raffaele viviani - Compagnia Teatrale Gambrinus
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raffaele viviani - Compagnia Teatrale Gambrinus
RAFFAELE VIVIANI Castellammare di Stabia (Napoli), 10 gennaio 1888 - Napoli, 22 marzo 1950 La sua arte scenica affascinò le masse ed elettrizzò prima le platee locali, poi quelle del mondo, ove portò il vero cuore di Napoli, le sue grandezze, le sue miserie, la sua rassegnazione, la sua ribellione: quel misto ch'è il poco o il molto di un popolo che ha una storia e un passato millenari. Un talento che io metterei sul podio assieme ad Eduardo De Filippo e a Pirandello. Poeta, commediografo, attore , Viviani ha saputo nelle sue opere riprodurre fedelmente la vita, gli usi e i costumi del suo popolo che ha amato intensamente. Trasforma le sue considerazioni in lirica e scrive di getto i pezzi di vita quotidiana, quegli spaccati che trasportano sensazioni che compenetrano l’anima e la rendono trasparente . Fu un personaggio dal multiforme ingegno, completamente immerso nella materia teatrale in qualità di interprete, drammaturgo, regista, cantante, musicista e paroliere .La passione per il teatro gli fu trasmessa dal padre (anche lui di nome Raffaele), gestore dell’Arena Margherita di Castellammare di Stabia, teatro nel quale recitavano i poveri “Pulcinelli” del tempo. Sull’orlo del fallimento, poco dopo la nascita di Raffaele, però, la famiglia Viviani, a causa di un sequestro tributario, fu costretta a trasferirsi a Napoli, dove nel 1893, grazie al recupero di materiali di scena sfuggiti allo sfratto, costruì il teatro “Masaniello”. L’esordio sul palcoscenico di Viviani, avvenne nel 1892, quando “Papilluccio” (così era chiamato Raffaele da bambino), a poco più di quattro anni, si esibì vestito di un fracchettino rosso, al fianco della sorella Luisella, al “Nuovo San Carlino” , un teatrino di marionette sito in via Foria, di proprietà di Aniello Scarpati. A soli dodici anni Raffaele, rimasto orfano del padre, viveva in un profondo stato d’indigenza e col gravoso compito di badare alla madre ed alla sorella Luisella. La tragicità della condizione familiare di Papiluccio traspare, in maniera straziante, dall’opera autobiografica La Bohème dei comici che egli scrisse nel 1930. Le umili origini della famiglia Viviani, marcarono infatti fortemente la vita di Raffaele. Sacrifici e stenti erano all’ordine del giorno: la prematura scomparsa del padre aggravò ulteriormente le già disagiate condizioni familiari e costrinse lo scugnizzo ad una forzata maturità di capo famiglia. Raffaele dovette per forza di cose credere nell’attività ereditata dal padre. Obbligato dal senso del bisogno, riuscì con caparbia determinazione ad ottenere una rapida crescita artistica, che lo vide autore dei testi e molto spesso anche delle musiche delle sue commedie. La sua bravura e la fama lo portarono ben presto all’estero. Nel 1911 lo troviamo a Budapest, nel 1915 a Parigi, nel 1925 a Tripoli e poi ancora in Brasile, Uruguay e Argentina. Viviani portò alla ribalta di tutti i teatri quei tipi da lui resi celebri, come: ‘O scugnizzo, ‘O scupatore, ‘O cucchiere, ‘O sunatore ‘e pianino, ‘O tramviere, ‘O mariunciello e moltissimi altri ancora. Viviani fu l’attore-commediografo italiano più importante della prima metà del Novecento. Nelle sue bellissime opere ha raccontato una Napoli viva, quella dei vicoli, dei mille mestieri: prostitute, guappi, lenoni, ladri, ma anche commercianti, lavoratori, operai, contadini. Viviani con i suoi toni, le sue armonie ed i suoi colori, ha costituito per lungo tempo l’unica alternativa al teatro pirandelliano, creando egli stesso una nuova forma di fare teatro. La sua arte era immensa, la sua maschera era stupenda perché possedeva ildonodell’autenticità. Raggiunse la notorietà anche come poeta ed autore di bellissime canzoni, oltre ad essere uno dei maggiori esponenti della drammaturgia napoletana. Fu la dura gavetta di attore-cantante di caffè concerto a temprarlo, poi il pubblico gli si affezionò come macchiettista e, in seguito, come autore e interprete di numerose commedie, sempre rappresentando Napoli e la vita comune della gente umile, di chi per bisogno viveva nei “bassi”. Egli divenne uno dei maggiori esponenti della drammaturgia napoletana, e ci fa piacere ricordare, tra le sue più belle opere: 'O vico, Tuledo 'e notte, Lo sposalizio, Circo equestre Squeglia, I pescatori e Morte di Carnevale. Si spense il 22 marzo del 1950 e, prima di morire, dopo esser stato zitto per più di 12 ore, trovò la forza di chiedere, con un ultimo sforzo e con un tenue filo di voce: Arapite, faciteme vedé Napule. DIFFERENZE CON IL TEATRO DI EDUARDO La sua opera si differenzia notevolmente da quella del suo contemporaneo Eduardo de Filippo, Mentre l'opera di Eduardo ci presenta la borghesia napoletana, con i suoi problemi e la sua crisi di valori, Viviani mette in scena la plebe, i mendicanti, i venditori ambulanti: un'umanità disperata e disordinata che vive la sua eterna guerra per soddisfare i bisogni primari. In questo la sua poetica si allontana violentemente dalla retorica lacrimevole, pittoresca e piccolo borghese del tempo, prendendo le distanze al contempo dalla cultura positivista e ponendosi per molti versi all'interno di dinamiche creative proprie delle avanguardie. Il suo fu un teatro diverso, anomalo e sconvolgente, ma durante il fascismo subirà, con la negazione dell'uso dei dialetti, l'ostilità e il silenzio della critica e della stampa. Toni Servillo quando afferma che il conformismo che vede Eduardo e Viviani uno contro l'altro o uno migliore dell'altro, sono entrambi la ricchezza della drammaturgia napoletana,una ricchezza che sta proprio nella pluralità della differenza. Insomma, lo schematismo vorrebbe uno, Viviani, solo ed esclusivamente legato al popolo e l'altro, Eduardo, legato alla piccola borghesia. Loro usano due lingue molto diverse, ma perché il teatro di Viviani, e lo dicono proprio i titoli dei testi stessi, è un teatro che sta stretto nei palcoscenici. Pensiamo ai titoli stessi di Viviani che portano il teatro per la strada, Pescatori, Zingari, la Mmaculatella, che sarebbe praticamente la zona dell'angiporto, Via Toledo, Napoli Notte e Giorno. È un teatro che attraverso la lingua fa un uso del corpo profondo, quasi sacrificato. Mentre il teatro di Eduardo trova la sua cornice nel palcoscenico e i personaggi di Eduardo sono legati più alla sfera del mentale o dell'ossessione nevrotica.