università degli studi “roma tre” facoltà di economia “federico caffè”
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “ROMA TRE” FACOLTÀ DI ECONOMIA “FEDERICO CAFFÈ” CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E COMMERCIO Tesi di laurea IL RUOLO DELL’ESPANSIONE DELLA DOMANDA DI CONSUMI NELLA CRESCITA ECONOMICA: ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ANALISI DI J. S. DUESENBERRY E DEI SUOI CONTEMPORANEI Relatore: Prof. Pierangelo Garegnani ANNO ACCADEMICO 2000-2001 Candidato: Luca Pensieroso SOMMARIO INTRODUZIONE ............................................................................................... 4 CAPITOLO I..................................................................................................... 15 IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA EFFETTIVA E LA TENDENZA AL PIENO IMPIEGO............................................................................................. 15 §I.A Il principio della domanda effettiva e le sue implicazioni per quanto riguarda la tendenza del sistema economico al pieno impiego .................... 15 §I.B La teoria marginalista del valore e della distribuzione e la tendenza al pieno impiego ............................................................................................... 18 §I.C La prima via alla domanda effettiva: la critica di Keynes alla teoria marginalista del saggio dell’interesse, e la teoria della preferenza per la liquidità......................................................................................................... 24 §I.D L’analisi di Keynes nel lungo periodo: la sintesi neoclassica e la riaffermazione della tendenza al pieno impiego........................................... 31 §I.E La seconda via alla domanda effettiva: critica della nozione di capitale come fattore produttivo ................................................................................ 37 CAPITOLO II ................................................................................................... 45 CENNI DI ESTENSIONE DELL’ANALISI KEYNESIANA AL LUNGO PERIODO: DOMANDA AGGREGATA E ACCUMULAZIONE DI CAPITALE....................................................................................................... 45 §II.A Introduzione ........................................................................................ 45 §II.B Definizioni preliminari: capacità produttiva e grado di utilizzo della capacità produttiva ....................................................................................... 46 §II.C L’Ipotesi Keynesiana nel lungo periodo come teoria della distribuzione ...................................................................................................................... 47 §II.D Un approfondimento: l’ipotesi di rigidità dell’output nel lungo periodo ...................................................................................................................... 49 §II.E L’Ipotesi Keynesiana come teoria del livello dell’attività economica 55 CAPITOLO III.................................................................................................. 58 IL RUOLO DELL’ESPANSIONE DELLA DOMANDA DI CONSUMI NELLA CRESCITA ECONOMICA: ALCUNE CONSIDERAZIONI PRELIMINARI ................................................................................................ 58 §III.A Introduzione....................................................................................... 58 §III.B Teorie del sovrappiù e principio della domanda effettiva ................. 59 2 §III.C Lineamenti di una teoria Classica e Keynesiana del livello dell’attività economica..................................................................................................... 60 §III.D Introduzione all’analisi successiva: la propensione al consumo e l’analisi della crescita economica................................................................. 62 CAPITOLO IV .................................................................................................. 64 LA PROPENSIONE AL CONSUMO NELL’ANALISI DI DUESENBERRY E DEI SUOI CONTEMPORANEI .................................................................. 64 §IV.A La propensione al consumo nella “Teoria Generale” di Keynes ...... 64 §IV.B La “funzione keynesiana del consumo” ............................................ 67 §IV.C Il disagio empirico: i dati di Kuznets e gli studi sui bilanci delle famiglie americane ....................................................................................... 69 §IV.D I primi tentativi di soluzione del disagio empirico: la “funzione keynesiana” con i fattori di trend ................................................................. 73 §IV.E L’analisi di Woytinsky: l’andamento della propensione al consumo rispetto alle fasi del ciclo economico ........................................................... 78 §IV.F Un primo tentativo di ricostruzione teorica: l’analisi di Samuelson.. 80 §IV.G L’analisi di Duesenberry: l’“ipotesi del reddito relativo” e l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo .................................. 90 §IV.H L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi di Modigliani ................. 111 CAPITOLO V ................................................................................................. 124 L’IPOTESI DEL REDDITO RELATIVO NELL’ANALISI DELLA CRESCITA ECONOMICA ........................................................................... 124 §V.A Introduzione...................................................................................... 124 §V.B L’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo e l’ipotesi di pieno impiego. ............................................................................................ 125 §V.C La propensione marginale al consumo e le fasi del ciclo economico. Un esempio: la nostra rilettura dell’analisi di Samuelson.......................... 129 §V.D L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi delle crescita economica: un’ipotesi interpretativa.............................................................................. 130 §V.E L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi della crescita economica: un semplice modello esemplificativo .............................................................. 133 §V.F L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi della crescita economica: un esempio numerico....................................................................................... 143 CONCLUSIONI.............................................................................................. 151 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................. 153 3 INTRODUZIONE Lo scopo di questa ricerca è di fornire alcuni elementi che possano contribuire a chiarire il ruolo dell’espansione della domanda di consumi nella crescita economica, nell’ambito di un’analisi della crescita economica su linee non neoclassiche che è stata avanzata in letteratura negli ultimi decenni. Nell’ambito della letteratura analizzata, che fa riferimento agli studi empirici e teorici sulla funzione del consumo tra gli anni ’30 e gli anni ’50, si è individuata una particolare teoria del consumo, nota come “Ipotesi del reddito relativo”, ed elaborata principalmente da J. S. Duesenberry. Tale teoria è caratterizzata dall’idea che i modelli di consumo derivino dal particolare tipo di società considerata, e si evolvano nel tempo in relazione all’andamento del reddito aggregato. Sulla base di questa ipotesi si può sostenere che le relazioni tra reddito e consumo non sono reversibili, cioè che il consumo si comporta in maniera diversa a seconda che il reddito aumenti o diminuisca. Questa irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo, insieme con l’idea di standard di consumo acquisiti cui difficilmente le famiglie sono disposte a rinunciare, inducono a ritenere: 1. che al diminuire del reddito la spesa per beni di consumo sia particolarmente rigida, e possa così costituire una sorta di “pavimento” che impedisca diminuzioni più accentuate del reddito stesso; 4 2. che all’aumentare del reddito, gli standard di consumo mutino adeguandosi nel tempo al nuovo reddito disponibile, e crescendo in media proporzionalmente a quest’ultimo. In questo lavoro argomentiamo che l’insieme di queste considerazioni può contribuire a spiegare il ruolo dei consumi nella crescita delle economie capitalistiche, nell’ambito di una teoria della crescita su basi non neoclassiche che è stata avanzata in letteratura negli ultimi decenni. * Nei primi capitoli di questo lavoro ci occuperemo di chiarire le premesse teoriche di questa linea di ricerca. La nostra analisi prende le mosse nel capitolo I da un’ interpretazione dell’opera di Keynes, secondo la quale essa sarebbe caratterizzata dalla coesistenza di elementi schiettamente originali, e di elementi più direttamente riconducibili nell’alveo delle teorie marginaliste. Al primo insieme di elementi andrebbero ricondotte l’analisi della propensione al consumo, la teoria del moltiplicatore, e, più in generale, quello che qui chiameremo “il principio della domanda effettiva”; e cioè quell’insieme di considerazioni teoriche che lo inducono ad affermare che le economie di mercato non tendono a impiegare tutte le risorse disponibili. Al secondo insieme di elementi, invece, andrebbero ricondotte la relazione tra l’efficienza marginale del capitale e il saggio dell’interesse, e più in generale i principi di teoria della distribuzione. 5 Secondo l’interpretazione di Keynes che abbiamo adottato, queste due tipologie di elementi sono in contrasto tra di loro, e perciò non sono conciliabili in un unico impianto teorico. Illustreremo la logica di questa posizione, mostrando, in primo luogo, il contrasto tra il principio della domanda effettiva e la teoria marginalista del valore e della distribuzione. Argomenteremo infatti che la struttura logica di tale teoria conduce ad affermare la tendenza del sistema economico al pieno impiego delle risorse, e con ciò l’impossibilità che la produzione aggregata trovi un limite nella domanda effettiva. Mostreremo come, a questo fine, sia essenziale il ruolo della relazione inversa tra saggio dell’interesse e domanda di investimenti, desumibile dai principi distributivi marginalisti. Vedremo poi come Keynes, consapevole di tale contrasto, ritenne di poterlo risolvere, individuando la sua “via” alla domanda effettiva attraverso la teoria della preferenza per la liquidità, che vede il saggio dell’interesse determinato dall’equilibrio di domanda e offerta di moneta. Argomenteremo che questa prima “via” alla domanda effettiva non appare tuttavia sufficiente a fornire un’adeguata base teorica al principio della domanda effettiva nell’analisi di lungo periodo. Mostreremo infatti in che modo gli autori della “Sintesi Neoclassica” abbiano ritenuto di poter riaffermare la tendenza sistematica delle economie di mercato al pieno impiego delle risorse produttive nel lungo periodo, servendosi degli stessi strumenti teorici approntati da Keynes. Illustreremo a questo scopo l’analisi di Modigliani. Sottolineeremo come questa operazione sia stata resa possibile 6 dalla presenza nell’analisi di Keynes di una relazione inversa tra la domanda di investimenti e il saggio dell’interesse. Mostreremo infine come, secondo l’interpretazione di Keynes che abbiamo fatto nostra, esista una seconda “via” alla domanda effettiva, basata sulla critica della nozione di capitale come fattore produttivo nelle teorie marginaliste. Illustreremo in termini molto generali questa critica alla nozione di capitale come fattore produttivo. Vedremo come, sulla base di questa critica, si è potuto sostenere in letteratura che le premesse di teoria del valore necessarie nell’analisi marginalista alla costruzione di una curva di domanda degli investimenti negativamente inclinata rispetto al saggio dell’interesse non appaiono essere valide. Concluderemo affermando che la critica della nozione di capitale come fattore produttivo consente di affermare la validità del principio della domanda effettiva, nel lungo periodo come nel breve periodo analizzato da Keynes. ** Seguendo una definizione avanzata in letteratura, chiameremo “Ipotesi Keynesiana” l’idea, sottesa al principio della domanda effettiva, che il livello degli investimenti determina, in un senso generale, l’ammontare dei risparmi. Vedremo brevemente nel capitolo II che esistono in letteratura due modi di estendere al lungo periodo l’Ipotesi Keynesiana: • una, che chiameremo “prima posizione Keynesiana”, che vede l’Ipotesi Keynesiana come base per una teoria della distribuzione; 7 • l’altra, che chiameremo “seconda posizione Keynesiana”, che vede l’Ipotesi Keynesiana nel lungo periodo come una teoria del livello dell’attività produttiva. Semplificando, si può sostenere che l’elemento che differenzia le due posizioni Keynesiane sia rappresentato dalle diverse ipotesi sull’elasticità nel lungo periodo del livello della produzione rispetto a variazioni della domanda aggregata. La prima posizione Keynesiana, infatti, ipotizza che il livello dell’output sia rigido a fronte di variazioni della domanda aggregata; mentre la seconda posizione Keynesiana ammette ampli margini di elasticità per tale livello dell’output. Mostreremo, sulla scorta della letteratura analizzata, che l’ipotesi di rigidità dell’output nel lungo periodo non appare essere giustificata. Abbracceremo di conseguenza la seconda posizione Keynesiana. *** Nel capitolo III accenneremo al fatto che, nella misura in cui l’analisi ci ha condotto a conferire validità al principio della domanda effettiva sulla base della critica della teoria marginalista del valore e della distribuzione, l’analisi della crescita del sistema economico dovrà essere sviluppata nel quadro di un’altra teoria del valore e della distribuzione, e che risulti ovviamente compatibile con l’Ipotesi Keynesiana. A questo scopo apparirà possibile fare riferimento alle cosiddette “Teorie del Sovrappiù”, ovvero a quell’impostazione teorica propria degli economisti classici, e precedente le teorie marginaliste. 8 Vedremo poi più da vicino le implicazioni dell’Ipotesi Keynesiana sulla teoria della crescita. Sosterremo, sulla scorta della letteratura analizzata, che studiare in chiave Keynesiana la crescita significherà studiare le relazioni che intercorrono tra le componenti di quella che definiremo la domanda aggregata “finale” e l’andamento del reddito aggregato; nonché studiare le relazioni che intercorrono tra queste stesse relazioni, prese singolarmente e nel complesso, e l’innovazione tecnologica. Noi ci siamo voluti concentrare sulla relazione tra consumi e reddito aggregato. **** Ci siamo così dedicati allo studio della letteratura sulla funzione del consumo, individuando in particolare quelle analisi che potessero essere, in linea di massima, in qualche modo accostabili al quadro teorico Classico-Keynesiano che abbiamo scelto come orizzonte di riferimento. Abbiamo perciò tralasciato tutti gli sviluppi marginalisti della teoria del consumo che cronologicamente datano dall’elaborazione dell’“Ipotesi del Ciclo Vitale” in poi. Nel capitolo IV di questo lavoro, dunque, considereremo alcune delle analisi statistiche e teoriche cronologicamente successive alla pubblicazione della Teoria Generale di Keynes (1936), e precedenti l’elaborazione della teoria del Ciclo Vitale da parte di Modigliani (1954). Vedremo come quasi tutte queste analisi nascano come tentativi di soluzione di un problema empirico: 9 da un lato, le serie storiche elaborate da S. Kuznets nel 1942 mostravano che la quota dei consumi sul reddito si era mantenuta tendenzialmente costante negli ultimi sessant’anni; da un altro, i dati annuali su reddito e consumi aggregati pubblicati dal Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti d’America a partire dal 1929 mostravano che i consumi diminuivano meno che proporzionalmente al diminuire del reddito aggregato; infine, gli studi sui bilanci delle famiglie americane mostravano che la propensione media al consumo decresceva all’aumentare della classe di reddito considerata. Particolarmente significativa, ai nostri fini, apparirà la teoria del consumo di J. S. Duesenberry. L’elemento caratterizzante di tale teoria è l’idea che i modelli di consumo siano socialmente determinati. Sulla base di tale ipotesi, Duesenberry sostiene che gli standard di consumo vengono acquisiti nel tempo dalle famiglie, e dipendono strettamente dal ruolo e dalla posizione delle famiglie all’interno della società, e cioè, in ultima analisi dalla posizione delle famiglie nella distribuzione percentuale del reddito aggregato. Quando il reddito nel lungo periodo cresce lentamente, gli standard di consumo si modificano di conseguenza, e, se la distribuzione percentuale del reddito resta sostanzialmente immutata, il livello aggregato della spesa per beni di consumi aumenta proporzionalmente al reddito. Quando il reddito oscilla ciclicamente, la rigidità degli standard di consumo acquisiti fa sì che il livello della spesa per beni di consumo vari meno che proporzionalmente rispetto alle variazioni del 10 reddito aggregato. Vedremo le motivazioni di carattere psicologico e sociologico addotte da Duesenberry a giustificazione di tale rigidità. Argomenteremo che esse trovano la propria origine teorica nella caratterizzazione sociale dei modelli di consumo. L’insieme di queste considerazioni fa sì che, nell’analisi di Duesenberry, la relazione tra reddito e consumo non sia reversibile, ovvero che essa non assuma la stessa forma indipendentemente dal segno della variazione del reddito aggregato. Vedremo come Duesenberry esprima queste sue ipotesi sulla funzione del consumo asserendo che nelle decisioni di consumo le famiglie considerano non solo il reddito di cui dispongono nel periodo corrente, ma anche i più alti livelli di reddito di cui hanno goduto nel passato. Questa ipotesi è nota in letteratura come “Ipotesi del reddito relativo”, ed appare coerente con gli studi empirici dell’epoca. Discuteremo in questo lavoro anche gli aspetti più direttamente analitici della trattazione di Duesenberry, ed alcune problematiche di carattere teorico ad essa sottesa. Da un punto di vista analitico, l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo può essere tradotta, nell’ambito dell’“Ipotesi del reddito relativo”, dicendo che la propensione marginale al consumo è diversa a seconda che il reddito aggregato cresca o diminuisca, relativamente al massimo reddito dei periodi antecedenti il periodo corrente. Vedremo in che modo Duesenberry giunga a questo risultato, e quali ipotesi addizionali egli debba formulare. 11 Argomenteremo che questo risultato è in effetti indipendente, nella sua logica di fondo, da tali ipotesi addizionali. Noteremo inoltre come Duesenberry innesti l’idea della caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale su un quadro teorico generale che corrisponde a quello della Sintesi neoclassica, in cui si suppone che nel lungo periodo le forze di mercato conducano naturalmente il sistema economico al pieno impiego delle risorse disponibili. Noi sosterremo che l’assumere o meno il pieno impiego come ipotesi entro la quale studiare la funzione del consumo non ha alcuna influenza sulle argomentazioni di Duesenberry circa la caratterizzazione sociale dei modelli di consumo, le quali dunque risultano compatibili anche con prospettive teoriche differenti. Vedremo poi, nel corso del capitolo, come ipotesi sulla funzione del consumo simili a quelle di Duesenberry siano state avanzate in quel periodo anche da Samuelson e da Modigliani in un contributo precedente l’elaborazione della teoria del Ciclo Vitale. Passeremo in rassegna queste analisi. ***** Nel capitolo V ci occuperemo di avanzare alcune considerazioni circa il ruolo dell’espansione della domanda di consumi nella teoria Classica e Keynesiana della crescita economica, alla luce dell’“Ipotesi del reddito relativo”. Riprendendo argomentazioni già sviluppate in precedenza, chiariremo meglio come l’analisi di Duesenberry possa essere interpretata in un contesto teorico non marginalista. 12 La caratterizzazione sociale dei modelli di consumo implica che le relazioni tra reddito e consumo sono irreversibili. Tale irreversibilità si manifesta analiticamente nel fatto che la propensione marginale al consumo è diversa a seconda che il reddito aumenti o diminuisca. Le argomentazioni di Duesenberry ci inducono a ritenere che la propensione marginale al consumo è maggiore nelle fasi di espansione del reddito aggregato e minore in quelle di recessione. Questo significa che il valore del moltiplicatore del reddito sarà, ceteris paribus, maggiore all’aumentare delle componenti autonome della domanda aggregata, e minore al diminuire di queste. Così, supponendo ad esempio un’oscillazione casuale a media nulla della quota degli investimenti netti sul reddito aggregato intorno a un valore costante di lungo periodo, il reddito aggregato assumerebbe, ceteris paribus, un andamento crescente nel lungo periodo, interamente spiegato dalle ipotesi sulla funzione del consumo. A titolo esemplificativo, illustreremo questa ipotesi interpretativa con un semplice modello analitico, nel quale l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo verrà espressa attraverso l’“Ipotesi del reddito relativo”, e in una forma molto semplificata. Sulla base di tale modello si procederà ad una esemplificazione numerica su un periodo di cinquant’anni, che renderà immediatamente visibile, sotto le ipotesi assunte nel modello, l’effetto dell’“Ipotesi del reddito relativo” sulla crescita economica. ****** Potremo così concludere dicendo che nella teoria del consumo proposta da Duesenberry, così come da noi interpretata in un’ottica Classica e Keynesiana, 13 sembrano a nostro avviso rinvenibili elementi rilevanti per poter contribuire a spiegare quale ruolo giochino i consumi nella crescita delle moderne di economie di mercato. 14 Capitolo I IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA EFFETTIVA E LA TENDENZA AL PIENO IMPIEGO §I.A Il principio della domanda effettiva e le sue implicazioni per quanto riguarda la tendenza del sistema economico al pieno impiego 1. Nella “Teoria generale dell’interesse, dell’occupazione e della moneta”, Keynes1 elabora una teoria della determinazione del livello del reddito e dell’attività produttiva basata su quello che qui chiameremo “principio della domanda effettiva”, ovvero sull’idea che essenzialmente è la domanda aggregata di beni e servizi a determinare il livello della produzione aggregata, e non viceversa2. Nel suo ragionamento egli suppone dati3 la capacità produttiva, la forza lavoro, le condizioni tecniche di produzione, la distribuzione del reddito, e in generale la struttura sociale di un sistema economico. Considera poi un’economia chiusa e senza l’intervento dello Stato. Le linee generali della sua argomentazione possono essere brevemente sintetizzate in questo modo. All’aumentare del livello della produzione le famiglie verranno a disporre di un 1 Cfr. Keynes (1936). Per comodità chiameremo quest’opera, nel corso della trattazione, “Teoria Generale”. 2 Abbiamo mutuato l’espressione “principio della domanda effettiva” dal titolo del capitolo III della “Teoria Generale” di Keynes, nel quale l’autore espone sinteticamente l’idea che la domanda effettiva possa essere insufficiente ad assorbire tutta la produzione aggregata. Cfr. Keynes (1936), cap. III, pag.181. (I riferimenti di pagina sono relativi all’edizione italiana citata in bibliografia). 3 Cfr. Keynes (1936), cap XVIII, pag. 410. 15 reddito maggiore che può essere destinato o alla spesa per beni di consumo o al risparmio. Poiché, secondo Keynes, “la psicologia della collettività è tale che quando aumenta il reddito reale complessivo, aumenta il consumo complessivo, ma non tanto quanto il reddito4”, non tutto il reddito addizionale, derivante dall’incremento della produzione, si tradurrà in consumi. Questo fatto determinerà un aumento dei risparmi correnti rispetto agli investimenti correnti. Per mantenere il nuovo livello della produzione aggregata sarà quindi necessario un aumento degli investimenti pari all’incremento dei risparmi5. Se così non fosse i ricavi degli imprenditori non sarebbero sufficienti per indurli a mantenere questo nuovo livello della produzione, e si tornerebbe quindi al precedente. Ora, nell’ottica di Keynes, poiché le decisioni di investimento e le decisioni di risparmio vengono prese da due categorie diverse di soggetti, e cioè, rispettivamente, imprese e famiglie, e per motivi differenti, non v’è alcuna ragione per cui, all’aumentare del reddito, gli investimenti aumentino in misura proprio pari all’incremento dei risparmi indotto dall’aumento del reddito. Ne segue che il livello di equilibrio della produzione, cioè quello per cui non vi sia alcun incentivo per gli imprenditori ad espandere o a diminuire il livello della produzione stessa, dipende dall’ammontare degli investimenti correnti. In sintesi, dunque, abbiamo una rappresentazione del sistema economico, in cui gli investimenti determinano il livello della produzione 4 Cfr. Keynes (1936), cap. III, pag 185. 5 “Per mantenere un dato volume di occupazione, occorre […] che sia realizzato un volume di investimento corrente, sufficiente ad assorbire l’eccedenza della produzione totale sull’importo che la collettività decide di consumare quando l’occupazione è al livello dato.” Cfr. Keynes (1936), cap. III, pag. 185. 16 complessiva, il volume dell’occupazione e il reddito corrente; il reddito, date certe caratteristiche collettive che influiscono sulle scelte di consumo, determina consumi e risparmi; il sistema si assesterà su un livello stabile di equilibrio quando investimenti correnti e risparmi correnti avranno lo stesso valore. Vale a dire che il livello della produzione, e cioè l’offerta aggregata, è determinato dalla domanda per beni di investimento e per beni di consumo, e cioè dalla domanda aggregata. Ne risulta inoltre che il principio della domanda effettiva può essere indifferentemente espresso, in un senso lato, asserendo che la domanda determina l’offerta, oppure che gli investimenti determinano i risparmi. Questa seconda formulazione del principio della domanda effettiva è anche nota come “Ipotesi Keynesiana6”. 2. Ora, se il livello di equilibrio della produzione dipende dagli investimenti correnti, e questi sono indipendenti dalle decisioni di risparmio, tale livello di equilibrio della produzione non è necessariamente coincidente con il pieno impiego7 della forza lavoro. Scrive infatti Keynes in proposito: “[…] E’ soltanto in un caso particolare che la domanda effettiva è associata con la piena occupazione […]”, e cioè “[…] quando, deliberatamente o no, l’investimento corrente crea una domanda di ammontare esattamente uguale all’eccedenza del prezzo complessivo di offerta della produzione risultante dalla piena 6 Cfr. Kaldor (1956). 7 Stiamo supponendo, e lo supporremo nel corso di tutto il capitolo, che la capacità produttiva sia data a un livello tale da assorbire, se utilizzata al suo livello normale, tutta la forza lavoro disponibile. Nel capitolo II chiariremo meglio i concetti di capacità produttiva e di utilizzo normale della capacità produttiva. 17 occupazione, sull’ammontare che la collettività decide di spendere in consumi quando è pienamente occupata8.” Questo perché, come vedremo meglio tra poco, la possibilità che il sistema economico graviti intorno al pieno impiego delle risorse produttive dipende da un punto di vista logico dalla possibilità che le decisioni di investimento si adeguino o meno al livello dei risparmi di pieno impiego. Se con Keynes si ammette che il livello delle decisioni di investimento è in larga misura indipendente dal livello dei risparmi, ed anzi in un certo senso lo determina, allora il principio della domanda effettiva implica che il sistema economico non gravita necessariamente intorno al pieno impiego delle risorse. §I.B La teoria marginalista del valore e della distribuzione e la tendenza al pieno impiego 3. Il principio della domanda effettiva rappresenta un punto di radicale rottura rispetto alle teorie marginaliste dominanti all’epoca della “Teoria Generale”. Secondo queste teorie, infatti, il sistema economico gravita naturalmente attorno al pieno impiego delle risorse disponibili, perché esiste un meccanismo automatico che, attraverso variazioni dei salari monetari, porta il livello degli investimenti a coincidere con il livello dei risparmi di pieno impiego. Tale 8 Cfr. Keynes (1936), cap III, pag. 186. 18 meccanismo è costituito dai movimenti del saggio dell’interesse. Vediamo di chiarirne brevemente le origini teoriche e di delinearne l’operare9. 4. Nella teoria marginalista del valore e della distribuzione c’è una particolare concezione del processo produttivo, per la quale gli elementi richiesti per la produzione sono trattati come dei fattori produttivi, che vengono impiegati nel processo produttivo in proporzioni diverse e variabili nel continuo, in relazione al variare dei rispettivi prezzi relativi. Secondo questa impostazione, cioè, date le conoscenze tecniche di ogni periodo, lo stesso prodotto può essere ottenuto attraverso infinite combinazioni di questi fattori produttivi; e tale sostituibilità diretta dei fattori produttivi nella produzione dei beni dà luogo, in questa particolare concezione del processo produttivo, alle condizioni di massimo profitto per gli imprenditori espresse nei termini della nozione di prodotto marginale. Sulla base di questa concezione, tali teorie giungono ad affermare l’esistenza di funzioni di domanda dei fattori produttivi negativamente inclinate rispetto ai loro saggi di remunerazione. Così se ad esempio un bene A può essere prodotto con due tecniche T e T’, le quali si differenziano per l’impiego nella produzione di un’unità di A di capitale e lavoro in proporzioni diverse, allora al diminuire del saggio dell’interesse gli imprenditori adotteranno la tecnica che richiede una maggiore proporzione tra capitale e lavoro, perché ciò consente loro di ottenere il massimo profitto in relazione al nuovo livello del prezzo relativo dei fattori della produzione. 9 Per una più completa esposizione dei presupposti teorici della tendenza al pieno impiego nelle teorie marginaliste, cfr. Garegnani (1979), pag. 20-34. 