università degli studi “roma tre” facoltà di economia “federico caffè”

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università degli studi “roma tre” facoltà di economia “federico caffè”
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “ROMA TRE”
FACOLTÀ DI ECONOMIA “FEDERICO CAFFÈ”
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E COMMERCIO
Tesi di laurea
IL RUOLO DELL’ESPANSIONE DELLA DOMANDA DI
CONSUMI NELLA CRESCITA ECONOMICA: ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULLE ANALISI DI J. S. DUESENBERRY E
DEI SUOI CONTEMPORANEI
Relatore:
Prof. Pierangelo Garegnani
ANNO ACCADEMICO 2000-2001
Candidato:
Luca Pensieroso
SOMMARIO
INTRODUZIONE ............................................................................................... 4
CAPITOLO I..................................................................................................... 15
IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA EFFETTIVA E LA TENDENZA AL
PIENO IMPIEGO............................................................................................. 15
§I.A Il principio della domanda effettiva e le sue implicazioni per quanto
riguarda la tendenza del sistema economico al pieno impiego .................... 15
§I.B La teoria marginalista del valore e della distribuzione e la tendenza al
pieno impiego ............................................................................................... 18
§I.C La prima via alla domanda effettiva: la critica di Keynes alla teoria
marginalista del saggio dell’interesse, e la teoria della preferenza per la
liquidità......................................................................................................... 24
§I.D L’analisi di Keynes nel lungo periodo: la sintesi neoclassica e la
riaffermazione della tendenza al pieno impiego........................................... 31
§I.E La seconda via alla domanda effettiva: critica della nozione di capitale
come fattore produttivo ................................................................................ 37
CAPITOLO II ................................................................................................... 45
CENNI DI ESTENSIONE DELL’ANALISI KEYNESIANA AL LUNGO
PERIODO: DOMANDA AGGREGATA E ACCUMULAZIONE DI
CAPITALE....................................................................................................... 45
§II.A Introduzione ........................................................................................ 45
§II.B Definizioni preliminari: capacità produttiva e grado di utilizzo della
capacità produttiva ....................................................................................... 46
§II.C L’Ipotesi Keynesiana nel lungo periodo come teoria della distribuzione
...................................................................................................................... 47
§II.D Un approfondimento: l’ipotesi di rigidità dell’output nel lungo periodo
...................................................................................................................... 49
§II.E L’Ipotesi Keynesiana come teoria del livello dell’attività economica 55
CAPITOLO III.................................................................................................. 58
IL RUOLO DELL’ESPANSIONE DELLA DOMANDA DI CONSUMI
NELLA CRESCITA ECONOMICA: ALCUNE CONSIDERAZIONI
PRELIMINARI ................................................................................................ 58
§III.A Introduzione....................................................................................... 58
§III.B Teorie del sovrappiù e principio della domanda effettiva ................. 59
2
§III.C Lineamenti di una teoria Classica e Keynesiana del livello dell’attività
economica..................................................................................................... 60
§III.D Introduzione all’analisi successiva: la propensione al consumo e
l’analisi della crescita economica................................................................. 62
CAPITOLO IV .................................................................................................. 64
LA PROPENSIONE AL CONSUMO NELL’ANALISI DI DUESENBERRY
E DEI SUOI CONTEMPORANEI .................................................................. 64
§IV.A La propensione al consumo nella “Teoria Generale” di Keynes ...... 64
§IV.B La “funzione keynesiana del consumo” ............................................ 67
§IV.C Il disagio empirico: i dati di Kuznets e gli studi sui bilanci delle
famiglie americane ....................................................................................... 69
§IV.D I primi tentativi di soluzione del disagio empirico: la “funzione
keynesiana” con i fattori di trend ................................................................. 73
§IV.E L’analisi di Woytinsky: l’andamento della propensione al consumo
rispetto alle fasi del ciclo economico ........................................................... 78
§IV.F Un primo tentativo di ricostruzione teorica: l’analisi di Samuelson.. 80
§IV.G L’analisi di Duesenberry: l’“ipotesi del reddito relativo” e
l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo .................................. 90
§IV.H L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi di Modigliani ................. 111
CAPITOLO V ................................................................................................. 124
L’IPOTESI DEL REDDITO RELATIVO NELL’ANALISI DELLA
CRESCITA ECONOMICA ........................................................................... 124
§V.A Introduzione...................................................................................... 124
§V.B L’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo e l’ipotesi di
pieno impiego. ............................................................................................ 125
§V.C La propensione marginale al consumo e le fasi del ciclo economico.
