia Giulia dovrebbe organizzare
delle manifestazioni pensate appositamente
per promuovere maggiormente le produzioni
degli artigiani che fabbricano tali manufatti,
magari caratterizzandole dal punto di vista territoriale o merceologico.
In una sede baricentrica, scelta opportunamente per proporre questo genere di eventi, si
potrebbero raccogliere i manufatti prodotti
dagli artigiani del legno dell’intero arco alpino
che, proprio per il fatto di vivere in territorio
montano, rispecchiano nei loro lavori tratti
culturali comuni.
In Italia, ad esempio, una tra le più rappresentative associazioni di categoria organizza
periodicamente a Reggio Emilia una manifestazione fieristica dedicata esclusivamente ai
produttori di serramenti: qui si ha l’opportunità di visionare i diversi manufatti prodotti e di
metterli a confronto per qualità e prezzo.
Oltre a parteciparvi come espositori, gli operatori del comparto hanno la possibilità di
aggiornare la propria professionalità, attraverso iniziative di carattere divulgativo e/o formativo che riguardano argomenti tecnici propri
del loro lavoro.
È importante, però, che a tali manifestazioni
possano parteciparvi solo gli artigiani che producono manufatti di qualità, in modo tale che
questi ultimi non vengano confusi con quelli
prodotti industrialmente su larga scala: la
Regione Friuli-Venezia Giulia, da questo punto
di vista, dovrebbe selezionare i partecipanti e
agevolarli per quanto concerne le spese che
occorre sostenere per poter aderire all’iniziativa.
L’idea di assegnare un esplicito riconoscimento alla loro professionalità è accolta favorevolmente dai nostri interlocutori in quanto esso
costituirebbe una garanzia per la clientela che
acquista i loro prodotti perché avrebbe la certezza di averlo fatto presso operatori dotati di
lunga esperienza e di grande professionalità.
In ambito territoriale, la Regione FriuliVenezia Giulia dovrebbe individuarli e selezionarli attentamente, in base alla qualità dei
manufatti che essi producono: in questo modo
verrebbe creata una categoria di artigiani d’eccellenza che, sul mercato, rappresenterebbe, in
modo inconfondibile e prestigioso, la migliore
produzione regionale.
Il potenziale acquirente avrebbe la possibilità
di capire finalmente la difficile relazione che si
stabilisce tra la qualità di un certo manufatto e
il suo prezzo: molti ritengono che quest’ultimo
sia indicativo per garantirla a priori, ma spesso devono ricredersi amaramente.
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LE AZIONI DA INTRAPRENDERE PER IL SOSTEGNO E LO SVILUPPO DEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI
Nel settore della costruzione di serramenti è
molto difficile che un cliente, al di là di questo
aspetto, sappia distinguere, tra diversi manufatti, quello di migliore qualità: a un risultato
eccellente si può giungere solo attraverso un
percorso difficile, che si snoda tra la qualità
delle materie prime impiegate, la qualità delle
lavorazioni eseguite, la qualità degli accessori
montati, la qualità della posa in opera effettuata, la qualità dell’assistenza post-vendita fornita e via di seguito.
Sarebbe bene per la sopravvivenza e lo sviluppo
di un artigianato di qualità che questi altri aspetti venissero finalmente percepiti dalla clientela e
un marchio di eccellenza rilasciato da un garante pubblico che lo riconosca, lo tuteli e lo promuova adeguatamente potrebbe essere un primo
passo significativo fatto in questo senso.
Diversamente questo genere di artigianato è
destinato a soccombere e a scomparire sotto i
colpi inferti da prodotti industriali scadenti e
di pessima qualità che sul mercato esercitano
una concorrenza insostenibile: sono purtroppo
molte le imprese artigiane che per questi motivi hanno dovuto interrompere la loro attività o
sono state costrette ad adottare sistemi produttivi di tipo industriale.
Le logiche economiche ed organizzative che
stanno alla base di questi due diversi modi di
produrre sono tra loro diametralmente opposte ed è bene che finalmente ci si interroghi sul
destino da assegnare alle attività artigiane che
ancora esprimono i valori della cultura e della
tradizione locale perché, senza un adeguato
sostegno, esse sono destinate a diventare rapidamente un semplice ricordo.
Il comparto della fabbricazione di serramenti
di qualità è in rapida evoluzione e le difficoltà
maggiori si incontrano nel tenersi aggiornati
sulla produzione dei vari fornitori, un’attività
questa che richiede un lavoro molto impegnativo di raccolta, selezione e presentazione dei
diversi materiali informativi esistenti: questo
tipo di documentazione si rivelerebbe estremamente utile per il loro lavoro, consentirebbe di
avere sotto mano un quadro aggiornato delle
forniture reperibili sul mercato, dovrebbe essere di facile consultazione.
Nel comparto della fabbricazione di oggettistica varia emerge la convinzione che azioni
mirate al sostegno e allo sviluppo dell’artigianato di qualità siano necessarie e qualifichino
il ruolo dell’organo di governo regionale.
Le manifestazioni fieristiche di interesse locale,
che finora hanno consentito agli artigiani del
comparto di rendere più visibili le loro produzioni, non hanno mai fornito vere e proprie
opportunità di lavoro remunerative per l’azienda presa in esame.
La partecipazione a tali eventi non si è mai
rivelata efficace, sia per gli ingenti costi da
sostenere sia per il tempo da dedicare ad esse
per l’organizzazione degli spazi espositivi e per
esservi presenti: il comparto artigiano che produce oggettistica ha bisogno di altre manifestazioni, nelle quali venga privilegiato il rapporto diretto con il pubblico.
Un incentivo alla partecipazione per gli artigiani del comparto a tali eventi potrebbe essere certamente quello di ridurre sensibilmente o
addirittura di azzerarne i costi relativi: in ogni
caso bisogna tenere presente che occorre organizzare e/o presenziare a manifestazioni che
privilegino la qualità dei manufatti esposti, sia
che ciò avvenga a livello regionale sia che si
tratti di manifestazioni di interesse più ampio.
L’assegnazione di un marchio che consenta di
riconoscerla e di valorizzarla è considerata
un’iniziativa estremamente interessante che
può dare esiti molto positivi: è importante che
le aziende artigiane che realizzano manufatti
di qualità abbiano la possibilità di fare conoscere le loro produzioni a un mercato più
ampio di quello al quale possono normalmente accedere.
I mezzi di comunicazione di massa, come la
televisione, Internet o le riviste specializzate,
sono strumenti informativi di grande efficacia
sui quali occorre puntare maggiormente perché la gente sappia chi sono questi artigiani e
come lavorano.
Nel comparto dell’esecuzione di interventi di
restauro, infine, le iniziative da intraprendere
in questo senso sarebbero principalmente due:
riconoscere ufficialmente l’artigianato di qualità, in particolare e per ciò che le riguarda l’artigianato artistico, e promuoverne lo sviluppo
nell’ambito del turismo.
Per quanto concerne la prima di esse, nel
momento in cui le attività artigiane artistiche,
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TRA TRUCIOLI E TELAI
tradizionali, tipiche ed innovative di qualità
venissero ufficialmente riconosciute, si avrebbe
a disposizione una nuova risorsa che dovrebbe
essere fatta conoscere adeguatamente per
poterla utilizzare proficuamente.
Al giorno d’oggi, purtroppo, l’artigiano viene
ancora considerato una persona di seconda
classe, perché di fatto lavora con le mani, mentre la sua attività diventerà, invece, una delle
risorse del futuro più importanti, dal punto di
vista economico e produttivo, ma per arrivare
a questa nuova condizione essa deve essere
riconosciuta come un’attività qualificata e
qualificante.
Occorre pensare a un marchio distintivo, che
riconosca la qualità della professionalità artigiana, perché quella dei manufatti prodotti è
una diretta e logica conseguenza del modo di
operare di chi li sa realizzare e, per giungere a
un tale risultato, bisogna considerare che solamente un’Istituzione di governo locale, come la
Regione Friuli-Venezia Giulia, può farsi promotrice e garante di una simile iniziativa.
Se si intende promuovere lo sviluppo dell’artigianato di qualità nell’ambito del turismo,
invece, occorre ricordare che la zona del tarvisiano ma, in senso più ampio, l’intera regione
Friuli-Venezia Giulia è da sempre vissuta sul
commercio: ultimamente le cose sono cambiate e, da qualche tempo, si sta cominciando a
sfruttare le risorse del territorio in chiave turistica, proponendo offerte di servizi qualificati
anche all’estero.
Finora, tuttavia, questo genere di proposte ha
riguardato principalmente solamente una
parte delle risorse disponibili come quelle
naturali, quelle storico-artistiche, quelle enogastronomiche e poco altro, mentre la Regione
Friuli-Venezia Giulia dovrebbe considerare
che l’artigianato di qualità, al pari delle risorse
citate, rappresenta una ricchezza per l’economia locale, da sfruttare in funzione di un rapporto sinergico con il turismo: le professionalità per dar vita e sviluppare questa forma di
artigianato esistono, ma deve essere
un’Istituzione di governo locale a promuoverlo
perché da soli gli artigiani non lo possono fare.
Le informazioni che potrebbero raggiungere il
grande pubblico, attraverso i più diversi canali
di comunicazione, potrebbero servire a questo
scopo e potrebbero diventare una sorta di
cassa di risonanza per pubblicizzare fiere,
mostre e altre manifestazioni, di carattere
nazionale ed internazionale, organizzate appositamente per farlo conoscere maggiormente di
quanto sia stato fatto finora.
Gli artigiani del comparto suggeriscono, inoltre, che anche il poter disporre di un quadro
aggiornato dei fornitori costituisce uno strumento indispensabile per poter stare sempre al
passo con l’avanzare delle nuove tecnologie o
della ricerca in senso lato.
Risulta evidente che molto spesso o per problemi di tempo o per il semplice fatto di operare in
sedi decentrate, per certi artigiani è estremamente difficile mantenere i contatti con questo
mondo in continua evoluzione e il rischio che si
corre è quello di rimanervi completamente
estranei: se potessero accedere, invece, a servizi
di questo genere essi ne ricaverebbero senza
dubbio un grande vantaggio che aiuterebbe le
loro imprese a crescere e a svilupparsi.
8.2 Settore di attività relativo alle lavorazioni
tessili
Nel settore della fabbricazione di arazzi e di
tappeti le titolari delle imprese incontrate
ritengono che iniziative per il sostegno e per lo
sviluppo dell’artigianato di qualità siano
necessarie e urgenti per evitare che le attività
superstiti scompaiano definitivamente e che la
già debole economia di certe aree montane
peggiori ulteriormente.
La natura di questi interventi deve avere un
carattere sinergico per promuovere e per valorizzare il più possibile le scarse risorse di cui
queste aree normalmente dispongono e per
aumentare in ogni modo la loro fruibilità da
un punto di vista essenzialmente turistico: tra
di esse, l’artigianato locale di qualità potrebbe
assumere un ruolo e una funzione di primissimo piano per richiamare l’attenzione di un
maggior numero di operatori e di pubblico.
Il problema da affrontare è quello di dotarsi di
infrastrutture e di servizi più adeguati per
migliorare l’accoglienza e la ricettività di un
flusso turistico che potrebbe trovare proprio
nell’artigianato di qualità la principale motiva-
– 98 –
LE AZIONI DA INTRAPRENDERE PER IL SOSTEGNO E LO SVILUPPO DEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI
zione per visitare questi luoghi, poveri di altre
attrattive di forte richiamo.
Da alcuni anni, la fruibilità di queste scarse
risorse locali ha potuto contare su un certo
miglioramento dei servizi di accoglienza e di
ricettività alberghiera tradizionali, affiancati
da quelli innovativi introdotti più di recente
(Albergo diffuso), che ha attirato verso questi
luoghi un maggior numero di visitatori, certamente intenzionati a privilegiare la qualità
della vita, intesa nel suo senso più ampio.
Sono questi visitatori, provenienti da ogni
parte d’Italia e del mondo, ad essere incuriositi ed attratti dai manufatti che si producono nei
loro laboratori, particolarmente apprezzati per
la loro qualità, e a rappresentare la potenziale
domanda di mercato.
Le esperienze effettuate in passato per raggiungere una maggiore visibilità di mercato sono
state generalmente insoddisfacenti, nonostante
siano stati dedicati notevole impegno e non
poche risorse al perseguimento di questo obiettivo: si finiva col partecipare a manifestazioni
del tutto anonime e prive di qualità, senza ottenere in cambio un ritorno economico significativo per cui è stato inevitabile rinunciarvi.
Dovrebbe essere proprio questo il terreno sul
quale la Regione Friuli-Venezia Giulia potrebbe predisporre degli interventi efficaci per il
sostegno e per lo sviluppo dell’artigianato di
qualità locale: organizzare manifestazioni
mirate a promuoverlo, consentendone la partecipazione agevolata solamente a coloro che
operano in questo senso.
Secondo loro, tuttavia, per quanto concerne
questo genere di artigianato, le priorità sono
ben altre e riguardano in particolare il mercato del lavoro e la formazione professionale, settori nei quali gli imprenditori artigiani dovrebbero essere agevolati e sostenuti con maggiore
impegno.
A loro avviso, da questo punto di vista, la normativa che regola l’istituto dell’apprendistato
contenuta nelle disposizioni legislative in materia di promozione dell’occupazione (l.n.
196/97, art. 16) è del tutto insoddisfacente.