19 D’altro canto l’ottenimento di queste curve di domanda dei fattori produttivi negativamente inclinate rispetto ai rispettivi saggi di remunerazione non si basa solo sulla sostituibilità tecnica dei fattori produttivi nell’ambito del processo di produzione, ma anche, o in alternativa ad essa, sulla sostituibilità per i consumatori tra beni di consumo, la cui produzione richiederà in generale proporzioni diverse dei fattori produttivi stessi. Così se un bene A viene prodotto con un certo rapporto capitale-lavoro, la diminuzione del saggio dell’interesse farà diminuire il prezzo relativo di questo bene rispetto ad un altro bene, B, che sia invece prodotto con un più basso rapporto capitalelavoro. Per l’analisi del consumatore condotta sul concetto di utilità marginale, avremo che la domanda di A aumenterà rispetto a quella di B, e che quindi nell’economia si produrrà più A e meno B. Poiché la produzione di A richiede un più alto rapporto capitale-lavoro rispetto alla produzione di B, vi sarà necessità di una maggiore quantità di capitale a livello aggregato. Avremo dunque, anche per questa via, una domanda dei fattori produttivi decrescente rispetto al loro saggio di remunerazione. Affermata l’esistenza di una funzione di domanda dei fattori produttivi con queste caratteristiche, la teoria marginalista aggiunge che l’operare della concorrenza sul mercato dei fattori renderà i loro prezzi elastici a fronte degli eccessi di domanda, fino a che tutta la quantità disponibile di ogni fattore non sia pienamente impiegata, data la quantità dell’altro fattore. La costanza della quantità data dell’altro fattore sarà infine giustificata dal fatto che tale meccanismo opererà su tutti i mercati dei fattori, e che quindi in ognuno di 20 questi mercati la quantità domandata e quella offerta di fattori produttivi saranno uguali, assicurando così il pieno impiego delle risorse disponibili. 5. Non appena però si ammetta che, in un’economia monetaria, decisioni di risparmio e decisioni di investimento possono, per ogni dato livello del reddito reale, essere divergenti, la sola flessibilità dei saggi di remunerazione dei fattori produttivi a fronte eccessi di domanda sul mercato dei fattori non sarà più di per sé sufficiente a condurre il sistema economico al pieno impiego delle risorse disponibili. Affinché sia possibile asserire che il sistema economico tende ad impiegare pienamente tutte le risorse disponibili, sarà infatti necessario che tale flessibilità dei saggi di remunerazione dei fattori produttivi agisca direttamente o indirettamente sulle decisioni di investimento, nel senso di adeguarne l’ammontare alle decisioni di risparmio di pieno impiego. Vediamo dunque che relazione intercorre tra la teoria marginalista della distribuzione e la sua spiegazione del livello degli investimenti. 6. Il fattore produttivo capitale può essere considerato, nella teoria marginalista, come un ammontare di valore incorporato in un complesso di beni di produzione, costituito dal flusso dei risparmi passati. A mano a mano che il consumo produttivo dei beni di produzione libera parte di questo valore, attraverso la produzione e la vendita del prodotto finito, esso può essere investito nell’acquisto di nuovi beni di produzione. Così “[la domanda di capitale elastica rispetto al saggio dell’interesse] rappresenta in forma 21 “istantanea” una successione di domande di investimento mediante le quali soltanto essa può di fatto agire10”. Si può dunque asserire che, considerando il capitale non tutto circolante, la curva di domanda degli investimenti sarà in linea di massima una copia in scala della curva di domanda di capitale, e ne presenterà quindi le medesime caratteristiche; in particolare risulterà anch’essa decrescente rispetto al saggio dell’interesse. Questo significa che al diminuire del saggio dell’interesse gli imprenditori troveranno conveniente passare a tecniche a maggiore intensità capitalistica, incrementando la domanda di beni di investimento. Considerando questa curva di domanda di investimenti, insieme alla curva di offerta dei risparmi, e alla flessibilità del saggio dell’interesse rispetto a divergenze tra decisioni di risparmio e decisioni di investimento, la teoria può concludere che il saggio di interesse di equilibrio sarà determinato sul mercato risparmi-investimenti. 7. Questo passaggio è fondamentale per chiarire i presupposti teorici della tendenza al pieno impiego, nella teoria marginalista. Supponiamo infatti, che, in un’economia chiusa e senza intervento dello Stato, vi sia disoccupazione del lavoro; per l’ipotesi di elasticità del prezzo dei fattori produttivi rispetto a eccessi di domanda sul mercato dei fattori, la concorrenza tra i lavoratori farà diminuire i salari reali, il che indurrà le imprese ad impiegare nuova forza lavoro. Aumenteranno dunque il volume dell’occupazione e il livello della produzione. Un aumento dell’offerta di beni ingenererà un aumento di reddito, 10 Cfr. Garegnani (1979), pag. 29. 22 e con esso un aumento dei consumi e un aumento dei risparmi. L’aumento dei consumi andrà a costituire la domanda addizionale di beni di consumo, atta a colmare almeno in parte l’eccesso di offerta venutosi a creare; l’aumento dei risparmi invece creerà un eccesso di offerta di risparmi rispetto alla domanda di investimenti, il che farà diminuire il saggio dell’interesse11. La caduta del saggio dell’interesse, una volta affermata l’esistenza di una curva di domanda 11 Di fatto non esiste un mercato dei prestiti monetari, in cui i soggetti che offrono somme in prestito contrattino direttamente con quelli che domandano somme in prestito, con la possibilità di risposte immediate del saggio dell’interesse a eventuali eccessi di domanda. Cerchiamo perciò di chiarire meglio come un eccesso di risparmi sugli investimenti determini una diminuzione del saggio dell’interesse, sulla scorta dell’analisi di Wicksell riportata in Garegnani (1979), pag. 51-59. Procediamo con un’esemplificazione. Supponiamo un’economia chiusa e senza intervento dello Stato, in cui tutte le risorse siano pienamente impiegate. Supponiamo ora che in un anno t le banche fissino un saggio dell’interesse monetario maggiore del saggio di interesse “naturale” che equilibrerebbe, nella teoria marginalista, i risparmi e gli investimenti, commettendo ad esempio un errore di valutazione sulla profittabilità degli investimenti stessi. Ne risulterà un livello degli investimenti inferiore rispetto al valore che corrisponde alle decisioni di risparmio di pieno impiego. Anche ammettendo un’offerta di risparmi inelastica rispetto al saggio dell'interesse, si verificherà comunque un eccesso di risparmi rispetto agli investimenti. Ci sarà dunque un’insufficienza della domanda aggregata monetaria, che non sarà in grado di assorbire la produzione aggregata. Tale insufficienza si manifesterà dapprima nel settore dei beni capitale, attraverso eccesso di offerta di beni capitale: il loro prezzo tenderà a scendere e diminuiranno anche i salari monetari del settore. La diminuzione dei salari monetari è da ascriversi a fenomeni di disoccupazione che si verificheranno nel breve periodo, perché la deflazione tende a far aumentare il valore reale delle retribuzioni. La concorrenza tra lavoratori farà perciò cadere il salario monetario. Per le relazioni relative ai costi di produzione e alla domanda aggregata monetaria dipendente dai salari monetari, l’effetto deflazionistico si scaricherà anche sul settore dei beni di consumo. La caduta di prezzi e salari sarà peraltro assolutamente equiproporzionale, e il processo deflazionistico procederà senza scaricarsi sul reddito (che è sempre al livello di pieno impiego, e dipende da fenomeni reali, e non da fenomeni monetari), fintantoche la scarsità di domanda di prestiti non indurrà il sistema bancario ad abbassare il tasso di interesse. 23 degli investimenti decrescente rispetto a i, determinerà un aumento degli investimenti, che proseguirà sino all’equilibrio con i risparmi. L’incremento addizionale di domanda di beni capitale andrà infine a colmare l’eccesso di offerta iniziale. Questo meccanismo, che fa concettualmente perno sulla relazione inversa tra domanda di investimenti e saggio dell’interesse, continuerà ad operare sino al pieno impiego del lavoro. §I.C La prima via alla domanda effettiva: la critica di Keynes alla teoria marginalista del saggio dell’interesse, e la teoria della preferenza per la liquidità 8. Per poter dunque asserire che il livello della produzione aggregata può incontrare un limite nella domanda aggregata monetaria, bisogna mostrare che il legame tra risparmi, investimenti e saggio dell’interesse non è quello ipotizzato dalla teoria marginalista. Vediamo quindi la via che Keynes ritenne di individuare alla domanda effettiva, attraverso la sua critica alla teoria marginalista dell’interesse. 9. Keynes ammette l’esistenza di una curva di domanda degli investimenti negativamente inclinata rispetto al saggio dell’interesse, chiamandola curva dell’efficienza marginale del capitale12. Ammette anche che le decisioni di risparmio, per ogni dato livello di reddito, possano essere in qualche modo 12 Cfr. Keynes (1936) cap. XI, pag. 295-297. 24 influenzate da variazioni del saggio dell’interesse. Nega però la possibilità di costruire, attraverso questi elementi, una teoria della determinazione del saggio dell’interesse che non sia sostanzialmente indeterminata. La ragione di tale indeterminatezza è da attribuire, secondo l’autore, al fatto che per conoscere il livello dei risparmi è necessario conoscere il livello del reddito; ma per conoscere il livello del reddito bisogna conoscere l’ammontare degli investimenti, che a sua volta è influenzato dal saggio dell’interesse. Dunque la teoria “tradizionale”, che determina il saggio dell’interesse come il prezzo di equilibrio tra offerta di risparmi e domanda di investimenti, sarebbe viziata dalla contraddizione in termini per cui per determinare il saggio dell’interesse bisogna in realtà conoscerne preventivamente il valore. A suo modo di vedere quindi, la curva dell’efficienza marginale del capitale e la curva dei risparmi sono in grado di determinare il saggio dell’interesse solo una volta noto il livello del reddito, o alternativamente il livello del reddito, una volta noto il saggio dell’interesse. Cioè “[...] data la curva di domanda di capitale e data l’influenza di variazioni del saggio di interesse sulla disposizione a risparmiare da dati redditi, il livello del reddito e il saggio dell’interesse devono essere correlati in modo univoco13”, senza che ciò però implichi la determinazione del saggio dell’interesse sul mercato risparmi-investimenti14. 13 Cfr. Keynes (1936), cap. XIV, pag. 340. Si noti inoltre come il dettato keynesiano costituisca una chiara enunciazione ante litteram della curva IS. Cfr. in proposito Hansen (1953), pag. 159 e ss. (I riferimenti di pagina sono all’edizione italiana citata in bibliografia) 14 Prima di addentrarci oltre nella teoria keynesiana dell’interesse, valutiamo la fondatezza di questa accusa di indeterminatezza mossa da Keynes alla teoria marginalista, sulla scorta dell’analisi di Garegnani (1979) pag. 65-66. Ipotizziamo, così come ipotizza la teoria 25 10. Dunque, secondo Keynes, l’indeterminatezza della teoria marginalista dell’interesse inficia la possibilità di trattare il saggio dell’interesse come risultante dell’equilibrio risparmi-investimenti. Egli osserva inoltre che, da un punto di vista concettuale, la natura del saggio dell’interesse non è a suo avviso quella di essere la remunerazione del risparmio in quanto tale15. E infatti l’idea di Keynes è che il saggio dell’interesse sia qualcosa di essenzialmente connesso a fenomeni di carattere monetario: è, nelle sue parole “[...] la ricompensa all’abbandono della liquidità per un periodo determinato16”, ovvero il costo opportunità di detenere moneta. Ora, secondo Keynes la moneta non è marginalista, che il saggio dell’interesse equilibri risparmi e investimenti per ogni dato livello del reddito, e chiamiamo tale ipotesi ipotesi a. Supponiamo che vi sia disoccupazione del lavoro, cioè che il livello degli investimenti non sia tale da garantire il pieno impiego del lavoro: secondo i teorici marginalisti, la concorrenza tra i lavoratori disoccupati farà diminuire i salari monetari, e questo farà sì che, almeno inizialmente, diminuiscano i salari reali. Le imprese impiegheranno nuova forza lavoro, e aumenteranno quindi il volume dell’occupazione e il reddito. Ne seguirà un aumento di consumi e risparmi. Per l’ipotesi a, l’eccesso dei risparmi sugli investimenti, al nuovo livello di reddito, farà diminuire il saggio dell’interesse, il che, data la curva dell’efficienza marginale del capitale, farà aumentare gli investimenti sino a che il livello degli investimenti non sia pari al nuovo livello dei risparmi. Questo processo proseguirà fino al pieno impiego del lavoro, con un equilibrio risparmi-investimenti-saggio dell’interesse compatibile con la piena occupazione. Ma allora l’unica curva di risparmio che rilevi da un punto di vista teorico è quella corrispondente al livello del reddito di pieno impiego, e l’accusa di indeterminatezza mossa da Keynes alla teoria marginalista dell’interesse appare essere ingiustificata. 15 “Dovrebbe essere ovvio che il saggio dell’interesse non può essere una ricompensa per il risparmio o l’astinenza come tali. Giacché se un uomo tesaurizza i suoi risparmi in denaro, non percepisce alcun interesse, benché risparmi esattamente tanto quanto prima”. Cfr. Keynes (1936), cap XIII, pag. 326-327. 16 Cfr. Keynes (1936), cap. XIII, pag. 327. 26 solamente un mezzo di scambio atto a semplificare le transazioni, ma è anche fondo di valore, ovvero ha la caratteristica di conservare il valore nel tempo17. L’insieme di queste caratteristiche fa sì che gli individui domandino moneta non solo a fini transattivi, ma anche a fini speculativi, cioè preferendo la detenzione della moneta rispetto a quella di qualsiasi altra attività con cui essa sia sostituibile; è concepibile cioè che essi desiderino la moneta in quanto tale, come modo di detenere la ricchezza. Ora, la ricchezza può essere detenuta sotto forma di moneta, oppure sotto forma di titoli che garantiscano un certo rendimento, un premio per l’abbandono della liquidità. La discriminante tra le decisioni di detenere moneta e quelle di detenere titoli è costituita dal tasso di interesse e dalle sue variazioni, verificate e attese, che inducono movimenti contrari nei corsi borsistici dei titoli. Poiché gli speculatori non valutano solo i guadagni in conto interesse, ma anche quelli in conto capitale, al diminuire del tasso di interesse rispetto a quello che essi si attendono debba essere il tasso di interesse vigente sul mercato, vi sarà un’aspettativa diffusa al rialzo di i. Ciò indurrà gli operatori a tenersi liquidi, per non incorrere in perdite attese in conto capitale. Considerato che l’insieme degli operatori avrà aspettative diverse sul livello del tasso di interesse, sommando la domanda di moneta a fini speculativi di tutti gli operatori, ne risulterà a livello aggregato una domanda di moneta a scopo speculativo decrescente rispetto al saggio dell’interesse. Aggiungendovi poi la domanda di moneta a scopo transattivo, che non dipende per Keynes dal saggio dell’interesse, avremo una domanda 17 Ovviamente se non c’è inflazione della moneta. 27 complessiva di moneta che sarà negativamente inclinata rispetto al saggio dell’interesse. Se supponiamo un’offerta di moneta esogena, all’aumentare dell’offerta di moneta, ammesso che ciò non turbi lo stato delle aspettative, gli operatori, dato il reddito, e perciò la domanda di moneta a scopo transattivo, riverseranno la quantità aggiuntiva di moneta nell’acquisto di titoli, facendone aumentare il corso e diminuendone di conseguenza il rendimento: il saggio dell’interesse diminuirà. Seguendo lo stesso ragionamento, al diminuire dell’offerta di moneta, il saggio dell’interesse aumenterà. Ne risulta quindi una teoria monetaria del saggio dell’interesse, che non viene determinato dall’equilibrio risparmi-investimenti, ma da quello domanda-offerta di moneta. Tale teoria è nota come “teoria della preferenza per la liquidità18”. 11. Vediamo ora di chiarire il ruolo della teoria della preferenza per la liquidità come via alla domanda effettiva, così come in effetti lo intese Keynes. Supponiamo che si verifichi una situazione di disoccupazione del lavoro. Secondo le teorie marginaliste che Keynes si proponeva di confutare, la concorrenza tra i lavoratori farà diminuire i salari monetari, e questo farà sì che, almeno inizialmente, diminuiscano i salari reali. Le imprese dunque aumenteranno il volume dell’occupazione; aumenterà quindi il reddito, e con esso consumi e risparmi. L’eccesso dei risparmi sugli investimenti produrrà una deflazione dei prezzi e dei salari monetari19. A questo punto “coloro che credono nella facoltà autoriequilibratrice del sistema economico devono [...] 18 Cfr. Keynes (1936), cap XIII, pag. 325-333. 19 Cfr. paragrafo 7, nota 11. 28 poggiare il loro ragionamento sull’effetto che un livello discendente dei prezzi e dei salari monetari avrebbe sulla domanda di moneta20”. E infatti la diminuzione del valore monetario del reddito, conseguente alla diminuzione di prezzi e salari monetari, farà sì che una minore quantità di moneta sia richiesta a fini transattivi. Questo significa che, data l’offerta di moneta, una maggiore quantità di moneta è disponibile per il movente speculativo. Diviene quindi essenziale valutare lo stato delle aspettative degli speculatori; se il saggio dell’interesse vigente sul mercato è pari a un saggio “critico” minimo al di sotto del quale gli operatori preferiscono comunque tenersi liquidi, allora essi non impiegheranno la quantità addizionale di liquidità nell’acquisto di titoli, ma deterranno moneta (cosiddetta trappola della liquidità), e il tasso dell’interesse resterà costante; in caso contrario acquisteranno titoli, facendone aumentare il corso, cosicché il tasso dell’interesse diminuirà. Ora, nel primo caso, stanti le aspettative degli imprenditori, la spesa per beni di investimento non sarà sufficiente ad assorbire il nuovo volume dei risparmi, con il risultato che il sistema inizierebbe a sperimentare una deflazione cumulativa di prezzi e salari monetari, non dissimile da quella ipotizzata nell’analisi monetaria della teoria marginalista21. In questo caso però, secondo Keynes, la dinamica deflazionistica si tramuterà presto in una recessione reale dell’economia, poiché lederà le aspettative di profitto di breve periodo degli imprenditori. Nel secondo caso, invece, la diminuzione del tasso dell’interesse farebbe aumentare la spesa per beni di investimento, laddove le aspettative di profitto che 20 Cfr. Keynes (1936), cap. XIX, pag.432. 21 Cfr. paragrafo 7, nota 11. 29 regolano il livello dell’efficienza marginale del capitale si mantenessero immutate, rendendo possibile il mantenimento del nuovo più elevato livello dell’occupazione. Qualora però le aspettative degli imprenditori dovessero volgere in negativo, ad esempio perché la deflazione di prezzi e salari monetari dovesse aumentare in modo molto significativo il valore reale del debito delle imprese, è anche possibile che, al nuovo inferiore livello del saggio dell’interesse, l’efficienza marginale del capitale sia comunque tale da non indurre in alcun modo gli imprenditori ad aumentare la spesa per beni di investimento22. Nel qual caso si produrrebbe di nuovo una spirale deflazionistica di prezzi e salari monetari, che si tradurrebbe presto in una recessione del reddito. In sintesi dunque, sulla base delle argomentazioni riportate, Keynes ritiene di poter affermare che gli effetti sul raggiungimento della piena occupazione della diminuzione dei salari monetari rispetto alla quantità di moneta sono molto incerti. Da un lato una lieve deflazione salariale potrebbe non abbassare il saggio dell’interesse, perché la preferenza per la liquidità degli operatori economici potrebbe aumentare di più della quantità di moneta disponibile per il movente speculativo. Dall’altro una forte deflazione salariale potrebbe turbare lo stato di fiducia degli operatori economici, con effetti destabilizzanti sia sul mercato della moneta che su quello dei beni. Conclude così dicendo : “Non v è dunque ragione di ritenere che una politica flessibile dei salari sia atta a mantenere uno stato di continua occupazione piena; come non vi è ragione di 22 Perché la curva dell’efficienza marginale del capitale si sposterebbe nel piano verso il basso. 30 ritenere che una politica monetaria di intervento sul mercato aperto sia capace da sola di raggiungere tale risultato. Il seguire l’una o l’altra di queste linee di condotta non può conferire al sistema economico la facoltà di riequilibrarsi automaticamente.23” §I.D L’analisi di Keynes nel lungo periodo: la sintesi neoclassica e la riaffermazione della tendenza al pieno impiego 12. Ci proponiamo ora di illustrare l’effettiva robustezza delle argomentazioni addotte da Keynes come base teorica su cui poggiare il principio della domanda effettiva, in particolare per quanto attiene al lungo periodo. Notiamo anzitutto che, nel lungo periodo, fenomeni collettivi di natura psicologica relativi allo stato di fiducia lasciano il posto allo stato reale delle grandezze economiche. Dovremo quindi valutare la portata delle argomentazioni di Keynes, e in particolare della teoria della preferenza per la liquidità come via alla domanda effettiva, a prescindere dalla volatilità delle relazioni tra le grandezze economiche che può sussistere nel breve periodo. Nello svolgere queste considerazioni seguiremo nei suoi tratti essenziali l’analisi svolta da Modigliani nell’articolo “La preferenza per la liquidità e la teoria dell’interesse e della moneta24”. Questo lavoro di Modigliani fa parte di un filone teorico, cui 23 Cfr. Keynes (1936), cap. XIX, pag. 433. 24 Cfr. Modigliani (1944). 31 appartengono anche numerosi altri autori25, che va sotto il nome di “sintesi neoclassica”, e che ha posto le basi teoriche per il riassorbimento dell’opera di Keynes nei canoni della teoria marginalista26. 13. Nel ricostruire la teoria della preferenza per la liquidità di Keynes in un’ottica di lungo periodo, Modigliani opera una lieve quanto significativa rivisitazione della domanda di moneta a scopo speculativo. Il fatto che, al diminuire del saggio dell’interesse, aumenti a livello aggregato la domanda di moneta non viene ricondotto da Modigliani ad aspettative sul livello “normale” del saggio di interesse, di cui la teoria non è in grado di rendere conto, come di fatto è in Keynes, quanto piuttosto al fatto che quanto più bassa è la remunerazione di un titolo, tanto più esso risulta meno preferibile a un’attività 25 Cfr, ad esempio Hicks (1937), Patinkin (1948), Hansen (1953), Tobin (1955). Per riferimenti bibliografici più completi sulla sintesi neoclassica, cfr. il capitolo su Keynes in IngraoRanchetti (1996). Per una più completa esposizione degli argomenti della sintesi neoclassica, cfr. Napoleoni-Ranchetti (1990), cap. V e cap. XIV. Si è scelto di seguire da vicino l’impostazione di Modigliani, perché essa ha il pregio di essere particolarmente nitida e coerente, e nel contempo sufficientemente rappresentativa di quei risultati comuni a tutti questi autori. 26 Per la verità il riassorbimento della teoria di Keynes nei canoni dell’economia ortodossa è proseguito ben oltre quanto teorizzato dalla stessa sintesi neoclassica, i cui autori possono comunque definirsi “keynesiani”, sino alla completa negazione di ogni rilevanza sul piano pratico e teorico del principio della domanda effettiva. Il che è accaduto con l’avvento del monetarismo (cfr. Friedman 1956), e della nuova macroeconomia classica (cfr. Lucas 1973). Per quel che ci interessa in questa sede è sufficiente ricordare come tale riassorbimento sia tutto incentrato sulla validità della teoria marginalista del valore e della distribuzione, e su alcuni problemi teorici connessi con l’argomentazione di Keynes e di parte degli autori “keynesiani”. 32 perfettamente liquida come la moneta, il cui valore è certo nel tempo27. Così la domanda di moneta a scopo speculativo sarà nulla per valori di i maggiori di un certo livello iMAX, “perché deve esistere per ogni individuo un rendimento minimo netto che lo indurrà a liberarsi della moneta come attività28”; sarà “assoluta29” per tutti i valori di i inferiori a un iMIN, dato che “poiché i titoli costituiscono una forma “inferiore” di detenere attività finanziare, è generalmente riconosciuto che deve esistere un livello minimo del tasso di interesse [...] al quale nessuno desidererà attività non reali eccetto che sotto forma di moneta30”; sarà infine decrescente rispetto al tasso di interesse per i compreso tra iMAX e iMIN. Ne risulterà quindi una domanda di moneta molto stabile, che non è soggetta alle violente fluttuazioni derivanti dal modificarsi delle aspettative sul saggio dell’interesse, perché non trae da esse la propria determinazione. Tale rivisitazione della domanda di moneta rende perfettamente operante il meccanismo di aggiustamento degli investimenti ai risparmi che lo stesso Keynes aveva individuato31. Supponiamo infatti che, a fronte di una disoccupazione del lavoro, diminuiscano i salari monetari e aumenti perciò il volume dell’occupazione. L’aumento del reddito che ne seguirà determinerà un aumento dei consumi e dei risparmi. L’eccesso dei risparmi sugli investimenti produrrà una deflazione di prezzi e salari monetari, 27 Ma cfr. in proposito Garegnani (1979), pag. 72-73 nota 4. 28 Cfr. Modigliani (1944), pag. 39. (I riferimenti di pagina sono all’edizione italiana citata in bibliografia). 29 Cfr. Modigliani (1944), pag. 40. 30 Cfr. Modigliani (1944), pag. 40. 31 Cfr. Keynes (1936), cap. XIX, pag. 432-435. Cfr. anche il paragrafo 11 di questo capitolo. 33 diminuendo il valore monetario del reddito aggregato. Avremo quindi una minore domanda di moneta a scopo transattivo; data la quantità di moneta esistente nel sistema, si creerà un eccesso di offerta di moneta a scopo speculativo rispetto alla domanda di moneta a scopo speculativo: gli operatori riverseranno le disponibilità addizionali di moneta nell’acquisto di titoli, facendo diminuire il saggio dell’interesse. Data la curva dell’efficienza marginale del capitale, al diminuire del saggio dell’interesse la spesa per beni di investimento aumenterà, portandosi a un livello tale da eguagliare il nuovo volume dei risparmi. L’occupazione si manterrà dunque stabilmente al nuovo più elevato livello. Nel lungo periodo, dunque, il sistema graviterà intorno a posizioni di pieno impiego del lavoro. Ci sono comunque, secondo Modigliani, due casi in cui questo meccanismo non è operante. Il primo è quello della rigidità dei salari monetari32. In questo caso infatti la divergenza tra decisioni di risparmio e decisioni di investimento, che si creerebbe a seguito dell’aumento del volume dell’occupazione, non produrrebbe alcuna deflazione salariale; con il risultato che il saggio dell’interesse risulterebbe estraneo al mercato risparmi-investimenti, e tornerebbe ad essere fenomeno essenzialmente monetario, come è in Keynes. D’altro canto il mancato aumento della domanda di beni di investimento produrrà una crisi da sovrapproduzione nel settore dei beni capitale che, per salari monetari rigidi, si scarica sul volume dell’occupazione nel settore stesso. 32 “La spiegazione del perché non sia profittevole espandere l’occupazione al livello di “pieno impiego” risiede nel fatto che i salari monetari sono troppo alti rispetto alla quantità di moneta.” Cfr. Modigliani (1944), pag. 70. 34 La crisi tenderà a estendersi a tutti gli altri settori ingenerando un processo recessivo, che si tradurrà in una riduzione generalizzata del reddito reale e dell’occupazione. Questo caso però limita il significato teorico del principio della domanda effettiva, la cui valenza verrebbe circoscritta all’esistenza di elementi di rigidità che ostacolano il naturale funzionamento del sistema economico; una volta rimossi tali elementi attraverso interventi di politica economica, ad esempio aumentando la quantità di moneta rispetto al livello dei salari monetari, il sistema tornerebbe a gravitare attorno a equilibri di piena occupazione. Il secondo caso in cui il meccanismo di equilibrio automatico del sistema economico attorno al pieno impiego non funziona è quello che Modigliani chiama “caso keynesiano33”, ovvero il caso della trappola della liquidità. Esso si verifica, come abbiamo già sottolineato, quando il saggio dell’interesse è pari al saggio minimo al di sotto del quale gli operatori preferiscono detenere le proprie disponibilità tutte in moneta. In questo caso la diminuzione del valore monetario del reddito non ha effetti sul saggio dell’interesse, esattamente come ipotizzato da Keynes nel capitolo XIX della “Teoria Generale”; e la spirale deflazionistica produrrebbe solo effetti recessivi sul sistema economico. E’ dunque necessario valutare la rilevanza del cosiddetto caso keynesiano, nell’analisi teorica, per poter correttamente apprezzare la solidità dell’ipotesi della preferenza per la liquidità, come fondamento teorico del principio della domanda effettiva nel lungo periodo. Ora, nello schema di Modigliani, la 33 Cfr. Modigliani (1944), pag. 43. 35 domanda di moneta individua una relazione stabile e di lungo periodo tra preferenza per la liquidità e saggio dell’interesse. Affinché si verifichi il caso keynesiano deve essere vero che il valore di lungo periodo dell’efficienza marginale del capitale sia così basso da risultare inferiore al tasso di interesse minimo per il quale gli operatori sono indifferenti tra il detenere moneta o il detenere titoli. Con la qualificazione che questo tasso di interesse minimo non è variabile e suscettibile di assumere anche valori significativi, come è in Keynes, ma è estremamente basso, poiché rappresenta esclusivamente la frontiera al di sotto della quale il rischio di detenere ricchezza sotto forma di titoli è superiore al rendimento che questi garantiscono. Dovrebbe dunque essere vero che il saggio di rendimento sul capitale anticipato assuma valori prossimi allo zero, condizione generalmente ritenuta poco probabile dalla teoria, e comunque riferibile a condizioni di marcata depressione del sistema economico. Il che farebbe del caso keynesiano un caso particolare della teoria marginalista, una teoria delle depressioni, più che una teoria generale del livello dell’attività economica. 