Un esempio: la nostra rilettura dell’analisi di Samuelson.......................... 129
§V.D L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi delle crescita economica:
un’ipotesi interpretativa.............................................................................. 130
§V.E L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi della crescita economica: un
semplice modello esemplificativo .............................................................. 133
§V.F L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi della crescita economica: un
esempio numerico....................................................................................... 143
CONCLUSIONI.............................................................................................. 151
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................. 153
3
INTRODUZIONE
Lo scopo di questa ricerca è di fornire alcuni elementi che possano contribuire
a chiarire il ruolo dell’espansione della domanda di consumi nella crescita
economica, nell’ambito di un’analisi della crescita economica su linee non
neoclassiche che è stata avanzata in letteratura negli ultimi decenni.
Nell’ambito della letteratura analizzata, che fa riferimento agli studi empirici e
teorici sulla funzione del consumo tra gli anni ’30 e gli anni ’50, si è
individuata una particolare teoria del consumo, nota come “Ipotesi del reddito
relativo”, ed elaborata principalmente da J. S. Duesenberry. Tale teoria è
caratterizzata dall’idea che i modelli di consumo derivino dal particolare tipo di
società considerata, e si evolvano nel tempo in relazione all’andamento del
reddito aggregato. Sulla base di questa ipotesi si può sostenere che le relazioni
tra reddito e consumo non sono reversibili, cioè che il consumo si comporta in
maniera diversa a seconda che il reddito aumenti o diminuisca. Questa
irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo, insieme con l’idea di
standard di consumo acquisiti cui difficilmente le famiglie sono disposte a
rinunciare, inducono a ritenere:
1. che al diminuire del reddito la spesa per beni di consumo sia
particolarmente rigida, e possa così costituire una sorta di “pavimento”
che impedisca diminuzioni più accentuate del reddito stesso;
4
2. che all’aumentare del reddito, gli standard di consumo mutino
adeguandosi nel tempo al nuovo reddito disponibile, e crescendo in
media proporzionalmente a quest’ultimo.
In questo lavoro argomentiamo che l’insieme di queste considerazioni può
contribuire a spiegare il ruolo dei consumi nella crescita delle economie
capitalistiche, nell’ambito di una teoria della crescita su basi non neoclassiche
che è stata avanzata in letteratura negli ultimi decenni.
*
Nei primi capitoli di questo lavoro ci occuperemo di chiarire le premesse
teoriche di questa linea di ricerca.
La nostra analisi prende le mosse nel capitolo I da un’ interpretazione
dell’opera di Keynes, secondo la quale essa sarebbe caratterizzata dalla
coesistenza di elementi schiettamente originali, e di elementi più direttamente
riconducibili nell’alveo delle teorie marginaliste.
Al primo insieme di elementi andrebbero ricondotte l’analisi della propensione
al consumo, la teoria del moltiplicatore, e, più in generale, quello che qui
chiameremo “il principio della domanda effettiva”; e cioè quell’insieme di
considerazioni teoriche che lo inducono ad affermare che le economie di
mercato non tendono a impiegare tutte le risorse disponibili.
Al secondo insieme di elementi, invece, andrebbero ricondotte la relazione tra
l’efficienza marginale del capitale e il saggio dell’interesse, e più in generale i
principi di teoria della distribuzione.
5
Secondo l’interpretazione di Keynes che abbiamo adottato, queste due
tipologie di elementi sono in contrasto tra di loro, e perciò non sono conciliabili
in un unico impianto teorico.