Proprio in conseguenza di questi ultimi aggiornamenti, emanati nell’ambito dell’attuazione
degli accordi sindacali intercorsi a livello confederale (il cosiddetto “Patto per il lavoro”),
nel rapporto di apprendistato sono stati introdotti elementi di novità che ne avrebbero dovuto aumentare le potenzialità iniziali e i benefici conseguiti dalle parti in causa.
Sul primo versante troviamo le agevolazioni di
carattere fiscale e contributivo per il datore di
lavoro, congiuntamente ad una più ampia possibilità di utilizzo dell’istituto che si estende ben
oltre il tradizionale settore dell’artigianato.
Sul secondo versante, invece, i datori di lavoro
potrebbero disporre di un ottimo strumento di
politica del lavoro, flessibile e a basso costo,
mentre i giovani avrebbero l’opportunità di
fare un’esperienza lavorativa concreta e di
imparare un mestiere.
Tutti i settori di attività economica possono
assumere come apprendisti giovani in età compresa tra i 16 e i 24 anni, salvo alcune eccezioni in ambito territoriale previste dalla normativa comunitaria, per una durata non inferiore
a 18 mesi e superiore ai 4 anni.
La caratteristica principale dell’istituto dell’apprendistato è, dunque, il contratto a causa
mista che contempla sia la formazione che il
lavoro: la formazione, in particolare, si acquisisce attraverso l’addestramento pratico, impartito dal datore di lavoro o da chi per esso, che
consente all’apprendista di frequentare i corsi
di insegnamento teorico complementare, retribuendogli la frequenza a tali corsi come normali ore lavorative.
A quest’ultimo proposito, la normativa citata
stabilisce che le imprese che assumono lavoratori in qualità di apprendisti sono tenute a farli
partecipare ad attività di formazione esterne
all’azienda, nel rispetto della durata (mediamente 120 ore all’anno) e delle proposte avanzate dalle parti sociali, secondo le disposizioni
previste da un successivo provvedimento legislativo (D.M. 08/04/1998).
Purtroppo, però, la formazione professionale
impartita, oltre ad essere svolta presso le sedi
delle Agenzie formative incaricate di assolvere
questo compito, dislocate a fondo valle e raggiungibili con non poche difficoltà, è del tutto
incoerente con quello che l’apprendista sta
facendo in azienda e crea a quest’ultima seri
problemi organizzativi.
Questo obbligo non sconvolge solo l’organizzazione del lavoro in azienda ma provoca ritar-
– 99 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
di e inconvenienti di ogni genere, riducendo i
benefici che l’imprenditore artigiano poteva
attendersi da questa forma contrattuale: per di
più non serve, come nelle intenzioni, a dare a
questi giovani una formazione professionale
vera, immediatamente spendibile nel luogo in
cui lavora.
C’è da aspettarsi che le cose possano migliorare con i provvedimenti di riforma introdotti dal
Decreto Legislativo n. 276 del 10 settembre
2003, attuativo delle deleghe in materia di
occupazione e mercato del lavoro contenute
nella l. n. 30 del 14 febbraio 2003 (legge Biagi),
ma le intervistate non sembrano nutrire eccessiva fiducia nei confronti di un reale cambiamento dell’attuale situazione.
Le intervistate giudicano poi con favore l’iniziativa di assegnare all’artigianato di qualità
un marchio distintivo, a patto che tale riconoscimento non abbia un valore esclusivamente
simbolico e premi realmente la professionalità di quegli artigiani che, non solo si adeguano alle indicazioni di uno specifico disciplinare di produzione, ma contribuiscono attivamente a salvaguardare e a migliorare la qualità dei loro manufatti: di imprenditori del
genere, secondo le nostre interlocutrici, ce ne
sono ancora ed è bene che il loro numero
aumenti anche in funzione dei vantaggi che
da essa potrebbero derivare.
In primo luogo, la visibilità di queste imprese
sul mercato dovrebbe sensibilmente migliorare
soprattutto se a promuoverla, a sostenerla e a
farsene garanti saranno congiuntamente le
Istituzioni di governo locale e le Associazioni
di categoria: in Friuli-Venezia Giulia questi
interventi sono finora mancati ed è bene che
attraverso di essi l’identità della tradizione
regionale emerga in tutta la sua forza.
Nel comparto della fabbricazione di biancheria per la casa, i suggerimenti forniti dagli
imprenditori sul ruolo che la Regione FriuliVenezia Giulia potrebbe avere, nel promuovere e nell’intraprendere iniziative adeguate per
il sostegno e per lo sviluppo dell’artigianato
di qualità, non si discostano da quelli raccolti finora.
È indubbio che, in un’economia sempre più
orientata verso la globalizzazione, iniziative
del genere appaiano in controtendenza o addi-
rittura inefficaci, ma è altrettanto vero che se
non si fanno presto e bene degli interventi di
sostegno, di salvaguardia e di sviluppo più
consistenti ed incisivi, queste forme di artigianato sono destinate a scomparire.
Occorre, invece, che le botteghe artigiane continuino ad avere un ruolo di primo piano nell’economia della Carnia e conservino, anche
attraverso le inevitabili innovazioni tecnologiche, i caratteri di un’identità locale fondata su
una tradizione secolare.
Bisogna dare loro la possibilità di sopravvivere
in un sistema economico e distributivo che
tende a marginalizzarle e a metterle continuamente in difficoltà, ma occorre anche fare
conoscere a un pubblico più vasto la qualità
del loro lavoro, in modo tale che quest’ultimo
sia ri-orientato e ri-educato a riconoscerla, a
valutarla e ad apprezzarla.
Attraverso interventi mirati, certamente impegnativi e faticosi, che utilizzino, sistematicamente e al meglio, i canali della comunicazione
ma non solo quelli, è possibile sperare che si
raggiungano, nel medio-lungo periodo, risultati apprezzabili e di un certo rilievo.
In questo modo, si offrirebbe al consumatore
una maggiore capacità di giudizio su ciò che
acquista, sapendo ormai che tale capacità, in
quest’epoca di omologazione e di progressiva
falsificazione della qualità, si è rapidamente e
sensibilmente ridotta.
Al giorno d’oggi l’elemento distintivo sul quale
si può reggere la concorrenza con analoghe
produzioni provenienti da altre nazioni, come
la Cina o i Paesi dell’Est, nei quali il costo della
manodopera è notevolmente inferiore al
nostro, è proprio la loro indiscutibile qualità.
Una manifestazione fieristica che contribuisce
a rafforzare l’immagine percepita dal mercato
che interessa questo settore, sotto il profilo del
gusto, dell’eleganza, del prestigio, della qualità, insomma, è “Pitti Casa”, organizzata periodicamente a Firenze, alla quale partecipano i
nomi più conosciuti in Italia nell’ambito della
confezione di biancheria per la casa.
Una delle imprese artigiane prese in esame vi
partecipa da trent’anni perché il suo titolare
ritiene che si tratti dell’evento più prestigioso
ed importante, a livello nazionale, nel corso del
quale, attingendo a questa sterminata vetrina,
– 100 –
LE AZIONI DA INTRAPRENDERE PER IL SOSTEGNO E LO SVILUPPO DEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI
è possibile osservare e mettere a confronto l’intero patrimonio di idee e di suggerimenti provenienti da questo comparto del settore tessile.
Da alcuni anni, tuttavia, questa manifestazione sta incontrando una serie di difficoltà che il
nostro interlocutore non è ancora riuscito a
focalizzare esattamente ma che sono probabilmente dovute alle incertezze create dalla forte
competizione che caratterizza questo mercato
e al fatto che, nel frattempo, sono state organizzati eventi analoghi in occasioni e sedi di
forte richiamo come, ad esempio, il MACE di
Milano, al quale l’azienda ha presenziato per
tre anni.
La partecipazione a queste iniziative, forse
eccessivamente dispersive, è particolarmente
onerosa, dal punto di vista economico ed organizzativo, soprattutto per le imprese artigiane
di piccole dimensioni, ma anche per quelle che
possono contare su una struttura più forte ed
organizzata: l’intervistato valuta che, a fronte
di consistenti investimenti destinati in questo
senso, il volume di affari non ha subito alcun
incremento.
Una proposta attualmente in discussione tra
gli operatori del comparto è quella di concentrare, in un unico posto significativo e nell’ambito di una manifestazione dedicata esclusivamente al settore, tutte queste attività dando
all’evento una cadenza annuale: le candidature
di città prestigiose come Firenze, Milano,
Verona sono al momento al vaglio degli organizzatori.
Il giudizio espresso dai titolari delle imprese
incontrate sull’ipotesi di attribuire all’artigianato di qualità un marchio distintivo è molto
positivo, a patto che il rilascio di questo di
riconoscimento abbia un carattere esclusivo e
segua procedure coerenti e rigorose, predisposte per accertare la reale professionalità di chi
produce manufatti rispondenti a questi requisiti: diversamente l’iniziativa perde il proprio
significato e la propria credibilità.
Per essere tale, dunque, un eventuale marchio
di qualità deve fornire delle precise garanzie
all’acquirente in merito alle caratteristiche di
un determinato prodotto (materie prime
impiegate, sistemi di lavorazione ecc.) e alla
professionalità, alla competenza, all’esperienza di chi lo ha realizzato.
È al momento dell’acquisto che il compratore,
se ne ha le capacità e le competenze, può rendersi conto della qualità del prodotto e di valutarne l’effettiva consistenza: ecco perché si rendono necessarie azioni formative e informative
nei suoi riguardi che lo educhino a distinguere
e a scegliere la qualità.
Diversamente deve esserci qualcosa che supplisca queste conoscenze lacunose e garantisca,
sotto diversi profili, l’effettivo valore qualitativo della merce acquistata: in questo si riassume il concetto e l’importanza da attribuire a un
marchio di eccellenza nel settore dell’artigianato tessile.
Il meccanismo adottato per individuare questi
operatori e valutare il loro modo di lavorare
deve, pertanto, essere molto selettivo, non
tanto per privilegiare alcuni rispetto ad altri,
ma per consentire l’accesso a questo ambito di
eccellenza solo a coloro che possiedono i
requisiti per farne parte e rispettano le regole
per rimanervi.
Nel comparto della fabbricazione di maglieria
e confezione, infine, i suggerimenti avanzati
dalla titolare dell’azienda visitata, combattiva
esponente dell’imprenditorialità femminile
locale, sono particolarmente sintetici ed allusivi: la Regione Friuli-Venezia Giulia dovrebbe
incaricarsi della promozione del settore artigiano di qualità, esattamente come sta facendo
con un prodotto tipico ed emblematico della
tradizione agro-alimentare locale, il prosciutto
di San Daniele.
Riferisce che, anni fa, il vicino Tirolo si è attivamente impegnato nell’individuazione e nella
selezione dei suoi prodotti tradizionali e li ha poi
esportati in tutto il mondo come simboli della
sua cultura: un percorso analogo andrebbe
affrontato anche per quanto concerne il sostegno e lo sviluppo di questo settore economico.
Le risorse finanziarie che dovrebbero essere
investite per la promozione dei suoi prodotti
sarebbero certamente ben spese e potrebbero
rientrare in bilancio moltiplicate: gli artigiani
che, come lei, continuano ad interpretare i
valori della cultura locale e lavorano per mantenere in piedi la loro attività non possono
farsi carico di ulteriori spese di questo genere,
per cui fornire loro questo sostegno andrebbe a
vantaggio dell’intera collettività.
– 101 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
A suo giudizio, un marchio di qualità, che
premi sia il prodotto che il produttore, potrebbe essere un valido mezzo di promozione che
permetterebbe all’artigianato di qualità e d’eccellenza di poter essere tutelato e, nello stesso
tempo, di poter essere incentivato: in tal modo
le diverse attività di settore assumerebbero
anche un valore simbolico, una sorta di “fiore
all’occhiello”, rappresentativo di ciò che il
Friuli-Venezia Giulia è in grado di produrre,
da esibire sia sul mercato italiano sia su quello
internazionale.
È da parecchi anni che la nostra interlocutrice
cerca di stimolare e di sensibilizzare le
Istituzioni di governo locale perché finalmente
intervengano in questo senso, attraverso politiche e azioni mirate ma, purtroppo, ha sempre
dovuto riscontrare da parte loro un grande
disinteresse.
Con le sue creazioni partecipa molto spesso
alla Fiera dell’Artigianato di Milano ma la sua
sola presenza non può rappresentare che in
minima parte l’estrema varietà dei prodotti di
qualità che il territorio regionale è in grado di
offrire: in queste occasioni non deve essere una
singola impresa artigiana, pur nella sua rappresentatività, a dover emergere, ma l’intero
Friuli-Venezia Giulia.
Altrimenti, l’intervistata potrebbe continuare a
frequentare quel genere di eventi, ad esporre i
suoi prodotti, a cercare di rientrare delle spese
per il viaggio e per l’affitto degli spazi espositivi utilizzati e, magari, acquisire, così facendo,
anche un po’ più di visibilità sul mercato, ma è
perfettamente convinta che non debba essere
questo il modo di ragionare per affrontare e
per risolvere il problema.
L’azienda ha già un marchio proprio, con il
quale vengono contrassegnati i capi realizzati,
che la identifica inequivocabilmente sul mercato e, dunque, non ci sarebbe bisogno di altra
forma di riconoscimento.
La Fiera di cui si è appena fatto cenno, ad esempio, è molto importante per il settore artigiano:
vi partecipano un po’ tutte le regioni d’Italia ed
ognuna ha il suo spazio nel quale viene offerta
la possibilità di presentare una panoramica
piuttosto ampia dei prodotti tipici locali.