14. Appare dunque che, in un’ottica di lungo periodo, la teoria della preferenza per la liquidità non è di per sé sufficiente a fornire un’adeguata base teorica al principio della domanda effettiva. La causa di tale insufficienza è da ricercarsi nel fatto che, una volta postulata la dipendenza degli investimenti dal saggio dell’interesse, gli ostacoli di carattere monetario, che renderanno eventualmente rigido il saggio dell’interesse nel breve periodo, non potranno 36 che dissolversi nel lungo periodo, quando a determinare il saggio dell’interesse sarà, come è nei principi distributivi marginalisti accettati da Keynes, la profittabilità degli investimenti34. §I.E La seconda via alla domanda effettiva: critica della nozione di capitale come fattore produttivo 15. Esiste però una seconda via alla domanda effettiva35, che pone le fondamenta teoriche del principio della domanda effettiva in una teoria della distribuzione diversa da quella marginalista. Questa seconda via si serve della critica del concetto di capitale come fattore produttivo per negare l’esistenza stessa della curva dell’efficienza marginale del capitale, e togliere così l’elemento che nella teoria marginalista, così come nella teoria keynesiana nell’interpretazione che ne dà Modigliani, consente nel lungo periodo l’adeguamento del livello degli investimenti al livello dei risparmi di pieno impiego. In questo modo, la possibilità che gli investimenti correnti non siano 34 “[...] E’ certamente vero che il prezzo quotidiano del pesce è spiegato interamente da quanto pesce viene pescato ogni giorno. Ma se vogliamo capire perché il prezzo di ogni giorno fluttua intorno a un certo livello e non intorno a un livello dieci volte superiore, dobbiamo cercare qualcosa di più fondamentale della fortuna o sfortuna dei pescatori in un certo giorno. Scopriremo allora che il numero dei pescatori e l’attrezzatura utilizzata non cambiano ogni giorno ma vengono determinati dalla condizione che i ricavi medi, nei giorni fortunati e in quelli meno fortunati, devono essere sufficientemente alti da rendere l’occupazione nell’attività della pesca (e l’investimento nell’attrezzatura da pesca) altrettanto attraente dell’occupazione nelle attività alternative. Ciò che è ovviamente vero per prezzo del pesce deve valere anche per il prezzo dei prestiti” Cfr. Modigliani (1944), pag. 83. 35 Cfr. Garegnani (1983). 37 sufficienti a mantenere un livello dell’occupazione prossimo al pieno impiego non dipende né dalla rigidità del saggio dell’interesse a fronte di un eccesso dei risparmi di pieno impiego sugli investimenti, né dallo stato di fiducia degli operatori economici, né tanto meno dalla rigidità dei salari monetari, quanto piuttosto dal fatto che non esiste alcun meccanismo riequilibratore che adegui la domanda all’offerta aggregata. L’idea che è sottesa a questa impostazione è che i beni capitale costituiscono essi stessi delle merci prodotte, il cui valore, come quello di qualsiasi altra merce, è uguale al prezzo di produzione, che dipende a sua volta dal saggio dell’interesse. Ora, nella teoria marginalista, il saggio del salario e il saggio dell’interesse vengono ottenuti dall’equilibrio tra domanda e offerta dei fattori produttivi. La domanda dei fattori produttivi viene ricavata dalla conoscenza delle condizioni tecniche di produzione, dei gusti dei consumatori e delle quantità dai fattori produttivi stessi. Per determinare cioè saggio del salario e saggio dell’interesse devono essere già note la quantità di capitale e la quantità di lavoro esistenti nell’economia. Mentre il lavoro può essere misurato in termini fisici, il capitale, che non è un bene unico, ma un complesso eterogeneo di beni, non potrà che essere misurato in termini di valore. Abbiamo però visto come, per conoscere il valore dei beni capitale, occorra conoscerne preventivamente il prezzo, e come, per conoscerne il prezzo, debba essere noto il saggio dell’interesse, ovvero, contraddittoriamente, la variabile da determinare. 38 16. Vediamo ora maggiormente nel dettaglio questa critica al concetto di capitale come fattore produttivo. Nello svolgere questa analisi seguiremo da vicino l’impostazione di Garegnani nel saggio “Note su consumi, investimenti e domanda effettiva36”. Abbiamo visto nel paragrafo 4 come la costruzione di funzioni di domanda dei fattori produttivi si basi sui concetti di sostituibilità tecnica e di sostituibilità nel consumo, dai quali è desumibile il principio che la combinazione dei fattori nell’ambito del processo produttivo varia al variare del prezzo relativo del loro servizio. Così, dati due beni A e B, supponendo che A sia prodotto con un rapporto capitale-lavoro maggiore di B, e data la variabilità nel continuo delle tecniche di produzione, definite dalle infinite differenti combinazioni tra i fattori produttivi mediante le quali è possibile ottenere la stessa quantità di prodotto, avremo che, al diminuire del saggio dell’interesse rispetto al saggio del salario: 1. nell’ambito della produzione di ognuno dei due beni, gli imprenditori adotteranno tecniche a maggiore intensità capitalistica; 2. la diminuzione del prezzo relativo del capitale farà sì che diminuisca il prezzo del bene prodotto con un maggiore rapporto capitale-lavoro; per la teoria dell’utilità marginale, aumenterà la domanda del bene A rispetto a quella del bene B; deve dunque aumentare la produzione di A e diminuire quella di B; a livello aggregato deve aumentare la quantità di capitale impiegata nei processi produttivi. 36 Cfr. Garegnani (1979), parte prima. 39 Dalla combinazione di questi effetti segue la costruzione di curve di domanda dei fattori produttivi negativamente inclinate rispetto al saggio dell’interesse. Vediamo ora di rappresentare analiticamente questi due effetti, in modo da rendere più visibile sia l’impostazione marginalista, che la critica che gli è stata rivolta. Iniziamo dal principio della sostituibilità tecnica tra i fattori. Supponiamo che per produrre il bene A esistano due tecniche, la tecnica T e la tecnica T’, che si differenziano, secondo la concezione del processo produttivo propria dei teorici marginalisti, per le differenti proporzioni di capitale e lavoro che impiegano nella produzione di A. Supponiamo ad esempio che la tecnica T richieda un rapporto capitale-lavoro maggiore di quello richiesto dalla tecnica T’. Chiamiamo LA e KA rispettivamente le quantità di lavoro e di capitale impiegate nella produzione di una unità di A con la tecnica T, e LA’ e KA’, le quantità di lavoro e capitale impiegate nella produzione di una unità di A quando è in uso la tecnica T’. Chiamiamo w il saggio del salario e r il saggio del profitto. Avremo che il prezzo di A sarà p A = wL A + rK A se la tecnica in uso è la tecnica T; altrimenti, nel caso in cui fosse in uso la tecnica T’, p A' = wL'A + rK A' Ora, noi vogliamo studiare quale tecnica verrà scelta dalle imprese al variare del prezzo relativo dei fattori. E’ chiaro che, in un mercato concorrenziale, la scelta ricadrà su quella tecnica che permette di produrre la stessa quantità di A a un prezzo inferiore. Confrontiamo dunque i prezzi di produzione di A con le 40 due tecniche, e vediamo come variano l’uno rispetto all’altro al variare dei prezzi dei servizi dei fattori produttivi. Avremo p A wL A + rK A = p 'A wL'A + rK A' wL A wL A Moltiplicando il secondo membro dell’equazione per e procedendo alle wL'A wL'A opportune semplificazioni otteniamo pA = p 'A KA LA K A' L'A r +1 w LA L' r + 1 A w (1 Supponiamo adesso che diminuisca il prezzo del servizio del capitale rispetto al saggio del salario. Poiché per ipotesi la tecnica T necessita nella produzione di una maggiore quantità di capitale rispetto al lavoro, avremo che il numeratore della frazione nella parentesi tonda nell’equazione 1 diminuirà più velocemente del denominatore. Dunque la tecnica T sarà più conveniente rispetto alla tecnica T’. Al diminuire cioè del saggio dell’interesse, le imprese passeranno a tecniche a maggiore intensità capitalistica. Lo stesso ragionamento può essere effettuato, mutatis mutandis, per quanto attiene alla sostituibilità indiretta nel consumo tra beni la cui produzione richieda rapporti capitale-lavoro diversi. Supponiamo che esista una sola tecnica T per produrre i due beni A e B, che abbiano le caratteristiche che abbiamo delineato sopra. In quel caso l’equazione 1 diverrebbe 41 pA = pB KA LA KB LB r +1 w LA L r +1 B w (2 Dall’equazione 2 possiamo dedurre che al diminuire del saggio dell’interesse rispetto al saggio del salario, diminuisce il prezzo relativo di A rispetto a B; il che indurrà i consumatori a domandare una maggiore quantità di A, facendo aumentare al livello aggregato la quantità di capitale. Vediamo ora dove incide la critica del concetto di capitale nel ragionamento della teoria marginalista che abbiamo appena esposto. Il fatto che al diminuire del rapporto pA pA r diminuiscano sia che è valido nell’ipotesi che le ' w pB pA quantità dei fattori produttivi rimangano costanti al variare del rapporto tra i prezzi dei loro servizi. Il che è giustificato qualora essi siano misurati in termini fisici. Ma se il capitale, come abbiamo visto nel paragrafo 15, è un complesso eterogeneo di beni, che necessita di una misurazione in termini di valore per essere trattato come un fattore della produzione, allora non v’è garanzia circa la costanza dei termini KA, KA’, KB. Il valore di questi beni capitale, infatti, sarà noto solo una volta noto il saggio dell’interesse, o il saggio del salario, nonché il metodo di produzione in uso. Così al variare del prezzo relativo dei fattori produttivi, il valore dei fattori produttivi stessi può variare in un senso o nell’altro, a seconda della merce presa come numerario, e degli effetti che le variazioni della distribuzione del reddito indurranno su tutto il sistema dei prezzi relativi. Sarà ad esempio perfettamente possibile che, al 42 diminuire del rapporto tra saggio dell’interesse e saggio del salario, nella produzione di un bene con una determinata tecnica produttiva vari, in un senso o nell’altro, il rapporto capitale-lavoro, senza che questo implichi che siano variate fisicamente le unità di lavoro e l’attrezzatura produttiva necessarie per produrre, con quella tecnica, un’unità di prodotto37. Tale variazione sarà poi diversa, sia nella dimensione che nella direzione, a seconda della merce scelta come numerario del sistema dei prezzi. Così, una volta ammessa la dipendenza del valore del capitale dalla distribuzione del reddito, diviene impossibile ordinare a monte le tecniche a seconda del rapporto tra capitale e lavoro che ognuna di esse prevede, nella misura in cui non siano preventivamente noti metodo di produzione in uso, distribuzione del reddito e prezzi relativi. “[...] Divengono [così] privi di significato i termini assoluti in cui la teoria tradizionale raffronta sia le proporzioni tra capitale e lavoro richieste da tecniche o produzioni diverse, sia le proporzioni in cui quei fattori sono usati nell’economia in situazioni definite da saggi di interesse e salario diversi38”. Appare dunque che non sia possibile asserire molto circa la forma della relazione tra saggio dell’interesse e valore dei beni capitale, che sarà suscettibile di variare in qualsiasi direzione e con qualsiasi frequenza al variare della distribuzione del prodotto sociale, nonché al variare della merce nei cui termini sono espressi i prezzi dei beni capitale. Ne risulta che tale incerta relazione non potrebbe in ogni caso essere assunta come una funzione di 37 Questo fenomeno va sotto il nome di inversione delle intensità capitalistiche. Cfr. Garegnani (1979). 38 Cfr. Garegnani (1979), pag. 40. 43 domanda di capitale, che possa determinare, assieme all’offerta del capitale, e alla flessibilità del saggio dell’interesse rispetto a eccessi di domanda, il saggio dell’interesse di equilibrio. Ora, l’invalidazione del meccanismo equilibratore della domanda e dell’offerta di capitale implica la conseguente invalidazione del meccanismo equilibratore della domanda e dell’offerta di lavoro, che determina, nella teoria marginalista, il saggio del salario. E questo perché è il meccanismo di equilibratore della domanda e dell’offerta di capitale che assicura la costanza della quantità di capitale nella costruzione della funzione di domanda di lavoro. Si giunge così alla conclusione che la spiegazione della distribuzione del reddito in termini di domanda e offerta dei fattori produttivi non sembra reggere alle difficoltà poste dalla dipendenza del valore dei beni capitale dalla distribuzione del prodotto sociale; di modo che il meccanismo che, nella teoria marginalista, adegua il flusso degli investimenti all’ammontare dei risparmi, e che è strettamente dipendente da tale spiegazione della distribuzione in termini di domanda e offerta dei fattori produttivi, risulta anch’esso invalidato. 44 Capitolo II CENNI DI ESTENSIONE DELL’ANALISI KEYNESIANA AL LUNGO PERIODO: DOMANDA AGGREGATA E ACCUMULAZIONE DI CAPITALE §II.A Introduzione 17. Nel capitolo precedente abbiamo considerato due vie alla domanda effettiva: una incentrata sulla teoria della preferenza per la liquidità, e sul ruolo delle aspettative nelle decisioni di investimento; l’altra invece basata sulla critica del concetto di capitale come fattore produttivo, e sulla conseguente scissione della relazione inversa tra domanda di investimenti e saggio dell’interesse. Abbiamo fatto notare come la prima via alla domanda effettiva, quella basata sulla teoria della preferenza per la liquidità, si sia rivelata insufficiente a fondare il principio della domanda effettiva nel lungo periodo, e come questo abbia permesso il sostanziale riassorbimento dell’opera di Keynes nei canoni dell’economia tradizionale. In questo capitolo ci proponiamo di illustrare brevemente come il principio della domanda effettiva sia stato esteso all’analisi di lungo periodo, mostrando il meccanismo attraverso il quale, nel lungo periodo e a livello aggregato, si è sostenuto in letteratura che gli investimenti determinano l’ammontare dei risparmi. 45 §II.B Definizioni preliminari: capacità produttiva e grado di utilizzo della capacità produttiva 18. E’ opportuno premettere alla trattazione dei paragrafi seguenti una nota definitoria sui concetti di “capacità produttiva” e di “utilizzo della capacità produttiva” che verranno utilizzati in seguito39. Per capacità produttiva dell’economia in una situazione data intendiamo l’insieme delle attrezzature produttive esistenti, nonché la forza lavoro necessaria al loro utilizzo. Per “utilizzo della capacità produttiva” intendiamo il grado di sfruttamento delle attrezzature esistenti, ovvero il prodotto effettivamente ottenuto nell’unità di tempo per unità di attrezzatura produttiva impiegata nella produzione. Definiamo poi “utilizzo normale della capacità produttiva”, il livello di output nell’unità di tempo, e per unità di attrezzatura produttiva, programmato dagli imprenditori nel momento in cui acquistano quella stessa attrezzatura produttiva. Esso costituisce quindi il paradigma su cui vengono ponderate le decisioni di investimento. Ci si può ragionevolmente attendere che tale livello sia inferiore al massimo prodotto tecnicamente ottenibile per unità di attrezzatura produttiva, e questo perché la capacità produttiva sarà generalmente installata in dimensioni tali da poter far fronte a picchi previsti o imprevisti di domanda, e sarà quindi generalmente sovradimensionata rispetto alla media della produzione prevista. 39 Per queste definizioni, e per una trattazione più completa di questi concetti, cfr. Garegnani (1992) 46 §II.C L’Ipotesi Keynesiana nel lungo periodo come teoria della distribuzione 19. Veniamo ora, dopo questa breve parentesi, all’estensione dell’Ipotesi Keynesiana al lungo periodo. Accade che in media, e su cicli temporali sufficientemente lunghi, non siano generalmente osservabili divergenze consistenti e durature tra capacità produttiva e livello della produzione. Questo significa che, nel lungo periodo, non sembra in genere accadere che l’utilizzo normale della capacità produttiva esistente darebbe luogo, in media, a un livello della produzione aggregata sensibilmente diverso dal livello della produzione aggregata effettiva. Questo fatto ha indotto alcuni autori40 cosiddetti “post-keynesiani” a ritenere che nel lungo periodo la capacità produttiva sia utilizzata al suo livello normale, con un ammontare della produzione complessiva che sia costantemente quello risultante da tale utilizzo normale della capacità produttiva. Questa ipotesi implica che nel lungo periodo il livello della produzione aggregata dipenderebbe dalla capacità produttiva, e perciò in linea di massima dalle sole condizioni tecniche di produzione, risultando così rigido a fronte di variazioni della domanda aggregata monetaria. Il che è gravido di conseguenze per quanto attiene al meccanismo di lungo periodo di aggiustamento del volume dei risparmi al livello della spesa per beni di investimento, secondo l’Ipotesi Keynesiana. Se infatti nel lungo periodo la capacità produttiva è utilizzata costantemente al suo livello normale, allora eventuali variazioni autonome della spesa per beni di investimento non 40 Cfr. ad esempio Kaldor (1956). 47 potranno riflettersi in un aumento o in una diminuzione della produzione, ma solo in una variazione del livello generale dei prezzi, derivante dall’eccesso della domanda aggregata rispetto un’offerta aggregata di beni e servizi che non è suscettibile di variare. Il che, dato il livello del saggio del salario monetario, si tradurrebbe in variazioni del saggio del salario reale, e perciò, in variazioni del saggio del profitto normale e di tutto il sistema dei prezzi relativi. Supponendo, come generalmente si suppone, che la propensione media al risparmio dei percettori di profitti sia maggiore di quella dei salariati, avremo che l’effetto redistributivo ingenerato dalle variazioni autonome dell’incentivo a investire opererà nel senso di riequilibrare i risparmi agli investimenti41. In quest’ottica, accumulazione di capitale e distribuzione del reddito risultano intimamente connesse, qualificando l’Ipotesi Keynesiana nel lungo periodo come una teoria della distribuzione del reddito più che come una teoria della determinazione del livello generale dell’attività economica42. 41 Per chiarire meglio quanto esposto nel testo, si supponga che aumentino gli investimenti; tale aumento eserciterà una pressione sulla domanda aggregata, che non potrà però trovare risposta in un aumento della produzione; ne seguirà un aumento del livello generale dei prezzi. Dato il saggio del salario monetario, diminuirà il saggio del salario reale, mentre aumenterà il saggio del profitto. Poiché i capitalisti risparmiano più dei lavoratori, aumenterà l’ammontare dei risparmi sino a coincidere con quello degli investimenti. 42 Questo modo di estendere l’analisi keynesiana al lungo periodo può essere definito come “approccio keynesiano di lungo periodo basato sulla distribuzione”. Cfr. Garegnani-Palumbo (1998). 48 §II.D Un approfondimento: l’ipotesi di rigidità dell’output nel lungo periodo 20. Abbiamo visto come a favorire tale interpretazione dell’Ipotesi Keynesiana nel lungo periodo abbia contribuito l’osservazione della natura temporanea di ogni forte eccesso di capacità produttiva rispetto al volume della produzione complessiva. Da tale osservazione, infatti, i teorici post-keynesiani hanno dedotto l’ipotesi di rigidità del livello della produzione a fronte di eccessi di domanda aggregata. 21. In realtà, è stato fatto notare43 come il fatto che nel lungo periodo non siano osservabili divergenze significative e durature tra produzione e capacità produttiva non implichi necessariamente che sia la produzione ad adeguarsi al livello della capacità produttiva determinato dalle sole condizioni tecniche di produzione, e che questa sia utilizzata costantemente al suo livello normale. Si può anzi sostenere esattamente il contrario, e cioè che è la capacità produttiva ad adeguarsi al livello della produzione, a sua volta determinato dal livello della domanda aggregata. E questo perché, in effetti, eventuali sovrautilizzi o sottoutilizzi della capacità produttiva possono modificare la dimensione complessiva della capacità produttiva stessa, rispettivamente creando nuova capacità produttiva o distruggendone parte di quella esistente, e influendo in questo modo sul reddito e sulla capacità produttiva dei periodi successivi. In questo modo il potenziale produttivo di un’economia si adegua al livello della 43 Cfr. Garegnani (1992) e Garegnani-Palumbo (1998). 49 domanda aggregata, ed è questa la ragione per cui poi, in media e nel lungo periodo, non si osservano divergenze significative e durature tra produzione e capacità produttiva44. 22. Vediamo di chiarire brevemente la questione con una semplice trattazione algebrica costruita sulla scorta dell’analisi di Garegnani-Palumbo nel saggio “Domanda aggregata e accumulazione di capitale45”. Ci proponiamo di visualizzare l’incremento di capacità produttiva al tempo t generato da un sovrautilizzo temporaneo della capacità produttiva nel periodo 0. Siano dati, in un’economia chiusa e senza l’intervento dello Stato, il saggio del salario reale w* e le condizioni tecniche di produzione. Supponiamo che non vi siano risorse naturali scarse, e che la disponibilità di forza lavoro sia illimitata. Misureremo l’incremento di capacità produttiva anno per anno come il valore ai prezzi naturali46 del prodotto annuo netto cui essa darebbe luogo se utilizzata al suo livello normale. Chiamiamo Y il valore del prodotto annuo netto, K il valore dell’attrezzatura produttiva, entrambi calcolati ai prezzi naturali, s la propensione marginale al risparmio della collettività, che supponiamo costante e pari a quella media, S i risparmi aggregati, e I gli 44 “[...]Nel lungo periodo la capacità produttiva in grado di soddisfare la domanda esiste potenzialmente, ma non può generalmente essere osservata, se non in minima parte, nella forma di eccesso di capacità”. Cfr. Garegnani-Palumbo (1998), pag. 4 (enfasi degli autori). 45 Cfr. Garegnani-Palumbo (1998). 46 Definiamo prezzi naturali i prezzi relativi compatibili con il saggio del salario dato w* e con le condizioni tecniche di produzione date, in ipotesi di utilizzo normale della capacità produttiva. 50 investimenti netti. Chiamiamo infine y il rapporto prodotto-capitale in ipotesi di utilizzo normale della capacità produttiva. Se in t = 0 la capacità produttiva fosse utilizzata al livello normale avremmo Y0 = yK 0 S 0 = I 0 = sY0 dove i pedici indicano il periodo di riferimento. Nel periodo t = 1 il valore dell’attrezzatura produttiva sarebbe pari a K1 = K 0 + I 0 cioè al valore dell’attrezzatura nel periodo precedente, incrementato del valore del flusso degli investimenti netti. Reddito e risparmi netti sarebbero Y1 = yK1 S1 = I 1 = sY1 nell’ipotesi che la capacità produttiva continui ad essere utilizzata al suo livello normale. Così nel periodo t = 2 il valore di reddito, capitale e risparmi potrebbe essere rappresentato con queste equazioni K 2 = K1 + I1 Y2 = yK 2 S 2 = I 2 = sY2 Supponiamo invece che in t = 0 un aumento autonomo dell’incentivo a investire determini un sovrautilizzo temporaneo della capacità produttiva; supponiamo inoltre che tale sovrautilizzo si verifichi nel solo periodo 0, e che nei periodi successivi sino al periodo t la capacità produttiva torni ad essere utilizzata nuovamente al livello normale. Possiamo tradurre analiticamente l’ipotesi di un sovrautilizzo temporaneo della capacità produttiva, dicendo che 51 nel periodo 0, e solo nel periodo 0, il rapporto prodotto-capitale sarà un qualche valore y’ maggiore di y. Avremo che, nel periodo 0, dato K0, sarà possibile ottenere un prodotto Y0’ maggiore di quanto non sarebbe avvenuto nel caso in cui la capacità produttiva fosse stata utilizzata al suo livello normale. Avremo cioè Y0' = y ' K 0 con Y0’>Y0 Seguendo poi il ragionamento precedente potremo scrivere S 0' = I 0' = sY0' K 1' = K 0 + I 0' Ne risulterà ovviamente che K1’ è maggiore di K1. Poiché abbiamo supposto che il sovrautilizzo di capacità produttiva duri per un solo periodo, nei periodi successivi avremo un rapporto prodotto-capitale di nuovo pari ad y. Avremo quindi Y1' = yK1' S1' = I 1' = sY1' K 2' = K 1' + I 1' e così via. Ora noi, vogliamo studiare l’incremento47 di capacità produttiva ∆C rinvenibile nel periodo t ingenerato da un sovrautilizzo temporaneo della capacità produttiva esistente nel periodo 0. Esso sarà pari nel primo periodo a ∆C1 = Y1' − Y1 = y ( K 1' − K 1 ) = ys(Y0' − Y0 ) nel periodo 2 a 47 Ricordiamo che misuriamo tale incremento di capacità produttiva come il valore ai prezzi naturali dell’incremento di produzione cui essa darebbe origine se utilizzata al livello normale. 52 [ ( ∆C 2 = (1 + ys ) ys Y0' − Y0 )] e nel periodo 3 a [ ( ∆C 3 = (1 + ys ) ys Y0' − Y0 2 )] Così, estendendo il ragionamento fino al periodo t, avremo che in t l’incremento di capacità produttiva sarà pari a ∆C t = (1 + ys ) t −1 [ys(Y ' 0 − Y0 )] (3 L’equazione 3 ci consente di visualizzare un ipotetico ordine di grandezza del fenomeno che stiamo analizzando, ovvero del fatto che un sovrautilizzo temporaneo di capacità produttiva determina la creazione iterativa di nuova capacità produttiva, aumentando il livello dell’output. Supponiamo infatti che il prodotto annuo netto sia pari a 1000, che la propensione marginale al risparmio sia pari a 0,20, e che il rapporto prodotto-capitale in condizioni di utilizzo normale della capacità produttiva sia 0,5. Supponiamo quindi che il sovrautilizzo temporaneo di capacità produttiva crei nell’anno 0 prodotto addizionale per un ammontare pari a 100. Si creerà così nell’anno 1 capacità produttiva addizionale pari a 10. Avremo quindi che, sulla base dell’equazione 3, nell’anno 10, la creazione di capacità produttiva addizionale sarà pari a 23,58; nell’anno 30 sarà pari a 158,63; nell’anno 50 essa sarà pari a 1067,19 e così via, ingenerando un processo di moltiplicazione di reddito e capacità produttiva, che implica un aumento sia degli investimenti che dei consumi. Questo significa che, in questo semplice esempio numerico, un sovrautilizzo di 53 capacità produttiva del 10% durante un solo periodo implica un potenziale raddoppio della capacità produttiva in meno di 50 anni. 23. Con questo esempio abbiamo visto come sia plausibile che la creazione dei risparmi attraverso gli investimenti operi attraverso un processo moltiplicativo protratto nel tempo di creazione di reddito e capacità produttiva, senza coinvolgere in alcun modo la distribuzione del reddito, che infatti nell’esempio abbiamo preso come data. Abbiamo così mostrato come l’ipotesi di rigidità del livello della produzione a fronte di eccessi di domanda aggregata non appaia sufficientemente giustificata, e derivi probabilmente da una sorta di “illusione ottica48” ingenerata dall’osservazione della natura temporanea di ogni eccesso significativo di capacità produttiva rispetto alla produzione aggregata. Da tale osservazione, infatti, i teorici post-keynesiani hanno ritenuto di poter dedurre l’ipotesi che nel lungo periodo la capacità produttiva è utilizzata costantemente al livello normale, di modo che il livello della produzione aggregata, dipendendo da tale ipotesi di utilizzo normale della capacità produttiva, risulterebbe rigido a fronte di variazioni della domanda aggregata. Come abbiamo mostrato con il nostro esempio, invece, tale osservazione può trovare opportuna spiegazione nel fatto che nel lungo periodo la dimensione dell’attrezzatura produttiva varia in relazione all’andamento della produzione aggregata, che a sua volta dipende, in linea di massima, dall’andamento della 48 Cfr. Garegnani-Palumbo (1998), pag. 3. 54 domanda aggregata; di modo che in media gli eccessi significativi di capacità produttiva non potranno che essere temporanei. §II.E L’Ipotesi Keynesiana come teoria del livello dell’attività economica 24. Se dunque è possibile asserire che la produzione ammette nel lungo periodo margini di elasticità rispetto agli eccessi di domanda aggregata, l’estensione dell’Ipotesi Keynesiana all’analisi di lungo periodo non implica alcuna necessaria connessione con la teoria della distribuzione del reddito, nel senso ipotizzato dai post-keynesiani; e il meccanismo di adeguamento del volume dei risparmi al livello della spesa per beni di investimento sarà affatto diverso, come abbiamo anticipato nei paragrafi 21 e 2349. Un aumento autonomo dell’incentivo a investire si tradurrà nel breve periodo in un aumento del reddito, secondo il moltiplicatore keynesiano, ottenibile attraverso un incremento del grado di utilizzo della capacità produttiva. L’aumento del grado di utilizzo della capacità produttiva e del reddito stimoleranno ulteriormente gli investimenti in attrezzatura produttiva, adeguando il livello della capacità produttiva al nuovo livello della domanda. Così variazioni nel breve periodo del grado di utilizzo della capacità produttiva modificheranno nel lungo periodo la dimensione della capacità produttiva stessa, e influiranno quindi sul reddito, sulla produzione, e sulla dimensione della capacità produttiva di tutti i periodi successivi. In quest’ottica l’ammontare degli investimenti crea il 49 Cfr. in proposito Garegnani (1992), Trezzini (1995) e Garegnani-Paulmbo (1998). 55 corrispettivo ammontare di risparmi attraverso variazioni del livello della produzione e del reddito, nel breve come nel lungo periodo, senza che si debba verificare alcuna necessaria variazione della distribuzione normale del reddito. Questo modo di estendere l’Ipotesi Keynesiana al lungo periodo può essere definito come “approccio keynesiano di lungo periodo basato sul reddito50”, e appare essere “[...] quello che meglio rappresenta la strada che un’economia di mercato è più probabile segua nell’adeguare i risparmi all’incentivo a investire51”. 