Illustreremo la logica di questa posizione, mostrando, in primo luogo, il
contrasto tra il principio della domanda effettiva e la teoria marginalista del
valore e della distribuzione. Argomenteremo infatti che la struttura logica di
tale teoria conduce ad affermare la tendenza del sistema economico al pieno
impiego delle risorse, e con ciò l’impossibilità che la produzione aggregata
trovi un limite nella domanda effettiva. Mostreremo come, a questo fine, sia
essenziale il ruolo della relazione inversa tra saggio dell’interesse e domanda di
investimenti, desumibile dai principi distributivi marginalisti.
Vedremo poi come Keynes, consapevole di tale contrasto, ritenne di poterlo
risolvere, individuando la sua “via” alla domanda effettiva attraverso la teoria
della preferenza per la liquidità, che vede il saggio dell’interesse determinato
dall’equilibrio di domanda e offerta di moneta.
Argomenteremo che questa prima “via” alla domanda effettiva non appare
tuttavia sufficiente a fornire un’adeguata base teorica al principio della
domanda effettiva nell’analisi di lungo periodo. Mostreremo infatti in che
modo gli autori della “Sintesi Neoclassica” abbiano ritenuto di poter
riaffermare la tendenza sistematica delle economie di mercato al pieno impiego
delle risorse produttive nel lungo periodo, servendosi degli stessi strumenti
teorici approntati da Keynes. Illustreremo a questo scopo l’analisi di
Modigliani. Sottolineeremo come questa operazione sia stata resa possibile
6
dalla presenza nell’analisi di Keynes di una relazione inversa tra la domanda di
investimenti e il saggio dell’interesse.
Mostreremo infine come, secondo l’interpretazione di Keynes che abbiamo
fatto nostra, esista una seconda “via” alla domanda effettiva, basata sulla critica
della nozione di capitale come fattore produttivo nelle teorie marginaliste.
Illustreremo in termini molto generali questa critica alla nozione di capitale
come fattore produttivo. Vedremo come, sulla base di questa critica, si è potuto
sostenere in letteratura che le premesse di teoria del valore necessarie
nell’analisi marginalista alla costruzione di una curva di domanda degli
investimenti negativamente inclinata rispetto al saggio dell’interesse non
appaiono essere valide. Concluderemo affermando che la critica della nozione
di capitale come fattore produttivo consente di affermare la validità del
principio della domanda effettiva, nel lungo periodo come nel breve periodo
analizzato da Keynes.
**
Seguendo una definizione avanzata in letteratura, chiameremo “Ipotesi
Keynesiana” l’idea, sottesa al principio della domanda effettiva, che il livello
degli investimenti determina, in un senso generale, l’ammontare dei risparmi.
Vedremo brevemente nel capitolo II che esistono in letteratura due modi di
estendere al lungo periodo l’Ipotesi Keynesiana:
•
una, che chiameremo “prima posizione Keynesiana”, che vede l’Ipotesi
Keynesiana come base per una teoria della distribuzione;
7
•
l’altra, che chiameremo “seconda posizione Keynesiana”, che vede
l’Ipotesi Keynesiana nel lungo periodo come una teoria del livello
dell’attività produttiva.
Semplificando, si può sostenere che l’elemento che differenzia le due posizioni
Keynesiane sia rappresentato dalle diverse ipotesi sull’elasticità nel lungo
periodo del livello della produzione rispetto a variazioni della domanda
aggregata. La prima posizione Keynesiana, infatti, ipotizza che il livello
dell’output sia rigido a fronte di variazioni della domanda aggregata; mentre la
seconda posizione Keynesiana ammette ampli margini di elasticità per tale
livello dell’output. Mostreremo, sulla scorta della letteratura analizzata, che
l’ipotesi di rigidità dell’output nel lungo periodo non appare essere giustificata.
Abbracceremo di conseguenza la seconda posizione Keynesiana.