Durante lo svolgimento di questa manifestazione, la nostra interlocutrice si trova sempre
ad essere l’unica rappresentante del FriuliVenezia Giulia, ma la sua presenza non può
essere di certo così significativa per poter rappresentare efficacemente un universo così
variegato:
in
simili
eventi,
invece,
l’Amministrazione regionale dovrebbe individuare e selezionare un gruppo di operatori,
nell’ambito dei diversi settori dell’artigianato
di qualità, per rendere visibile e per promuovere la loro attività specifica.
Iniziative di questo genere, a suo avviso, dovevano essere intraprese già molto tempo fa e ora
si rischia di patire e di scontare questo inspiegabile ritardo: prima di dare avvio alla sua attività, si era attentamente informata e documentata sull’impatto che i prodotti da lei realizzati
avrebbero potuto avere, sotto i più diversi
punti di vista, in un contesto di mercato globale, proprio attraverso la partecipazione ad un
gran numero di questi eventi (Pechino,
Toronto, San Pietroburgo, ecc.) e con l’obiettivo di raccogliere una serie di indicazioni preziose per mettere successivamente a punto le
sue strategie aziendali.
Una volta iniziata la produzione non ha più
avuto la possibilità di tornare a queste manifestazioni di carattere internazionale perché le
dimensioni della sua impresa non consentono
di sopportare le relative spese e sarebbe ben
lieta se potesse farlo nuovamente, come esponente di primo piano dell’artigianato di eccellenza locale, sotto l’egida della Regione FriuliVenezia Giulia.
– 102 –
9. La professionalità artigiana nei settori di attività indagati e il mercato
del lavoro in Friuli-Venezia Giulia
9.1 Settore di attività relativo alle lavorazioni
del legno
Le valutazioni emerse durante le interviste
sono concordi nell’affermare che la professionalità di un artigiano che voglia esprimere nel
suo lavoro elevati contenuti di qualità si fonda
su un percorso formativo articolato, inizialmente basato su una approfondita conoscenza
degli aspetti teorici e pratici propri delle lavorazioni di un determinato settore.
Un buon falegname, ad esempio, potrà affinare successivamente le proprie capacità e le proprie competenze negli interventi di restauro,
nella costruzione di mobili, nella costruzione
di serramenti e in ogni altro comparto delle
lavorazioni del legno.
Sulla professionalità di base del falegname è
possibile formare altre specializzazioni, quasi
sempre molto rigide e dotate di una propria
autonomia, che sarebbe bene curare, comel’intaglio, l’ebanisteria, il restauro e così via,
per creare altrettante opportunità di lavoro e
per permettere al giovane di scegliere il percorso formativo e di lavoro a lui più consono.
Sono purtroppo passati i tempi in cui l’abilità
e la competenza acquisite nel settore delle lavorazioni del legno consentivano all’artigiano di
destreggiarsi indifferentemente tra i diversi
manufatti che ora vengono realizzati nei diversi comparti ed è perciò indispensabile che,
dopo aver consolidato tali conoscenze e tali
capacità di base, i giovani interessati a fare
questi mestieri le approfondiscano nella direzione verso la quale si sentono più portati dal
loro interesse e dalla loro voglia di fare.
In ognuno dei comparti presi in esame queste
abilità si esprimono, con accentuazioni specialistiche particolari, nelle diverse fasi che compongono l’intero processo produttivo realizzato o di intervento eseguito. (TAB. 8)
TAB. 8 - Imprese artigiane dei settori indagati prese in esame. Competenze professionali richieste per
fasi di produzione dei manufatti realizzati.
CASI
Fasi di Produzione
1
Studio/Prog./Creazione
x
Esecuzione
Controllo e valutaz.
x
Recupero varianze
x
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
Altra
Le attività svolte nel settore della fabbricazione di carpenteria sono molto avanzate ed innovative per cui, più che pensare alla tipicità e
alla tradizione del passato occorre riflettere su
come esse si sono trasformate lungo un percorso evolutivo che, se per un verso le ha profondamente cambiate, per l’altro ha dato loro una
prospettiva di continuità.
La tecnica e la tecnologia del legno lamellare
sono presenti in Friuli-Venezia Giulia da tempi
relativamente recenti e l’azienda artigiana visitata è stata tra le prime imprese a intuire il loro
possibile sviluppo, a scommettere e a investire
su di esse.
La tradizione locale era incentrata esclusivamente sulla segagione del legno e di carpenteria vera e propria non se n’è mai parlato: le
conoscenze e le tecniche che le sono proprie
erano sviluppate a un livello elementare, legato
alle esigenze costruttive abituali come potrebbe essere il caso della copertura di una casa o
di un fienile.
Un certo interesse per il settore ora c’è, ma
bisogna ricostruire brevemente come si è arri-
– 103 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
vati a questa situazione perché diversamente si
potrebbe essere fuorviati e si potrebbe giungere a conclusioni errate.
Come si diceva poc’anzi, la tradizione era legata al lavoro delle segherie e la convinzione degli
operatori era quella che non ci sarebbero state
in futuro prospettive di sviluppo alternative:
bisognava continuare la segagione e a produrre tavolame.
Il terremoto che ha colpito la regione nel 1976,
con le sue conseguenze disastrose, ha posto le
premesse per pensare alla ricostruzione del
patrimonio edilizio e abitativo gravemente
lesionato e/o compromesso secondo principi
diversi dal passato, più attenti alla sicurezza e
alla stabilità degli immobili ma anche più
rispettosi e più mirati al rispetto e alla compatibilità con l’ambiente.
L’attività dell’azienda si concentrò, pertanto,
in questo specifico ambito che, secondo le
valutazioni degli altri operatori, non lasciava
intravedere prospettive di sviluppo ulteriori, al
di là del momento contingente: la loro opinione era quella che, superata l’emergenza e completata la ricostruzione, la domanda di mercato sarebbe ritornata ai livelli precedenti.
Le cose, invece, andarono diversamente e
l’esperienza maturata durante i lavori di ricostruzione divenne un vantaggio per l’azienda
che rapidamente specializzò la sua attività nel
settore della carpenteria in legno, innovandolo
profondamente, attraverso l’introduzione graduale del rivoluzionario materiale da costruzione, il legno lamellare.
Il suo utilizzo sempre più frequente ha provocato una svolta significativa nei sistemi di progettazione e di costruzione degli immobili che
ha trovato impreparati i produttori locali dei
materiali impiegati a questo scopo, per i quali
si è posto il problema di operare una rapida
riconversione delle loro attività tradizionali.
Un obiettivo non facile da raggiungere perché
le conoscenze tecniche e tecnologiche, necessarie per operare in questo nuovo ambito e con
questo nuovo materiale, sono particolarmente
elevate e hanno poco a che vedere con quelle
spendibili in una segheria
La professionalità richiesta nel settore di attività in cui opera l’azienda è di alto profilo e
coloro che intendono lavorare in questo conte-
sto necessitano di una formazione professionale specifica che non è ancora stata codificata,
organizzata e proposta attraverso programmi
di studio mirati.
Da questa situazione consegue che risulta
quasi impossibile reperire manodopera qualificata sul mercato del lavoro locale per la mancanza di una formazione professionale adeguata e specifica nel settore della carpenteria in
legno.
Il titolare dell’impresa incontrata racconta che
alcuni anni fa, a Tarvisio, operava un Istituto
Professionale di Stato (IPSIA) che curava la
formazione dei giovani nel settore delle lavorazioni del legno, ma che ha dovuto interrompere la sua attività per la mancanza di iscritti.
Oggigiorno, purtroppo, diventa sempre più
difficile trovare dei giovani disposti a intraprendere degli studi di questo genere e la cosa
si complica ulteriormente se si ricercano professionalità ancora più elevate.
L’intervistato cita l’esperienza che sta conducendo in azienda per formare un suo collaboratore, un “ragazzo” di 35 anni con alle spalle
un percorso di studi superiori e il diploma di
geometra, e che si sta rivelando particolarmente impegnativa perché, nonostante le capacità e
l’impegno di quest’ultimo, mancano le basi di
conoscenza su cui innestare una competenza
specialistica, propria del settore.
Il nostro interlocutore suggerisce, ancora una
volta, di prendere a riferimento ciò che si sta
facendo al riguardo in altri Paesi: in Austria,
ad esempio, la carpenteria in legno ha raggiunto livelli d’avanguardia e per formare gli operatori da inserire nel settore ha istituito scuole di
diverso ordine e grado che svolgono programmi di studio differenziati, a seconda della professionalità richiesta.
Come emerso più volte nel corso dell’intervista, per poter offrire ai giovani concrete opportunità di lavoro nel comparto dovrebbero essere intraprese iniziative che trasformino radicalmente l’economia della valle nel senso di sostenere e di incentivare lo sviluppo di attività
manifatturiere piuttosto che quelle terziarie.
L’occupazione creata dai servizi pubblici, un
tempo presenti in zona (trasporti ferroviari e
su gomma, dogana, ecc.), non è altro che un
ricordo ma gran parte della popolazione loca-
– 104 –
LA PROFESSIONALITÀ ARTIGIANA NEI SETTORI DI ATTIVITÀ INDAGATI E IL MERCATO DEL LAVORO
le, in particolare i giovani, continua a guardare
illusoriamente ad essa come prospettiva, di
lavoro e di vita, stabile, certa e definitiva.
Gli attuali progetti di sviluppo per il comprensorio montano continuano a privilegiare queste forme di economia (è il caso del raddoppio
della tratta ferroviaria Tarvisio-Villach, in
Austria) per cui è estremamente difficile che,
senza le iniziative di cui si è parlato, si possano
immaginare prospettive di sviluppo alternative: una di queste potrebbe essere certamente
quella creata dall’affermazione sul territorio di
un artigianato di qualità, nel quale le attività
svolte nel settore della carpenteria in legno
potrebbero avere un ruolo molto importante.
Nelle imprese artigiane prese in esame, che
operano nel comparto della fabbricazione di
mobili, la professionalità degli operatori
rispecchia fedelmente il loro assetto organizzativo e assume connotazioni diverse.
In quelle di piccolissime dimensioni ovvero
imprese individuali nelle quali lavorano il titolare con qualche familiare o qualche collaboratore, la produzione è legata alla loro specifica
ed elevata competenza, ma si è conservata una
certa intercambiabilità fra i ruoli per far fronte
a particolari esigenze e a improvvise emergenze.
Nella altre, invece, attribuzioni e competenze
sono maggiormente suddivise e non raggiungono quasi mai livelli contenutistici particolarmente elevati: qui prevale la logica di sapersi
adattare a fare di tutto un po’.
Nella costruzione del mobile di maggior pregio
artistico, tradizionale e tipico la fase di progettazione richiede molto impegno ed attenzione
perché è in questo contesto che devono essere
prese importanti decisioni che condizionano il
lavoro successivo.
Intanto bisogna mettere a confronto le richieste del cliente con la possibilità di soddisfarle
pienamente in ogni loro dettaglio, di venire
incontro alle sue necessità consigliandolo e
proponendogli magari delle alternative: a volte
occorre modificare i disegni costruttivi di un
certo manufatto rispetto agli originali, quelli
recuperati dalla tradizione locale, e ridurli in
scala o adattarli a questo ordine di esigenze.
Poi si passa alla scelta delle essenze lignee da
utilizzare nella sua costruzione che devono
essere tagliate a misura delle singole parti che
lo compongono: queste, poi, dovranno essere
lavorate opportunamente con elementi funzionali (incastri per giunzioni, rinforzi ecc.) e
decorativi (intagli, intarsi ecc.) e preparate per
l’assemblaggio finale.
Seguono, infine, le fasi di applicazione della
cosiddetta “ferramenta” ovvero di maniglie,
cerniere, serrature, e la finitura superficiale,
una lucidatura a cera eseguita rigorosamente a
mano (stoppino): nel caso della ferramenta, in
una delle aziende incontrate sono stati studiati
gli originali dei vari componenti e si sono fatti
riprodurre tali e quali per conservare le tecniche e i sistemi costruttivi impiegati nei secoli
passati.
Sul mercato, questi materiali si riescono a trovare solamente in versioni riprodotte grossolanamente e inadatte per un manufatto di qualità: se venissero montate, dal punto di vista
estetico, si noterebbe immediatamente lo stridore della loro presenza con l’armonia e con la
coerenza dell’insieme.
I nostri interlocutori concordano sul fatto che
per fare il loro mestiere ci vogliano fondamentalmente tanta passione e tantissima dedizione: in passato, il percorso di apprendistato era
particolarmente duro e richiedeva molto sacrificio, mentre oggi le migliorate condizioni di
vita potrebbero sicuramente agevolarlo.
Al giorno d’oggi, i giovani interessati alle attività di comparto dispongono di molto tempo
libero che potrebbero impiegare per affinare la
propria manualità nel saper maneggiare utensili ed attrezzi, la propria competenza nel saper
lavorare un certo materiale, la propria cultura
per conoscere le caratteristiche di un certo stile
costruttivo del passato, il proprio ingegno e la
propria creatività per risolvere correttamente
un problema di restauro.
Questi elementi di fondo, sui quali si basa la
voglia di fare e si mette alla prova la resistenza
della nostra volontà, potrebbero essere proficuamente integrati e migliorati da una formazione professionale specifica che, in Carnia,
purtroppo manca.