25. Nell’ approccio keynesiano di lungo periodo basato sul reddito, l’Ipotesi Keynesiana è caratterizzata anche nel lungo periodo come una teoria del livello dell’attività economica, così come è nella “Teoria Generale” di Keynes. In questo approccio infatti è il livello della domanda aggregata a determinare, in senso lato, l’accumulazione di capitale, e perciò il processo di crescita del sistema economico. Così la possibilità che il sistema economico impieghi nel lungo periodo tutte le risorse disponibili dipende, esattamente come è in Keynes per quanto riguarda il breve periodo, dalla possibilità, perlopiù casuale, che il livello della domanda effettiva sia tale da assorbire il volume della produzione corrispondente al pieno impiego delle risorse. Seguendo questa impostazione, si può dire, in prima approssimazione, che lo studio delle determinanti del livello dell’attività economica nel lungo periodo, e perciò l’analisi della crescita dei sistemi economici, dovrà essere condotto nei termini 50 Cfr. Garegnani-Palumbo (1998). 51 Cfr. Garegnani-Palumbo (1998), pag. 3. 56 di uno studio delle componenti della domanda aggregata, e cioè della spesa per beni di consumo, della spesa per beni di investimento, delle componenti della domanda che non dipendono dal reddito, e delle relazioni di tutte queste variabili con l’evoluzione del reddito stesso52. Torneremo su questo punto nel prossimo capitolo. 52 Ricordiamo che stiamo ragionando nell’ipotesi di un’economia chiusa e senza l’intervento dello Stato. Qualora considerassimo invece un’economia aperta agli scambi internazionali e l’intervento dello Stato nel sistema economico, dovremmo senza dubbio annoverare tra le componenti della domanda aggregata oggetto di studio anche il saldo delle partite correnti e la spesa pubblica. 57 Capitolo III IL RUOLO DELL’ESPANSIONE DELLA DOMANDA DI CONSUMI NELLA CRESCITA ECONOMICA: ALCUNE CONSIDERAZIONI PRELIMINARI §III.A Introduzione 26. Abbiamo visto nei capitoli precedenti che il principio della domanda effettiva può trovare una solida base teorica nella critica alla nozione di capitale come fattore produttivo. Tale critica infatti inficia la possibilità che gli investimenti si adeguino al livello dei risparmi di pieno impiego attraverso variazioni del saggio dell’interesse. Abbiamo visto come, sulla base di queste considerazioni, si possa argomentare che il sistema economico non tenda al pieno impiego delle risorse disponibili nel lungo periodo, oltre che al pieno utilizzo della capacità produttiva data nel breve periodo. Abbiamo infine illustrato come il flusso degli investimenti crei il corrispettivo ammontare di risparmi: nel breve periodo, attraverso variazioni del grado di utilizzo della capacità produttiva, che ingenerano incrementi del reddito secondo il moltiplicatore keynesiano; nel lungo periodo, attraverso la creazione o la distruzione di capacità produttiva addizionale, che ha effetti cumulativi nel tempo sul livello della produzione e del reddito, e che discende dalle variazioni nel grado di utilizzo dell’attrezzatura produttiva in ogni periodo. In questo capitolo ci proponiamo di delineare brevemente il quadro generale di una teoria Classica e Keynesiana della determinazione del livello dell’attività 58 economica, in modo da poter circoscrivere la nostra indagine ad alcuni aspetti meno esplorati di questa impostazione teorica. §III.B Teorie del sovrappiù e principio della domanda effettiva 27. La prima considerazione da fare è che se il principio della domanda effettiva trova adeguata giustificazione teorica sulla base della critica del concetto di capitale come fattore produttivo, allora una teoria Keynesiana del livello dell’attività economica necessiterà del quadro di una teoria del valore e della distribuzione non marginalista, e che risulti ovviamente compatibile con il principio della domanda effettiva, nel breve come nel lungo periodo. 28. Un approccio teorico di lungo periodo alla teoria della distribuzione, flessibile per quanto attiene alla tendenza al pieno impiego delle risorse produttive, è quello basato sul concetto di sovrappiù sociale53, che fu proprio degli economisti classici. Nelle teorie del sovrappiù, infatti, teoria dell’accumulazione e teoria del valore e della distribuzione sono affrontate in stadi separati dell’analisi economica, di modo che la determinazione dei prezzi relativi e delle variabili distributive non dipende logicamente dalla tendenza del sistema economico ad impiegare nel lungo periodo tutte le risorse disponibili54, 53 Cfr. Garegnani (1981). 54 Cfr. Garegnani (1979), pag 18, ove si fa notare come Ricardo e Marx, che condividevano i principi fondamentali della teoria della distribuzione, raggiunsero conclusioni affatto diverse per quanto attiene alla possibilità del verificarsi di crisi da sovrapproduzione generale di merci. 59 né la implica di necessità. Così “[...] l’applicazione alla distribuzione del “punto di vista basato sul concetto di sovrappiù” non preclude la possibilità di deficienze di domanda aggregata nel lungo periodo, cioè che il livello della domanda aggregata possa influenzare il ritmo dell’accumulazione55”. §III.C Lineamenti di una teoria Classica e Keynesiana del livello dell’attività economica 29. Per quanto riguarda la teoria della determinazione del livello dell’attività economica nel suo aspetto di breve periodo, essa può consistere essenzialmente delle tesi di fondo della “Teoria generale” di Keynes, riformulate in un contesto teorico non marginalista. La spesa per beni di investimento può essere assunta nel breve periodo come una variabile indipendente, nel senso che il suo livello medio e le sue fluttuazioni intorno a tale livello medio troveranno opportuna spiegazione nella teoria di lungo periodo56. Essa determinerà il livello della produzione aggregata, e per questa via l’ammontare dei risparmi aggregati. Il livello della produzione si manterrà stabilmente intorno a un valore per cui gli investimenti risultino uguali ai risparmi. Tale equilibrio potrà ben essere un equilibrio di sottoccupazione, nel senso che per quel livello della produzione la capacità produttiva potrebbe non essere pienamente utilizzata, e in ogni caso la forza lavoro disponibile potrebbe non essere pienamente 55 Cfr. Garegnani (1983), pag. 10. (I riferimenti di pagina sono all’edizione italiana citata in bibliografia). 56 Cfr. Garegnani (1983), pag. 9. 60 impiegata. In tutto questo ragionamento la distribuzione del reddito può essere considerata come un dato, nel senso che la logica che vi è sottesa è largamente indipendente dal livello della produzione57. 30. Per quanto attiene invece alla teoria della crescita, e cioè alla teoria della determinazione del livello del reddito nel suo aspetto di lungo periodo, abbiamo visto che i prezzi relativi e la distribuzione del reddito possono essere determinati sulla base dell’approccio del sovrappiù58. Abbiamo inoltre visto in che modo, anche nel lungo periodo, è possibile sostenere che la spesa per beni di investimento determini l’ammontare dei risparmi aggregati attraverso variazioni della produzione e del livello della capacità produttiva. Se dunque è il livello della spesa per beni di investimento che genera variazioni nell’ammontare dell’attrezzatura produttiva, e perciò della produzione, del reddito e dei risparmi, studiare la crescita economica in un’economia di mercato significa studiare i fattori che influenzano il livello degli investimenti privati. Seguendo quanto proposto da Garegnani nel saggio “Il problema della domanda effettiva nello sviluppo economico italiano59”, è possibile asserire che, in generale, l’espansione del livello degli investimenti è prevalentemente 57 Con ciò non si vuole asserire che le variazioni del livello dell’attività produttiva non possano avere una qualche influenza sul valore delle variabili distributive, e perciò sul sistema dei prezzi relativi, e viceversa, quanto piuttosto che teoria della determinazione del livello del reddito e teoria della distribuzione possono essere affrontate in stadi logici separati dell’analisi economica, secondo il metodo proprio delle teorie del sovrappiù. Cfr. Garegnani (1981). 58 Cfr. Sraffa (1960), Garegnani (1981). 59 Cfr. Garegnani (1962). 61 determinata dall’espansione della domanda finale e dalle innovazioni tecniche, sia di processo che di prodotto. Ora, la domanda finale consiste di “[...] quella domanda il cui fine non è l’ulteriore produzione di beni all’interno dell’economia60”: e cioè i consumi privati, i consumi pubblici e le esportazioni al netto delle importazioni. Studiare perciò la crescita del sistema economico significa studiare le relazioni che intercorrono nel lungo periodo tra reddito e consumi privati, tra reddito e consumi pubblici, tra reddito e saldo delle partite correnti; e studiare altresì le relazioni che intercorrono tra queste stesse relazioni, prese singolarmente e nel complesso, e l’innovazione tecnologica. La nostra attenzione si concentrerà sulla prima relazione, quella tra reddito e consumi privati. §III.D Introduzione all’analisi successiva: la propensione al consumo e l’analisi della crescita economica 31. Nei prossimi capitoli ci occuperemo dunque di fornire una prima indicazione circa il possibile ruolo della domanda per beni di consumo nell’analisi della determinazione del livello del reddito aggregato. La nostra attenzione sarà in primo luogo rivolta alla spiegazione della cosiddetta componente autonoma della domanda di beni di consumo, ovvero a quella parte della spesa per beni di consumo che si suppone in generale essere indipendente dal livello corrente del reddito aggregato. Suggeriremo, sulla 60 Cfr. Garegnani (1962), pag. 92. 62 scorta della letteratura analizzata, che un’opportuna spiegazione di tale componente autonoma può essere ricercata nelle teorie che affermano la determinazione sociale dei modelli di consumo. Il livello dei consumi apparirà così essere strettamente dipendente dal tipo di società considerata, e dal ruolo e dalla posizione delle famiglie all’interno di tale società. In questo senso appariranno più chiare, a nostro modo di vedere, anche le relazioni tra l’evoluzione del reddito corrente e quella dei consumi correnti. Vedremo come, in particolare, l’idea della determinazione sociale dei modelli di consumo implichi che la propensione marginale al consumo assuma valori differenti a seconda del segno delle variazioni del reddito corrente, e come questo fatto possa avere conseguenze rilevanti sulla teoria della crescita economica, nel contesto Classico-Keynesiano brevemente illustrato nei paragrafi precedenti. Analizzeremo queste questioni con riferimento ad una particolare teoria del consumo, nota come “ipotesi del reddito relativo”, ed elaborata indipendentemente e quasi contemporaneamente da Duesenberry61 e da Modigliani62. 61 Cfr. Duesenberry (1948) e Duesenberry (1949). 62 Cfr. Modigliani (1949). 63 Capitolo IV LA PROPENSIONE AL CONSUMO NELL’ANALISI DI DUESENBERRY E DEI SUOI CONTEMPORANEI §IV.A La propensione al consumo nella “Teoria Generale” di Keynes 32. Nella “Teoria Generale”, Keynes definisce “[...] propensione al consumo la relazione funzionale χ tra un dato livello Yw di reddito in termini di unità salario e la spesa Cw in consumi dal reddito a quel livello dato”63. In formule C w = χ (Yw ) (4 Nell’analizzare la propensione al consumo, egli si preoccupa in primo luogo di verificare la stabilità di tale relazione. A tal fine discute l’influenza sulla propensione al consumo di una serie di circostanze che non dipendono dal reddito, e che potrebbero indurre variazioni nella propensione al consumo per ogni dato livello del reddito. Riconduce tali circostanze a due categorie: i “fattori soggettivi” e i “fattori oggettivi”. I primi comprendono, nelle sue parole, “[...]quelle caratteristiche psicologiche della natura umana e quelle consuetudini e istituzioni sociali le quali, pur non essendo immutabili, raramente mostrano mutamenti rilevanti nel corso di un periodo breve [...]”64. 63 Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 250. 64 Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 251. 64 Poiché Keynes limita la propria analisi al breve periodo, ritiene di poterli considerare come dei dati65. Per quanto riguarda i “fattori oggettivi”, egli ne elenca sei: “[...] 1) Una variazione dell’unità di salario. [...] 2) Una variazione della differenza tra reddito e reddito netto. [...] 3) Variazioni accidentali dei valori capitali delle quali non si è tenuto conto nel calcolare il reddito netto. [...] 4) Variazioni del saggio di attualizzazione, ossia del rapporto di scambio tra beni presenti e beni futuri. [...] 5) Mutamenti della politica fiscale. [....] 6) Variazioni nelle aspettative sulla relazione fra il livello presente e il livello futuro del reddito”66. Dopo averli passati in rassegna uno ad uno, Keynes afferma che l’influenza di questi fattori oggettivi sulla propensione al consumo è di norma trascurabile67. Può così concludere che di norma la spesa per beni di consumo della collettività dipende principalmente dal reddito aggregato, e che quindi la propensione al consumo individua una relazione sufficientemente stabile68. 65 “[...] Nella materia di questo libro non ci occuperemo, salvo in digressioni occasionali, di mutamenti sociali profondi o dei lenti effetti del progresso secolare; ossia assumeremo come dato lo sfondo principale dei moventi soggettivi al risparmio e al consumo”. Cfr. Keynes (1936), cap. IX, pag. 269. 66 Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 251-256. 67 “Ci rimane quindi da concludere che in una data situazione la propensione al consumo può essere considerata una relazione abbastanza stabile, purché siano eliminate le variazioni dell’unità di salario in termini di moneta. Variazioni accidentali dei valori capitali potranno variare la propensione al consumo, e variazioni considerevoli del saggio di interesse e della politica fiscale possono provocare qualche differenza; ma gli altri fattori oggettivi che influiscono su di essa, pur non dovendo essere trascurati, probabilmente non sono rilevanti in circostanze ordinarie.” Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 255-256. 68 “Siccome quindi lo sfondo principale degli incentivi soggettivi e sociali varia lentamente, mentre l’influenza in periodi brevi di variazioni del saggio di interesse e di altri fattori oggettivi 65 Per quanto attiene alla forma normale della propensione al consumo, Keynes ritiene che essa debba essere tale da esprimere analiticamente quella “legge psicologica fondamentale” per cui “[...] di norma e in media, gli uomini sono disposti ad accrescere il loro consumo all’aumentare del reddito, ma non tanto quanto l’aumento del loro reddito69.” Questo significa che, secondo Keynes, ogni incremento di reddito causerà in media un incremento di spesa in consumi per un ammontare assoluto inferiore a quell’incremento di reddito, e cioè, tornando all’espressione nell’equazione 4, che la funzione χ dovrà essere tale che 0< ∂C w <1 ∂Yw dove ∂C w ∂Yw definisce la propensione marginale al consumo, ovvero l’incremento della spesa per beni di consumo per ogni incremento unitario del reddito70. Attribuisce questa caratteristica della propensione al consumo al fatto che, specialmente nel breve periodo, le abitudini che regolano il tenore di vita è spesso di importanza secondaria, ci rimane da concludere che le variazioni a breve andare del consumo dipendono soprattutto da variazioni dell’ammontare di reddito guadagnato per unità di tempo (misurato in unità di salario) e non da variazioni della propensione al consumo da un dato reddito.” Cfr. Keynes (1936), cap. IX, pag. 269-270. 69 Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 256. 70 “[...] Se Cw è l’ammontare del consumo e Yw è il reddito (entrambi misurati in unità di salario), ∆Cw ha lo stesso segno di ∆Yw ma è inferiore, ossia dCw/dYw è positiva e inferiore all’unità”. Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 256. 66 rendono relativamente rigido per le famiglie il valore assoluto della spesa per beni di consumo al variare del livello del reddito71. 33. In sintesi dunque possiamo asserire che, nella sua analisi, Keynes sottolinea in particolare due caratteristiche della propensione al consumo: 1. la spesa per beni di consumo dipende essenzialmente dal reddito corrente; 2. all’aumentare della produzione e del reddito, non tutto il reddito addizionale verrà speso nell’acquisto di beni di consumo; aumenterà cioè il livello assoluto dei risparmi. §IV.B La “funzione keynesiana del consumo” 34. Nella letteratura successiva72 alla “Teoria generale” si è affermata, come semplificazione utilizzabile nelle stime sui dati empirici, una rappresentazione dell’idea keynesiana della propensione al consumo di questo tipo C = C 0 + cY 71 (5 “[Il fatto che la propensione marginale al consumo sia positiva e inferiore all’unità] si verifica specialmente quando si considerano brevi periodi, come nel caso delle cosiddette fluttuazioni cicliche dell’occupazione, durante le quali le abitudini [...] non hanno il tempo necessario per adattarsi al mutare delle circostanze oggettive. [...] Così un reddito crescente sarà spesso accompagnato da un risparmio crescente, e un reddito discendente da un risparmio discendente, su più vasta scala all’inizio che successivamente”. Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 256-257. 72 Cfr. ad esempio Mosak (1945). 67 dove C sono i consumi reali, Y è il reddito reale, 0 < c < 1 è la propensione marginale al consumo e C0 è la cosiddetta “componente autonoma” della domanda di consumi, cioè quella parte di domanda di beni di consumo che non dipende dal reddito corrente, e che si suppone in generale essere positiva. Tale rappresentazione individua una dipendenza funzionale stabile tra consumi e reddito reale, una propensione marginale al consumo compresa tra 0 e 1, e, per valori di C0 maggiori di 0, una propensione media al consumo, e cioè la frazione di reddito spesa nell’acquisto di beni di consumo, decrescente rispetto all’aumentare del reddito73. Essa risulta perciò compatibile con la trattazione della propensione al consumo che troviamo in Keynes74. Così, quando in 73 Questo significa che nell’equazione 5 il consumo aumenta meno che proporzionalmente rispetto all’aumentare del reddito, di modo che il saggio di risparmio sul reddito tende ad essere crescente all’aumentare del reddito. Questo andamento della propensione media al consumo può essere stato suggerito a Mosak e ad altri statistici “keynesiani” in parte da alcune osservazioni di Keynes che discuteremo nella nota 74, in parte dall’osservazione che nelle analisi cross section la propensione media al consumo è più alta per le fasce della popolazione a basso reddito, e più bassa per quella ad alto reddito, indicando che queste ultime, a fronte di un reddito maggiore, risparmiano una quota maggiore del proprio reddito. Cfr. in merito Stiglitz (1997), capitolo 10, pag. 192 (i riferimenti di pagina sono all’edizione italiana citata in bibliografia). 74 E’ forse opportuno avanzare qui un’osservazione. Abbiamo visto come Keynes si soffermi su due aspetti della propensione al consumo: la stabilità della relazione nel breve periodo, e il fatto che la propensione marginale al consumo sia compresa tra 0 e 1. Queste due caratteristiche di per sé non sono sufficienti a stabilire se i consumi aumentino proporzionalmente all’aumentare del reddito, o meno che proporzionalmente, o anche più che proporzionalmente; né del resto Keynes era interessato, nel costruire una teoria generale del funzionamento del sistema economico, ad approfondire questo aspetto così specifico. Egli esprime tuttavia per inciso la propria convinzione che all’aumentare del reddito aumenterà la frazione di reddito che viene risparmiata. Afferma infatti: “[...] Un livello assoluto superiore di reddito tenderà di regola ad allargare il divario fra reddito e consumo. Infatti la soddisfazione 68 questo lavoro ci riferiremo alla “funzione keynesiana del consumo”, faremo riferimento all’equazione 5, e non direttamente alla trattazione di Keynes. §IV.C Il disagio empirico: i dati di Kuznets e gli studi sui bilanci delle famiglie americane 35. Pochi anni dopo la pubblicazione della “Teoria generale”, uno studio empirico di Simon Kuznets75 condotto sull’economia statunitense mostrava dei bisogni primari immediati di un uomo e della sua famiglia è usualmente un movente più forte di quelli verso l’accumulazione, i quali acquistano un’influenza effettiva soltanto quando si è raggiunto un margine di conforto. Per queste ragioni la frazione del reddito che viene risparmiata aumenterà di norma col crescere del reddito reale. Ma aumenti o no la frazione risparmiata, assumiamo come legge psicologica fondamentale di qualsiasi collettività moderna che, quando il suo redito reale aumenta, essa non aumenterà il suo consumo per un eguale ammontare assoluto, cosicché sarà risparmiato un ammontare assoluto maggiore [...]”. Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 257. Questo significa che secondo Keynes all’aumentare del reddito i consumi aumenterebbero meno che proporzionalmente, cioè che la propensione media al consumo sarebbe decrescente al crescere del reddito. E’ evidente tuttavia dal passo riportato come Keynes circoscriva immediatamente la portata di questa affermazione, nel cui merito non vuole evidentemente entrare. A lui interessa sottolineare che all’aumentare del reddito aumenta il livello assoluto dei risparmi, perché questo ha effetti importanti da un punto di vista teorico sulla stabilità del sistema economico, indipendentemente da cosa accada alla frazione di reddito risparmiata. E’ importante sottolineare questa sfumatura, perché quando in letteratura si parla di “funzione keynesiana del consumo” si intende sempre una funzione con propensione media al consumo decrescente, e si cita in proposito questo brano di Keynes; mentre, a nostro avviso, la teoria di Keynes non afferma che i consumi aumentino meno che proporzionalmente rispetto all’aumentare del reddito, ma solo che all’aumentare del reddito aumenti il livello assoluto dei risparmi. 75 Cfr. Kuznets (1942). Premettiamo all’esposizione dei dati Kuznets, che la bontà di queste stime fu subito posta in discussione, nei suoi valori assoluti, da Kuznets (1946) e da Duesenberry (1949). Più di recente si è sviluppato un dibattito in termini econometrici sulle metodologie di rilevazione e di analisi dei dati utilizzate da Kuznets nei suoi lavori; cfr., ad 69 andamenti secolari costanti della propensione media al consumo, contraddicendo così una delle caratteristiche della “funzione keynesiana del consumo”, così come desumibile dall’equazione 5. Kuznets costruisce serie storiche per gli Stati Uniti d’America che coprono il periodo che intercorre tra il 1879 e il 1938, suddividendole per decadi, e individuando in ogni decade il valore medio sul periodo delle grandezze che lo interessano. Esprime tali serie sia a prezzi in dollari correnti, che a prezzi in dollari costanti, prendendo come anno base il 1929. Calcola tali valori medi anche per le decadi formate dagli ultimi cinque anni di una decade e dai primi cinque di quella successiva, in modo da ottenere valori medi riferiti a undici decadi per un periodo di sessant’anni76. Il suo proposito è quello di indagare il valore e l’evoluzione nel tempo della spesa per beni di consumo e del flusso degli investimenti. Riportiamo in tabella 1 i dati rilevanti nel dibattito sulla funzione del consumo, e che riguardano il rapporto tra investimenti lordi e esempio, Spanos (1989). Noi non entreremo nel merito di queste osservazioni, perché il riferimento all’analisi di Kuznets rileva qui in quanto momento iniziale del dibattito teorico sulla propensione al consumo successivo all’opera di Keynes. Serve cioè a contestualizzare i lavori statistici e teorici sulla funzione del consumo tra gli anni ’40 e gli anni ’50 che prenderemo in esame nel corso di questa trattazione, e a chiarirne la genesi storica e teorica. 76 “[...] We calculated totals also for overlapping decades (i. e., not only for 1879-88, 1889-98, etc. but also for 1884-93, 1894-1903, etc.), so that for the sixty years we have eleven overlapping decades, the midpoints of each pair separated by five years. The estimates are both in current and constant prices (as 1929), [...]. As all these shares are for decades, they are not affected by short term fluctuations.” Cfr. Kuznets (1942), pag. 5. 70 prodotto nazionale lordo e quello tra investimenti netti e prodotto nazionale netto77, entrambi espressi sia a dollari correnti che a dollari costanti 1929. Sulla Tabella 1. Quota degli investimenti sul prodotto nazionale. USA, anni 1879-1938 (presi per decadi). Dati presi da Kuznets78 (1942) Anno 1879-1888 1884-1893 1889-1898 1894-1903 1899-1908 1904-1913 1909-1918 1914-1923 1919-1928 1924-1933 1929-1938 Rapporti calcolati su valori espressi a prezzi in dollari correnti (Investimenti (Investimenti lordi/Prodotto netti/Prodotto nazionale lordo)% nazionale netto)% 20 21,2 21,2 20,9 20,4 20,2 20,6 21,2 20,2 16,6 14,6 10,4 11,7 12 11,6 11,3 11 11,3 11,6 10,8 6,6 3,1 Rapporti calcolati su valori espressi a prezzi in dollari 1929 (Investimenti (Investimenti lordi/Prodotto netti/Prodotto nazionale nazionale lordo)% netto)% 22,5 24,8 25,3 23,7 22,5 22,4 22,8 21,8 19,6 16,1 13,5 11,6 14 14,8 13,4 12,7 12,4 12,9 11,6 10,1 5,8 2,5 Tabella 1 base dei dati esposti in tabella 1, Kuznets rileva come il rapporto tra investimenti e prodotto nazionale, sia al netto che al lordo degli ammortamenti, 77 Kuznets parla di prodotto nazionale lordo e prodotto nazionale netto, identificando queste due grandezze rispettivamente con il reddito nazionale lordo e con il reddito nazionale netto. “Net capital formation is a component of the net national product or national income [...] Gross capital formation can be treated as a component of gross national product, i. e., of national income taken gross of the durable capital consumed in production.” Cfr. Kuznets (1942) pag. 4. Attualmente la contabilità nazionale dà due diverse definizioni del prodotto nazionale: il reddito nazionale e il prodotto interno, che possono poi essere considerati al lordo o al netto degli ammortamenti. Cfr. Castellino (1994), Hicks (1952) e Palumbo (1998). Nel testo manteniamo la dizione di Kuznets, perché non ci è dato di sapere a quale delle due moderne definizioni possa ricondursi la grandezza cui egli fa riferimento. Del resto la questione è qui inessenziale. 78 Cfr. Kuznets (1942), pag. 30-31, tabelle 1 e 2. 71 e indipendentemente dal fatto che le grandezze risultino espresse a prezzi correnti o a prezzi costanti, si mantenga sostanzialmente stabile, come media di decennio in decennio, fatta eccezione per le ultime tre decadi della serie79. Il che significa, ovviamente, che la quota dei consumi sul reddito, e cioè la propensione media al consumo, si è mantenuta anch’essa sostanzialmente stabile, nel periodo che egli prende in esame80. 36. D’altro canto una serie di studi governativi statunitensi, all’incirca contemporanei all’opera di Kuznets, mostrava una propensione media al consumo decrescente all’aumentare del reddito, e perciò compatibile con la “funzione keynesiana del consumo”, quale essa appare nell’equazione 5. Si tratta degli studi sui bilanci delle famiglie americane condotti negli anni 1935193681 e 1941-194282, e relativi all’analisi su un solo periodo della relazione tra reddito e consumo in ogni classe sociale (cosiddetta analisi cross section), e dei dati annuali su reddito e risparmio aggregati pubblicati a partire dal 1929 dal Dipartimento del Commercio del governo degli Stati Uniti. Entrambe le serie 79 “[...] The ratio of capital formation to the national product has been stable. Except during the periods affected by severe depression of 1929-32, when the decade average even of the national product declined, the share of capital formation in national income fluctuates from decades to decades [...], but shoes not definite trend either upward or downward”. Cfr. Kuznets (1942), pag. 9. 80 “The share of consumer’s outlay in the national product and its behaviour are, of course, determined by the size of the other component, capital formation, its stability during the first eight decades, and its decline during the last three”. Cfr. Kuznets (1942), pag. 6. 81 Cfr. National Resources Committee (1938), National Resources Committee (1939) e National Resources Committee (1941). 82 Cfr. United States Bureau of Labour Statistics, Bollettino 723 e 724. 72 di dati infatti mostrano che il saggio del risparmio sul reddito aumenta all’aumentare del reddito, e diminuisce al diminuire di questo83. Gli studi sui bilanci delle famiglie americane, inoltre, mostrano la presenza di forti deficit di bilancio nel periodo 1935-1936, in presenza di un’alta percentuale di forza lavoro disoccupata; deficit che, nel 1941, per ogni livello di reddito, risultano più che dimezzati, a fronte di una percentuale di forza lavoro disoccupata significativamente inferiore rispetto a quella rilevata nel ‘35-‘3684. §IV.D I primi tentativi di soluzione del disagio empirico: la “funzione keynesiana” con i fattori di trend 37. Dopo l’apparizione di questi divergenti studi empirici sulla funzione del consumo, e il conseguente emergere di un disagio attorno ad essa, fiorirono una serie di analisi statistiche e teoriche, volte all’individuazione di una formulazione della propensione al consumo in grado di trovare opportuno riscontro con le serie dei dati disponibili. 38. In un lavoro statistico del 1945 Smithies85 propose una funzione keynesiana del consumo del tipo di quella formulata nell’equazione 5, ma corretta con l’introduzione di alcuni fattori esogeni alla relazione individuata dalla 83 Cfr. Duesenberry (1949), pag. 4. 84 Cfr. Duesenberry (1949), cap. 5, pag. 86. 85 Cfr. Smithies (1945). 73 propensione al consumo, e che determinerebbero una variazione nel tempo della spesa per beni di consumo, per ogni livello del reddito. Tali fattori esogeni vengono definiti “fattori di trend86”. Essi consistono in quella serie di cambiamenti della struttura economica e sociale di un paese, che possono prodursi nel lungo periodo, e che sono per l’appunto suscettibili di modificare il livello dei consumi, per ogni livello di reddito87. Facciamo qualche esempio per chiarire meglio il concetto. La demografia anzitutto. Se a parità di reddito si verificasse un aumento della popolazione, la propensione media al consumo sarebbe probabilmente destinata a salire. Smithies fa notare, ancora con riferimento a fenomeni demografici, come “[...] la migrazione dalle fattorie alle città incrementi probabilmente la spesa degli emigranti88”. Poi la tecnologia, che non modifica solo le condizioni tecniche di produzione, ma permette anche l’introduzione di nuovi beni di consumo, la cui esistenza induce il bisogno di consumo, e modifica quindi i gusti dei consumatori89. Cambiamenti nella distribuzione del reddito indotti da vari fenomeni sociali possono poi influire sul valore della propensione al consumo, dato che, plausibilmente, vi saranno 86 Cfr. Smithies (1945), pag. 6. 