***
Nel capitolo III accenneremo al fatto che, nella misura in cui l’analisi ci ha
condotto a conferire validità al principio della domanda effettiva sulla base
della critica della teoria marginalista del valore e della distribuzione, l’analisi
della crescita del sistema economico dovrà essere sviluppata nel quadro di
un’altra teoria del valore e della distribuzione, e che risulti ovviamente
compatibile con l’Ipotesi Keynesiana. A questo scopo apparirà possibile fare
riferimento
alle
cosiddette
“Teorie
del
Sovrappiù”,
ovvero
a
quell’impostazione teorica propria degli economisti classici, e precedente le
teorie marginaliste.
8
Vedremo poi più da vicino le implicazioni dell’Ipotesi Keynesiana sulla teoria
della crescita. Sosterremo, sulla scorta della letteratura analizzata, che studiare
in chiave Keynesiana la crescita significherà studiare le relazioni che
intercorrono tra le componenti di quella che definiremo la domanda aggregata
“finale” e l’andamento del reddito aggregato; nonché studiare le relazioni che
intercorrono tra queste stesse relazioni, prese singolarmente e nel complesso, e
l’innovazione tecnologica. Noi ci siamo voluti concentrare sulla relazione tra
consumi e reddito aggregato.
****
Ci siamo così dedicati allo studio della letteratura sulla funzione del consumo,
individuando in particolare quelle analisi che potessero essere, in linea di
massima, in qualche modo accostabili al quadro teorico Classico-Keynesiano
che abbiamo scelto come orizzonte di riferimento. Abbiamo perciò tralasciato
tutti gli sviluppi marginalisti della teoria del consumo che cronologicamente
datano dall’elaborazione dell’“Ipotesi del Ciclo Vitale” in poi.
Nel capitolo IV di questo lavoro, dunque, considereremo alcune delle analisi
statistiche e teoriche cronologicamente successive alla pubblicazione della
Teoria Generale di Keynes (1936), e precedenti l’elaborazione della teoria del
Ciclo Vitale da parte di Modigliani (1954).
Vedremo come quasi tutte queste analisi nascano come tentativi di soluzione di
un problema empirico:
9
da un lato, le serie storiche elaborate da S. Kuznets nel 1942 mostravano che la
quota dei consumi sul reddito si era mantenuta tendenzialmente costante negli
ultimi sessant’anni;
da un altro, i dati annuali su reddito e consumi aggregati pubblicati dal
Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti d’America a partire dal 1929
mostravano che i consumi diminuivano meno che proporzionalmente al
diminuire del reddito aggregato;
infine, gli studi sui bilanci delle famiglie americane mostravano che la
propensione media al consumo decresceva all’aumentare della classe di reddito
considerata.
Particolarmente significativa, ai nostri fini, apparirà la teoria del consumo di J.
S. Duesenberry. L’elemento caratterizzante di tale teoria è l’idea che i modelli
di consumo siano socialmente determinati. Sulla base di tale ipotesi,
Duesenberry sostiene che gli standard di consumo vengono acquisiti nel tempo
dalle famiglie, e dipendono strettamente dal ruolo e dalla posizione delle
famiglie all’interno della società, e cioè, in ultima analisi dalla posizione delle
famiglie nella distribuzione percentuale del reddito aggregato. Quando il
reddito nel lungo periodo cresce lentamente, gli standard di consumo si
modificano di conseguenza, e, se la distribuzione percentuale del reddito resta
sostanzialmente immutata, il livello aggregato della spesa per beni di consumi
aumenta proporzionalmente al reddito. Quando il reddito oscilla ciclicamente,
la rigidità degli standard di consumo acquisiti fa sì che il livello della spesa per
beni di consumo vari meno che proporzionalmente rispetto alle variazioni del
10
reddito aggregato. Vedremo le motivazioni di carattere psicologico e
sociologico addotte da Duesenberry a giustificazione di tale rigidità.
Argomenteremo
che
esse
trovano
la
propria
origine
teorica
nella
caratterizzazione sociale dei modelli di consumo.