L’assenza di Agenzie formative sul territorio,
che consentano di preparare professionalmente i giovani ad affrontare il mondo del lavoro,
genera scompensi non solo nel settore artigiano preso in esame ma anche in tutti gli altri.
– 105 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
In Friuli Venezia Giulia, l’Agenzia che si occupa di formare i giovani, in questo senso e in
questo ambito del lavoro artigiano, più vicina
al territorio carnico si trova, in realtà, molto
distante da esso, a S. Giovanni al Natisone, sul
confine tra la provincia di Udine e la provincia
di Gorizia.
Molti comuni della Carnia hanno ospitato o si
sono fatti promotori di iniziative nel settore della
formazione professionale nel recente passato,
all’interno delle quali gli stessi artigiani hanno
svolto compiti di insegnamento, ma queste si
sono interrotte o sono state abbandonate per lo
scarso interesse dei giovani verso di esse.
Reperire manodopera qualificata, in questo
contesto, è praticamente impossibile perché è
già un problema poter contare su quella generica: di gente motivata che voglia lavorare con
responsabilità ed impegno nel settore se ne
trova pochissima e, qualora si renda disponibile, è contesa sul mercato del lavoro.
Questo sta a testimoniare che, secondo il parere dei nostri interlocutori, le opportunità di
lavoro nel comparto esistono certamente ma i
giovani devono avere la volontà, la pazienza e
la dedizione per saperne cogliere le grandissime potenzialità: al contrario, essi dimostrano
frequentemente di non avere uno specifico
interesse a questo proposito e, nel lavoro, di
preoccuparsi maggiormente dei suoi aspetti
economico-retributivi.
Gli artigiani incontrati rilevano che le lamentele più frequenti, raccolte tra i giovani che in
estate, ad esempio, vengono ospitati nei loro
laboratori, riguardano proprio l’inadeguatezza
del salario percepito per svolgere una generica
prestazione, rispetto alle ore lavorate: precisano che in tali occasioni si offre loro l’opportunità di conoscere e di farsi conoscere in cambio
di lavori piuttosto semplici per i quali non si
può pretendere una remunerazione eccessiva.
Secondo il parere degli intervistati, nel comparto della fabbricazione di serramenti, competenze specifiche sono particolarmente necessarie nella fase di progettazione e in quella di
supervisione della produzione, sia che quest’ultima venga eseguita in laboratorio sia che la
stessa venga attuata sul cantiere.
Come abbiamo visto in precedenza, il rapporto degli artigiani incontrati con la clientela è
costante ed assiduo in ogni fase della realizzazione della commessa: sotto forma di counseling nella fase di sviluppo di un’idea e nella
fase di progettazione e in tutte le altre forme di
assistenza tecnica in quelle successive, fino alla
posa in opera dei manufatti.
Le attività svolte sul primo versante arrivano
spesso a dei livelli di dettaglio molto spinti in
quanto è abbastanza frequente che il cliente
non abbia pensato alla predisposizione di una
documentazione specifica in merito: gli stessi
professionisti nel campo dell’arredamento si
limitano a fornire indicazioni di massima che
devono essere tradotte in disegni esecutivi in
scala, a volte, molto elaborati.
Si tratta di dimensionare i particolari che compongono un certo manufatto, di scegliere i
materiali da costruzione, di elaborare dei preventivi di spesa, insomma, di fornire loro tutte
quelle informazioni tecniche e non che consentono di esaminare e di valutare la realizzazione
del progetto prima di diventare operativi.
Sul secondo versante, invece, occorre programmare i cicli di lavorazione, pianificare la produzione, intervenire sul cantiere in modo tale che
tutto proceda senza intoppi e per far ciò è
necessario svolgere una attenta e costante azione di controllo delle attività in atto e un rapido
recupero delle eventuali varianze.
In questi ambiti la conoscenza del disegno tecnico è fondamentale perché senza di essa non
si saprebbe interpretare la documentazione che
accompagna un progetto e agire concretamente di conseguenza: solitamente si devono sviluppare in questo senso semplici bozzetti fatti
a mano o disegni d’insieme di un certo
ambiente senza mai entrare nello specifico dei
manufatti che compongono l’arredo.
La formazione professionale dei giovani che
intendono svolgere questo mestiere deve fornire loro ottime basi in questo senso perché altrimenti sul lavoro non se la sapranno cavare: il
settore artigiano richiede queste conoscenze
qualificate che la grande industria, invece, trascura o non valorizza.
Nelle imprese artigiane del comparto, le competenze richieste sono molte e diversificate: bisogna saper eseguire dei calcoli matematici e geometrici, bisogna saper disegnare e leggere i disegni, bisogna saper lavorare alle macchine e avere
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LA PROFESSIONALITÀ ARTIGIANA NEI SETTORI DI ATTIVITÀ INDAGATI E IL MERCATO DEL LAVORO
contemporaneamente anche una buona manualità, bisogna saper eseguire i compiti che vengono assegnati con coscienza e responsabilità.
In parte, ciò si può apprendere a scuola ma è
lavorando in azienda che si impara il mestiere
e ci si perfeziona: in passato si raggiungevano
questi traguardi dopo un lungo apprendistato
che di norma durava anche parecchi anni.
Ora la normativa in materia è stata modificata,
ma non fornisce sufficienti garanzie, in fatto di
affidabilità raggiunta e di professionalità realmente acquisita, da parte dei giovani assunti in
questa veste dai laboratori artigiani.
Negli anni passati alcuni operatori del comparto hanno scelto di trasformare l’organizzazione della loro produzione da artigianale ad
industriale, investendo ingenti capitali in macchine ed attrezzature che consentissero di
incrementare le quantità prodotte, a scapito
della loro qualità: per questo genere d’imprese
non serve manodopera professionalmente preparata, ma più semplicemente manovali e
addetti-macchina.
Altri operatori, invece, non riuscendo a reggere la concorrenza, perché intenzionati a continuare una produzione di qualità, hanno dovuto chiudere bottega per il costo troppo elevato
della manodopera qualificata che impiegavano
o che avrebbero dovuto impiegare.
Il modo di lavorare appena descritto è ancora
praticato in Carnia da un certo numero di
imprese artigiane, ma con il passare degli anni
esso va riducendosi progressivamente, anche
per le difficoltà incontrate a reperire manodopera qualificata.
A differenza di altre aree montane, quella carnica non dispone di Agenzie formative che
insegnino ai giovani le basi per apprendere il
mestiere: quelle esistenti in regione sono fuori
mano e comportano disagi e sacrifici per i giovani che intendono raggiungerle.
Qualche iniziativa in questo senso è stata avviata a livello locale ma, secondo gli intervistati, è
ancora ben lontana dal fornire ai giovani una
vera formazione professionale nel settore:
occorrono interventi più incisivi e mirati che
propongano alle nuove generazioni vere opportunità formative per apprendere il mestiere.
La formazione attuale degli apprendisti non
raggiunge per il momento questo scopo e, in
ogni caso, rappresenta un carico economico
per l’azienda artigiana ancora troppo oneroso,
nonostante le agevolazioni e gli sgravi previsti:
il rischio che si corre più frequentemente è
quello di aver faticosamente formato un giovane in azienda per alcuni anni e, una volta raggiunto il traguardo, di vederlo poi andar via,
magari per mettersi in proprio.
È inevitabile che, in mancanza di alternative
praticabili, l’artigianato di qualità sia destinato a scomparire: se non si riesce a stabilire un
accettabile equilibrio tra la domanda e l’offerta di lavoro le opportunità di lavoro offerte dal
settore saranno sempre più scarse e con esse si
ridurranno anche quelle di fare impresa.
Opportunità di lavoro nel comparto potrebbero essere certamente offerte ma intanto risulta
molto difficile reperire manodopera locale
qualificata: i giovani ricercano altro tipo di
occupazione e non sono disposti a entrare in
azienda per imparare il mestiere.
Per farlo occorre affrontare un percorso lungo
e difficile, fatto di rinunce e di sacrifici, e i giovani d’oggi non sono più disponibili a farlo:
preferiscono andare a lavorare nelle grandi
industrie che garantiscono lo stipendio e tanti
altri benefici.
Qualcuno di loro si presenta in laboratorio per
impegnare il periodo estivo in attesa di riprendere gli studi, ma alla loro conclusione sceglie di
fare tutt’altro: in queste condizioni diventa
molto difficile e rischioso assumere manodopera
priva di una qualificazione professionale ma,
d’altra parte, diventa anche estremamente arduo
e dispendioso farlo con quella qualificata.
Di fronte a questa prospettiva, o si affronta
seriamente il problema della sopravvivenza
dell’artigianato di qualità oppure questo sarò
destinato a scomparire nel volgere di una decina di anni.
Nel comparto della fabbricazione di oggettistica varia, il titolare dell’impresa visitata ritiene
che una buona formazione professionale
debba essere, senza dubbio, alla base di ogni
attività artigiana.
Quando era ragazzo ha frequentato per due
anni i corsi predisposti da un’Agenzia formativa nel corso dei quali venivano insegnate sia
materie teoriche sia attività pratiche: ha iniziato il percorso di studi apprendendo il corretto
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TRA TRUCIOLI E TELAI
uso degli attrezzi a mano, proprio come si faceva un tempo, quando non esistevano i macchinari moderni.
Ha imparato inoltre le nozioni fondamentali
del disegno tecnico, utile sia dal punto di vista
pratico, nella fase di progettazione, sia per colloquiare e per consigliare il cliente quando,
attraverso schizzi e bozzetti, si cerca di dare
forma compiuta a ciò che si vuole realizzare.
Una specifica preparazione tecnica di base
deve necessariamente essere accompagnata
anche da una forte motivazione personale che
consente di accrescere la curiosità e l’interesse
per ciò che si sta facendo e di stimolare la propria fantasia e la propria creatività.
Il passo successivo è quello di andare a fare un
po’ di anni di apprendistato presso un laboratorio artigiano per conoscere da vicino e in
prima persona ciò che il mestiere può offrire
sotto ogni punto di vista: è necessario, tuttavia,
che questa fase venga affrontata abbastanza
precocemente, prima che sia la vita stessa ad
imporre le sue condizioni, e che si scelgano,
come maestri, dei valenti artigiani .
In tal modo si ha l’opportunità di farsi un’idea
abbastanza precisa di quelli che sono i propri
interessi e di scoprire le proprie potenzialità: è
del tutto normale che un giovane, terminata la
scuola primaria, abbia un momento di confusione e di sbandamento, legato al fatto che non
si hanno ancora le idee chiare su ciò che si
vorrà fare in futuro.
Superata questa difficoltà, si focalizza la propria attenzione su una particolare attività, si
studiano i suoi fondamenti tecnici, magari frequentando un corso professionale apposito, e
poi la si mette in pratica, in genere alle dipendenze di qualche professionista.
A quel punto si può decidere se rimanere alle
dipendenze dell’artigiano e nel frattempo incamerare conoscenze, oppure fare il grande salto
ed aprire un’attività in proprio: anche questa è
una decisione da prendere abbastanza precocemente, perché se si ha l’intenzione di mettere in
piedi una famiglia occorre pensare a questa
prospettiva in modo serio e responsabile.
Dalle considerazioni avanzate dal nostro interlocutore si intuisce che il reperimento di professionalità qualificate in questo ambito di lavoro
è particolarmente difficile e che lo stesso, a
parte qualche caso sporadico, non possa offrire
grandi opportunità di lavoro per i giovani.
Tutto dipende dalle loro capacità e dai loro
interessi, ma forse il problema più difficile da
risolvere, per diventare un bravo professionista, non consiste solamente nel possedere
determinati requisiti a livello tecnico.
È innanzitutto necessario credere in un’iniziativa, saper affrontare dei rischi, essere in grado
di saper lavorare autonomamente ma, all’occorrenza, di saper fare squadra, di collaborare
con altri: nel suo lavoro, come in ogni altro, del
resto, ci sono degli aspetti umani, oltre che
professionali, molto importanti che non vanno
trascurati e che bisogna imparare a rispettare.
Le capacità di adattamento di un individuo
alle diverse situazioni in cui si può venire a trovare è un requisito di sopravvivenza fondamentale ma spesso succede di incontrare persone che tali capacità non le hanno mai sviluppate, purtroppo, o non sembrano seriamente
intenzionate a farlo: questo atteggiamento preclude evidentemente ogni possibilità di collaborazione e di crescita professionale.
Nel comparto di attività dedite all’esecuzione
di interventi di restauro, infine, la professionalità artigiana è fondata su un consistente bagaglio di conoscenze tecniche e di esperienza che
si possono acquisire solo con l’impegno e con
una forte determinazione.
Secondo il parere degli artigiani intervistati, il
primo e forse unico requisito fondamentale per
svolgere il loro lavoro è la passione: quest’ultima non richiede necessariamente la tendenza
ad immolarsi, ma una precisa scelta, orientata
a voler conoscere e a voler crescere, anche se
ovviamente ci si deve sacrificare per imparare.
La cura e la competenza con le quali si dedicano al restauro di certi manufatti antichi di gran
pregio sono il risultato del percorso formativo
intrapreso che li ha portati a sviluppare una
straordinaria manualità e ad accumulare grande esperienza professionale, anche grazie al
vasto patrimonio informativo e documentario
raccolto nei loro archivi che testimonia, tra
l’altro, la ricchezza della tradizione carnica.
