La telenovela tra annunci e franchi tiratori

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La telenovela tra annunci e franchi tiratori
La telenovela dell'abolizione
tra annunci e franchi tiratori
L A S T OR I A
ROMA Togliamo subito di mezzo
ogni equivoco: in Senato, tra qualche franco tiratore, si sta parlando
di una riforma delle Province, non
della loro abolizione.
Niente illusioni, le Province restano. A dispetto di centinaia di titoli di giornali, restano lì - intonsi 107 palazzi, migliaia di telefoni, segretarie, dirigenti, qualche auto
blu e, soprattutto, 61 mila impiegati e i loro 2,3 miliardi di stipendi
(oltre 38 mila euro lordi di media a
testa). Non chiuderà neppure la
mitica sede dell'Upi, l'Unione Italiana Province. In compenso gli
italiani si scrollano dalle spalle - se
non ci saranno colpi di scena - indennità e rimborsi pari a un centinaio di milioni assorbiti da circa
3.000 consiglieri provinciali, superstiti di un esercito di 4.014 eletti che, come vedremo, hanno cominciato a scollarsi dalle loro
amatissime poltrone da fine 2011.
La riforma li spiana senza pietà,
anche se nulla impedirà loro di
passare a Comuni e Regioni (o alle
province e Città Metropolitane
che nasceranno nel 2015 senza elezioni popolari).
europee. Un bel segnale politico,
dicono gli addetti ai lavori, è sempre un segnale politico.
Diverso è il profilo concreto dell'operazione: i 113 milioni - ripetiamo, milioni - sfilati a consiglieri e
presidenti contano nulla nella ricerca delle coperture per i 10 miliardi necessari alla riduzione dell'Irpef.
COLPO MORTALE
Fatto sta che con il voto di oggi che dovrebbe essere seguito a ruota da quello definitivo della Camera - dovrebbe chiudersi una vicenda nata ormai quasi tre anni fa e
che ha visto innumerevoli colpi di
scena.
Il primo colpo mortale alle Province arrivò il 5 agosto del 2011 - nel
pieno della terribile estate dell'esplosione dello spread e delle
TWEET POMERIDIANO
Insomma, l'unica abolizione effettiva avviata ieri è quella della classe politica provinciale. Un'abolizione che farà risparmiare (ammesso che i futuri consiglieri non
prendano niente davvero) circa
113 milioni di euro. Questa almeno
la cifra, l'ultima disponibile, che
nel 2010 fu versata ai consiglieri
provinciali eletti.
C'è da essere soddisfatti? E' tutto relativo. Un bel po' di poltrone
in meno non guastano mai in tempi di "dagli al politico". Non viene
toccata la burocrazia, dirigenti
compresi, ma magari l'operazione
fa guadagnare qualche voto alle
Gasparri e Finocchiaro in aula
cinque manovre del governo Berlusconi - con la consegna a Palazzo Chigi della famosa lettera della
Banca Centrale Europea. Lettera
nella quale una lesta manina italiana infilò anche l'eliminazione
(eliminazione, non riforma) delle
Province.
I compiti, com'è noto, li fece il
successivo governo Monti. Che a
metà dicembre, nel gigantesco testo del decreto che avrebbe fatto
passare tutti gli italiani al sistema
pensionistico contributivo a 15 anni dalla riforma Dini, infilò un
comma che le Province non le aboliva ma le svuotava. In pratica quel
decreto anticipava quanto sta succedendo in queste ore: si prevedeva lo stop alle elezioni popolari
per le Province che, una volta completate le legislature, sarebbero
state guidate da un presidente eletto fra i sindaci dei Comuni.
Operazione spericolata. Bocciata mesi dopo dalla Corte Costituzionale perché la parola Province
è in Costituzione e dunque modifiche alle Province andavano fatte
con legge costituzionale. Possibile
che gli alti burocrati infilati nel governo Monti non lo sapessero?
Non andò meglio l'anno successivo quando il progetto di accorpamento fra le Province che avrebbero dovuto ridursi a una cinquantina fu travolto dalla crisi dello stesso governo Monri. Anche qui forse ci mise lo zampino la burocrazia: meno Province voleva dire meno prefetture, meno direzioni provinciali, un sacco di posti in meno.
Ora resta da capire chi chiuderà
la luce. «Io no - dice il presidente
dell'Upi e della Provincia di Torino, Antonio Saitta - Io sono stato
votato dal popolo e quando scadrà
il mio mandato me ne andrò e farò
posto a un commissario». Capito:
anche stavolta nessuno scriverà la
parola fine.
Diodato Pirone
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA
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