L’insieme di queste considerazioni fa sì che, nell’analisi di Duesenberry, la
relazione tra reddito e consumo non sia reversibile, ovvero che essa non
assuma la stessa forma indipendentemente dal segno della variazione del
reddito aggregato.
Vedremo come Duesenberry esprima queste sue ipotesi sulla funzione del
consumo asserendo che nelle decisioni di consumo le famiglie considerano non
solo il reddito di cui dispongono nel periodo corrente, ma anche i più alti livelli
di reddito di cui hanno goduto nel passato. Questa ipotesi è nota in letteratura
come “Ipotesi del reddito relativo”, ed appare coerente con gli studi empirici
dell’epoca.
Discuteremo in questo lavoro anche gli aspetti più direttamente analitici della
trattazione di Duesenberry, ed alcune problematiche di carattere teorico ad essa
sottesa.
Da un punto di vista analitico, l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e
consumo può essere tradotta, nell’ambito dell’“Ipotesi del reddito relativo”,
dicendo che la propensione marginale al consumo è diversa a seconda che il
reddito aggregato cresca o diminuisca, relativamente al massimo reddito dei
periodi antecedenti il periodo corrente. Vedremo in che modo Duesenberry
giunga a questo risultato, e quali ipotesi addizionali egli debba formulare.
11
Argomenteremo che questo risultato è in effetti indipendente, nella sua logica
di fondo, da tali ipotesi addizionali. Noteremo inoltre come
Duesenberry
innesti l’idea della caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale su un
quadro teorico generale che corrisponde a quello della Sintesi neoclassica, in
cui si suppone che nel lungo periodo le forze di mercato conducano
naturalmente il sistema economico al pieno impiego delle risorse disponibili.
Noi sosterremo che l’assumere o meno il pieno impiego come ipotesi entro la
quale studiare la funzione del consumo non ha alcuna influenza sulle
argomentazioni di Duesenberry circa la caratterizzazione sociale dei modelli di
consumo, le quali dunque risultano compatibili anche con prospettive teoriche
differenti.
Vedremo poi, nel corso del capitolo, come ipotesi sulla funzione del consumo
simili a quelle di Duesenberry siano state avanzate in quel periodo anche da
Samuelson e da Modigliani in un contributo precedente l’elaborazione della
teoria del Ciclo Vitale. Passeremo in rassegna queste analisi.
*****
Nel capitolo V ci occuperemo di avanzare alcune considerazioni circa il ruolo
dell’espansione della domanda di consumi nella teoria Classica e Keynesiana
della crescita economica, alla luce dell’“Ipotesi del reddito relativo”.
Riprendendo argomentazioni già sviluppate in precedenza, chiariremo meglio
come l’analisi di Duesenberry possa essere interpretata in un contesto teorico
non marginalista.
12
La caratterizzazione sociale dei modelli di consumo implica che le relazioni tra
reddito e consumo sono irreversibili. Tale irreversibilità si manifesta
analiticamente nel fatto che la propensione marginale al consumo è diversa a
seconda che il reddito aumenti o diminuisca. Le argomentazioni di
Duesenberry ci inducono a ritenere che la propensione marginale al consumo è
maggiore nelle fasi di espansione del reddito aggregato e minore in quelle di
recessione. Questo significa che il valore del moltiplicatore del reddito sarà,
ceteris paribus, maggiore all’aumentare delle componenti autonome della
domanda aggregata, e minore al diminuire di queste. Così, supponendo ad
esempio un’oscillazione casuale a media nulla della quota degli investimenti
netti sul reddito aggregato intorno a un valore costante di lungo periodo, il
reddito aggregato assumerebbe, ceteris paribus, un andamento crescente nel
lungo periodo, interamente spiegato dalle ipotesi sulla funzione del consumo.