La loro professione non garantisce guadagni
straordinari, per cui se uno decide di intraprenderla per queste ragioni commette un
grosso sbaglio: essa deve necessariamente pia-
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LA PROFESSIONALITÀ ARTIGIANA NEI SETTORI DI ATTIVITÀ INDAGATI E IL MERCATO DEL LAVORO
cere perché, tra l’altro, è fatta anche di attività
che sono noiosissime e se ciò che si sta facendo
non piace diventa impossibile andare avanti.
È importante che i giovani, prima di scegliere
se lavorare nel settore artigiano, facciano perlomeno un’esperienza nelle botteghe, in modo
da poter valutare in concreto se quella possa
essere la prospettiva professionale verso la
quale orientarsi e se dall’altra parte ci sia un
bravo artigiano in grado di trasmettere loro le
conoscenze necessarie per progredire.
Le professionalità che sopravvivono nell’artigianato di qualità devono essere trasmesse alle
nuove generazioni affinché questo non scompaia definitivamente, ma perché ciò avvenga,
coloro che le detengono devono essere agevolati, aiutati e tutelati concretamente.
Nel settore del restauro ligneo, ad esempio, ci
sono molti operatori, ma sono pochissimi
quelli dotati di una vera professionalità, in
grado di eseguire con competenza interventi di
qualità: molti di loro si sono inventati un
mestiere e ora lo esercitano con i risultati che si
possono facilmente immaginare.
Riscoprire la qualità rappresenta un obiettivo da
raggiungere per l’artigianato d’oggi e se gli artigiani riusciranno a capirlo e a perseguirlo allora
il settore potrà offrire loro buone prospettive:
attualmente la situazione in cui si trovano ad
operare è molto incerta e precaria, ma essi ritengono che dandosi da fare ci siano per il futuro
buone possibilità di crescita e di sviluppo.
Un importante contributo per la costruzione
di questo scenario dovrebbe arrivare dalla
committenza pubblica, rappresentata dalle
Sovrintendenze ai beni culturali, per il recupero del patrimonio artistico regionale, attraverso progetti di intervento sistematici.
La prospettiva di continuità offerta da tali
interventi assicurerebbe nuove opportunità di
lavoro per i giovani, ma anche le condizioni
ideali per proporre loro percorsi formativi più
mirati ed incisivi, come quelli che si stanno
sperimentando in altre regioni.
9.2 Settore di attività relativo alle lavorazioni
tessili
Nel comparto della fabbricazione di arazzi e
tappeti, la professionalità con la quale lavorano le titolari delle imprese artigiane visitate,
oltre ad evidenziare un livello di competenza
molto elevato, esprime innanzitutto una forte
intenzionalità ad affermare la loro identità culturale, profondamente legata ai luoghi di origine, e un altrettanto forte desiderio di dare continuità a una tradizione locale che rischiava di
scomparire
L’analisi dei percorsi seguiti per raggiungere
questi obiettivi, pur rilevando la diversità dei
presupposti e del contesto che li hanno determinati, evidenzia tratti comuni che appaiono
particolarmente emblematici e significativi per
comprendere come tale professionalità si sia
formata.
Le titolari di una prima azienda recitano
all’unisono una sorta di decalogo che riflette,
sotto vari aspetti, la loro personale esperienza
e indica i requisiti ritenuti necessari per farlo:
pazienza, costanza, passione, determinazione,
caparbietà, non volere tutto e subito sono le
basi sulle quali è possibile costruire la propria
professionalità.
Le vicende vissute nel corso della loro vita professionale hanno contribuito in vario modo a
far emergere e a consolidare tali requisiti che
hanno poi dimostrato di essere fondamentali
per la sopravvivenza e per lo sviluppo della
loro attività.
La fortissima determinazione a voler vivere, in
tutte le sue accezioni, la propria esistenza nella
località montana nella quale svolgono la loro
attività (in realtà, per loro si è trattato di voler
ritornare a vivere tra queste montagne) ha
richiesto e richiede uno sforzo e un impegno
grandissimi: la caparbietà è servita loro per non
desistere di fronte alle difficoltà iniziali, mentre
la pazienza e la costanza sono le virtù con le
quali esse affrontano ancora oggi il loro lavoro
quotidiano che dipende esclusivamente dai
flussi turistici che raggiungono tale località.
La passione, infine, è quella che consente di
proseguire l’attività anche nei mesi più difficili,
quelli invernali, durante i quali i rigori del
clima, la solitudine e mille altre difficoltà
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TRA TRUCIOLI E TELAI
potrebbero far pensare alla resa e a una definitiva capitolazione.
Al di là del contesto locale, che consente appena la sopravvivenza dell’impresa esaminata,
esse considerano che probabilmente è proprio
l’artigianato di qualità, inteso nella sua accezione più vasta, a poter offrire queste opportunità a giovani che sappiano però dimostrare di
avere i requisiti di cui si è parlato poco sopra:
purtroppo le nuove generazioni non manifestano alcun interesse verso questo lavoro e verso
questa prospettiva di vita.
Da sempre la montagna ha offerto scarsissime
opportunità in questo senso e ha indotto gran
parte delle popolazioni residenti a migrare,
stagionalmente o definitivamente, verso il fondovalle o verso altre località del nostro o di
altri Paesi.
Solo un grande “voler fare”, una forte motivazione, una precisa e finalizzata intenzionalità
può essere di supporto e di conforto al raggiungimento dell’obiettivo di poter vivere in
questi luoghi e di poter continuare a farlo nel
tempo: essa è di stimolo per sviluppare un
“saper fare”, delle conoscenze specifiche e
delle abilità, attraverso le quali sarà possibile
esprimere le proprie capacità e trarre da esse di
che vivere dignitosamente.
La titolare di una seconda impresa del comparto ritiene, a sua volta, che una preparazione di base sia fondamentale per affrontare
qualsiasi genere di attività, ma lo sia ancor di
più se le intenzioni sono quelle di diventare
imprenditore, per realizzare un progetto di
lavoro e di vita a cui si è guardato con interesse e con entusiasmo.
Questa intenzionalità deve essere molto forte e
si sviluppa man mano andando a ricercare la
propria identità e facendo attenzione a non
sconfinare nel velleitarismo: nel suo caso, le
premesse dalle quale è partita sono state quelle di avere piena coscienza delle sue origini carniche, di avvertire fortemente questo sentimento di appartenenza culturale, di voler perciò
lavorare e vivere in questi luoghi, nonostante le
evidenti difficoltà che si frapponevano a farlo.
Perché queste sensazioni non rimanessero tali e
i desideri tanto accarezzati potessero trasformarsi possibilmente in realtà, ella si è impegnata con tutte le sue forze e con gran sacrificio per
creare le condizioni necessarie perché ciò accadesse: più che un vero e proprio apprendistato,
la nostra interlocutrice ha intrapreso come
autodidatta un percorso formativo multidisciplinare, particolarmente ricco ed impegnativo,
basato essenzialmente sul confronto quotidiano con ogni genere di problematiche.
La competenza tecnica nello svolgere la sua attività è senza dubbio molto importante e si può
acquisire, lavorando a fianco di persone preparate dalle quali si possono imparare cose indispensabili per costruire la propria professionalità.
Più difficile da sviluppare e da educare sono le
proprie motivazioni, il proprio voler fare, lo
stimolo interiore che ci porta a volersi migliorare, ad accettare i rischi dopo averli ponderati, a voler concretizzare un’idea, a voler dimostrare a se stessi che il punto di momentaneo
arrivo si può superare per andare oltre, a voler
essere protagonisti della propria evoluzione:
anche per imparare queste cose ci vogliono
buoni maestri e, se si fa tesoro dei loro insegnamenti, il resto viene da sé.
Le difficoltà segnalate dall’intervistata, nel
reperire personale qualificato sul mercato del
lavoro locale, sono notevoli per il fatto che una
formazione professionale nel settore tessile è in
quest’area del tutto assente e si ricorre all’apprendistato proprio ovviare a queste carenze.
Imprese come la sua hanno l’esigenza di poter
avere a disposizione una manodopera qualificata ed affidabile che, in mancanza di una formazione specifica e di esperienza lavorativa,
deve essere necessariamente istruita in azienda:
ciò richiede tempi lunghi, inizialmente improduttivi, sottratti a quelli che si dovrebbero
dedicare alla produzione ma ad essi si aggiungono altri inconvenienti che si traducono in
veri e propri costi aziendali di rilevanza non
trascurabile.
Nel momento in cui, ad esempio, l’intervistata
deve raggiungere un cliente in qualche parte
d’Italia, ha la necessità di sapere con certezza
che la produzione, in sua assenza, proseguirà
senza intoppi e, se ciò dovesse disgraziatamente
accadere, deve poter contare sull’affidabilità e
sull’esperienza delle sue collaboratrici nel saperli eventualmente rimuovere senza problemi.
Il loro coinvolgimento nella vita d’azienda
deve essere, se possibile, molto ampio e riguar-
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LA PROFESSIONALITÀ ARTIGIANA NEI SETTORI DI ATTIVITÀ INDAGATI E IL MERCATO DEL LAVORO
dare tutti i suoi aspetti in modo tale che si possano cogliere tutte quelle opportunità che trasformano un semplice lavoro in un lavoro gratificante: accade frequentemente che qualcuna
di loro, dopo aver impostato e programmato
insieme una certa attività, venga incaricata di
ricercare e di reperire tra i potenziali fornitori
determinati materiali o, viceversa, partecipi
con la titolare dell’impresa a manifestazioni
espositive e/o fieristiche di settore.
L’intervistata afferma che “non si vive per
lavorare ma si lavora per vivere” ed è perciò che
un clima aziendale sereno, disteso, che agevola
la partecipazione e crea forme di coinvolgimento diretto, rende il lavoro vivibile e stimolante, migliorando sensibilmente la qualità dei
suoi risultati.
Ella ritiene che, al di là dello specifico comparto di attività svolte nella sua impresa, nella
quale vengono accolti sistematicamente giovani apprendisti, le opportunità di lavoro, più che
offerte, debbano essere da questi ricercate nell’ambito più vasto dell’artigianato e, se possibile, in quello di qualità.
La ricerca deve essere orientata rispetto ai propri interessi e alla propria formazione perché
questi due elementi possono avere un ruolo
molto importante nella scelta delle prospettive
di lavoro e di vita future: un giovane che, ad
esempio, abbia concluso i suoi studi presso un
Istituto d’arte deve essere pienamente cosciente che in queste zone non ci sono (o sono
pochissime) le aziende che possano offrirgli
l’opportunità di svolgere un lavoro coerente
con l’istruzione ricevuta o anche, più semplicemente, un qualsiasi altro lavoro.
Purtroppo la Carnia, se si esclude l’irripetibile
precedente delle manifatture avviate da Jacopo
Linussio più di due secoli fa, è sempre stata
piuttosto avara di posti di lavoro e molti dei suoi
abitanti, come la stessa intervistata, l’hanno
dovuta lasciare per trovare un’occupazione.
È probabilmente questo il destino, non sempre
benevolo, che vedrà accomunati molti giovani
di questo territorio montano e che li costringerà a fare altrettanto, per intravedere un futuro di
vita dignitoso: chi vuole rimanere deve essere
pronto al confronto con difficoltà e problemi di
ogni genere e solo la sua determinazione potrà
sostenerlo dal desistere e dal cedere alla resa.
Bisogna che essi siano consapevoli delle loro
potenzialità e di ciò che questo territorio può
offrire loro, in termini di risorse disponibili e di
occasioni da sfruttare, per metterle alla prova e
per svilupparle.
Nel comparto della fabbricazione di biancheria per la casa, l’esperienza raccontataci dal
titolare dell’impresa artigiana presa in esame
descrive con particolare chiarezza il succedersi
delle tappe che lo hanno portato a ricoprire la
sua attuale posizione professionale.
Il percorso di studi e di formazione intrapreso
a suo tempo dal nostro interlocutore era del
tutto estraneo all’ambito della tessitura ma,
intorno agli Anni ‘80, l’esigenza di assumere
un ruolo preciso all’interno dell’impresa di
famiglia ne ha cambiato profondamente gli
obiettivi.
Trovandosi a diretto contatto con il processo
produttivo, ha dovuto intraprendere un lungo
apprendistato attraverso il quale ha maturato
la necessaria esperienza per conoscere in
maniera approfondita e per saper interpretare
tutte le funzioni, sia quelle tecniche-organizzative sia quelle manageriali, indispensabili per
gestire con successo l’attività aziendale.
In questo è stato aiutato da un tecnico, ora
ultra-ottuagenario, che già lavorava nell’impresa familiare e che lo ha affiancato nelle vesti
di tutor: questo signore, fin dagli inizi della sua
vita lavorativa, si era occupato di tessitura,
prima come garzone in un’azienda del bergamasco, poi ricoprendo incarichi diversi, sempre in questo settore ma in ambito industriale,
accumulando in questo modo un’esperienza
vastissima.
Quando giunse in azienda, avendo oramai
superato la sessantina, si ritrovò a svolgere un
ruolo decisivo e di primo piano, per quanto
concerne la produzione, in virtù dell’enorme
bagaglio di conoscenze che si portava appresso: l’intervistato lo ricorda come un tecnico
raffinato dal quale, grazie ai suoi pazienti insegnamenti, alla necessità del momento e a tanta
passione, egli ha imparato tutto quello che
c’era da imparare per far funzionare al meglio
l’azienda.
Ora sono le funzioni di progettazione e di conduzione manageriale a prevalere nella sua giornata di lavoro, ma all’occorrenza interviene in
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TRA TRUCIOLI E TELAI
ogni fase del ciclo produttivo con estrema
competenza e disinvoltura.