87 E’ bene notare come il tema di cambiamenti nella struttura economica e sociale di un paese che modificano il livello dei consumi per ogni livello del reddito è tema comune a tutte le analisi che prenderemo in considerazione in questo lavoro. Così nello spiegare che cosa si intenda per “fattori di trend” abbiamo preso spunto anche dalle analisi di Woytinsky, Duesenberry, Samuelson e Modigliani, che però non hanno nulla a che vedere con la “funzione keynesiana” con l’aggiunta dei fattori di trend. 88 Cfr. Smithies (1945), pag. 6. (Traduzione dall’inglese nostra). 89 Cfr. ad esempio Modigliani (1949). 74 saggi di risparmio sul reddito diversi per le diverse classi sociali90. Infine “[...] la crescita degli standard di vita ha aumentato il livello minimo della spesa in beni di consumo91”, rendendo necessari, nella vita delle famiglie, beni il cui consumo era ritenuto in periodi precedenti un lusso. Con l’aggiunta di questi fattori di trend, dunque, la funzione del consumo, in una versione lineare semplificata, utilizzabile per le stime sui dati empirici, assumerebbe analiticamente una forma del tipo C = C 0 + cYd + FT (6 dove consumi e reddito disponibile aggregati sono valori pro-capite ed espressi a prezzi costanti, e dove con FT intendiamo i cosiddetti fattori di trend92. Ora, l’equazione 5, che rappresenta la “funzione keynesiana del consumo”, e l’equazione 6, che abbiamo appena scritto, presentano, da un punto di vista analitico, una certa similarità; il consumo, infatti, dipende in entrambe dal reddito corrente e da una componente autonoma, indipendente dal reddito corrente. La differenza è nel fatto che nell’equazione 6 viene esplicitato che la componente autonoma non è costante, ma cambia con il tempo e con l’evolversi delle condizioni storiche e sociali dei sistemi economici.93. 90 Cfr. ad esempio Woytinsky (1946), Samuelson (1943), Duesenberry (1949). 91 Cfr. Smithies (1945), pag. 6. (Traduzione dall’inglese nostra). 92 “Estimates [...] using data from 1923-1940 yield the following formula in dollars terms of 1929 prices: Consumption expenditure per capita = 76,58 + 0,76(Disposable income per capita) + 1,15(Time – 1922)”. Cfr. Smithies (1945) pag. 5-6. 93 Se però assumessimo che C0 non sia costante nell’equazione 5, ma anzi vari in relazione al prodursi dei fattori di trend, e invero non sembrerebbe esservi alcun elemento ostativo in 75 C B b C a O Yd Figura 1 In figura 1 abbiamo riportato una possibile rappresentazione grafica di tale funzione, assumendo per semplicità, come fa Smithies94, che la propensione marginale al consumo sia costante. Le rette a e b rappresentano appunto l’equazione 6 scritta per due diversi valori delle componenti della domanda di beni di consumo che non dipendono dal reddito disponibile. La retta OB è la bisettrice del primo e terzo quadrante. La retta OC indica l’andamento secolare costante della propensione media al consumo deducibile dai dati di Kuznets. Secondo Smithies, dunque, il fatto che la retta OC emerga come regressione sui questa direzione, l’equazione 5 e l’equazione 6 sarebbero concettualmente identiche. La scelta di Smithies di esplicitare nella funzione del consumo i fattori di trend in questo modo deriva probabilmente dalla maggiore trattabilità statistica dell’equazione 6 nel procedere alle stime econometriche, rispetto al dover considerare nella funzione del consumo un generico fattore autonomo ma variabile. L’osservazione appare vieppiù significativa laddove si consideri che Smithies ottiene una funzione del tipo della 6, non sulla base di considerazioni teoriche, ma come regressione lineare sui dati empirici, costituiti da serie storiche. Cfr. l’equazione riportata nella nota 92. 94 Cfr. nota 92. 76 dati empirici è giustificato dagli spostamenti nel tempo delle funzioni del tipo a e b ingenerati dai fattori di trend. 39. In sintesi, Smithies tenta di individuare una prima soluzione al disagio empirico derivante dalla discrepanza tra i dati di Kuznets e la “funzione keynesiana del consumo”, distinguendo, nella funzione del consumo, due componenti, una di breve ed una di lungo periodo. Considera poi i cosiddetti fattori di trend nel lungo periodo, introducendo nell’analisi della funzione del consumo elementi particolarmente innovativi, che consistono nella rilevanza dei fenomeni storici e sociali nella determinazione del livello della spesa in beni di consumo corrispondente ad ogni livello del reddito aggregato. D’altro canto, l’interesse per un’analisi di carattere statistico, volta alla stima dei parametri di una funzione del consumo utilizzabile a fini di politica economica, lo ha probabilmente indotto a non interessarsi di chiarire quale connessione possa intercorrere tra l’evoluzione del reddito aggregato e il prodursi di questi fattori di trend. Per chiarire questa osservazione si consideri ancora il grafico in figura 1. Supponiamo che nel periodo t la relazione tra reddito e consumo sia rappresentata dalla retta a. Supponiamo che nei periodi successivi il reddito aggregato aumenti. Secondo la funzione del consumo rappresentata nell’equazione 6, il saggio di risparmio sul reddito tenderà, inizialmente, ad aumentare con l’aumento del reddito; nel grafico di figura 1 ci si muoverà verso destra lungo la retta a. Con il passare del tempo però inizieranno ad operare i cosiddetti fattori di trend. Ad esempio, a mano a mano che il reddito 77 aumenta, se tale aumento ha carattere persistente, le abitudini di consumo tenderanno a conformarsi a standard superiori, di modo che ci si sposterà gradualmente su un’altra funzione del consumo, in cui la componente autonoma assuma un valore maggiore. Da a si passerà, supponiamo, a b. Questo significa che le curve come la a e la b rappresentano, per così dire, curve virtuali, in cui le combinazioni di reddito e consumi non descrivono situazioni mutuamente compatibili. In esse infatti non si legge come varia il livello dei consumi al variare del reddito, ma quale sarebbe il livello dei consumi se il reddito in quello stesso periodo, e ceteris paribus, avesse un altro valore rispetto a quello effettivamente osservabile, e da cui siamo partiti. Infatti all’aumentare del reddito il livello dei consumi andrà letto non sulla curva a, ma su un’altra curva, che la teoria avrà dunque il compito di individuare. Possiamo cioè dire che il prodursi dei fattori di trend appare connesso con l’evoluzione del reddito aggregato, e che occorre spiegare in che termini si manifesti tale connessione. §IV.E L’analisi di Woytinsky: l’andamento della propensione al consumo rispetto alle fasi del ciclo economico 40. Una spiegazione diversa dei dati di Kuznets viene avanzata in quegli anni da Woytinsky95, in un’analisi di carattere prettamente statistico. Egli osserva che nelle depressioni il consumo si mantiene complessivamente stabile, o 95 Cfr. Woytinsky (1946). 78 diminuisce relativamente poco96, rispetto a quanto non aumenti nelle fasi di espansione del reddito aggregato. Attribuisce questo andamento diverso della propensione al consumo in recessione e in espansione alle peculiarità di un’economia in depressione. Ritiene così di poter isolare il periodo recessivo e di poter trascurarlo all’atto di procedere alla stima econometrica di quella che sarà, in condizioni “normali”, la funzione del consumo. Sulla base di questa ipotesi egli ottiene, per i periodi in cui l’economia non è in recessione, una funzione del consumo del tipo di quella rappresentata in figura 1 dalla retta OC, e che ha quindi piena compatibilità con i dati di Kuznets. Interpreta tale risultato come l’affermazione di una sostanziale indipendenza tra propensione media al consumo e reddito disponibile, e ipotizza che la quota di reddito spesa in consumi dipenda dalla posizione delle famiglie nella distribuzione del reddito97. 41. Nella sua analisi statistica, dunque, Woytinsky coglie dall’indagine sulle serie storiche un andamento diverso della propensione al consumo a seconda delle fasi del ciclo economico, ed è questo l’elemento più significativo del suo lavoro. Da tale osservazione egli deduce l’idea di stimare due funzioni del consumo, una “normale” che spiegherebbe i consumi in condizioni di crescita del sistema economico, e l’altra specifica dei soli periodi recessivi, giustificata 96 Cfr. Woytinsky (1946), paragrafo II, pag. 2-3. 97 “[…] The propensity of a consumer to save depends more on his position in the frequency distribution of income than on the number of dollars he earns.” Cfr. Woytinsky (1946), pag. 11. 79 a suo modo di vedere dalla necessità di procedere a stime econometriche su dati omogenei, che riguardino cioè le medesime fasi del ciclo economico98. Tale procedimento non ci appare tuttavia sufficientemente solido da un punto di vista teorico: una teoria del consumo deve poter spiegare con una logica unitaria i diversi andamenti della propensione al consumo a seconda che il reddito cresca o diminuisca, e non assumerli come un dato. E questa osservazione appare tanto più pertinente nei limiti in cui egli sembra ritenere che la funzione del consumo sia rappresentata normalmente dalla sola stima ottenuta isolando e non considerando il periodo recessivo99. §IV.F Un primo tentativo di ricostruzione teorica: l’analisi di Samuelson 42. Sulla variabilità ciclica della funzione del consumo è basato anche un contributo di Samuelson alla teoria del consumo, esposto nel saggio “Full Employment after the War100”. In questo lavoro egli prende le mosse da due considerazioni preliminari: 98 “[...] A formula for prosperous years may differ widely from that for depression years”. Cfr. Woytinsky (1946), pag. 2. 99 Si veda in proposito quanto afferma Modigliani relativamente all’analisi di Woytinsky: “His approach [...] is not very convincing inasmuch as he segregated 1931-34 from 1923-40, and fitted separate equations to 1932-34 and to the remaining years [...]. This procedure seems to us too arbitrary[...]. The distinction between prosperity and depression is obviously quantitative, not qualitative, and can therefore be measured.” Cfr. Modigliani (1949), pag. 378-379. 100 Cfr. Samuelson (1943). 80 1. è ragionevole attendersi una relazione sufficientemente stabile tra il reddito nazionale e il risparmio delle famiglie, come del resto indicano i dati di Kuznets101; 2. l’evidenza empirica e la teoria economica fanno ritenere che la funzione del consumo debba avere come caratteristiche una propensione marginale al consumo compresa tra 0 e 1, e una propensione media al consumo decrescente rispetto al crescere del reddito102. Al fine di fornire una spiegazione teorica ragionevole di queste due caratteristiche in apparente contraddizione, Samuelson considera la necessità di distinguere nell’analisi della propensione al consumo, i movimenti ciclici del reddito da quelli secolari103. A suo modo di vedere nel lungo periodo le caratteristiche delle moderne economie capitalistiche sono tali che il livello dei consumi, in una condizione di crescita del sistema economico, tende di norma ad aumentare all’aumentare del reddito; il che sarebbe giustificato dal fatto che 101 “In view of the relationship between family savings and family income, it is to be expected that there should be a fairly stable relationship between the total of all family savings and total national income [...]. Examination of the data provided by the painstaking efforts of Prof. Simon Kuznets [...] shows this to be the case.” Cfr. Samuelson (1943), pag. 1434 (i riferimenti di pagina sono all’edizione citata in bibliografia). 102 “Statistically, theoretically, and institutionally, everything points toward a consumption- savings-income pattern which is relatively stable, which is qualitatively predictable, and which change only slowly over time. At low levels of national income net savings are negative; at some intermediate break-even point considerably below the full-employment level, they are zero; as we approach full employment, they mount rapidly, increasing more than proportionately with income”. Cfr. Samuelson (1943), pag. 1434. 103 “As a second approximation to bring the picture into greater conformity to reality, we must modify the above notion of a stable consumption-savings-income pattern to allow for secular and cyclical alterations”. Cfr. Samuelson (1943), pag. 1435. 81 lo standard di consumo ritenuto il minimo necessario da parte delle famiglie tende ad essere crescente nel tempo104. Sulla base di questa osservazione, fornisce una spiegazione della costanza della propensione media al consumo rinvenibile nei dati di Kuznets incentrata sulla concomitanza di due fenomeni tra loro indipendenti: da un lato l’aumento dello standard di consumi considerato il minimo necessario da parte delle famiglie; dall’altro un incremento nel “potenziale produttivo” che si è verificato, nel periodo di rilevazione, a un saggio di incremento all’incirca pari al saggio di crescita dei consumi delle famiglie stesse105. Notiamo come, a nostro avviso, affinché tale concomitanza di fattori indipendenti dia luogo effettivamente alla costanza della quota dei consumi sul reddito, sia necessario ipotizzare che, nel periodo preso in esame da Kuznets, il “potenziale produttivo”, che è aumentato allo stesso saggio al quale è aumentato il consumo delle famiglie, sia stato pienamente utilizzato, come del resto ammette implicitamente lo stesso Samuelson, laddove afferma che la relazione stabile tra percentuale del reddito 104 “As real income increases over time, commodities that were once luxuries become necessities. Today, modest incomes can buy more than a king’s fortune could command in former times. And yet such income are often not large enough to finance “absolutely necessary” purchases [...].” Cfr Samuelson (1943), pag. 1435. 105 “[…] The most plausible explanation [dei dati di Kuznets] […] is to be found in the hypothesis that our enlarged scale of wants was causing an upward shift in the consumption function at about the same rate as improvements in our production potential, yielding a stable relation between percentage consumed out of national incomes corresponding to a given fraction of full-employment income”. Cfr. Samuelson (1943), pag. 1435. 82 spesa in consumi e reddito sarà stata corrispondente “[...] a una frazione data del reddito di pieno impiego106”. Per quanto riguarda il comportamento della funzione del consumo al variare ciclico del reddito nel breve periodo, Samuelson afferma che, nel breve periodo, all’aumentare del reddito, il consumo aumenterà meno di quanto non aumenti nel lungo periodo, e che, simmetricamente, al diminuire del reddito, il consumo diminuirà meno di quanto non diminuisca nel lungo periodo107. Ne seguirà108 che “[...] la propensione marginale al consumo di breve periodo è inferiore alla propensione marginale al consumo di lungo periodo109”. Samuelson non formalizza analiticamente queste sue osservazioni sulla propensione al consumo, ma le sintetizza in una rappresentazione grafica che riproduciamo in figura 2. Vediamo tale rappresentazione nel dettaglio, e cerchiamo di chiarire meglio il senso delle argomentazioni di Samuelson. La retta OB è la bisettrice del primo e terzo quadrante. La retta OC rappresenta l’andamento secolare costante della propensione media al consumo desumibile dai dati di Kuznets. La curva a rappresenta, nelle sue parole “[...] what the static consumption function would be at any instant of time if income were to 106 Cfr. Samuelson (1943), pag. 1435. (Traduzione dall’inglese nostra). Cfr. comunque nota 105. 107 “[...] In the short run consumption increases less then it does in the long run, saving taking up the slack. Moreover, when income drops, consumption is maintained at the expense of savings”. Cfr. Samuelson (1943), pag. 1436. 108 Chiariremo le nostre perplessità su questo punto specifico nel paragrafo 44. 109 Cfr. Samuelson (1943), pag. 1436. (Traduzione dall’inglese nostra). 83 be maintained stable at each given level110”; cioè, se interpretiamo bene questa definizione, questa curva rappresenterebbe la relazione di breve periodo tra reddito e consumo, in assenza di fluttuazioni cicliche del reddito e in assenza dell’incremento autonomo dei consumi111. C B C b a O Yd Figura 2 Con il passare del tempo il livello di consumo necessario sale per le caratteristiche di un’economia capitalistica, e quindi la curva della propensione al consumo rilevante diverrà la curva b. Poiché però il reddito non aumenta stabilmente, ma oscilla ciclicamente, in realtà le curve a e b non sono mai osservabili, e l’unica curva osservabile è la curva a spirale112, lungo la quale la 110 Cfr. Samuelson (1943), pag. 1437. 111 In sostanza questa curva è analoga, da un punto di vista teorico, a quella disegnata con lo stesso nome in figura 1 a pag. 65. Essa descrive cioè ipoteticamente quale sarebbe il livello dei consumi se il reddito fosse, in una data situazione, diverso da quello che è effettivamente. 112 “Strictly speaking, under modern conditions these schedules [a e b] are not observable since income rarely holds to a plateau of income, but moves cyclically. This point is indicated in the 84 propensione marginale al consumo assume un andamento diverso a seconda delle fasi del ciclo economico, risultando maggiore nelle fasi di espansione del reddito e minore in quelle di contrazione113. Egli osserva infine come la curva OC114 non sia a suo modo di vedere interpretabile come una funzione del consumo di lungo periodo, coerentemente con la spiegazione che fornisce dei dati di Kuznets. Essa infatti non sarà altro che l’interpolazione della nuvola dei punti che individuano le situazioni in cui saggio di crescita dei bisogni delle famiglie e saggio di crescita del “potenziale produttivo” dell’economia, in ipotesi di utilizzo normale della capacità produttiva, assumono lo stesso valore. Ed è questo il motivo per cui viene disegnata vicina al punto di massima espansione del reddito nella fase di boom del ciclo economico, rappresentato dai punti in cui la curva a spirale, per così dire, ruota a sinistra. Così, se le curve a e b non sono strettamente osservabili, e la curva OC non è una funzione del consumo, in quanto risultante di una concatenazione di eventi, che si è verificata nel periodo preso in esame da Kuznets, ma che non è necessariamente destinata a ripetersi, allora la funzione del consumo risulterebbe effettivamente rappresentata dalla sola curva a spirale. lighter curve [la curva a spirale] which takes the shape of ascending spirals; these are counter clockwise in direction because of the delayed adjustment of consumption to new levels of income”. Cfr. Samuelson (1943), pag 1437. 113 Samuelson non dà alcuna spiegazione di questo particolare comportamento della propensione marginale al consumo, di cui peraltro non fa menzione nel saggio in esame, e si limita a disegnare questa curva senza entrare nel merito di una sua più precisa connotazione teorica. 114 “Some might choose to interpret the dotted line [la curva OC] as a very long-run consumption function, although I myself would not.” Cfr. Samuelson (1943), pag. 1438, nota 1. 85 43. Vediamo ora di approfondire alcuni aspetti di questa analisi di Samuelson. Consideriamo il grafico di figura 2. Se Samuelson non avesse disegnato la curva a spirale, la sua analisi della propensione al consumo sarebbe stata non dissimile da quella degli autori keynesiani che introducono i fattori di trend nella funzione del consumo. Avremmo avuto infatti le curve di breve periodo del tipo della a o della b, e un andamento di lungo periodo della propensione al consumo rappresentato dalla curva OC. Con l’introduzione della curva a spirale, invece, Samuelson ipotizza, pur senza argomentarla, una relazione tra l’andamento del reddito e l’evoluzione della componente autonoma della domanda per beni di consumo. La curva a spirale, infatti, lega il prodursi dei fattori di trend all’andamento ciclico del reddito aggregato, di modo che, nella sua analisi, la distinzione tra funzione del consumo di lungo periodo e funzione del consumo di breve periodo sembra, in un certo senso, perdere di significato. Tale distinzione infatti, come abbiamo visto esponendo il lavoro di Smithies, trova una sua logica nel fatto che nel lungo periodo la componente autonoma della domanda di consumi muti in larga misura indipendentemente dall’evoluzione del reddito aggregato. In questo modo infatti la funzione del consumo individuerebbe nel breve periodo una relazione stabile tra reddito corrente e consumi correnti, che varia poi nel lungo periodo in relazione a fenomeni esogeni rispetto alla propensione al consumo, e che non dipendono direttamente dal reddito aggregato, ma dal fatto che le istituzioni e i costumi mutano con lo scorrere del tempo. Ora, poiché nell’analisi di Samuelson il prodursi dei fattori di trend è invece legato dalla curva a spirale all’andamento 86 del reddito aggregato, e non c’è nessuna componente autonoma che muta indipendentemente dall’andamento del reddito aggregato, questa distinzione tra funzione del consumo di breve periodo e funzione del consumo di lungo periodo sembra non essere più significativa. E tale osservazione è rafforzata dal fatto che Samuelson non attribuisce alla curva OC, come abbiamo visto, il significato di funzione del consumo di lungo periodo. Quest’ultima considerazione, e cioè il fatto che Samuelson non attribuisca alla curva OC il significato di funzione del consumo di lungo periodo, merita poi un ulteriore approfondimento, in almeno due direzioni. In primo luogo vogliamo sottolinearne alcune implicazioni con riferimento alle ipotesi formulate da Samuelson sul comportamento della funzione del consumo nel breve periodo. Abbiamo visto infatti come egli ritenga che nel breve periodo la propensione marginale al consumo sia inferiore a quella di lungo periodo. Se però la curva OC non rappresenta la funzione del consumo nel lungo periodo, come lui stesso afferma esplicitamente, allora non è chiaro quale sia il valore di lungo periodo della propensione marginale al consumo rispetto al quale asserire che nel breve periodo la propensione marginale al consumo è inferiore a quella di lungo periodo. Di fatto, a nostro modo di vedere, Samuelson vuole dire che le curve a e b dovranno avere una pendenza inferiore rispetto alla curva OC; ma se le curve a e b sono inosservabili, e la curva OC rappresenta un risultato empirico, l’osservazione ci sembra, in questo contesto, inessenziale. 87 In secondo luogo, se la curva OC non è la funzione del consumo di lungo periodo, ma rappresenta sostanzialmente la costanza della propensione media al consumo rinvenibile nei dati di Kuznets, essa sarà interpretabile come un’interpolazione lineare su una nuvola di punti che rappresentano le combinazioni di reddito e consumo ottenute come media su decenni che si accavallano; ma allora tale curva non potrà essere disegnata in corrispondenza dei picchi di massimo della funzione del consumo, rappresentata dalla curva a spirale, ma dovrà, per così dire, tagliarla nel mezzo: la propensione media al consumo, su dati calcolati come medie decennali, dovrà emergere come valore medio delle propensioni medie al consumo calcolate anno per anno sulla base della curva a spirale. Possiamo sintetizzare l’insieme di queste nostre osservazioni in una C B C O Yd Figura 3 88 rappresentazione grafica ricostruttiva, coerente con quello che a nostro avviso è il senso dell’analisi di Samuelson, che proponiamo in figura 3. In essa abbiamo eliminato le curve a e b, e abbiamo modificato la posizione della curva OC, che emerge ora come interpolazione dei dati che sarebbero rilevabili nell’economia se il consumo seguisse l’andamento delineato dalla curva a spirale. Si osservi come questa rappresentazione della curva OC come un andamento medio nel tempo della propensione al consumo non implichi più alcuna necessaria considerazione sul saggio di crescita del potenziale produttivo, né sul grado di utilizzo della capacità produttiva, né tanto meno sul pieno impiego delle risorse disponibili. 44. Sulla base di una lettura congiunta dei grafici di figura 2 e di figura 3, possiamo riassumere la nostra interpretazione dell’analisi di Samuelson in questo modo: 1. Samuleson individua una relazione tra i consumi aggregati e l’evoluzione storica della struttura sociale, esattamente come fanno i teorici keynesiani che introducono i fattori di trend; 2. appare convinto che tale relazione non si manifesti in modo erratico col procedere del tempo, ma in modo sistematico, e che sia essenzialmente connessa con l’evoluzione del reddito aggregato; disegnando la curva a spirale, infatti, lega il prodursi dei fattori di trend all’andamento ciclico del reddito aggregato; 89 3. la curva a spirale, che Samuelson non argomenta, manifesta un andamento diverso della propensione marginale al consumo a seconda delle fasi del ciclo economico; nel grafico, infatti, essa risulta più bassa nelle fasi di contrazione del reddito, e più alta in quelle di espansione; questo significherebbe, secondo noi, che dalla sua analisi è in qualche modo desumibile che i consumi manifestano una rigidità rispetto alle variazioni del reddito relativamente maggiore nelle recessioni che nelle espansioni. §IV.G L’analisi di Duesenberry: l’“ipotesi del reddito relativo” e l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo 45. Un tentativo di risoluzione del disagio empirico maggiormente sistematico rispetto a quelli sinora analizzati è stato proposto da Duesenberry nei suoi lavori sulla propensione al consumo115. Egli prende le mosse dalla considerazione della necessità di una riformulazione della teoria marginalista delle scelte del consumatore, che tenga conto del carattere essenzialmente sociale delle scelte di consumo116. 115 116 Cfr. Duesenberry (1948) e Duesenberry (1949). “Per una reale comprensione del problema del comportamento del consumatore, è necessario cominciare a riconoscere pienamente la caratteristica sociale dei modelli di consumo”. Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 23. (I riferimenti di pagina sono all’edizione italiana citata in bibliografia). Duesenberry traduce analiticamente tale necessità di considerare la caratteristica sociale dei modelli di consumo, inserendo, come argomento della funzione di utilità di un individuo, i consumi degli altri individui. Cfr. Duesenberry (1949), cap. 2, e cap. 3 pag 32-37. Noi non entreremo nel merito delle osservazioni che Duesenberry avanza, nei 90 Tale caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale implica, secondo Duesenberry, che per ogni famiglia la frazione di reddito spesa nell’acquisto di beni di consumo è in media indipendente dal reddito disponibile corrente, ma dipende piuttosto dalla posizione relativa della famiglia nell’ambito della distribuzione percentuale del prodotto sociale. Egli infatti afferma: “[...] [E’] possibile formulare la tesi che la percentuale di risparmio di una famiglia, data la distribuzione relativa del reddito, tenderà ad essere funzione crescente, unica e costante, della sua posizione, espressa in termini percentuali, nella distribuzione del reddito. La quota di risparmio sarà indipendente dal livello assoluto del reddito. Ne segue che il saggio di risparmio aggregato sarà indipendente dal livello assoluto del reddito”117, confermando così l’andamento secolare costante desumibile dai dati di Kuznets. 46. La sua argomentazione in merito è svolta con riferimento alle finalità della spesa in beni di consumo. Il consumo infatti è per Duesenberry destinato a soddisfare due tipologie di bisogno del consumatore: da un lato i bisogni di un individuo in quanto tale, con riferimento ai quali la scelta tra beni di consumo è luoghi citati, con riferimento alla teoria dell’utilità marginale. Per un’analisi di questo punto della teoria di Duesenberry, cfr. Pigou (1951) e Clower (1952). Ci basta osservare come sia Duesenberry sia gli autori che abbiamo citato ritengono che la caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale sia elemento compatibile con l’impianto analitico marginalista, e perciò trattabile con quegli strumenti teorici propri di tale approccio. Per quel che ci riguarda, infatti, vogliamo sottolineare la caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale più che la sua formalizzazione nei termini di un approccio teorico che non costituisce il nostro orizzonte di riferimento. 117 Cfr. Duesenberry (1949), cap. 1, pag. 5. 91 orientata ai beni che soddisfino in modo fisicamente e soggettivamente più efficace ogni singola necessità; dall’altro i bisogni di un individuo in quanto membro di una collettività organizzata in classi sociali, con riferimento ai quali la scelta tra beni di consumo è orientata verso quei beni che soddisfino in modo socialmente e psicologicamente più efficace per l’individuo ogni singola necessità118. Tosto che “[...] un tenore di vita sempre più alto è uno dei principali obiettivi della nostra società [...] è facile comprendere la ragione per la quale il consumo cresce con il reddito119”. Nelle moderne economie capitalistiche, infatti, la divisione in classi sociali è essenzialmente reddituale, e non gentilizia, e la manifestazione sociale delle differenze di reddito si esplica nell’adozione di diversi standard di consumo. Così, secondo Duesenberry, all’aumentare del reddito le famiglie tenderanno a modificare i propri standard di consumo sul modello di quelli delle classi sociali più agiate120. E questo comportamento sarà tanto più accentuato, quanto più alto è il grado di mobilità sociale, all’interno della collettività. A questo effetto emulativo se ne affiancherà un altro, che Duesenberry chiama “effetto di dimostrazione121”; l’alto grado di mobilità sociale farà sì che le famiglie si trovino frequentemente a contatto con famiglie che consumano beni di qualità superiore, nel senso di 118 Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 23-37. 119 Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 30. 