A titolo esemplificativo, illustreremo questa ipotesi interpretativa con un
semplice modello analitico, nel quale l’irreversibilità delle relazioni tra reddito
e consumo verrà espressa attraverso l’“Ipotesi del reddito relativo”, e in una
forma molto semplificata. Sulla base di tale modello si procederà ad una
esemplificazione numerica su un periodo di cinquant’anni, che renderà
immediatamente visibile, sotto le ipotesi assunte nel modello, l’effetto
dell’“Ipotesi del reddito relativo” sulla crescita economica.
******
Potremo così concludere dicendo che nella teoria del consumo proposta da
Duesenberry, così come da noi interpretata in un’ottica Classica e Keynesiana,
13
sembrano a nostro avviso rinvenibili elementi rilevanti per poter contribuire a
spiegare quale ruolo giochino i consumi nella crescita delle moderne di
economie di mercato.
14
Capitolo I
IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA EFFETTIVA E LA TENDENZA AL
PIENO IMPIEGO
§I.A Il principio della domanda effettiva e le sue implicazioni per quanto
riguarda la tendenza del sistema economico al pieno impiego
1. Nella “Teoria generale dell’interesse, dell’occupazione e della moneta”,
Keynes1 elabora una teoria della determinazione del livello del reddito e
dell’attività produttiva basata su quello che qui chiameremo “principio della
domanda effettiva”, ovvero sull’idea che essenzialmente è la domanda
aggregata di beni e servizi a determinare il livello della produzione aggregata, e
non viceversa2. Nel suo ragionamento egli suppone dati3 la capacità produttiva,
la forza lavoro, le condizioni tecniche di produzione, la distribuzione del
reddito, e in generale la struttura sociale di un sistema economico. Considera
poi un’economia chiusa e senza l’intervento dello Stato. Le linee generali della
sua argomentazione possono essere brevemente sintetizzate in questo modo.
All’aumentare del livello della produzione le famiglie verranno a disporre di un
1
Cfr. Keynes (1936). Per comodità chiameremo quest’opera, nel corso della trattazione,
“Teoria Generale”.
2
Abbiamo mutuato l’espressione “principio della domanda effettiva” dal titolo del capitolo III
della “Teoria Generale” di Keynes, nel quale l’autore espone sinteticamente l’idea che la
domanda effettiva possa essere insufficiente ad assorbire tutta la produzione aggregata. Cfr.
Keynes (1936), cap. III, pag.181. (I riferimenti di pagina sono relativi all’edizione italiana
citata in bibliografia).
3
Cfr. Keynes (1936), cap XVIII, pag. 410.
15
reddito maggiore che può essere destinato o alla spesa per beni di consumo o al
risparmio. Poiché, secondo Keynes, “la psicologia della collettività è tale che
quando aumenta il reddito reale complessivo, aumenta il consumo
complessivo, ma non tanto quanto il reddito4”, non tutto il reddito addizionale,
derivante dall’incremento della produzione, si tradurrà in consumi. Questo
fatto determinerà un aumento dei risparmi correnti rispetto agli investimenti
correnti. Per mantenere il nuovo livello della produzione aggregata sarà quindi
necessario un aumento degli investimenti pari all’incremento dei risparmi5. Se
così non fosse i ricavi degli imprenditori non sarebbero sufficienti per indurli a
mantenere questo nuovo livello della produzione, e si tornerebbe quindi al
precedente. Ora, nell’ottica di Keynes, poiché le decisioni di investimento e le
decisioni di risparmio vengono prese da due categorie diverse di soggetti, e
cioè, rispettivamente, imprese e famiglie, e per motivi differenti, non v’è
alcuna ragione per cui, all’aumentare del reddito, gli investimenti aumentino in
misura proprio pari all’incremento dei risparmi indotto dall’aumento del
reddito. Ne segue che il livello di equilibrio della produzione, cioè quello per
cui non vi sia alcun incentivo per gli imprenditori ad espandere o a diminuire il
livello della produzione stessa, dipende dall’ammontare degli investimenti
correnti. In sintesi, dunque, abbiamo una rappresentazione del sistema
economico, in cui gli investimenti determinano il livello della produzione
4
Cfr. Keynes (1936), cap. III, pag 185.