L’intervistato osserva che, prima di arrivare a
un concetto di professionalità, condiviso e
conforme all’attuale configurazione organizzativa della sua impresa, peraltro, riscontrabile
anche in altre aziende artigiane del settore tessile, è forse necessaria una breve premessa.
Negli Anni ’80, l’azienda di famiglia occupava
un numero assai più elevato di persone, circa
una quarantina rispetto alle attuali undici, perché le tecnologie impiegate e l’organizzazione
del lavoro richiedevano una manodopera generica o con un basso livello di specializzazione
nel settore.
Le macchine e le attrezzature che venivano utilizzate determinavano una eccessiva frammentazione dell’organizzazione produttiva, al
punto che molti ruoli professionali si riducevano all’esecuzione di alcune operazioni, diminuendo perciò la potenziale produttività dell’impianto.
Oggi le persone che lavorano in azienda hanno
un livello di professionalità elevato perché si è
recuperata l’organizzazione del lavoro artigiano, dove la competenza di uno specifico ruolo
professionale è molto più ampia, allargata a un
insieme di funzioni e di compiti da eseguire che
consentono, a chi lo svolge, di conoscere l’intero ciclo di lavorazione e tutte le altre attività
che ruotano intorno ad esso.
Una conoscenza di base rappresenta certamente un vantaggio per ridurre i tempi di
acquisizione delle conoscenze, ma è molto
importante poter vivere “in diretta” questa
esperienza di lavoro perché, in questo modo, si
imparano cose che si possono apprendere solo
in questo specifico contesto.
Le nuove tecnologie e l’informatica forniscono
senza dubbio strumenti più avanzati per operare più velocemente e con più precisione ma,
come si diceva, l’azienda ha conservato e intende mantenere le caratteristiche tipiche di
un’impresa artigianale, dove sono le cose fatte
bene quelle che contano, non quelle fatte in
fretta e in grandi quantità.
Chi impara il mestiere in questo genere di imprese e sa farlo egregiamente può ritenersi, senza
presunzione, realmente titolare di una solida
professionalità: all’occorrenza potrà trovare
lavoro altrove senza difficoltà o svolgere mansioni tipiche del settore industriale ad occhi chiusi o
pensare di svolgere un’attività in proprio.
Per arrivare a questo traguardo è indispensabile avere molta buona volontà, la necessaria
pazienza e un po’ di passione: man mano che
s’impara e si accumula esperienza ci si trasforma in una risorsa preziosa che aumenta progressivamente di valore.
Secondo il parere del nostro interlocutore, di
difficoltà a reperire manodopera qualificata se
ne incontrano parecchie perché chi ricerca
questo genere di lavoro non manifesta, in realtà, una disponibilità sufficiente per impararlo e
per svolgerlo.
Le richieste più frequenti provengono da
ragazze che hanno terminato gli studi presso le
Scuole d’Arte e, magari, hanno scelto di specializzarsi nel settore tessile: arrivando in
azienda pensano che si affidino loro mansioni
con queste caratteristiche esclusive senza rendersi conto, a volte, di non avere assolutamente l’esperienza per svolgerle.
Mansioni di grandissima importanza che
richiedono non solo notevole esperienza, ma
anche impegno e responsabilità non da poco:
l’intervistato ritiene che tale importanza si riesca a percepire meglio, in tutte le sue sfaccettature e in tutta la sua rilevanza, percorrendo
tutte le tappe lungo le quali si snoda il processo produttivo.
Un percorso di lavoro e di formazione che viene
sistematicamente proposto ai neo-assunti,
siano maschi che femmine, per poter valutare
obiettivamente le loro capacità e le loro potenzialità di sviluppo professionale: probabilmente
questo approccio viene dai più mal inteso o
frainteso perché forse viene immaginato come
limitato e privo di sviluppi futuri che relega a
lavori generici o a bassa qualificazione.
In realtà, si diceva, rappresenta l’inizio di un
percorso di lavoro che può riservare grandi
soddisfazioni professionali e aprire prospettive
di sviluppo da non sottovalutare: infatti, egli
ritiene che, per dei giovani dotati di buona
volontà e voglia di imparare, il comparto in cui
opera la sua azienda offre, non soltanto la possibilità di lavorare, ma anche quella di imparare un mestiere nel quale i contenuti di professionalità sono rilevanti.
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LA PROFESSIONALITÀ ARTIGIANA NEI SETTORI DI ATTIVITÀ INDAGATI E IL MERCATO DEL LAVORO
Per la titolare dell’impresa artigiana che opera nel
comparto della fabbricazione di tessuti a maglia e
confezione l’obiettivo principale da raggiungere è
quello di lavorare assiduamente per riportare l’artigianato tessile di qualità ad essere considerato
nuovamente un valore di primo piano, all’interno
della cultura e dell’economia locali e, in questo
senso, ella impegna tutta la sua professionalità.
Per costruirla, a suo avviso, è necessaria la passione perché, prima o poi, essa ripaga di tutte
le fatiche sostenute, sia a livello economico sia
a livello morale: per intraprendere qualsiasi
genere di attività bisogna prima amarla, sia
che si tratti di un’occupazione svolta come
lavoratore autonomo sia che la stessa venga
svolta come lavoratore dipendente.
Su entrambi i versanti, intraprendere un’attività significa saper affrontare tante problematiche diverse, economiche, finanziarie, legali, e
così via per cui, se una persona non ama quello che fa, è molto difficile che riesca a superare
le difficoltà che incontrerà, di volta in volta e
inevitabilmente, sul suo cammino: bisogna
amare il proprio lavoro e sentire che, attraverso di esso, ci si può rendere utili.
La formazione scolastica e professionale è
importante anche se, per lavorare nel suo laboratorio, quest’ultima non è necessaria, in
quanto provvede lei stessa a fornirla ampiamente e scrupolosamente ai suoi collaboratori,
dalla A alla Z, come si dice.
Prima di tutto, però, è necessario insegnare ai
giovani modi di vivere diversi da quelli attuali,
che non conoscono il sacrificio e la rinuncia
ma pretendono, invece, di avere tutto e subito.
La maturità, ormai, essi la raggiungono troppo tardi, nel momento in cui cominciano a rendersi conto di tutti i problemi che ci sono nel
mondo ma, fino ad allora, il disinteresse e la
superficialità, manifestati a questo riguardo,
impediscono loro di prendere coscienza di
quelle che sono le reali necessità nella vita.
A tale proposito, la nostra interlocutrice cita il
caso di una ragazza, sua collaboratrice, che
lavora in azienda da ormai cinque anni, ma che
non ha ancora imparato nulla di quello che
dovrebbe essere il suo mestiere, non tanto perché non ha le capacità di apprendere le tecniche
utilizzate in laboratorio, ma perché non ha nei
suoi confronti un reale interesse: nonostante gli
stimoli e le sollecitazioni ricevute, si limita ad
eseguire ciò che le viene detto senza comprenderne, d’altra parte, il significato professionale.
Nonostante la severa analisi, peraltro largamente
condivisa tra gli imprenditori artigiani, l’intervistata nutre molta fiducia nelle loro potenzialità e
si dichiara certa che, prima o poi, verranno a crearsi le condizioni per invertire l’attuale tendenza.
Ritiene, infatti, che molto spesso questo problema sia la conseguenza di politiche assistenziali adottate nei loro confronti che hanno provocato, come risultato generalizzato, un loro
progressivo allontanamento e una loro crescente disaffezione per il lavoro.
Sul mercato del lavoro sta sensibilmente aumentando il numero di coloro che manifestano una
spiccata propensione ad evitare mansioni che
comportino responsabilità o richiedano competenze specifiche: il loro interesse è rivolto a soddisfare esigenze immediate e possibilmente certe
(lo stipendio, le ferie, altri benefits), a prescindere dalla qualità di ciò che si deve compiere.
L’entrata nella cosiddetta “vita attiva”, invece,
comporta fondamentalmente e ineludibilmente
il compito di saper farsi carico di precisi doveri
e di saper assumere personalmente delle precise
responsabilità, prima ancora di sapere con relativa esattezza che cosa si farà da grandi.
Come si diceva poc’anzi, la nostra imprenditrice, nello svolgimento della sua attività, si avvale
da alcuni anni della collaborazione di una
ragazza alla quale cerca di insegnare, con scarsi
risultati, il mestiere: prima ancora di ricercare
sul mercato del lavoro professionalità qualificate nel settore che lo sappiano fare, sarebbe già
un grande risultato reperire qualcuno disponibile e seriamente intenzionato ad impararlo.
Ella afferma che le imprese artigiane, per
quanto piccole possano essere, nel loro insieme
hanno la possibilità di offrire lavoro stabile a
molte persone, al contrario di quanto stanno
facendo le grandi imprese, che assumono tanta
gente, ma ne licenziano il doppio.
Le opportunità ci sono, ma sono riservate a
coloro che vogliono veramente lavorare con
impegno e con responsabilità, a giovani che
vogliano imparare un mestiere e che con umiltà e dedizione siano disponibili a farlo: ciò
richiede intelligenza, determinazione, spirito di
sacrificio, pazienza e molta, moltissima pratica.
– 113 –
10. L’orientamento dei giovani verso le attività svolte nei settori artigiani
indagati e la loro formazione professionale
I titolari delle imprese artigiane incontrate
esprimono la convinzione unanime che i giovani non siano sufficientemente informati e motivati per intraprendere un’eventuale attività
lavorativa nei settori merceologici indagati:
molto spesso non hanno alcuna percezione di
che cosa sia il lavoro artigiano e delle professionalità che operano nei diversi comparti;
quelli che hanno cercato di chiarirsi maggior-
mente le idee ne hanno una visione parziale,
lacunosa e, talvolta, notevolmente distorta.
(TAB. 9)
Tra gli intervistati, alcuni sono giunti a questa
conclusione dopo aver inutilmente cercato di
reperire sul mercato del lavoro degli apprendisti, mentre altri hanno dovuto constatare che
quelli trovati non dimostravano alcun interesse
per il lavoro che veniva loro proposto.
TAB. 9 - Imprese artigiane dei settori indagati prese in esame. Livello di informazione posseduto
dai giovani sulle loro attività.
CASI
LIVELLI DI INFORMAZIONE
1
2
3
4
5
x
x
x
x
6
7
8
9 10 11 12 13
Elevato
Sufficiente
Scarso
Nessuna informazione
x
Le cause che hanno determinato questa situazione sono molteplici, ma quelle che hanno
prodotto i maggiori effetti sul piano del disinteresse e della demotivazione vanno ricercate
soprattutto nel processo educativo nel quale
sono stati coinvolti.
Da questo punto di vista rilevano che molto
spesso sono le stesse famiglie che descrivono
tali attività come qualcosa da evitare per le
condizioni e i carichi di lavoro, per i rischi di
varia natura che esse comportano, per le scarse prospettive che sembrano offrire: un’immagine del lavoro artigiano perlomeno approssimativa, nella quale non traspare alcun riferimento, nemmeno accennato, all’artigianato di
qualità, che deve essere rivalutata, promossa e
riaffermata come dignitosa ed operosa alternativa di vita.
Si deve tenere in conto che in molte famiglie, il
problema riguardante il futuro dei loro figlioli
viene ancora affrontato con una mentalità di
vecchia impostazione che vorrebbe riservare
loro prospettive diverse da quelle sempre difficili e travagliate vissute in prima persona.
A volte, per il fatto di non aver voluto o potuto ricevere un’istruzione adeguata, certi genito-
x
x
x
x
x
x
x
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ri decidono per i propri figli condizioni esistenziali diverse da quelle toccate loro e si augurano che questi facciano un lavoro diverso dal
loro senza rendersi conto di privarli di opportunità occupazionali e di condizioni economico-sociali molto dignitose.
Probabilmente tra qualche anno questo atteggiamento distorto e irresponsabile sarà cambiato e avere un figlio falegname o tessitore
sarà nuovamente motivo di orgoglio e di soddisfazione, viste le attuali condizioni del mercato
del lavoro e il dilagare della disoccupazione
giovanile.
I posti di lavoro creati dai servizi pubblici, un
tempo massicciamente presenti in alcune zone
dell’alto Friuli (trasporti ferroviari e su
gomma, dogana, ecc.), non è altro che un
ricordo ma gran parte della popolazione locale, in particolare i giovani, continua a guardare
illusoriamente ad essi come prospettiva, di
lavoro e di vita, stabile, certa e definitiva.
Senza nulla togliere al pubblico impiego, bisogna obiettivamente considerare che è molto
difficile, per genitori che abbiano svolto la loro
attività in questo contesto, educare e orientare
i propri figli alla scelta di una prospettiva di
– 115 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
lavoro e di vita diversa da quella che loro
hanno operato.
Purtroppo, però, le cose sono profondamente
cambiate non solo in queste aree ed è ora
necessario pensare seriamente a prospettive di
sviluppo economico, completamente diverse
da quelle offerte nel passato.
Le famiglie, al contrario, dovrebbero avere un
ruolo di primo piano nell’orientare i propri
figli verso la cultura del lavoro artigiano: per
accelerare questo processo di cambiamento
sarebbe, dunque, necessario promuovere maggiormente e con più incisività le attività artigiane, in particolare quelle di qualità, attraverso canali di comunicazione adeguati, e aiutare
le famiglie a comprendere che queste possono
offrire ai loro figli prospettive di vita da non
sottovalutare.