120 “La forza dello stimolo al raggiungimento di un più alto tenore di vita – cioè all’acquisto di beni di qualità superiore – è aumentata nella nostra società dalle caratteristiche stesse della struttura sociale. La nostra è una società formalmente senza classi, ma caratterizzata tuttavia da un sistema di differenziazioni di stato sociale”. Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 34. 121 Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 31. 92 beni che soddisfano in modo fisicamente più efficace una determinata necessità; se il contatto tra le due famiglie è frequente, ciò indurrà, nella famiglia meno agiata, il desiderio di possedere tali beni122. 47. Duesenberry ipotizza dunque un saggio del risparmio sul reddito costante come media di lungo periodo, e che è quindi compatibile con i dati di Kuznets. Abbiamo visto come tale ipotesi emerga dall’idea che i modelli di consumo siano socialmente e storicamente determinati, per cui la quota dei consumi sul reddito dipende nel lungo periodo dalla distribuzione del reddito più che dal suo valore assoluto. D’altro canto egli rileva come vi sia un insieme di ricerche empiriche e di lavori teorici, di noi abbiamo già esposto in questo capitolo gli elementi più significativi, che mostrano una funzione del consumo ciclicamente variabile, e in cui la quota dei consumi sul reddito appare essere crescente al diminuire di questo123. La sua giustificazione di tale variabilità ciclica della propensione al consumo fa riferimento a due elementi: da un lato, nuovamente, la caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale; dall’altro la naturale rigidità nel tempo delle abitudini di consumo. Così, se il tenore di vita è la manifestazione di uno status sociale, allora nelle fasi di recessione le famiglie, in particolare quelle agiate da 122 “Possiamo dunque confermare che la frequenza e la forza dell’impulso all’aumento delle spese di consumo dipende dalla frequenza con cui entriamo in contatto con beni di qualità superiore a quelli di cui facciamo abitualmente uso”. Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 32. 123 “Vi è tuttavia una certa evidenza che prova quasi categoricamente che la funzione del consumo è ciclicamente variabile”. Cfr. Duesenberry (1948), pag. 41. (Il riferimento di pagina è all’edizione italiana citata in bibliografia). 93 cui dipende la maggior parte del risparmio aggregato, tenderanno a mantenere lo standard di consumi di riferimento, cioè quello che corrisponde al massimo reddito di cui hanno goduto nel passato124. Questo sarà possibile, per le famiglie più agiate, attraverso una diminuzione della frazione di reddito risparmiata; per la middle class, vi sarà la possibilità di decumulare risparmio passato; le famiglie meno agiate, infine, sperimenteranno iniziali deficit di bilancio125. A livello aggregato, dunque, in presenza di una recessione di breve periodo del reddito, avremo una diminuzione del saggio di risparmio sul reddito, e simmetricamente un aumento della propensione media al consumo. D’altro canto una certa rigidità della spesa in beni di consumo rispetto al variare del reddito può anche essere giustificata, per Duesenberry, con il fatto che le abitudini di consumo sono normalmente poco elastiche nel breve periodo, il che renderà i consumi meno sensibili, in termini assoluti, alle variazioni del reddito corrente, in particolare nella fase iniziale di ogni periodo recessivo126. Anche per questa via, dunque, la propensione media al consumo calcolata su valori aggregati appare essere crescente al diminuire del reddito. Sulla base di queste argomentazioni e dell’analisi dei dati desumibili dagli studi sui bilanci delle famiglie americane, Duesenberry può sostenere che “[...] 124 “Quando le famiglie ad alto reddito subiscono una perdita di reddito [...], esse continuano a vivere alla stessa maniera dei vicini e mantengono i contatti con gli altri membri dello stesso status socio-economico”. Cfr. Duesenberry (1948), pag. 52-53. 125 Cfr. Duesenberry (1948), pag. 52-55. 126 “Il postulato psicologico fondamentale che sorregge la nostra argomentazione è che per una famiglia è più difficile ridurre le proprie spese di consumo partendo da un livello elevato dei consumi, che non astenersi sin dal principio da spese elevate”. Cfr. Duesenberry (1949), cap. 5, pag. 91. 94 il consumo dipende tanto dal reddito corrente relativamente al reddito passato, quanto dal livello assoluto del reddito corrente127”; in particolare, durante una recessione, rileverà nelle scelte di consumo il reddito massimo di cui la famiglia abbia goduto nel passato128, poiché questo è il reddito che definisce, nel senso indicato prima, lo status della famiglia nella collettività, di cui il consumo è manifestazione sociale. Questa ipotesi è nota in letteratura come “ipotesi del reddito relativo”, poiché in essa il livello dei consumi correnti dipende dalla relazione tra reddito corrente e massimo reddito dei periodi precedenti. 48. Prima di proseguire oltre nell’esposizione dell’analisi di Duesenberry, è opportuno avanzare un’osservazione preliminare. Abbiamo visto nel paragrafo precedente come Duesenberry analizzi la variabilità ciclica della propensione al consumo facendo riferimento ai soli periodi recessivi. Questa caratteristica della sua analisi ci induce ad una riflessione. Anticipando quanto emergerà meglio nel corso della trattazione, diciamo che Duesenberry sembra supporre che il reddito graviti nel lungo periodo intorno a posizioni di pieno impiego, e 127 Cfr. Duesenberry (1949), cap. 5, pag. 92. 128 “Possiamo concludere, quindi, dicendo che il reddito o il consumo dell’ultimo massimo ciclico gioca un ruolo speciale e molto consistente nel determinare il consumo a un dato (inferiore) livello di reddito durante una depressione. In linea di principio si dovrebbe far uso della media ponderata di tutti i redditi dall’anno di massimo all’anno corrente; ma disponendo soltanto di poche osservazioni, sarebbe impossibile stimare i pesi. Nelle pagine che seguono considereremo la relazione del consumo corrente con il rapporto (reddito corrente/reddito più alto precedentemente goduto) ma i risultati debbono essere interpretati come una approssimazione della relazione veritiera”. Cfr. Duesenberry (1948), pag. 55. 95 con un trend crescente; e che le oscillazioni cicliche del reddito siano solo quelle che lo fanno oscillare al di sotto del livello di pieno impiego. Così, quando nel breve periodo il reddito è al di sotto del livello di pieno impiego, che aveva precedentemente raggiunto, la frazione di reddito consumata dipende dal reddito corrente e dalla relazione tra questo e il reddito di pieno impiego precedentemente raggiunto, che sarà perciò il reddito dell’ultimo massimo ciclico, e corrisponderà al massimo reddito dei periodi antecedenti il periodo corrente. Quando invece il reddito corrente è maggiore del reddito di pieno impiego dei periodi precedenti, questo per Duesenberry vuol dire che stiamo ragionando in un’ottica di lungo periodo sulla crescita del reddito di pieno impiego. Questa nostra interpretazione sembra trovare conferma in questo passo, ove Duesenberry, dopo aver definito Yt come il reddito corrente, e Y0 come il massimo reddito dei periodi antecedenti t, afferma: “[...] Nella fase ascendente del ciclo, dopo che si sia raggiunta la piena occupazione, Y0 e Yt si muovono assieme. Se il reddito aumenta incessantemente ad un tasso annuale del 3%, Yt è costante ad un valore di 1,03. [...] In tal modo la propensione Y0 marginale ciclica al risparmio è (nel tratto che interessa) più alta della propensione al risparmio di lungo periodo [...]129”. Emerge dunque che Duesenberry, nella sua analisi, assume che nel lungo periodo variazioni del reddito corrente al di sopra di Y0 rappresentino la crescita del reddito in condizioni di pieno impiego, e che nel breve periodo le 129 Cfr. Duesenberry (1948), pag. 60. 96 oscillazioni cicliche avvengano solo al di sotto del livello di pieno impiego precedentemente raggiunto. 49. Chiarito questo punto, possiamo asserire, in prima sintesi, che la funzione del consumo secondo Duesenberry consta, nelle sue parole, di due ipotesi: 1. “che secolarmente la propensione al consumo di un individuo è funzione della sua posizione entro la distribuzione del reddito (il che indica che il risparmio aggregato tende nel lungo periodo ad essere una frazione costante del reddito); 2. che al punto di vista ciclico la propensione aggregata al consumo dipende dal rapporto tra il reddito corrente e il più alto reddito precedentemente goduto130”. Vediamo ora una trattazione analitica di tale funzione del consumo, costruita da Duesenberry come una possibile esplicitazione semplificata dell’“ipotesi del reddito relativo”; in seguito ci soffermeremo su alcune implicazioni nell’ambito della teoria del consumo di questo metodo di approccio alla relazione tra reddito e consumo. 50. Abbiamo visto come l’“ipotesi del reddito relativo” consista nell’ipotesi che il livello dei consumi in un dato periodo dipenda tanto dal reddito corrente, quanto dallo scostamento del reddito corrente dal reddito massimo dei periodi 130 Cfr. Dueseneberry (1948), pag. 60. 97 precedenti. Sulla base di questa ipotesi l’equazione della propensione al consumo, scritta per i risparmi, sarà131 Y S t = f Yt , t Y0 (7 dove con Y0, come abbiamo visto, Duesenberry intende “ [...] il reddito più alto ottenuto prima dell’anno t132”. Così la propensione marginale corrente al risparmio sarà ottenibile, secondo Duesenberry, come la derivata parziale della funzione rispetto a Yt133. Essa perciò sarà pari a Y ∂ t Y ∂S t ∂f ∂f = + ⋅ 0 ∂Yt ∂Yt Y ∂Yt ∂ t Y0 (8 L’equazione 8 indica che la propensione marginale al risparmio dipende in primo luogo, ovviamente, dalla forma della funzione f, e poi da una quantità Y ∂ t Y0 ∂Yt che rappresenta la variazione del rapporto tra reddito corrente e massimo reddito dei periodi precedenti al variare del reddito corrente. Duesenberry interpreta l’equazione 8 in questo modo. Per quanto riguarda l’analisi di lungo periodo, egli afferma, e vedremo più avanti di approfondire il 131 Cfr. Duesenberry (1948), pag. 56. 132 Cfr. Duesenberry (1948), pag. 56. 133 Ricordiamo che data una funzione y = f ( x1 , x 2 ( x1 )) continua e derivabile, la derivata parziale prima della funzione rispetto a x1 è pari a ∂y ∂f ∂f ∂x 2 . = + ⋅ ∂x1 ∂x1 ∂x 2 ∂x1 98 significato di questa affermazione: “Se noi stabiliamo la relazione di lungo periodo tra risparmio e reddito considerando soltanto i periodi di occupazione Y ∂ t Y approssimativamente piena, il termine 0 ∂Yt sarà uguale a zero” 134. Così la propensione marginale al risparmio nel lungo periodo sarà pari a ∂S t ∂f = ∂Yt ∂Yt e, sulla base delle argomentazioni viste nel paragrafo 46, sarà per Duesenberry costante135. Nel breve periodo invece, a fronte di oscillazioni cicliche del reddito che, come abbiamo visto, porteranno il reddito al di sotto del livello Y0, il secondo addendo dell’equazione 8 sarà positivo, per cui la propensione marginale ciclica al risparmio sarà maggiore di quella secolare136. Avremo 134 Cfr. Duesenberry (1948), pag. 56. Cfr. più avanti paragrafo 51. 135 Per la verità le argomentazioni di Duesenberry che abbiamo riportato nel paragrafo 47 riguardano la propensione media al consumo, e non quella marginale. Ma poiché una propensione media al consumo costante implica di necessità una propensione marginale al consumo costante e per giunta di valore pari alla prima, l’affermazione riportata nel testo risulta essere corretta. Y ∂ t Y0 136 “Ma, se i dati coprono un ciclo economico, ∂Yt avrà un valore positivo, e, se usiamo dati ciclici per stimare la propensione secolare marginale al consumo, le nostre stime saranno troppo alte”. Cfr. Duesenberry (1948), pag. 56. Per la verità in questo passo Duesenberry non appare molto chiaro. Sulla base dell’equazione 5 infatti si può certamente dire che la propensione marginale al consumo sarà, nelle ipotesi avanzate da Duesenberry, minore nelle fasi cicliche rispetto al suo livello secolare. Questo implica che stimare la propensione marginale secolare al consumo sulla base di quelle cicliche può indurre un errore di sottostima della propensione marginale stessa, e non di sovrastima. 99 simmetricamente che la propensione marginale al consumo, che è scrivibile come 1− ∂S t ∂Yt sarà costante nel lungo periodo, e avrà invece nel breve periodo un valore inferiore a tale valore costante. 51. Soffermiamoci brevemente sulla lettura che Duesenberry avanza dell’equazione 8, con riferimento all’analisi di lungo periodo. Il termine Y ∂ t Y0 ∂Yt nell’equazione 8 indica la variazione del rapporto tra reddito corrente e massimo reddito dei periodi precedenti al variare del reddito corrente. Duesenberry, come abbiamo visto, osserva che, da un punto di vista analitico, la propensione marginale secolare al risparmio sarà costante e pari a quella media, se è possibile sostenere che nel lungo periodo il rapporto Y ∂ t Y al variare del reddito corrente, di modo che il termine 0 ∂Yt Yt non varia Y0 risulti nullo. Ora, come abbiamo fatto notare nel paragrafo 48, e come vedremo meglio nel paragrafo 54, Duesenberry ha, a nostro avviso, una particolare concezione del lungo periodo. Egli infatti ipotizza: 1. che nel lungo periodo il reddito oscilla intorno al livello di pieno impiego; 100 2. che quando il reddito corrente è maggiore del massimo reddito precedentemente goduto, l’economia è su un sentiero di espansione di lungo periodo in condizioni di pieno impiego. Stanti queste ipotesi, nel lungo periodo, il valore Y0 sarà, in ogni periodo t, il reddito di pieno impiego del periodo t-1. Per cui dire che il rapporto tra reddito corrente e massimo reddito dei periodi precedenti si mantiene costante al variare del reddito equivale a dire, date queste ipotesi, che, nel lungo periodo e in condizioni di pieno impiego, il reddito cresce a tassi costanti. Duesenberry, cioè, per poter giustificare analiticamente la costanza della propensione media e marginale al consumo, si trova a dover sostenere che nel lungo periodo il tasso di crescita del reddito di pieno impiego è pressappoco costante. Ora, come emerge dal passo di Duesenberry che abbiamo riportato, egli sembra giustificare questa costanza del saggio di crescita del reddito nel lungo periodo con l’ipotesi che il reddito graviti nel lungo periodo intorno al livello pieno impiego137, e non fornisce altre argomentazioni in proposito. Ci sembra qui possibile avanzare due osservazioni. In primo luogo, questa ipotesi di costanza del saggio di crescita del reddito nel lungo periodo non sembra in alcun modo essere implicita nell’argomentazione che abbiamo riportato nei paragrafi 45-47 sulla caratterizzazione sociale dei 137 Come ulteriore esempio per avallare la nostra tesi, si consideri ancora questo passo, già riportato nel testo del paragrafo 48, dove Duesenberry afferma: “D’altra parte la propensione media al risparmio non aumenta con l’aumento secolare del reddito. Infatti nella fase ascendente del ciclo, dopo che si sia raggiunta la piena occupazione, Y0 e Yt si muovono assieme. Se il reddito aumenta incessantemente ad un tasso annuale del 3%, Yt/Y0 è costante a un valore di 1,03.” Cfr. Duesenberry (1948), pag. 62, enfasi aggiunta. 101 modelli di consumo. Ci sembra così possibile sostenere che Duesenberry si trova a dover introdurre questa ulteriore ipotesi nel momento in cui esprime l’“ipotesi del reddito relativo” in quella particolare forma analitica. In secondo luogo, è necessario notare come, da un punto di vista teorico, non appare possibile dedurre la costanza del saggio di crescita del reddito nel lungo periodo direttamente dall’ipotesi di pieno impiego. Infatti, anche ammettendo che nel lungo periodo il reddito si mantenga sufficientemente vicino al livello di pieno impiego, è perfettamente possibile che la popolazione e le innovazioni tecniche agiscano in modo tale da determinare tassi di crescita del reddito diversi di periodo in periodo138. 52. Torniamo, dopo questa breve parentesi, all’analisi di Duesenberry. Dalla trattazione analitica che abbiamo riportato nel paragrafo 50, emerge che nell’analisi di Duesenberry la propensione marginale al consumo assume un particolare comportamento rispetto alle variazioni del reddito aggregato; essa infatti risulta essere costante nelle fasi di espansione secolare del reddito aggregato, e variabile intorno a valori inferiori a tale valore costante di lungo periodo, nel corso delle oscillazioni cicliche del reddito stesso. Tale andamento distinto rispetto a variazioni di segno diverso del reddito aggregato fa sì che la relazione tra reddito e consumo non sia in questo tipo di analisi reversibile al 138 La deduzione che Duesenberry opera potrebbe essere corretta se ad esempio la popolazione si mantenesse, nel lungo periodo, costante, sia in termini numerici che come composizione sociale, e se la produttività del lavoro aumentasse nel lungo periodo a tassi costanti. Il tutto in condizioni di pieno impiego, e mantenendo inalterati distribuzione e prezzi relativi. 102 variare del reddito; essa cioè non assume la stessa forma esplicita indipendentemente dal segno della variazione del reddito stesso. Ora, questa irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo al variare del reddito costituisce a nostro avviso l’elemento più caratteristico ed innovativo dell’analisi di Duesenberry, e ci appare essere la diretta conseguenza analitica dell’ipotesi che i modelli di consumo siano socialmente determinati. E’ infatti la caratterizzazione sociale dei modelli di consumo a spiegare perché il comportamento dei consumatori vari a seconda che lo stesso livello del reddito aggregato corrisponda a una fase di espansione del reddito o ad una di recessione. In questo senso l’“ipotesi del reddito relativo” nella formulazione di Duesenberry appare ai nostri occhi come una delle possibili rappresentazioni del pieno riconoscimento del carattere sociale dei modelli di consumo; e le osservazioni che abbiamo avanzato con riferimento alla particolare forma analitica in cui Duesenberry esprime l’“ipotesi del reddito relativo”, nonché alle ipotesi addizionali che ritiene di dover formulare, non inficiano, a nostro avviso, la validità dell’impianto generale della sua analisi. 53. Ora, Duesenberry si mostra pienamente consapevole di questa irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo che emerge dalla sua analisi, e la rappresenta in un grafico139 che riproduciamo in figura 4. In tale grafico i valori in ascissa e in ordinata sono valori reali pro-capite. La curva OB rappresenta la funzione del consumo di lungo periodo a propensione 139 Cfr. Duesenberry (1949) pag. 122. 103 media e marginale costante. Le curve II e III rappresentano la propensione al consumo nel breve periodo, durante le fasi recessive, con propensione marginale al consumo inferiore al valore costante di lungo periodo. Le curve 2 e 3 rappresentano la propensione al consumo di breve periodo, durante le fasi di accentuata crescita del reddito, ancora con propensione marginale al consumo inferiore a quella di lungo periodo. C B b a 3 2 III II O Y Figura 4 Duesenberry avanza una lettura di questo grafico di questo tipo140: supponiamo che l’economia si trovi in a, con un reddito corrispondente al livello di pieno impiego, e un rapporto consumo-reddito costante e che riflette la composizione sociale della collettività. Supponiamo che il reddito aumenti, in condizioni di pieno impiego, per un po’ di anni, e che i consumi aumentino anch’essi in modo proporzionale, non essendo mutata la distribuzione del reddito. Da a 140 Cfr. Duesenberry (1949), cap. 7, pag. 121-122. 104 l’economia passerà a b lungo la curva OB. Supponiamo a questo punto che si verifichi una recessione, per una diminuzione autonoma dell’incentivo a investire. Il reddito diminuirà, ma i consumi diminuiranno meno che proporzionalmente, perché l’“ipotesi del reddito relativo” implica una frazione del reddito consumata crescente al diminuire di questo, rispetto al massimo reddito precedente. Ci si muoverà dunque lungo la curva III. Quando poi il reddito aumenta di nuovo, se la ripresa è graduale, ci si muoverà lungo la III fino a b, per poi proseguire sulla curva OB; se invece la ripresa è molto rapida, allora si oltrepasserà b e ci si muoverà su curve del tipo della 2 o della 3. “Tuttavia il reddito non potrà continuare a crescere indefinitamente ad un tasso molto rapido poiché non appena sia raggiunta la piena occupazione gli incrementi di reddito si potranno ottenere solamente attraverso un incremento di produttività. Alla fine, allora, si verificherà un assestamento ad un nuovo tenore di vita ed ancora una volta il consumo si potrà ricavare sulla base della linea OB141”. Il che significa che sul grafico di figura 4 ci si muoverà da una curva del tipo della 3 in senso parallelo all’asse delle ordinate sino a raggiungere nuovamente la curva OB. 54. Soffermiamoci brevemente su questo grafico di figura 4, e sulla lettura che Duesenberry ne avanza nei luoghi citati. La curva OB assume in questo grafico il significato di luogo geometrico delle combinazioni tra reddito e consumo che individuano una propensione media e marginale al consumo costante nel lungo 141 Cfr. Duesenberry (1949), cap. 7, pag. 122. 105 periodo. Ora, Duesenberry suppone che l’economia si trovi su questa curva soltanto quando, in condizioni di pieno impiego, il reddito corrente è maggiore del reddito massimo dei periodi precedenti, e sostiene che questo si possa verificare esclusivamente nel lungo periodo. Così, come abbiamo anticipato nel paragrafo 48, da questo grafico emerge abbastanza chiaramente che Duesenberry interpreta le oscillazioni cicliche del reddito come quelle variazioni del livello del reddito che avvengono al di sotto del livello di pieno impiego precedente; e interpreta i movimenti secolari del reddito come quelle variazioni del livello del reddito che spostano il reddito, in condizioni di pieno impiego, al di sopra del livello di pieno impiego precedente. Sulla base di queste osservazioni sembrerebbe che la costanza di lungo periodo della propensione media al consumo sia interamente dovuta, analiticamente, all’ipotesi che nel lungo periodo il reddito aggregato graviti intorno al livello di pieno impiego. E’ sulla base di tale ipotesi, infatti, che Duesenberry, come abbiamo visto nei paragrafi 50 e 51, ritiene di poter sostenere che il tasso di crescita del reddito nel lungo periodo è costante, mandando così a zero il Y ∂ t Y termine 0 ∂Yt nell’equazione 8. Abbiamo peraltro già mostrato, nel paragrafo 51, come, a nostro avviso, l’ipotesi di pieno impiego non sembra essere di per sé condizione sufficiente a giustificare l’ipotesi di costanza del saggio di crescita del reddito. Ci resta ora da aggiungere che, come già accennato in precedenza, né l’ipotesi di pieno impiego, né l’ipotesi, che Duesenberry sembra dedurne, di costanza del saggio di crescita del reddito nel lungo periodo 106 appaiono essere essenziali ai fini dello sviluppo delle sue argomentazioni sulla funzione del consumo. Nei paragrafi 45-47, infatti, abbiamo illustrato la logica di tali argomentazioni prescindendo completamente da queste ipotesi. Potremmo anzi andare oltre, e sostenere che esse vengono introdotte da Duesenberry nel momento in cui egli si trova a voler specificare, attraverso la formalizzazione dell’“ipotesi del reddito relativo”, una forma analitica in cui possa trovare espressione l’idea della determinazione sociale dei modelli di consumo. Ciò che comunque rileva ai fini della nostra analisi, e che ci preme sottolineare, è che l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo risulta essere indipendente dall’ipotesi che nel lungo periodo il sistema economico graviti intorno al pieno impiego, poiché essa trova la propria origine teorica nella caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale, più che nelle ipotesi aggiuntive che Duesenberry formula ad hoc per giustificare una particolare espressione analitica dell’“ipotesi del reddito relativo”. 55. Se dunque, come appare da questa nostra argomentazione, la tendenza al pieno impiego delle risorse produttive è inessenziale per sostenere le tesi di Duesenberry, resta da chiarire perché l’autore assuma esplicitamente questa ipotesi nel contesto della sua analisi. A nostro modo di vedere, si può dire, più in generale, che nell’opera di Duesenberry può essere individuata un’ambiguità, che consiste nella coesistenza di considerazioni di carattere sociologico, attinenti al ruolo della società nella determinazione di alcune variabili economiche, e che conducono alle sue ipotesi sulla funzione del 107 consumo, su un quadro teorico generale che corrisponde in linea di massima all’interpretazione di Keynes fornita dalla “sintesi neoclassica”142. Così la possibilità di recessioni del reddito e degli equilibri di sottoccupazione è limitata all’analisi di breve periodo, mentre nel lungo periodo si suppone che l’operare delle forze di mercato conduca naturalmente a posizioni di pieno impiego. Che la coesistenza di questi due elementi teorici rappresenti un’ambiguità emerge ad esempio molto chiaramente nell’analisi svolta da Duesenberry con riferimento agli effetti dell’irreversibilità della relazione tra reddito e consumo nell’ambito della teoria della crescita. Vediamola brevemente, per chiarire il senso delle nostre affermazioni. Sulla base del grafico di figura 4, Duesenberry definisce “effetto a uncino143” il particolare andamento dei consumi aggregati al variare del reddito aggregato che emerge dalle sue ipotesi sulla propensione al consumo. Quindi afferma: “Questo cosiddetto “effetto ad uncino” costituisce un importante elemento di collegamento tra la teoria dello sviluppo economico e quella del ciclo, poiché spiega come mai ciascun ciclo economico si stabilisca a un più alto livello di reddito e consumo del precedente. In ciascuna fase di espansione [...] si sfruttano gli incrementi di produttività del boom precedente, così che il reddito cresce ad un livello superiore del precedente, e quando gli investimenti diminuiscono, anche il reddito e il consumo diminuiscono, ma non al livello del periodo di depressione precedente. L’uncino impedisce al sistema economico di slittare indietro ogni volta e di perdere così tutti gli incrementi di 142 Cfr. Capitolo I, §I.D, paragrafi 12-14. 143 Cfr. Duesenberry (1949), cap. 7, pag. 121. 108 reddito realizzati nei periodi precedenti144”. Ora, il nocciolo della questione è che Duesenberry appare in questi passi intuire come l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo possa fornire una giustificazione teorica all’espansione della domanda aggregata finale, necessaria, in un’ottica keynesiana, a spiegare la crescita del prodotto reale145. Il problema è che se si postula il pieno impiego delle risorse produttive nel lungo periodo, come Duesenberry fa a più riprese, non si vede la necessità di indagare le cause di un’espansione della domanda aggregata per spiegare la crescita economica. Se infatti nel lungo periodo il sistema gravita intorno a posizioni di pieno impiego, perché esiste un meccanismo che adegua il livello degli investimenti al livello dei risparmi di pieno impiego, e questo vuol dire, come abbiamo visto nel capitolo I, muoversi all’interno della teoria marginalista del valore e della distribuzione, allora la crescita del prodotto reale dipenderà dalle variazioni delle condizioni tecniche di produzione e dai movimenti demografici, considerate insieme con il saggio di risparmio sul reddito di pieno impiego che determinerà il trend dell’accumulazione di capitale. In questo caso la domanda aggregata finale non avrà perciò un ruolo determinante nella spiegazione della crescita economica. D’altro canto, se invece non esiste un meccanismo che adegui il livello degli investimenti al livello dei risparmi di pieno impiego, e non ci si muove quindi in un’ottica marginalista, allora la spiegazione della 144 145 Cfr. Duesenberry (1949), cap. 7, pag 122-123. Vedremo nel dettaglio nel prossimo capitolo in che senso l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo possa contribuire a spiegare la crescita della domanda aggregata nel lungo periodo, nel quadro della teoria del livello dell’attività economica brevemente abbozzata nel capitolo III. 109 crescita nel lungo periodo delle componenti della domanda aggregata finale diviene essenziale per comprendere la crescita del prodotto reale; quest’ultima infatti sarà essenzialmente determinata dalle variazioni autonome dell’incentivo a investire, insieme di nuovo alle variazioni delle condizioni tecniche di produzione e ai movimenti demografici. In questo caso però, non sarebbe giustificato affermare aprioristicamente che il reddito debba gravitare nel lungo periodo intorno al livello che garantirebbe il pieno impiego delle risorse produttive. 56. Possiamo così asserire, in conclusione, che Duesenberry inserisce nell’analisi economica la determinazione sociale dei modelli di consumo, sintetizzando gli esiti di un dibattito significativo, e che si protraeva da tempo; argomenta che questo elemento genera una irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo, e intuisce l’esistenza di una relazione tra l’irreversibilità della relazione tra reddito e consumo, la dinamica della domanda aggregata, e l’andamento nel lungo periodo del prodotto reale. Sviluppa l’insieme di queste osservazioni assai significative nell’ambito di un contesto teorico in cui si ammette per ipotesi che nel lungo periodo il sistema graviti attorno a posizioni di pieno impiego delle risorse produttive. Abbiamo peraltro mostrato come a nostro modo di vedere l’analisi della funzione del consumo proposta da Duesenberry appaia indipendente da tale ipotesi e abbiamo accennato ad un’interpretazione in un’ottica diversa delle possibili implicazioni di tale analisi. Nel capitolo successivo approfondiremo la possibili connessioni tra 110 l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo e la teoria della determinazione del livello dell’attività economica quale l’abbiamo delineata nel capitolo III. §IV.H L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi di Modigliani 57. Una trattazione della propensione al consumo per molti aspetti simile a quella proposta da Duesenberry viene avanzata, quasi contemporaneamente e indipendentemente, da Modigliani146 nel suo primo contributo alla teoria del consumo. Egli prende le mosse da un’esposizione critica delle analisi di Smithies, Mosak e Woytinsky che abbiamo visto in questo capitolo147, e rileva la necessità di distinguere nella propensione al consumo due componenti, una relativa ai movimenti ciclici del reddito e una relativa a quelli secolari. Definisce quindi i movimenti secolari del reddito come “quei movimenti che spostano il livello 146 Cfr. Modigliani (1949). E’ molto interessante notare come Modigliani e Duesenberry siano giunti a conclusioni quasi identiche in modo del tutto indipendente l’uno dall’altro. Scrive Duesenberry in nota nel lavoro del 1948: “Una parte di questo saggio fu presentata alla riunione della Società Econometrica nel gennaio 1947. Nella stessa riunione il Prof. Franco Modigliani presentò un saggio contenente una relazione risparmio-reddito quasi identica”. Cfr. Duesenberry (1948), pag. 35, nota 2. Gli fa eco Modigliani nel suo lavoro, scrivendo: “Mr. Duesenberry independently developed and tested a hypothesis very similar to our equation [...]”