5
“Per mantenere un dato volume di occupazione, occorre […] che sia realizzato un volume di
investimento corrente, sufficiente ad assorbire l’eccedenza della produzione totale sull’importo
che la collettività decide di consumare quando l’occupazione è al livello dato.” Cfr. Keynes
(1936), cap. III, pag. 185.
16
complessiva, il volume dell’occupazione e il reddito corrente; il reddito, date
certe caratteristiche collettive che influiscono sulle scelte di consumo,
determina consumi e risparmi; il sistema si assesterà su un livello stabile di
equilibrio quando investimenti correnti e risparmi correnti avranno lo stesso
valore. Vale a dire che il livello della produzione, e cioè l’offerta aggregata, è
determinato dalla domanda per beni di investimento e per beni di consumo, e
cioè dalla domanda aggregata. Ne risulta inoltre che il principio della domanda
effettiva può essere indifferentemente espresso, in un senso lato, asserendo che
la domanda determina l’offerta, oppure che gli investimenti determinano i
risparmi. Questa seconda formulazione del principio della domanda effettiva è
anche nota come “Ipotesi Keynesiana6”.
2. Ora, se il livello di equilibrio della produzione dipende dagli investimenti
correnti, e questi sono indipendenti dalle decisioni di risparmio, tale livello di
equilibrio della produzione non è necessariamente coincidente con il pieno
impiego7 della forza lavoro. Scrive infatti Keynes in proposito: “[…] E’
soltanto in un caso particolare che la domanda effettiva è associata con la piena
occupazione […]”, e cioè “[…] quando, deliberatamente o no, l’investimento
corrente crea una domanda di ammontare esattamente uguale all’eccedenza del
prezzo complessivo di offerta della produzione risultante dalla piena
6
Cfr. Kaldor (1956).
7
Stiamo supponendo, e lo supporremo nel corso di tutto il capitolo, che la capacità produttiva
sia data a un livello tale da assorbire, se utilizzata al suo livello normale, tutta la forza lavoro
disponibile. Nel capitolo II chiariremo meglio i concetti di capacità produttiva e di utilizzo
normale della capacità produttiva.
17
occupazione, sull’ammontare che la collettività decide di spendere in consumi
quando è pienamente occupata8.” Questo perché, come vedremo meglio tra
poco, la possibilità che il sistema economico graviti intorno al pieno impiego
delle risorse produttive dipende da un punto di vista logico dalla possibilità che
le decisioni di investimento si adeguino o meno al livello dei risparmi di pieno
impiego. Se con Keynes si ammette che il livello delle decisioni di
investimento è in larga misura indipendente dal livello dei risparmi, ed anzi in
un certo senso lo determina, allora il principio della domanda effettiva implica
che il sistema economico non gravita necessariamente intorno al pieno impiego
delle risorse.
§I.B La teoria marginalista del valore e della distribuzione e la tendenza al
pieno impiego
3. Il principio della domanda effettiva rappresenta un punto di radicale rottura
rispetto alle teorie marginaliste dominanti all’epoca della “Teoria Generale”.
Secondo queste teorie, infatti, il sistema economico gravita naturalmente
attorno al pieno impiego delle risorse disponibili, perché esiste un meccanismo
automatico che, attraverso variazioni dei salari monetari, porta il livello degli
investimenti a coincidere con il livello dei risparmi di pieno impiego. Tale
8
Cfr. Keynes (1936), cap III, pag. 186.
18
meccanismo è costituito dai movimenti del saggio dell’interesse. Vediamo di
chiarirne brevemente le origini teoriche e di delinearne l’operare9.