In secondo luogo, una grave responsabilità nell’aver determinato questa disinformazione e
questa disaffezione è da attribuire alle
Istituzioni scolastiche, nelle quali non ci si preoccupa di trasmettere adeguatamente e seriamente i principi e i valori della cultura del lavoro: anche in questo caso, ci si limita ad accennare riferimenti perlopiù stereotipati e/o desueti.
I giovani, quando escono da esse, non sanno
nulla di questa cultura che, tutto sommato, li
ha aiutati a crescere: quelli che entrano nelle
aziende, devono ripartire dall’inizio per scoprirla, per condividerla, per apprezzarla perché
è in questi luoghi che avviene la loro formazione professionale e la trasmissione del know how
artigiano, dal titolare, ai dipendenti, agli
apprendisti.
Il problema della motivazione al lavoro dei
giovani deve essere ricondotto ad un preciso
sistema di valori: il senso del dovere, l’interesse
verso il proprio lavoro (la cosiddetta “passione”, con i molteplici significati che il termine
evoca, vuoi nel senso dell’affermazione delle
proprie capacità vuoi in quello del sacrificio
che ciò comporta), l’assunzione di responsabilità sembrano essere traguardi d’altri tempi.
Il sistema che rispecchia in molti casi la loro
educazione è fatto di certezze, di traguardi economici e sociali scontati e/o facili da raggiungere, di opportunità offerte a iosa: questo sistema non riflette quello del lavoro artigiano ed è
perfettamente logico che i giovani non guardino con interesse e fiducia ad esso.
Le politiche educative non dimostrano alcuna
sensibilità verso questa cultura, la cultura
d’impresa, che educa a misurarsi con le proprie
capacità e ad esprimere la propria determinazione a rischiare piuttosto di smorzarla, nel
tentativo sempre più difficile di raggiungere
mete illusorie e temporanee.
Una cultura che insegna a prendere delle decisioni e a essere pienamente responsabili delle
conseguenze che ne potrebbero derivare: in
assenza di un’efficace azione pedagogica, rivolta sistematicamente e continuativamente in
questa direzione, diventa impossibile trasferire
e trasmettere i valori di questa cultura alle
nuove generazioni.
Per ovviare a questi inconvenienti, azioni di
orientamento dei giovani non sono solo auspicate, ma giudicate dagli intervistati come assolutamente necessarie e urgenti, nel tentativo di
sensibilizzare e di stimolare la loro curiosità e
il loro interesse verso queste prospettive di
lavoro e di crescita professionale. (TAB. 10)
TAB. 10 - Imprese artigiane dei settori indagati prese in esame. Livelli di validità delle azioni di
orientamento dei giovani, come strumenti di sostegno e di sviluppo dell’artigianato di qualità.
CASI
LIVELLI DI VALIDITÀ
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13
Molto valido
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x
x
x
x
x
x
Abbastanza valido
Poco valido
Nessuna validità
– 116 –
x
x
x
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L’ORIENTAMENTO DEI GIOVANI VERSO LE ATTIVITÀ SVOLTE NEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI
Senza di esse, è a rischio una parte significativa dell’economia del Paese e della regione, sia
per quanto concerne la produzione di beni e di
servizi sia per la manodopera che potrebbe
essere impiegata in queste attività.
La prospettiva che tali azioni creino, nel breve
periodo, ricadute positive sull’occupazione nei
diversi settori dell’artigianato di qualità è difficilmente immaginabile perché queste semmai
potranno essere rilevate più in là nel tempo.
Dunque, perchè tali azioni siano più incisive ed
abbiano un preciso significato, bisogna creare
le condizioni per dare continuità a tutte le
forme in cui si esprime l’artigianato di qualità,
diversamente si raggiunge l’obiettivo opposto
ovvero quello di disorientare e di confondere i
giovani, creando in loro false aspettative.
Le azioni di orientamento, per essere efficaci,
devono iniziare per tempo e coinvolgere non
solo le nuove leve che si affacciano sul mercato
del lavoro, ma anche le loro famiglie: in ogni
caso, deve trattarsi di azioni sistematiche e
capillari che potranno produrre nel lungo periodo buoni risultati, soprattutto dal punto di vista
qualitativo più che da quello quantitativo.
È assolutamente necessario che i giovani arrivino in bottega con le idee chiare o preventiva-
mente chiarite ed è nell’ambito della scuola che
ciò deve avvenire, attraverso l’impiego di metodologie e di strumenti didattici adeguati: questi
devono sapere per tempo che cosa fanno e
come operano le professionalità che lavorano
nei diversi settori artigiani.
In secondo luogo, occorre selezionare attentamente quei giovani che dimostrano di avere non
solo le abilità per fare, ma anche la volontà di
fare perché nel mestiere che si sceglie di intraprendere deve essere intravista una prospettiva
di lavoro, di crescita professionale e di vita.
Bisogna sondare in anticipo le capacità e le
motivazioni che i giovani dimostrano di avere
per svolgere questi mestieri e predisporre in tal
senso degli adeguati strumenti di selezione per
orientare, non per escludere: è possibile, infatti, che un giovane non predisposto per un particolare mestiere, ne possa svolgere un altro
con pieno successo e, perciò, vada informato
del fatto e sostenuto nelle scelte successive.
Se non vengono preliminarmente affrontate
queste problematiche ed individuati gli strumenti per risolverle, le iniziative predisposte
per la loro auspicata formazione professionale
rischiano di essere vanificate, sia per il presente sia per il futuro. (TAB. 11)
TAB. 11 - Imprese artigiane dei settori indagati prese in esame. Livello di validità delle azioni di formazione professionale dei giovani, come strumenti di sostegno e di sviluppo dell’artigianato di qualità.
CASI
LIVELLI DI VALIDITÀ
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13
Molto valido
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x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
Abbastanza valido
Poco valido
Nessuna validità
L’idea di utilizzare i laboratori delle imprese
artigiane come botteghe-scuola è oramai una
realtà ampiamente sperimentata in altre regioni del Paese e all’estero, proprio per evitare di
riproporre ai giovani percorsi formativi che
hanno largamente dimostrato di essere sostanzialmente inefficaci.
Essa prevede che i laboratori artigiani diventino
sedi operative nelle quali realizzare un processo
formativo originale, orientato a riprodurre figu-
re professionali ad elevata qualificazione, in
grado di interpretare e di innovare i valori su cui
si basa la cultura artigiana dell’eccellenza.
Non v’è dubbio che tali iniziative si pongano
obiettivi ambiziosi, raggiungibili unicamente
attraverso la progettazione e la sperimentazione di percorsi di formazione professionale
appositamente predisposti, ma i risultati finora conseguiti stanno a testimoniare che questa
strada è sicuramente percorribile. (72)
– 117 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
Il tema della formazione delle professionalità
artigiane è molto spinoso e deve essere affrontato in modo realistico se ci si propone di raggiungere soluzioni credibili: vale la pena, a
questo proposito, delineare sommariamente lo
scenario che fa da sfondo al processo formativo che si propone di trasferire abilità e competenze all’interno del settore in questione.
Nel migliore dei casi, quello ideale, infatti, ci si
trova di fronte a una situazione nella quale, da
una parte, è schierato un bravo artigiano che
conosce bene il suo mestiere e che potrebbe
insegnarlo, mentre, dall’altra parte, ritroviamo
un giovane, capace e motivato, che vorrebbe
impararlo.
Una rappresentazione, in realtà, falsa e fuorviante perché di artigiani bravi, magari, ce ne
sono tanti, ma di disponibili a trasmettere ad
altri le loro conoscenze certamente molti
meno: i nostri interlocutori, per ribadire questo concetto, ricordano che, ancora oggi, “il
mestiere si ruba” e ciò la dice lunga su quanto
siano forti nel settore le reticenze a rendere
partecipe delle proprie abilità, delle astuzie
apprese e di tutto ciò che fa parte della loro
professionalità un estraneo o un potenziale
concorrente.
Sottolineano che gli artigiani non sono né dei
filantropi né dei missionari, ma degli imprenditori e, come tali, vogliono lavorare e vorrebbero che i loro dipendenti si rendessero conto
delle difficoltà e dei problemi che si incontrano
quotidianamente per dare loro una prospettiva
di occupazione continuativa e alle loro aziende
quella di uno sviluppo futuro.
Formare un apprendista è un investimento ad
alto rischio, in tutti i sensi, anche quando si è
incentivati a farlo: inizialmente le sue prestazioni non sono affidabili e di nessuna resa sul
piano produttivo.
Solo dopo qualche anno, la casistica di lavoro
affrontata e l’assiduità dimostrata da un giovane motivato, nell’eseguire ciò che gli viene
richiesto di fare, cominciano a dare i loro frutti: in molti casi, l’artigiano si può occupare
della sua formazione quando è oramai prossimo alla pensione o non si ha più gli assilli di
un’attività che deve assolutamente procedere.
Lo scenario proposto in precedenza risulta
molto poco credibile anche per quanto concer-
ne i giovani che si avvicinano alle attività svolte nei diversi settori artigiani.
I nostri interlocutori, valutando l’attuale situazione delle Istituzioni scolastiche e delle
Agenzie che si occupano di formare giovani
per il settore delle lavorazioni del legno e per
quello tessile, rilevano che, a fronte di una preparazione teorica di base, indubbia e necessaria, non corrisponde una corrispondente e
complementare formazione della loro manualità, del tutto indispensabile per svolgere i lavori che vengono loro assegnati.
Sul piano dell’intenzionalità poi, a parte alcuni casi eccezionali, esse non riescono a motivare sufficientemente la gran parte dei loro allievi verso il lavoro, mentre si da per scontato che
proprio questo dovrebbe essere il loro compito
principale.
Superate queste difficoltà il percorso formativo
diventerebbe senza dubbio più facile ed è evidente che se i due protagonisti, artigiano e giovane apprendista, si incontrano e si piacciono,
il travaso di competenze e di esperienze diventa un gioco per entrambi.
Sulla professionalità di base di un falegname o
di un tessitore è possibile innestare e formare
altre specializzazioni che sarebbe bene curare
per creare altrettante opportunità di lavoro e
per permettere al giovane di scegliere il percorso professionale a lui più consono.
Si diceva poc’anzi che il problema della motivazione al lavoro dei giovani deve essere ricondotto ad un preciso sistema di valori: essa
dovrebbe essere stimolata ed orientata precocemente in questa direzione, fin dalla più tenera età ma questa azione non può essere compiuta che dalle famiglie, dalla scuola e dalle
altre istituzioni educative.
Esse dovrebbero insegnare ai giovani, con i
loro interventi, a riconoscerli e ad apprezzarli
come elementi della cultura e della tradizione
locali perché è in questo modo che nasce e si
rafforza il sentimento di appartenenza a un
certo territorio, si impara a viverlo in tutte le
sue espressioni e si arriva anche a decidere che
cosa si vuol fare al suo interno.
Queste attività, ribadiscono gli intervistati,
sarebbero molto importanti per la formazione
professionale di una nuova generazione di artigiani che raccolga il testimone passato da quel-
– 118 –
L’ORIENTAMENTO DEI GIOVANI VERSO LE ATTIVITÀ SVOLTE NEI SETTORI ARTIGIANI INDAGATI
la attualmente attiva e, purtroppo, ridotta ad
un numero sempre più esiguo.
Alcune Agenzie formative che operano localmente stanno tentando di avviare progetti e
iniziative in questo senso ma la loro azione è
ancora insufficiente e poco mirata: il fatto stesso che non ci siano “in loco” opportunità di
formazione professionale che consentano di
apprendere i rudimenti del mestiere conferma
che sul terreno dell’orientamento professionale c’è ancora molto, se non tutto, da fare.
Solo a seguito di queste iniziative, che hanno una
finalità informativa propedeutica, i giovani
avranno la possibilità di operare scelte coerenti e
sufficientemente motivate per rivolgersi ai mestie-
ri del lavoro artigiano con entusiasmo e fiducia
perché in essi si è intravista una prospettiva professionale e di vita promettente e dignitosa.
Note
(72) BAUSSANO A. A., “Andare a bottega. Progetto
Bottega Scuola”, Programma di Iniziativa Comunitaria
Interreg III B-Spazio Alpino, Progetto CRAFTS,
Regione Piemonte, Direzione Regionale Commercio
e
Artigianato,
Regione
Piemonte/Comunità
Europea/Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti/Alpine Space, (in corso di stampa).
– 119 –
11. Considerazioni conclusive
A conclusione della presente analisi, condotta
su due dei più importanti settori di attività artigiana presenti nell’area carnica, quello delle
lavorazioni del legno e quello delle lavorazioni
tessili, riteniamo che non sia il caso, come di
solito avviene in queste occasioni, di riassumere quanto esposto nei capitoli precedenti.
A nostro avviso, ognuno di essi è particolarmente ricco di indicazioni utili per conoscere,
da diversi punti di vista, le valutazioni espresse
dalle imprese artigiane coinvolte nell’iniziativa
sull’attuale condizione dei comparti in cui operano, sulle problematiche che li affliggono e
sulle loro prospettive future.
Crediamo debbano essere tenuti in debita considerazione i preziosi suggerimenti forniti dai
loro titolari per affrontare e per risolvere le
questioni più delicate, complesse e, a volte, spinose che interpretiamo come un invito rivolto
alla Regione Friuli-Venezia Giulia a dare piena
attuazione alla normativa regionale predisposta in materia (l. r. n. 12/2002), per disciplinare
e per sostenere l’artigianato di qualità.