. Cfr. Modigliani (1949), pag. 386, nota 23. Così in questi paragrafi esporremo l’analisi di Modigliani sottolineando la profonda similarità tra il suo lavoro e quello di Duesenberry. Vedremo in questo modo che alcune delle considerazioni avanzate con riferimento all’analisi di Duesenberry possono essere estese quasi senza modifiche all’analisi di Modigliani. 147 Cfr. paragrafo 34 per Mosak, 38-39 per Smithies, e 40-41 per Woytinsky. 111 del reddito pro-capite al di sopra del più alto livello mai raggiunto negli anni precedenti148”, e quelli ciclici come “qualsiasi movimento, sia ascendente che discendente, che lascia comunque il reddito reale pro-capite al di sotto del più alto picco precedente149”. Definisce poi “indice ciclico del reddito150” il rapporto Yt − Y0 Yt dove Y0 indica il massimo livello di reddito reale pro-capite raggiunto nei periodi antecedenti t. L’ipotesi di Modigliani è che l’indice ciclico del reddito appaia come argomento nella funzione del consumo assieme al reddito corrente, e che il saggio di risparmio sul reddito vari in relazione diretta con le variazioni di questo indice151. Possiamo tradurre analiticamente questa ipotesi scrivendo Y − Y0 St = f t Yt Yt (9 L’equazione 9 indica che il saggio di risparmio sul reddito è funzione dell’indice ciclico del reddito. Sulla base di questa equazione, è possibile 148 Cfr. Modigliani (1949), pag. 379. (I riferimenti di pagina sono all’edizione citata in bibliografia). (Traduzione dall’inglese nostra). 149 Cfr. Modigliani (1949), pag. 379. (Traduzione dall’inglese nostra). Torneremo più avanti sul significato di queste definizioni. 150 Cfr. Modigliani (1949), pag. 379. 151 “[...] The hypothesis we offer states that the proportion of income saved will be positively related to, and largely explained by, the cyclical income index”. Cfr. Modigliani (1949), pag 379. 112 studiare come varia il saggio del risparmio sul reddito al variare del reddito corrente, scrivendo la derivata parziale della funzione rispetto a Yt. Avremo S ∂ t Yt ∂Yt = Y − Y0 ∂ t Yt ∂f ⋅ ∂Yt Y − Y0 ∂ t Yt ( 10 Il significato di questa equazione 10 è che il saggio di risparmio sul reddito è costante nei limiti in cui l’indice ciclico del reddito non vari al variare del reddito stesso. Così, nel lungo periodo, quando l’indice ciclico del reddito tende ad essere costante al variare del reddito - perché, sostiene Modigliani, e discuteremo più avanti questa ipotesi, date le definizioni di movimenti ciclici e movimenti secolari del reddito, gli incrementi del reddito a livelli superiori del massimo raggiunto in precedenza avverranno a tassi approssimativamente costanti152, perché dipendono dai soli incrementi di produttività153 - il saggio 152 Più avanti nel testo discuteremo analiticamente questa ipotesi. Riteniamo però opportuno riportare già adesso tutti i brani del saggio di Modigliani (1949) da cui è possibile capire come egli deduca questa ipotesi di costanza del saggio di crescita del reddito nel lungo periodo. Cfr., in primo luogo, il brano a pag. 383, ove, nell’analisi di un’equazione lineare ottenuta come stima della sua funzione del consumo sui dati empirici, egli afferma: “As long as income rises secularly, Yt and Y0 will rise together. Therefore, the saving-income ratio will depend not on income but essentially on the rate of change in income. This can best be seen [...] [in the] equation [...] S t = −2 + 0,102Yt + 0,125(Yt − Y0 ) Since the constant term is entirely negligible in comparison with the relevant values of Y, saving tends to represent approximately 10 percent of incomes plus some 12 percent of the increment of income. [...] Since the normal secular growth is in order of 2 to 3 percent, we may conclude that the saving-income ratio will tend to fluctuate around a level of about 10 ½ 113 del risparmio sul reddito sarà costante e perciò indipendente dal livello assoluto del reddito; il secondo membro dell’equazione 10 sarà infatti pari a 0. Nelle oscillazioni cicliche di breve periodo, invece, quando il reddito cade al di sotto del valore Y0, l’indice ciclico del reddito varia al variare del reddito, diventando negativo, e la propensione media al risparmio sarà inferiore rispetto al livello di lungo periodo. 58. Modigliani giustifica la costanza di lungo periodo della propensione media al consumo sulla base della considerazione che, nel lungo periodo, gli incrementi di reddito ad un tasso “normale”, dovuti secondo il suo punto di vista essenzialmente al progresso tecnico154, verranno generalmente assorbiti dai consumi dei nuovi beni che divengono gradualmente disponibili. Così, secolarmente, il consumo aumenta all’aumentare del reddito. percent. This figure clearly measure also [...] the long-run marginal propensity to save.” (Enfasi aggiunta). Si consideri poi questo brano a pag. 388, ove Modigliani discute la possibilità che la costanza del saggio di risparmio sul reddito si manifesti con un qualche lag temporale: “ [...] When [...] [the cyclical income] index is positive, it measures essentially the rate of growth in income, and if this rate is much higher than the normal secular rate determined by the rate of technological progress, the saving income ratio too must tend to rise above its normal secular level. [...] Finally, our hypothesis states that eventually consumption will rise in proportion to income, but this adjustment may easily occur with some lag.” (Enfasi aggiunta). 153 “[...] An expansion in income above the highest previous peak must, in general, be due to the gradual secular improvement in technology and/or an increase in capital per worker”. Cfr. Modigliani, pag. 379, nota 11. 154 Cfr. note 153-154 paragrafo 57. 114 Per quanto attiene invece al breve periodo, la variabilità ciclica della propensione al consumo viene giustificata dall’autore attraverso la considerazione di tre elementi: 1. le variazioni della distribuzione del reddito durante i periodi recessivi; 2. la rigidità delle abitudini di consumo; 3. le fluttuazioni del livello dell’occupazione155. Con riferimento ai cambiamenti ciclici della distribuzione del reddito, egli afferma che le violente fluttuazioni del reddito tendono ad avere effetti proporzionalmente più accentuati sugli agricoltori e sulle imprese che sui lavoratori. Supponendo che i percettori di profitto abbiano una propensione media al risparmio maggiore rispetto ai salariati, la propensione media al risparmio della collettività tende ad essere più bassa quando il reddito oscilla ciclicamente al di sotto del massimo dei periodi precedenti. Per quanto riguarda la rigidità delle abitudini di consumo, Modigliani si limita a constatarne la plausibilità, e a illustrarne l’influenza sulla propensione media al consumo, nei termini in cui l’abbiamo già vista nell’esporre la trattazione di Duesenberry, e rimandando in nota alle argomentazioni di quest’ultimo156. Per quanto riguarda infine le fluttuazioni nel livello dell’occupazione, egli osserva come le variazioni di breve periodo del reddito aggregato si accompagnino generalmente a variazioni nella direzione opposta del tasso di 155 “With respect to our cyclical hypothesis, there are numerous supporting factors. We confine ourselves here to considering briefly the three that seem to be quantitatively most important: a) cyclical changes in the income distribution, b) rigidity of acquired consumption habits, and c) fluctuations in the level of unemployment”. Cfr. Modigliani (1949), pag. 385. 156 Cfr. Modigliani (1949), pag. 386, nota 23. 115 disoccupazione; e poiché “[...] nonostante i disoccupati non producano reddito, comunque devono mantenere una parte dei loro consumi157”, al diminuire del reddito aggregato, e perciò dell’occupazione, la propensione media al consumo tenderà ad aumentare rispetto al suo valor medio di lungo periodo. 59. E’ ora opportuno soffermarci su alcuni aspetti della trattazione di Modigliani che meritano qualche approfondimento. Abbiamo visto nel paragrafo 57 le definizioni che egli formula dei concetti di movimento ciclico e movimento secolare del reddito158. Tali definizioni appaiono in effetti abbastanza peculiari. Dire che i movimenti secolari del reddito sono quelli che portano il livello aggregato del reddito reale al di sopra del massimo reddito mai raggiunto dal sistema economico, mentre sono ciclici tutti quelli che lo fanno oscillare al di sotto di questo picco massimo, equivale ad ammettere per ipotesi che nel lungo periodo il reddito non possa mai diminuire. A nostro modo di vedere, sottesa a queste definizioni sta l’ipotesi implicita che il sistema economico tenderebbe nel lungo periodo a impiegare tutte le risorse disponibili. Modigliani interpreta in questo modo il reddito massimo Y0 che compare nell’equazione 10 come il reddito che corrisponde in ogni periodo al pieno impiego delle risorse produttive; così un aumento del reddito al di sopra 157 Cfr. Modigliani (1949), pag 387. (Traduzione dall’inglese nostra). 158 Riportiamo qui, per comodità, queste definizioni. “By secular movement of income we mean a movement that carries real income per capita above the highest level reached in any preceding year; by cyclical movement we mean any movement, whether upward or downward, that leaves real income per capita below the highest previous peak”. Cfr. Modigliani (1949), pag. 379. 116 di Y0 avviene per Modigliani solo nel lungo periodo, e non può che essere dovuto a incrementi nelle attrezzature per lavoratore, o al progresso tecnologico159, mentre una sua diminuzione non può che essere dovuta a fenomeni di carattere ciclico e congiunturale Di fatto Modigliani rende esplicita un’ipotesi che abbiamo mostrato essere implicita anche nell’analisi di Duesenberry: secondo questi autori, in sostanza, il reddito gravita nel lungo periodo intorno al livello di pieno impiego, e oscilla ciclicamente solo al di sotto di questo livello di pieno impiego. Così quando il reddito è al di sotto dell’ultimo picco di massimo, l’economia è in condizioni di sottoccupazione, e l’analisi è riferibile al breve periodo. Quando invece il reddito è al di sopra dell’ultimo picco di massimo, significa che l’economia sta crescendo, nel lungo periodo, su un sentiero di espansione in condizioni di pieno impiego. 160 Rappresentiamo graficamente questa nostra interpretazione dell’idea di Modigliani in figura 5. In ascissa e in ordinata misuriamo variabili reali procapite. La retta OB è l’intercetta a 45°. La retta OC indica la relazione di lungo periodo tra reddito e consumo che spiegherebbe i dati di Kuznets. Le rette a, b e c indicano il comportamento ciclico della funzione del consumo, così come desumibile dall’analisi di Modigliani. Le frecce danno un’idea della direzione in cui ci si muove lungo le varie curve. 159 Cfr. ad esempio Modigliani (1949), pag. 379, nota 11, dove, a proposito della definizione di movimenti ciclici e secolari del reddito, si afferma: “[…] This is in accordance with Marshall’s use of “secular”, since an expansion in income above the highest previous peak must, in general, be due to the gradual secular improvement in technology and/or an increase in capital per worker.” 160 Cfr. paragrafi 49 e 54. 117 B C C c b a O Y Figura 5 La questione che abbiamo sollevato è visibile graficamente nel fatto che la retta OC non emerge come l’interpolazione di una nuvola di punti che corrisponde alle combinazioni di reddito e consumo sperimentate dall’economia di anno in anno, nel susseguirsi delle normali fluttuazioni cicliche del reddito; ma si colloca invece sui picchi delle funzioni di breve periodo, esattamente come accade nell’analisi di Samuelson161. Vi è però un’importante differenza tra l’analisi di Samuelson e quella di Modigliani nella spiegazione dei dati di Kuznets: il primo infatti vede la costanza della propensione media al consumo che emerge dai dati di Kuznets come risultante di una concatenazione di eventi che non è necessariamente destinata a ripetersi, per cui il saggio di incremento dei bisogni di consumo è risultato, nel periodo di rilevazione preso in esame da Kuznets, all’incirca pari al saggio di incremento del “potenziale produttivo”162; per il secondo invece questa concatenazione di eventi si riproduce nel lungo 161 Cfr. paragrafi 42-44. 162 Cfr. in merito paragrafo 43. 118 periodo in modo tendenzialmente sistematico, come effetto secondario del processo di innovazione tecnologica163, in un sistema economico che nel lungo periodo impiega tutte le risorse disponibili. Il che significa che in Modigliani la teoria economica deve spiegare perché nel lungo periodo la propensione media e quella marginale al consumo si mantengano proprio su quel livello e non su un altro. Nel saggio del 1949, peraltro, non è dato trovare risposta a questo quesito164. 60. Come abbiamo fatto già notare nel paragrafo 57, e come emerge dalla breve sintesi delle sue argomentazioni che abbiamo proposto nel paragrafo 58 e dal grafico di figura 5, l’analisi di Modigliani è simile per molti aspetti a quella già esaminata di Duesenberry. Nei prossimi paragrafi mostreremo anzi come ci sembri possibile argomentare che, da un punto di vista analitico, le due analisi siano sostanzialmente identiche. Questo fatto ci porterà ad estendere all’analisi di Modigliani molte delle considerazioni già avanzate con riferimento all’analisi di Duesenberry. 163 “[…] Economic expansion is not characterized by the avalaibility of increasing quantities of the same commodities, but rather by the continuous improvement of many old commodities and by the continuous appearance of entirely new ones. […] Actually the increment in income accruing to each group of income receivers tends to be avsorbed by the new commodities that gradually become avalaible.” Cfr. Modigliani (1949) pag. 385. 164 Lo stesso Modigliani rileva in un’opera successiva: “[…] Si deve tuttavia notare che l’ipotesi Duesenberry-Modigliani-Brown potrebbe ancora non essere in grado di fornire una spiegazione del basilare livello di lungo periodo intorno al quale la quota di risparmio fluttua ciclicamente”. Cfr. Modigliani (1975), pag 177. (I riferimenti di pagina sono relativi all’edizione italiana citata in bibliografia). E’ questa considerazione che probabilmente ha spinto l’autore a ulteriori elaborazioni sino alla teoria del ciclo vitale. 119 61. Abbiamo visto come Modigliani ritenga che il saggio di risparmio sul reddito sia funzione dell’indice ciclico del reddito; e come egli formuli questa ipotesi in un’equazione del tipo della 9, che riportiamo per comodità Y − Y0 St = f t Yt Yt Ora, se il saggio di risparmio sul reddito è funzione dell’indice ciclico del reddito, sarà certamente vero che il livello dei risparmi è funzione del livello del reddito e dell’indice ciclico del reddito. In formule avremo Y − Y0 S t = q Yt , t Yt ( 11 Così la propensione marginale al risparmio, cioè la derivata parziale della funzione rispetto a Yt, sarà pari a Y − Y0 ∂ t Yt ∂S t ∂q ∂q = + ⋅ ∂Yt ∂Yt ∂Yt Y − Y0 ∂ t Yt ( 12 Confrontiamo queste equazioni con le equazioni 7 e 8 formulate da Duesenberry165, che riportiamo qui per comodità Y S t = f Yt , t Y0 165 Cfr. paragrafo 50. 120 Y ∂ t Y ∂S t ∂f ∂f = + ⋅ 0 ∂Yt ∂Yt Y ∂Yt ∂ t Y0 E’ abbastanza evidente che le equazioni con cui abbiamo ricostruito l’analisi di Modigliani differiscono da quelle formulate da Duesenberry solo per il modo diverso di indicare la dipendenza del livello dei risparmi dal “reddito relativo”. Entrambe le formulazioni, dunque, sono perfettamente idonee a rappresentare analiticamente l’“ipotesi del reddito relativo”, ed entrambe sono soggette perciò alla medesima interpretazione. In particolare anche nelle equazioni 11 e 12, nonché nel grafico di figura 5, è perfettamente visibile quell’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo che abbiamo sottolineato occupandoci dell’analisi di Duesenberry: nel lungo periodo, quando per Modigliani, secondo un’ipotesi che discuteremo più avanti, il reddito cresce approssimativamente a tassi costanti166, in condizioni di pieno impiego e per i soli incrementi di produttività, il secondo addendo del secondo membro dell’equazione 12 sarà nullo. Cosicché la propensione marginale al risparmio nel lungo periodo sarà pari a ∂S t ∂q = ∂Yt ∂Yt e, sulla base delle argomentazioni che abbiamo visto nel paragrafo 58, sarà costante. Nel breve periodo invece, l’indice ciclico del reddito tenderà a variare al variare del reddito, ragion per cui la propensione marginale ciclica al 166 Cfr. nota 150, e più avanti paragrafo 61. 121 risparmio risulterà essere maggiore di quella secolare. Avremo che, simmetricamente, la propensione marginale al consumo sarà costante nel lungo periodo e inferiore a tale valore costante nel breve periodo. 62. Ora, se l’analisi di Modigliani è, da un punto di vista analitico, immediatamente riconducibile a quella di Duesenberry, come appare dalla nostra argomentazione, essa risulterà soggetta alle medesime osservazioni. In particolare, abbiamo visto come Modigliani definisca i movimenti secolari del reddito come quei movimenti che spostano il livello del reddito aggregato al di sopra del più alto livello di reddito precedentemente raggiunto. Abbiamo anche visto come, di conseguenza, egli appaia interpretare il massimo reddito passato Y0 che compare nell’equazione 10 e nell’equazione 12 come corrispondente, nel lungo periodo, al reddito di pieno impiego del periodo precedente167. In questo modo l’“indice ciclico del reddito” Yt − Y0 può essere interpretato Yt come il tasso di crescita del reddito di pieno impiego nel lungo periodo. Perciò l’“indice ciclico del reddito” non varierà nel lungo periodo al variare del reddito, solo se è possibile supporre che il tasso di crescita del reddito di pieno impiego sia nel lungo periodo costante. Ammessa questa ipotesi, le propensioni media e marginale al consumo risulteranno, sulla base delle equazioni 10 e 12 e delle considerazioni esposte nel paragrafo 57, secolarmente costanti. Il problema è di capire come Modigliani giustifichi questa costanza nel lungo 167 Cfr. paragrafo 59. 122 periodo del saggio di crescita del reddito. Per quel che ci è dato di capire egli sembra ritenere che nel lungo periodo, poiché il reddito gravita intorno al livello di pieno impiego, il tasso di crescita del reddito oscillerà in media attorno a un valore “normale” determinato dal solo “tasso di progresso tecnico”168. Di fatto, cioè, Modigliani sembra in qualche modo giustificare la costanza del saggio di crescita del reddito con l’ipotesi che nel lungo periodo il reddito graviti intorno al livello di pieno impiego, esattamente come fa Duesenberry. Ora, come abbiamo dimostrato con riferimento all’analisi di Duesenberry169, l’ipotesi di pieno impiego non è condizione sufficiente per affermare la costanza del saggio di crescita del reddito; questo significa che non è possibile dedurre direttamente la costanza del saggio di crescita del reddito dall’ipotesi di pieno impiego. D’altro canto, se l’ipotesi di pieno impiego è inessenziale ai fini dell’argomentazione di Duesenberry, come abbiamo sostenuto nell’esposizione della sua analisi, allora essa sarà altrettanto inessenziale nell’analisi di Modigliani, poiché abbiamo dimostrato che quest’ultima può essere di fatto ricondotta alla prima. Possiamo così concludere che l’ipotesi di pieno impiego non sembra essere implicita nell’“ipotesi del reddito relativo”, e che perciò, secondo la nostra interpretazione, l’irreversibilità della relazione tra reddito e consumo e l’ipotesi di pieno impiego sono due questioni scindibili e indipendenti l’una dall’altra. 168 Cfr. i brani riportati nella nota 150, paragrafo 57. 169 Cfr. paragraf1 51 e 54. 123 Capitolo V L’IPOTESI DEL REDDITO RELATIVO NELL’ANALISI DELLA CRESCITA ECONOMICA §V.A Introduzione 63. Nel capitolo precedente abbiamo esposto il dibattito statistico e teorico sulla propensione al consumo nel quindicennio successivo alla pubblicazione della “Teoria Generale” di Keynes, soffermandoci in particolare sulle analisi di Samuelson, Duesenberry e di Modigliani. Abbiamo quindi sottolineato come il tratto caratterizzante di tali analisi, definite in generale “ipotesi del reddito relativo”, sia costituito dall’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo, che nelle trattazioni di questi autori si esplica nella differenza tra la propensione marginale ciclica al consumo e quella secolare. Abbiamo poi notato come l’intuizione dell’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo sia collocata da questi autori, pur in modo diverso l’uno dall’altro, e con diverse sfumature, in un contesto in cui nel lungo periodo si suppone che l’operare delle forze di mercato conduca naturalmente alla piena occupazione delle risorse disponibili. A questo proposito, abbiamo anche illustrato come l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo, che discende a nostro modo di vedere dalla caratterizzazione sociale dei modelli di consumo, appaia peraltro indipendente da tale ipotesi di pieno impiego. 124 In questo capitolo ci proponiamo di verificare se l’“ipotesi del reddito relativo” possa essere rivisitata nell’ambito della teoria del livello dell’attività economica che abbiamo brevemente delineato nel capitolo III. Vedremo in quest’ottica come l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo possa contribuire a spiegare l’espansione della domanda aggregata finale, in presenza delle normali fluttuazioni cicliche del flusso degli investimenti, come del resto già intuito da Duesenberry, sia pure in un’ottica diversa. Illustreremo questa posizione con un semplice modello analitico e con una esemplificazione numerica che permettano una migliore visualizzazione dei termini della questione. §V.B L’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo e l’ipotesi di pieno impiego. 64. Iniziamo la nostra trattazione illustrando meglio in che senso, da un punto di vista concettuale, l’“ipotesi del reddito relativo” possa essere considerata indipendente dall’ipotesi che nel lungo periodo le risorse risultino sempre pienamente occupate, e cosa cambia nella considerazione dell’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo, nel caso in cui non si assuma per ipotesi il pieno impiego delle risorse nel lungo periodo. 65. Procederemo con un esempio. Supponiamo un’economia chiusa e senza l’intervento dello Stato. Supponiamo che il sistema si trovi in un equilibrio di 125 sottoccupazione e che per un certo numero di anni sperimenti una crescita nulla del reddito e della produzione. Supponiamo anche che il reddito che corrisponde a questo equilibrio di sottoccupazione sia pari al massimo reddito sperimentato dall’economia. Supponiamo ora che in un dato periodo t aumenti il flusso degli investimenti correnti rispetto al reddito corrente. L’aumento degli investimenti ingenererà un sovrautilizzo di capacità produttiva, determinando un aumento della produzione e del reddito secondo il moltiplicatore keynesiano di breve periodo. Secondo l’“ipotesi del reddito relativo”, i consumi aumenteranno, ma poiché il reddito del periodo successivo sarà maggiore del massimo reddito precedentemente sperimentato, la quota dei consumi sul reddito tenderà almeno inizialmente ad essere decrescente. L’idea è che le abitudini di consumo, come abbiamo visto nell’esporre le argomentazioni di Duesenberry170, sono comunque relativamente rigide nel breve periodo, ragion per cui le famiglie impiegheranno del tempo anche per adeguarsi al loro nuovo aumentato potere di acquisto. Ora, supponiamo che in uno dei periodi immediatamente successivi diminuisca improvvisamente l’incentivo a investire. La diminuzione del flusso degli investimenti correnti determinerà una diminuzione del reddito, di nuovo secondo il moltiplicatore keynesiano di breve periodo. In questo caso però la diminuzione del reddito corrente rispetto al massimo reddito del periodo precedente renderà molto rigidi gli standard di consumo, di modo che il livello assoluto della spesa per beni di consumo sarà, almeno inizialmente, quasi immutato. E questo perché la 170 Cfr. capitolo IV, paragrafi 45-56. 126 caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale ci induce a ritenere che le abitudini di consumo siano molto più rigide in presenza di diminuzioni del reddito piuttosto che per i suoi aumenti, in relazione al fatto che la diminuzione del reddito influisce sullo status sociale di una famiglia molto di più di quanto non vi influisca un aumento di pari valore relativamente al massimo reddito del periodo precedente; sulla base delle considerazioni già viste di Duesenberry, infatti, possiamo asserire che la manifestazione sociale di un impoverimento relativo è più temuta nella nostra società di quanto non sia desiderata la manifestazione sociale di un eguale arricchimento relativo. La propensione media al consumo, dunque, tenderà ad essere fortemente crescente. Avremo quindi che per una lira di reddito in più rispetto al massimo reddito del periodo precedente, i consumi aumenteranno per un valore inferiore ad una lira; e per una lira di reddito in meno rispetto al massimo reddito del periodo precedente, i consumi diminuiranno per un valore inferiore ad una lira, e soprattutto inferiore rispetto a quanto non aumenterebbero per un eguale aumento del “reddito relativo”. 66. Da questo esempio è possibile dedurre quali siano, a nostro modo di vedere, le motivazioni per cui l’“ipotesi del reddito relativo” può ben prescindere dall’ipotesi che nel lungo periodo le risorse del sistema economico risultino pienamente impiegate. Essa infatti non è che un modo per esprimere l’ipotesi che i modelli di consumo siano socialmente determinati, e la logica che vi è sottesa non dipende in alcun modo da una particolare teoria del livello 127 dell’attività produttiva, quanto piuttosto da un insieme di considerazioni di carattere sociologico circa i comportamenti delle famiglie nelle scelte di consumo, nelle moderne economie capitalistiche. 67. Notiamo inoltre come l’irreversibilità delle relazioni reddito-consumo che avevamo colto nell’ipotesi del reddito relativo nelle formulazioni di Duesenberry e di Modigliani si manifesti nel nostro esempio in modo differente rispetto a quanto ipotizzato da questi due autori. Nelle loro analisi infatti, l’idea che le decisioni di consumo fossero influenzate dall’evoluzione del reddito corrente rispetto al massimo reddito dei periodi precedenti, insieme all’ipotesi che nel lungo periodo il sistema tende al pieno impiego delle risorse disponibili, inducevano a ritenere che questa irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo operasse nel senso di determinare due diversi andamenti della propensione marginale al consumo: costante nel lungo periodo, e inferiore a tale valore costante nel breve periodo. Nel nostro esempio invece, rimossa l’ipotesi che nel lungo periodo il sistema tenda al pieno impiego delle risorse disponibili, la maggiore rigidità delle abitudini di consumo rispetto a variazioni in negativo del reddito corrente relativamente al massimo reddito dei periodi precedenti, piuttosto che rispetto a sue variazioni in positivo, farà sì che la propensione marginale al consumo sia maggiore nella fase ascendente del ciclo economico, e minore nella fase discendente. 128 §V.C La propensione marginale al consumo e le fasi del ciclo economico. Un esempio: la nostra rilettura dell’analisi di Samuelson 68. Questo modo di leggere l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo a prescindere dall’ipotesi di pieno impiego può contribuire a spiegare il grafico ricostruttivo del senso della trattazione della propensione al consumo che fa Samuelson che abbiamo proposto nel capitolo IV171. Riportiamo per comodità questo grafico in figura 6. C B C O Yd Figura 6 Se consideriamo un quadro teorico in cui il sistema economico non tende al pieno impiego delle risorse, e in cui l’ipotesi del reddito relativo si manifesta nella differenza tra la propensione marginale al consumo nella fase di slump e 171 Cfr. capitolo IV, paragrafo 43-44. 129 la propensione marginale al consumo nella fase di boom, l’andamento della curva a spirale disegnata da Samuelson diviene immediatamente intellegibile. Al diminuire del reddito, infatti, secondo il nostro modo di interpretare l’irreversibilità della relazioni tra reddito e consumo, la propensione marginale al consumo tende a diminuire, e la quota dei consumi sul reddito tende ad aumentare. Quando il reddito invece aumenta, la propensione marginale al consumo tende ad aumentare, mentre la quota dei consumi sul reddito tende a diminuire. La curva a spirale rappresenta in modo abbastanza fedele questo andamento della relazione tra reddito e consumo172. §V.D L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi delle crescita economica: un’ipotesi interpretativa 69. Abbiamo visto come l’“ipotesi del reddito relativo”, e l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo di cui essa è espressione, appaiano essere indipendenti dall’ipotesi che nel lungo periodo il sistema economico tenda ad impiegare pienamente tutte le risorse disponibili. Abbiamo anche visto come, eliminando l’ipotesi di pieno impiego, sia possibile riformulare, in modo diverso da quanto ipotizzato da Duesenberry e da Modigliani, l’andamento della propensione marginale al consumo rispetto alle fasi del ciclo economico. 172 Ci si può chiedere invero per quale motivo l’andamento della curva a spirale sia tale che la differenza tra il picco di espansione massima e quello di massima recessione all’interno di ogni ciclo economico è progressivamente crescente, quasi si stesse supponendo oscillazioni cicliche del reddito che aumentino di ampiezza a mano a mano che l’economia raggiunga più alti livelli di reddito. 