Vorremmo proporre, piuttosto, alcuni spunti
di riflessione che possano orientare e supportare, anche dal punto di vista operativo, il
piano degli interventi da predisporre nell’immediato futuro, in modo tale da poter cogliere
in esso una reale l’intenzionalità politica che
finalmente operi in questo senso.
Un’intenzionalità che dovrà esprimersi, innanzitutto, nella individuazione degli obiettivi che
si vorranno perseguire in questo ambito specifico e negli strumenti che si vorranno utilizzare per affrontare, con coerenza, sollecitudine e
lungimiranza, le complesse tematiche emerse
nel corso dell’indagine.
Un primo terreno di confronto, sul quale
dovranno essere valutate le scelte operate, è
rappresentato dall’esigenza di dover tenere in
debito conto e di conciliare, come abbiamo
potuto ampiamente constatare, espressioni
della cultura artigiana (in termini di managerialità, di organizzazione, di tecnologia, di progettualità ecc.) estremamente diversificate tra
loro, all’interno dei settori e dei comparti di
attività presi in esame.
In questi ultimi, realtà produttive che si propongono di conservare una tradizione artigiana particolarmente ricca di valori (artistici, storici, tecnici e altri ancora), consolidatasi nel
tempo e fortemente radicata a livello locale,
convivono con altre realtà produttive che sono
proiettate nella ricerca e nella sperimentazione
di attività alternative, marcatamente connotate
per i loro caratteri di innovazione e di sviluppo.
Dobbiamo prevedibilmente ritenere, sebbene
tra i nostri interlocutori non ci fossero casi del
genere, che il quadro d’insieme dell’artigianato
di qualità, considerato nei suoi aspetti artistici,
tradizionali, tipici ed innovativi, vada completato da imprese che, in una prospettiva di breve
termine e a causa di dinamiche sfavorevoli,
vedano compromessa, minacciata o preclusa la
loro attività, perché soggetta ad un rapido processo di obsolescenza.
A proposito di tradizioni montanare da salvaguardare e/o da riscoprire, ad esempio, il titolare di una delle imprese contattate si domandava, coinvolgendoci nell’interrogativo, se nell’immediato e prossimo futuro avrebbero ancora avuto un mercato di sbocco le gerle o le
posaterie in legno di acero che suo nonno fabbricava nei lunghi mesi invernali. (73)
Evidentemente aveva colto, in questa sua osservazione, un aspetto problematico comune a molte
attività artigianali prossime alla scomparsa.
È con queste diverse realtà che l’intenzionalità
politica deve confrontarsi per fissare gli obiettivi delle azioni da intraprendere nel senso dell’innovazione, del mantenimento e dell’eventuale recupero dell’obsolescenza.
Crediamo che questi tre concetti possano essere interessanti e utili perché consentono di
affrontare in modo molto diretto e mirato i
problemi connessi con le esigenze di introdurre
dei cambiamenti più o meno significativi in
determinati ambiti (economico, educativo,
sociale ecc.) dell’intero settore artigiano.
Vale la pena rammentare che ogni processo di
cambiamento, per essere tale, ha il carattere
della continuità, nonostante il fatto che la sua
evoluzione possa subire nel tempo accelerazioni o rallentamenti più o meno intensi.
– 121 –
TRA TRUCIOLI E TELAI
Il raffronto sistematico tra gli obiettivi di innovazione, mantenimento e recupero dell’obsolescenza consente di rappresentarne le sue linee
di sviluppo, di valutarne criticamente i risultati e, se del caso, di apportarvi possibili correzioni “in itinere”.
D’altra parte, secondo la logica dell’operare
per progetti, tutto ciò è possibile a condizione
che di tali obiettivi vengano date delle descrizioni rigorose ed esplicite, in modo tale da permettere di programmare e di predisporre gli
interventi e di osservare l’impatto che questi
determinano sui diversi soggetti coinvolti nel
cambiamento.
Queste considerazioni, che hanno avuto finora
per oggetto il contenuto e la forma, attraverso
le quali potrebbe concretizzarsi l’intenzionalità
politica di un’Istituzione di governo locale
come la Regione Friuli-Venezia Giulia, possono essere agevolmente estese, in coerenza a
quanto è stato fin qui detto e nello spirito che
anima il Progetto CRAFTS, ai diversi aspetti
dell’artigianato di qualità che sono stati presi
in esame nel corso della presente indagine.
Per quanto concerne il contenuto di qualità
delle lavorazioni eseguite, considerato sotto il
profilo artistico, tradizionale, tipico ed innovativo, dobbiamo rilevare che, a fianco di attività
svolte prevalentemente nella logica del mantenimento (conservazione dei procedimenti tecnico-produttivi originari, delle caratteristiche
stilistiche dei manufatti, delle materie prime
impiegate e così via), ne emergono altre orientate nel senso di una profonda innovazione nel
modo di concepire i nuovi prodotti e i nuovi
sistemi per produrli.
Ne siano un esempio la fabbricazione di carpenteria in legno lamellare, la fabbricazione di
arazzi e tappeti con la tecnica del tufting, la
fabbricazione di serramenti speciali, la fabbricazione di biancheria per la casa con sistemi di
tessitura tecnologicamente avanzati, la fabbricazione di mobili moderni per la realizzazione
di architetture di interni.
Nel comparto dell’esecuzione di interventi di
restauro su manufatti lignei, il fenomeno interessa più specificatamente le tecniche di intervento e i materiali impiegati allo scopo.
La stesura dei cosiddetti “Disciplinari di produzione”, invece di configurarli esclusivamen-
te come rigido corpus di norme, peraltro necessarie, che regolano l’attività nei diversi settori
di attività artigiana, dovrà riservare spazi adeguati per accogliere queste innovazioni che
rappresentano la naturale evoluzione di una
tradizione locale fortunatamente ancora attiva
e radicata .
A ben vedere, queste connotazioni si riflettono
anche nelle posizioni di mercato rispettivamente occupate: le prime si collocano in micro-nicchie (locali) all’interno delle quali risulta ancora possibile sottrarsi alle pressioni competitive
più rilevanti, mentre le seconde cercano di
affermarsi e/o di consolidare la loro presenza
sul mercato nazionale, senza trascurare le
opportunità (purtroppo scarse) offerte da
quello internazionale.
In entrambi i casi sono posizioni recentemente
conquistate o mantenute per intere generazioni con grande dispendio di energie da parte
delle imprese artigiane che, in questa fase di
annunciato cambiamento, devono essere concretamente aiutate.
Nell’ambito dei diversi settori e comparti dell’artigianato di qualità, il dibattito aperto sul
suo futuro, che vede a confronto operatori,
studiosi ed esperti di numerose discipline, sottolinea sempre più spesso che promuovere
significa informare ed educare.
Educare la committenza sulla differenza tra un
tipo di lavorazione ed un altro, tra l’uso di un
materiale ed un altro, tra le capacità e l’esperienza di un artigiano ed un altro: spiegare che
non è possibile pretendere manufatti di un
certo pregio a condizioni inferiori a quelle
della grande produzione.
Ancor oggi un’accezione corrente del termine
“artigianato” riguarda quasi esclusivamente
le cose prodotte, purché siano fatte a mano e
un secondo pregio, che si attribuisce al prodotto eseguito a mano, sembra riferito al
fatto che le macchine eseguono prodotti di
maggiore perfezione.
Una differenza non incidentale è, che osservando le produzioni dell’artigianato di un
tempo, si riconosce una manualità così attenta e curata che è tecnicamente presente, al
punto tale da produrre l’effetto della lavorazione eseguita a macchina, mentre nell’artigianato moderno l’impiego di quest’ultima tende
– 122 –
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
a riprodurre gli effetti di manualità richiesti
dal mercato.
Nel primo caso il risultato della vera produzione artigianale è il pezzo unico, mentre in quella industriale il pezzo unico o prototipo si
appiattisce nella serie.
Per quanto riguarda gli strumenti e le macchine impiegate, nell’una la mano, estendendo
alcune funzioni specializzate, esalta le proprie
attitudini e capacità, nell’altra le incertezze e le
grossolanità fatte a macchina tendono ad esaltare le inettitudini e le incapacità.
Nei due casi si raggiungono in positivo e in
negativo, con uguale approssimazione, gli
effetti di quei “segni artigiani” che la mano riesce ancora ad evocare e ad imprimere nel
manufatto.
Questa non è altro che la simulazione, un tentativo di imitazione che la produzione industriale estende al prodotto fatto a macchina,
predisponendo “finiture” che sembrano fatte a
mano e ne aumentano il prezzo.
L’operazione è facile perché il cliente, che un
tempo si recava nella bottega dell’artigiano e
poteva fare le opportune verifiche, ora, davanti all’oggetto finito, non riesce a distinguere il
ciclo di lavorazione del “pezzo unico” da quello fatto “in serie”.
La falsificazione è più evidente quando alcuni
interventi “manuali” sono fatti quali correttivi
già previsti, in funzione di un prodotto industriale che sembri artigianale, cioè fatto a mano.
Ciò significa che le azioni promozionali da
intraprendere per il sostegno e lo sviluppo
delle produzioni artigiane devono distinguersi
per le loro caratteristiche di qualità e di innovazione, riconoscibili per il valore aggiunto che
ne potrebbe derivare alle imprese interessate,
fornendo loro servizi mirati (di promozione
commerciale, di marketing, di assistenza tecnica, di documentazione ecc.).
Da questo punto di vista, accanto alle manifestazioni di prestigio, riproposte periodicamente e continuamente migliorate, occorre organizzare e sperimentare eventi mirati che si propongano di far conoscere l’artigianato di qualità del Friuli-Venezia Giulia in ambiti di mercato più ampi di quelli attuali, in modo tale che
venga riconosciuto e distinto dagli altri beni
per i suoi caratteri irripetibili ed esclusivi.
La promozione delle attività artigiane dei settori esaminati, inoltre, potrà manifestare tutte le
sue potenzialità informative ed educative nelle
iniziative messe a punto per orientare e per formare professionalmente i giovani in tal senso.
È necessario destare in loro e nelle loro famiglie un nuovo interesse per i valori della cultura artigiana, da troppo tempo ignorati con
inspiegabile e colpevole noncuranza proprio
dal nostro sistema educativo.
Rientra negli interventi di carattere formativo
anche l’aggiornamento professionale degli artigiani che, nella logica di una loro formazione e
riqualificazione continua, dovrebbe consentire
loro di accedere a corsi di specializzazione tecnica, in linea con i progressi dell’innovazione.
Investire nella risorsa umana esprime una
volontà politica che ha piena coscienza e fiducia nel miglioramento e nello sviluppo delle
sue potenzialità, ma per raggiungere questi
obiettivi è necessario poter disporre di un sistema formativo affidabile, in grado di cogliere e
di soddisfare il suo fabbisogno di conoscenza.
La tesi che lo sviluppo di un territorio debba
essere il risultato di un processo di integrazione fra le risorse economiche esistenti è largamente condivisibile, ma presuppone il fatto
indispensabile che a saperle individuare, a
saperle combinare e a saperle utilizzare ci sia la
competenza e l’intenzionalità di un Homo
oeconomicus che sia stato educato a farlo, nel
rispetto del territorio stesso e della popolazione che lo abita.
Note
Cfr. BAUSSANO A. A., “La montagna spaccata/The
split mountain. Artigianato lapideo di qualità in
Piemonte/Quality stonework craftsmanship in
Piedmont.”, Programma di Iniziativa Comunitaria
Interreg III B-Spazio Alpino, Progetto CRAFTS,
Regione Piemonte, Direzione Regionale Commercio e
Artigianato,
Regione
Piemonte/Comunità
Europea/Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti/Alpine Space, Torino, 2003.
– 123 –
Nota biografica
Antonio Angelo BAUSSANO, psicologo, esercita la libera professione in ambito clinico e
come ricercatore, in campo economico e sociale, dedicando particolare attenzione ai temi
dell’organizzazione del lavoro e dell’occupazione e contribuendo, tra l’altro, alla costituzione dell’Osservatorio sul mercato del lavoro
della Regione Piemonte.
Svolge attività di consulenza nei settori dello
sviluppo e della formazione delle risorse
umane, in quelli delle problematiche emergenti
dai diversi modelli di cultura d’impresa, affermatisi nel contesto dell’attività artigiana e
industriale, e in quelli della progettazione e
della realizzazione di specifici interventi, predi-
sposti in tal senso da Organizzazioni pubbliche
e private: argomenti affrontati, approfonditi e
raccolti in una vasta bibliografia.
Da alcuni anni collabora con la Regione
Piemonte alla realizzazione del Progetto
“Eccellenza Artigiana” e, più di recente, a
quella del Progetto CRAFTS, inserito nel
Programma di Iniziativa Comunitaria Interreg
III B Spazio Alpino, che vede la partecipazione della Regione Autonoma Friuli Venezia
Giulia in veste di capofila: al suo interno svolge un ruolo di coordinamento scientifico e
metodologico dei partner, sui temi dell’artigianato di qualità e della formazione professionale artigiana.
– 125 –
Finito di stampare
nel mese di novembre 2005
presso Grafiche Manzanesi
Printed in Italy
REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA
Direzione centrale risorse agricole, naturali, forestali e montagna
Servizio affari generali, amministrativi e politiche comunitarie
Via Caccia, 17 - 33100 Udine - Italia
Tel. +39 0432 555111 - Fax +39 0432 555140
www.regione.fvg.it