130 A titolo esemplificativo abbiamo riletto la trattazione di Samuelson nei termini di questa nostra interpretazione dell’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo. Ci proponiamo ora di illustrare il ruolo che l’“ipotesi del reddito relativo”, così reinterpretata, può giocare nel quadro della teoria del livello dell’attività economica che abbiamo brevemente delineato nel capitolo III. 70. L’“ipotesi del reddito relativo” implica che le relazioni tra reddito e consumi siano irreversibili, cioè che la propensione al consumo abbia un andamento differente a seconda che il reddito aumenti o diminuisca. Abbiamo visto come, laddove non si supponga che il sistema economico tenda nel lungo periodo ad impiegare tutte le risorse disponibili, tale irreversibilità si manifesti nel fatto che la propensione marginale al consumo è maggiore nella fasi di espansione del reddito, e minore in quelle di recessione. Questa caratterizzazione della propensione marginale al consumo ha importanti conseguenze per quanto attiene alla determinazione del livello del reddito aggregato, in relazione alle fluttuazioni cicliche del flusso degli investimenti. Riprendiamo infatti l’esempio del paragrafo 65. Supponiamo che in un’economia chiusa e senza l’intervento dello Stato, le risorse non siano pienamente utilizzate, e il sistema sperimenti un equilibrio di sottoccupazione. Supponiamo che il reddito che vi corrisponde sia il massimo reddito sperimentato dal sistema economico. Supponiamo che nel periodo t aumentino gli investimenti correnti rispetto al reddito corrente per un ammontare pari a ∆I*. Per l’ipotesi del reddito relativo la propensione marginale al consumo sarà 131 pari a un certo valore 0 < c* < 1. L’incremento del reddito secondo il moltiplicatore keynesiano sarà ∆Y * = 1 ⋅ ∆I * * 1− c ( 13 Ora, supponiamo invece che nel periodo t il flusso degli investimenti correnti diminuisca rispetto al reddito corrente per un valore di nuovo pari, in valore assoluto, a ∆I*. Per l’ipotesi del reddito relativo la propensione marginale al consumo sarà pari a un certo valore c- tale che 0 < c- < c* < 1. Così il decremento di reddito misurato di nuovo dal moltiplicatore keynesiano sarà pari a ∆Y − = 1 ⋅ ∆I * − 1− c ( 14 Ora, poiché c- < c*, ne risulterà che ∆Y − < ∆Y * ovvero che a fronte di una variazione degli investimenti di uguale valore assoluto, il reddito diminuisce, quando gli investimenti diminuiscono, di meno rispetto a quanto non aumenti quando invece gli investimenti aumentano. 71. L’andamento diverso della propensione marginale al consumo rispetto alle fasi del ciclo economico, dunque, fa sì che, al diminuire delle componenti autonome della domanda aggregata, la spesa per beni di consumo venga a costituire una sorta di pavimento che impedisce diminuzioni più accentuate del reddito e della produzione. Così, qualora supponessimo che le fluttuazioni 132 cicliche degli investimenti intorno a un valore costante di lungo periodo avvengano secondo una distribuzione di probabilità a media zero, queste fluttuazioni degli investimenti determinerebbero un andamento crescente del reddito aggregato, poiché abbiamo visto che l’ipotesi del reddito relativo implica che il reddito diminuisce meno nelle fasi recessive di quanto non aumenti in quelle espansive. E tale andamento crescente sarà interamente spiegato dalla relazione tra reddito e consumo che fornisce la domanda aggregata finale necessaria affinché la produzione addizionale trovi sbocco sul mercato dei beni e dei servizi. §V.E L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi della crescita economica: un semplice modello esemplificativo 72. Nella parte finale di questo capitolo ci proponiamo di illustrare meglio come il fatto che la propensione marginale al consumo sia diversa nelle fasi di espansione e nelle fasi di recessione del ciclo economico, fatto che noi rappresentiamo con l’ipotesi del reddito relativo, contribuisca a spiegare l’andamento crescente del prodotto reale. Mostreremo prima come ciò sia verificabile con un semplice modello analitico, che vuole avere esclusivamente carattere esemplificativo. Sulla base di tale modello procederemo quindi ad una esemplificazione numerica che renda ancora più visibili i termini della questione. 133 73. Supponiamo un’economia chiusa e senza l’intervento dello Stato. Supponiamo costanti il sistema dei prezzi e la distribuzione del reddito. E’ assente l’inflazione. Chiamiamo Y il reddito nazionale netto, I gli investimenti netti, S i risparmi netti, C i consumi privati, c la propensione marginale al consumo, a la quota degli investimenti netti sul reddito del periodo precedente. Il nostro modello teorico sarà Yt = C t + I t C t = C (C i ) + ct Yt → i = 1,2....t − 1 St = I t I t = at Yt −1 a t = a + ε → E (ε ) = 0; σ (ε ) = k Sistema 1 2 c * ⇔ Yt ≥ YMAX (t −1) ct = − * c < c ⇔ Yt < YMAX (t −1) Illustriamone brevemente il significato e le proprietà. La prima equazione costituisce l’usuale rappresentazione del reddito in termini di domanda aggregata. La seconda equazione indica che i consumi dipendono, in parte dal reddito corrente secondo la propensione marginale al consumo corrente, e in parte dai consumi nei periodi precedenti secondo una relazione funzionale che non ci interessa individuare, almeno in questa sede. Considereremo dato, di periodo in periodo, questo secondo fattore173. La terza equazione è l’usuale condizione di uguaglianza tra domanda e offerta aggregata. La quarta equazione indica che gli investimenti dipendono secondo un fattore 173 Vedremo più avanti di approfondire il senso di questo modo inusuale di trattare la funzione del consumo. 134 proporzionale at dal reddito passato174. La quinta equazione indica che tale fattore è costante a meno di disturbi casuali (ε è un disturbo casuale con distribuzione uniforme a media zero e varianza data175). Infine la sesta equazione esplicita in forma molto semplificata la nostra interpretazione dell’ipotesi del reddito relativo: quando il reddito corrente è maggiore del reddito massimo passato, la propensione marginale al consumo assume un certo valore dato c*; quando invece il reddito corrente è minore del reddito massimo passato, la propensione marginale al consumo assume un altro valore dato176 c- minore di c*. Abbiamo 6 equazioni in 6 incognite per un sistema di equazioni perfettamente determinato. 174 Il significato di questa equazione è che gli imprenditori investono in relazione all’andamento della domanda aggregata, che prevedono sulla base del reddito nel periodo precedente. E’ un’ipotesi molto forte, che infatti è mitigata dalla volatilità di at, e che comunque utilizziamo solo a fini esemplificativi. Questa rappresentazione coinvolge infatti molte altre questioni di carattere teorico, come le ipotesi di formazione delle aspettative e la teoria dell’acceleratore, che, in questa sede, ci esimeremo dal trattare. 175 Chiariremo il concetto di distribuzione uniforme più avanti nel testo. 176 E’ chiaro che, data l’interpretazione dell’ipotesi del reddito relativo che abbiamo avanzato nei paragrafi precedenti, assumere che la propensione marginale al consumo abbia lo stesso valore dato e costante in ogni fase di boom ed un altro minore valore dato e costante in ogni fase di slump è un’evidente forzatura che facciamo solo per semplificare le funzioni del modello. Tale forzatura non appare comunque essenziale ai fini del nostro ragionamento. Ciò che è rilevante ai nostri fini è mostrare che se la propensione marginale al consumo è maggiore nelle fasi di boom e minore nelle fasi di slump, l’ipotesi del reddito relativo è in grado di spiegare l’andamento crescente del reddito reale in presenza di fluttuazioni cicliche degli investimenti. 135 74. Prima di procedere oltre richiamiamo brevemente il concetto di distribuzione uniforme177, altrimenti detta rettangolare, e le motivazioni che ci hanno indotto ad utilizzare questo tipo di distribuzione teorica. La distribuzione uniforme è una distribuzione teorica in cui la funzione di densità assume lo stesso valore non nullo in un intervallo limitato costituito da due numeri reali. Così se a e b sono due numeri reali, con a < b, la funzione di densità di una distribuzione uniforme sarà 0 1 f ( x) = b − a 0 ⇔ x<a ⇔a≤ x≤b ⇔b<x Nel nostro modello abbiamo utilizzato questo tipo di distribuzione di probabilità perché dobbiamo tener conto del fatto che nel breve periodo la capacità produttiva è data in forma specifica, ragion per cui la fluttuazione casuale degli investimenti non potrà essere tale da causare sovrautilizzi di capacità produttiva che oltrepassino i limiti tecnici dell’attrezzatura produttiva installata; e d’altro canto i sottoutilizzi di capacità produttiva non potranno condurre all’assurda situazione di una produzione negativa. La distribuzione uniforme ci consente di limitare il range delle oscillazioni cicliche casuali del flusso degli investimenti a valori economicamente significativi, poiché ci è possibile fissare esogenamente, e in virtù di considerazioni attinenti alla sola plausibilità economica di tali valori, l’intervallo dei valori ammissibili per il quale la probabilità che la quota degli investimenti sul reddito precedente si scosti dal suo valore di lungo periodo sia positiva. 177 Cfr. ad esempio Di Ciaccio-Borra (1996), Cicchitelli (1984). 136 75. Torniamo ora al nostro modello. Sulla base del sistema 1 è immediatamente possibile dedurre la formula del moltiplicatore keynesiano di breve periodo. Esso sarà pari a ∆Y = 1 ⋅ [∆C (C i ) + ∆I ] 1 − ct 76. Supponiamo ora che la quota degli investimenti sul reddito passato sia costante per due anni al livello at, e che poi aumenti invece nel terzo anno. Avremo che in questo terzo anno gli investimenti aumenteranno, e così il reddito, che subirà un incremento tanto maggiore quanto maggiore è il moltiplicatore, e quindi quanto maggiore è la propensione marginale al consumo. Secondo il nostro semplice modello, in una fase di crescita del sistema economico, la propensione marginale al consumo è costante ed ha un valore pari a c*. Supponiamo ora che, dopo questa fase di boom, il sistema economico entri in recessione, con la quota degli investimenti sul reddito passato che diminuisce il primo anno sino al livello pre-espansione, per poi raggiungere l’anno successivo un valore sensibilmente inferiore, e che presenti uno scarto rispetto al valore di lungo periodo pari, in negativo, a quello sperimentato, in positivo, nell’anno di espansione. Avremo che gli investimenti diminuiranno, e così il reddito, che di nuovo subirà un decremento tanto maggiore, quanto maggiore è la propensione marginale al consumo. Ora, secondo il nostro modello, la propensione marginale al consumo sarà pari a un valore c- inferiore a c*; ne segue che il reddito diminuirà di meno rispetto a 137 quanto non sia aumentato a fronte di una variazione positiva del rapporto investimenti-reddito di pari valore assoluto. Questo significa che, data un’oscillazione a media zero del rapporto investimenti-reddito attorno al valore medio di lungo periodo, il reddito diminuisce di meno nelle recessioni rispetto a quanto non aumenti nelle espansioni, manifestando così un trend crescente nel lungo periodo. 77. E’ possibile verificare immediatamente come a spiegare l’andamento crescente del reddito reale nel nostro modello sia l’irreversibilità tra reddito e consumi, che si manifesta nel sistema 1 nei due diversi valori assunti dalla propensione marginale al consumo nelle diverse fasi del ciclo economico. Procediamo con una dimostrazione a contrario. Riproduciamo nel sistema 2 il modello del sistema 1, modificando però l’espressione della propensione marginale al consumo, e supponendo che essa sia sempre costante, ovvero che la relazione tra reddito e consumo sia assolutamente reversibile, e cioè indipendente dal ciclo economico. Yt = C t + I t C t = C (C i ) + ct Yt → i = 1,2....t − 1 St = I t I t = at Yt −1 Sistema 2 a t = a + ε → E (ε ) = 0; σ 2 (ε ) = k ct = c Se ripetessimo il ragionamento esposto nel paragrafo 74, vedremmo come a parità di scostamenti in valore assoluto del saggio di investimento sul reddito 138 passato dal suo valore di lungo periodo, le fasi di recessione e di espansione risulterebbero in linea di massima simmetriche, cioè il reddito diminuirebbe ed aumenterebbe nella stessa misura, mantenendosi nel lungo periodo essenzialmente costante. La ragione di questo risultato è da ricercarsi nel fatto che la propensione marginale al consumo è la stessa sia in espansione che in recessione, di modo che il valore del moltiplicatore risulta costante, e che l’entità dell’oscillazione del reddito risulta determinata dalle sole oscillazioni di at e dalla stessa dinamica del reddito nei periodi precedenti. Questo significa che è la differenza di valore della propensione marginale al consumo nel boom e nello slump a spiegare nel nostro modello la crescita del prodotto reale, in presenza di oscillazioni casuali della quota degli investimenti sul reddito intorno al valore costante di lungo periodo. 78. E’ quasi superfluo sottolineare come l’“ipotesi del reddito relativo” spieghi nel nostro semplice modello la crescita del prodotto reale solo se si ammettono oscillazioni cicliche del flusso degli investimenti. Qualora infatti il flusso degli investimenti fosse costante rispetto al reddito del periodo precedente, la crescita del prodotto sarebbe ovviamente nulla a prescindere dalla caratterizzazione della propensione al consumo. 79. Prima di procedere con l’esemplificazione numerica è forse opportuno chiarire le ipotesi sottese alla rappresentazione dei consumi aggregati che abbiamo adottato nel modello esemplificativo. 139 Abbiamo visto nel capitolo IV come la “funzione keynesiana del consumo” sia scrivibile in questi termini C = C 0 + cY ( 15 La nostra formalizzazione nel modello del paragrafo 71, che riproduciamo di seguito, C = C (C i ) + ct Yt ⇔ i = 1,2,...t − 1 ( 16 se ne differenzia sotto tre aspetti: • in primo luogo abbiamo espresso la propensione marginale al consumo in modo tale da riflettere l’ipotesi del reddito relativo, e l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo; B C C b a O Y Figura 7 • in secondo luogo abbiamo considerato variabili con indici temporali, perché volevamo porre l’attenzione sulle variazioni delle grandezze da un periodo all’altro; 140 • infine abbiamo eliminato il termine noto C0, sostituendovi un valore C funzione del consumo nei periodi precedenti. Quest’ultima notazione merita subito una nota di approfondimento. Le funzioni del tipo dell’equazione 15 sono tutte funzioni rappresentabili come la a o la b in figura 7. Il termine noto C0 indica l’intercetta costante della a o della b con l’asse delle ordinate. Da un punto di vista teorico esso rappresenta le componenti della domanda di beni di consumo che non dipendono dal reddito corrente, e che possono includere i cosiddetti fattori di trend che abbiamo esaminato nel capitolo IV. C B C O Y Figura 8 La funzione del consumo che ci interessa, invece, deve avere un andamento del tipo di quello rappresentato nel grafico ricostruttivo dell’analisi di Samuelson in figura 6, o di quello in forma più semplice che proponiamo in figura 8, in cui l’intercetta del prolungamento ideale dei segmenti che rappresentano la 141 propensione al consumo in ognuna della fasi del ciclo economico vari al variare delle fasi del ciclo economico, nonché in relazione al susseguirsi dei cicli stessi. La nostra funzione del consumo deve cioè rappresentare adeguatamente l’idea che la spesa per beni di consumo dipenda dagli standard di consumo acquisiti e dalle oscillazioni cicliche del reddito aggregato. Abbiamo perciò considerato che l’espressione di un’intercetta variabile, espressa come funzione dei consumi nei periodi precedenti, assieme alla variabilità della propensione marginale al consumo rispetto alle fasi del ciclo economico, potessero costituire una prima approssimazione per avviare uno studio analitico più approfondito, da proseguire aldilà di questo lavoro, sulla forma della propensione al consumo, sulla base dell’ipotesi del reddito relativo. Ci preme infine sottolineare come la stessa rappresentazione della variabilità ciclica della propensione marginale al consumo sia stata qui oltremodo semplificata, al fine di rendere immediatamente visibile l’effetto sulla crescita del prodotto reale. Tale rappresentazione, però, può presentare una serie di problemi teorici che necessiteranno in futuro di un’opportuna considerazione. Nel modello infatti abbiamo scritto che la propensione marginale al consumo assume un certo valore c*, quando il reddito è maggiore del massimo reddito dei periodi precedenti, e un altro valore c- inferiore a c*, quando il reddito è inferiore al massimo reddito dei periodi precedenti. Il che è leggermente diverso dal dire che la propensione marginale al consumo è maggiore nelle fasi espansive del ciclo economico che in quelle recessive. Come caratterizziamo infatti i periodi in cui dal punto di minimo reddito in un ciclo economico si 142 inizia a risalire fino al massimo reddito del periodo precedente? Essi costituiscono certamente il periodo espansivo del ciclo successivo, e tuttavia il reddito corrente sarà, almeno per una parte di questo periodo, inferiore al reddito massimo del periodo precedente. §V.F L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi della crescita economica: un esempio numerico 80. Ci proponiamo ora di fornire un’utile esemplificazione numerica che illustri con maggiore immediatezza le argomentazioni sinora sviluppate. Supponiamo che nell’anno 0 il reddito sia pari a 100, i consumi a 80, gli investimenti e i risparmi a 20, la propensione marginale al consumo a 0,7. Supponiamo inoltre che negli anni -1, -2,….-t, il sistema economico abbia sperimentato una fase di crescita zero, con un rapporto investimenti-reddito costante per un valore pari a 0,2. Supponiamo a questo punto che dall’anno 1 sino all’anno 50 il rapporto investimenti reddito vari in modo casuale intorno a questo valore 0,2 secondo una distribuzione uniforme a media zero e varianza data, definita in un intervallo chiuso e limitato (-0,01;0,01)178. Vogliamo studiare l’andamento di reddito e consumi in presenza di queste oscillazioni cicliche della quota degli investimenti sul reddito. Effettueremo due simulazioni: una con una funzione al consumo calcolata secondo una specificazione dell’ipotesi del reddito relativo, sulla scorta del modello del 178 Supponiamo cioè che la quota degli investimenti sul reddito del periodo precedente possa variare al massimo tra 0,19 e 0,21 tra un anno e l’altro. 143 sistema 1; l’altra con una funzione del consumo del tipo che nel capitolo IV abbiamo definito “keynesiana”, con una componente autonoma costante della domanda di beni di consumo, e una propensione marginale al consumo anch’essa costante. Confronteremo poi i risultati e ne trarremo delle indicazioni in merito a quanto sin qui argomentato. 81. Il modello sulla base del quale sarà costruita la prima simulazione è quello rappresentato nel sistema 1, con le funzioni opportunamente esplicitate, e con i valori numerici assegnati. Si noterà come l’equazione che rappresenta la propensione al consumo sia leggermente diversa da quella riportata nel sistema 1. Questo perché nel procedere con un esempio numerico si è reso necessario esplicitare il termine noto C(Ci). Poiché, come più volte ricordato, riteniamo che lo studio accurato di un’espressione funzionale esplicita dell’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo esuli dagli obiettivi del nostro lavoro, abbiamo scelto un’espressione il più possibile semplice: il consumo dipende dal consumo precedente, a significare lo standard di consumo acquisito, e dalle variazioni del reddito, che influiscono in modo maggiore o minore a seconda della differenza tra reddito corrente e massimo reddito dei periodi precedenti. Tale formulazione è esclusivamente esemplificativa, e necessiterà di opportuni approfondimenti teorici. A noi serve per dare un’idea tangibile di quanto asserito in questo lavoro. 144 Yt = C t + I t C t = C t −1 + ct (Yt − Yt −1 ) St = I t I t = at Yt −1 at = 0,2 + ε 0,8 ⇔ Yt ≥ YMAX (t −1) ct = 0,4 ⇔ Yt < YMAX (t −1) Riportiamo in tabella 2 il risultato di questa simulazione. Simulazione con propensione al consumo calcolata secondo l'ipotesi del reddito relativo t 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 Y C I S c a 100 99,6 98,5 99,8 104,2 108,5 113,8 112,1 114,8 122,8 122,6 123,7 123,2 123,0 124,4 126,5 126,3 129,5 133,4 140,1 144,0 148,1 151,9 164,0 169,4 174,1 176,6 190,9 202,7 218,6 219,2 80 79,8 79,4 79,9 83,4 86,9 91,1 90,4 92,6 99,0 98,9 99,8 99,6 99,5 100,7 102,3 102,3 104,8 107,9 113,3 116,4 119,7 122,7 132,4 136,7 140,5 142,5 153,9 163,4 176,1 176,5 20 19,8 19,1 19,9 20,8 21,6 22,7 21,7 22,2 23,8 23,7 23,9 23,6 23,5 23,8 24,2 24,1 24,7 25,5 26,8 27,6 28,4 29,2 31,6 32,7 33,6 34,1 37,0 39,4 42,5 42,7 20 19,8 19,1 19,9 20,8 21,6 22,7 21,7 22,2 23,8 23,7 23,9 23,6 23,5 23,8 24,2 24,1 24,7 25,5 26,8 27,6 28,4 29,2 31,6 32,7 33,6 34,1 37,0 39,4 42,5 42,7 0,7 0,4 0,4 0,4 0,8 0,8 0,8 0,4 0,8 0,8 0,4 0,8 0,4 0,4 0,8 0,8 0,4 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,2 0,19764 0,192014 0,20193 0,207982 0,207692 0,209169 0,19029 0,198148 0,207265 0,192772 0,194901 0,190909 0,190648 0,193283 0,194392 0,190342 0,195701 0,196862 0,201073 0,197147 0,197437 0,197112 0,208206 0,19932 0,198523 0,196078 0,209514 0,206133 0,209825 0,195125 Epsilon -0,00236 -0,00799 0,00193 0,007982 0,007692 0,009169 -0,00971 -0,00185 0,007265 -0,00723 -0,0051 -0,00909 -0,00935 -0,00672 -0,00561 -0,00966 -0,0043 -0,00314 0,001073 -0,00285 -0,00256 -0,00289 0,008206 -0,00068 -0,00148 -0,00392 0,009514 0,006133 0,009825 -0,00487 145 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 235,0 233,5 247,3 264,1 285,5 293,5 296,6 313,0 317,3 335,1 333,3 335,7 335,0 344,2 357,7 372,0 381,2 413,7 412,0 418,2 189,2 188,6 199,6 213,0 230,2 236,6 239,1 252,2 255,7 269,8 269,1 271,1 270,8 278,1 288,9 300,4 307,8 333,7 333,0 338,0 45,8 44,9 47,7 51,0 55,3 56,9 57,5 60,8 61,7 65,2 64,2 64,6 64,2 66,1 68,8 71,6 73,5 79,9 78,9 80,2 45,8 44,9 47,7 51,0 55,3 56,9 57,5 60,8 61,7 65,2 64,2 64,6 64,2 66,1 68,8 71,6 73,5 79,9 78,9 80,2 0,8 0,4 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,4 0,8 0,4 0,8 0,8 0,8 0,8 0,8 0,4 0,8 0,209034 0,191069 0,204101 0,20633 0,20945 0,199326 0,196004 0,205004 0,19703 0,205513 0,191487 0,193969 0,191281 0,197167 0,199741 0,200224 0,197469 0,209718 0,190814 0,194614 0,009034 -0,00893 0,004101 0,00633 0,00945 -0,00067 -0,004 0,005004 -0,00297 0,005513 -0,00851 -0,00603 -0,00872 -0,00283 -0,00026 0,000224 -0,00253 0,009718 -0,00919 -0,00539 Tabella 2 Ai fini di una maggiore leggibilità dei risultati riportati in tabella 2, proponiamo un grafico che illustri l’andamento del reddito e dei consumi aggregati individuato dalla nostra simulazione. 146 Andam ento del reddito e dei consum i nella sim ulazione con propensione al consum o calcolata secondo l'"ipotesi del reddito relativo" 450 400 350 YC 300 250 200 150 100 50 t Y C Figura 9 Risulta evidente dall’analisi del grafico di figura 9 che il reddito ammette un andamento accentuatamente crescente. 82. Verifichiamo ora se tale andamento è interamente spiegato dall’ipotesi del reddito relativo, attraverso la costruzione della nostra seconda simulazione. Sulla scorta del modello del sistema 2, esplicitando le funzioni e attribuendo i valori assegnati ai parametri, avremo 48 45 42 39 36 33 30 27 24 21 18 15 12 9 6 3 0 0 Yt = C t + I t C t = 10 + ct Yt St = I t I t = at Yt −1 at = 0,2 + ε ct = 0,7 In questo modello la propensione al consumo è esplicitata attraverso una funzione di tipo “keynesiano” con una componente autonoma pari a 10 e una propensione marginale al consumo costante. Rappresentiamo in tabella 3 i risultati di questa simulazione. Simulazione con propensione al consumo calcolata secondo la "funzione keynesiana del consumo" a propensione marginale costante t 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 Y 100 99,2 96,8 98,5 101,6 103,7 105,6 100,3 99,6 102,1 99,0 97,6 95,5 94,0 93,9 94,2 93,1 94,1 95,1 97,0 97,1 97,2 97,2 100,8 100,3 99,7 C 80 79,4 77,8 79,0 81,1 82,6 83,9 80,2 79,7 81,5 79,3 78,3 76,8 75,8 75,7 75,9 75,2 75,8 76,5 77,9 78,0 78,1 78,1 80,6 80,2 79,8 I S c a 20 19,8 19,1 19,6 20,5 21,1 21,7 20,1 19,9 20,6 19,7 19,3 18,6 18,2 18,2 18,3 17,9 18,2 18,5 19,1 19,1 19,2 19,2 20,2 20,1 19,9 20 19,8 19,1 19,6 20,5 21,1 21,7 20,1 19,9 20,6 19,7 19,3 18,6 18,2 18,2 18,3 17,9 18,2 18,5 19,1 19,1 19,2 19,2 20,2 20,1 19,9 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,2 0,19764 0,192014 0,20193 0,207982 0,207692 0,209169 0,19029 0,198148 0,207265 0,192772 0,194901 0,190909 0,190648 0,193283 0,194392 0,190342 0,195701 0,196862 0,201073 0,197147 0,197437 0,197112 0,208206 0,19932 0,198523 Epsilon -0,00236 -0,00799 0,00193 0,007982 0,007692 0,009169 -0,00971 -0,00185 0,007265 -0,00723 -0,0051 -0,00909 -0,00935 -0,00672 -0,00561 -0,00966 -0,0043 -0,00314 0,001073 -0,00285 -0,00256 -0,00289 0,008206 -0,00068 -0,00148 148 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 98,5 102,1 103,5 105,7 102,1 104,5 99,9 101,3 103,0 105,2 103,3 100,8 102,2 100,5 102,2 98,5 97,0 95,2 95,9 97,2 98,2 98,0 101,8 98,1 97,0 79,0 81,5 82,5 84,0 81,5 83,1 79,9 80,9 82,1 83,7 82,3 80,6 81,5 80,3 81,5 79,0 77,9 76,6 77,1 78,0 78,7 78,6 81,3 78,7 77,9 19,6 20,6 21,1 21,7 20,6 21,3 20,0 20,4 20,9 21,6 21,0 20,2 20,7 20,1 20,6 19,6 19,1 18,6 18,8 19,2 19,5 19,4 20,5 19,4 19,1 19,6 20,6 21,1 21,7 20,6 21,3 20,0 20,4 20,9 21,6 21,0 20,2 20,7 20,1 20,6 19,6 19,1 18,6 18,8 19,2 19,5 19,4 20,5 19,4 19,1 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,7 0,196078 0,209514 0,206133 0,209825 0,195125 0,209034 0,191069 0,204101 0,20633 0,20945 0,199326 0,196004 0,205004 0,19703 0,205513 0,191487 0,193969 0,191281 0,197167 0,199741 0,200224 0,197469 0,209718 0,190814 0,194614 -0,00392 0,009514 0,006133 0,009825 -0,00487 0,009034 -0,00893 0,004101 0,00633 0,00945 -0,00067 -0,004 0,005004 -0,00297 0,005513 -0,00851 -0,00603 -0,00872 -0,00283 -0,00026 0,000224 -0,00253 0,009718 -0,00919 -0,00539 Tabella 3 Anche in questo caso, per rendere più leggibili i risultati della simulazione, proponiamo in figura 9 un grafico che illustri l’andamento di reddito e consumi aggregati a fronte delle oscillazioni cicliche del flusso degli investimenti. Si nota come in questa seconda simulazione il reddito risulti oscillare ciclicamente intorno a un valore costante, senza manifestare alcun trend, né ascendente né tanto meno discendente. 149 Andam ento di reddito e consum i nella sim ulazione con propensione m arginale al consum o calcolata secondo la "funzione keynesiana del consum o" 120 100 YC 80 60 40 20 t Y C Figura 10 83. Ora, poiché l’oscillazione casuale del flusso degli investimenti è identica in tutte e due le simulazioni, e l’unica differenza tra i due modelli è riconducibile all’espressione della propensione al consumo, questo esempio numerico appare confermare la nostra argomentazione teorica. L’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo sembra così poter contribuire a spiegare l’andamento crescente del prodotto reale nelle moderne economie capitalistiche, in presenza di normali oscillazioni cicliche del flusso degli investimenti. 150 48 45 42 39 36 33 30 27 24 21 18 15 12 9 6 3 0 0 CONCLUSIONI In questo lavoro abbiamo sostenuto che la caratterizzazione sociale dei modelli di consumo può fornire dei primi elementi nella direzione di una spiegazione del ruolo delle relazioni tra reddito e consumo nell’ambito di una teoria Classica e Keynesiana della crescita economica. Abbiamo tratto quest’idea della caratterizzazione sociale dei modelli di consumo principalmente dall’opera di J. S. Duesenberry sulla funzione del consumo. Sulla base di questa idea si può sostenere: 1. che gli standard di consumo delle famiglie vengono acquisiti nel tempo, in relazione ad abitudini che si formano in un determinato contesto sociale, e si evolvono con l’evolversi nel tempo di tale contesto sociale; 2. che per questo motivo la relazione tra reddito e consumi non è reversibile; ovvero che essa è diversa a seconda che il reddito aumenti o diminuisca rispetto al massimo reddito precedente. L’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo trova espressione analitica nel fatto che la propensione marginale al consumo non è costante rispetto alla direzione della variazione del reddito, ma assume valori diversi a seconda che il reddito aumenti o diminuisca rispetto al massimo reddito precedente. La nostra tesi è che questa irreversibilità della relazioni tra reddito e consumo, se collocata in un contesto Classico-Keynesiano, in cui si suppone che nel 151 lungo periodo il sistema economico non gravita naturalmente intorno al pieno impiego delle risorse produttive, può contribuire a spiegare la crescita delle economie di mercato. L’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo, infatti, fa sì che il valore del moltiplicatore del reddito risulti, ceteris paribus, maggiore nelle fasi di espansione del reddito aggregato, e minore in quelle di recessione. La spesa per beni di consumo, perciò, fornirebbe una sorta di “pavimento” alle diminuzioni del reddito aggregato, impedendone diminuzioni più accentuate durante i periodi recessivi. Abbiamo mostrato che questo “effetto pavimento”, nel normale alternarsi di fasi espansive e di fasi recessive del reddito aggregato, può contribuire a giustificare l’espansione della domanda aggregata necessaria, nell’ottica Classica e Keynesiana che abbiamo fatto nostra, a spiegare la crescita del prodotto reale. Questa nostra ipotesi interpretativa vuole dunque essere un primo suggerimento che possa aprire nuovi sviluppi ricostruttivi in tema di relazione tra propensione al consumo e teoria Keynesiana della crescita. 152 BIBLIOGRAFIA • ACKLEY G., Teoria Macroeconomica, Einaudi, Torino 1971. • ACOCELLA N., Fondamenti di Politica Economica, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1997. • BEAN L. H., “Relation of disposable income and the business cycle to expenditures”, in The Review of Economic Statistics, Volume XXVIII, Novembre 1946. • BROWN T. 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