4. Nella teoria marginalista del valore e della distribuzione c’è una particolare
concezione del processo produttivo, per la quale gli elementi richiesti per la
produzione sono trattati come dei fattori produttivi, che vengono impiegati nel
processo produttivo in proporzioni diverse e variabili nel continuo, in relazione
al variare dei rispettivi prezzi relativi. Secondo questa impostazione, cioè, date
le conoscenze tecniche di ogni periodo, lo stesso prodotto può essere ottenuto
attraverso infinite combinazioni di questi fattori produttivi; e tale sostituibilità
diretta dei fattori produttivi nella produzione dei beni dà luogo, in questa
particolare concezione del processo produttivo, alle condizioni di massimo
profitto per gli imprenditori espresse nei termini della nozione di prodotto
marginale. Sulla base di questa concezione, tali teorie giungono ad affermare
l’esistenza di funzioni di domanda dei fattori produttivi negativamente
inclinate rispetto ai loro saggi di remunerazione. Così se ad esempio un bene A
può essere prodotto con due tecniche T e T’, le quali si differenziano per
l’impiego nella produzione di un’unità di A di capitale e lavoro in proporzioni
diverse, allora al diminuire del saggio dell’interesse gli imprenditori
adotteranno la tecnica che richiede una maggiore proporzione tra capitale e
lavoro, perché ciò consente loro di ottenere il massimo profitto in relazione al
nuovo livello del prezzo relativo dei fattori della produzione.
9
Per una più completa esposizione dei presupposti teorici della tendenza al pieno impiego nelle
teorie marginaliste, cfr. Garegnani (1979), pag. 20-34.
19
D’altro canto l’ottenimento di queste curve di domanda dei fattori produttivi
negativamente inclinate rispetto ai rispettivi saggi di remunerazione non si basa
solo sulla sostituibilità tecnica dei fattori produttivi nell’ambito del processo di
produzione, ma anche, o in alternativa ad essa, sulla sostituibilità per i
consumatori tra beni di consumo, la cui produzione richiederà in generale
proporzioni diverse dei fattori produttivi stessi. Così se un bene A viene
prodotto con un certo rapporto capitale-lavoro, la diminuzione del saggio
dell’interesse farà diminuire il prezzo relativo di questo bene rispetto ad un
altro bene, B, che sia invece prodotto con un più basso rapporto capitalelavoro. Per l’analisi del consumatore condotta sul concetto di utilità marginale,
avremo che la domanda di A aumenterà rispetto a quella di B, e che quindi
nell’economia si produrrà più A e meno B. Poiché la produzione di A richiede
un più alto rapporto capitale-lavoro rispetto alla produzione di B, vi sarà
necessità di una maggiore quantità di capitale a livello aggregato. Avremo
dunque, anche per questa via, una domanda dei fattori produttivi decrescente
rispetto al loro saggio di remunerazione.
Affermata l’esistenza di una funzione di domanda dei fattori produttivi con
queste caratteristiche, la teoria marginalista aggiunge che l’operare della
concorrenza sul mercato dei fattori renderà i loro prezzi elastici a fronte degli
eccessi di domanda, fino a che tutta la quantità disponibile di ogni fattore non
sia pienamente impiegata, data la quantità dell’altro fattore. La costanza della
quantità data dell’altro fattore sarà infine giustificata dal fatto che tale
meccanismo opererà su tutti i mercati dei fattori, e che quindi in ognuno di
20
questi mercati la quantità domandata e quella offerta di fattori produttivi
saranno uguali, assicurando così il pieno impiego delle risorse disponibili.
5. Non appena però si ammetta che, in un’economia monetaria, decisioni di
risparmio e decisioni di investimento possono, per ogni dato livello del reddito
reale, essere divergenti, la sola flessibilità dei saggi di remunerazione dei
fattori produttivi a fronte eccessi di domanda sul mercato dei fattori non sarà
più di per sé sufficiente a condurre il sistema economico al pieno impiego delle
risorse disponibili. Affinché sia possibile asserire che il sistema economico
tende ad impiegare pienamente tutte le risorse disponibili, sarà infatti
necessario che tale flessibilità dei saggi di remunerazione dei fattori produttivi
agisca direttamente o indirettamente sulle decisioni di investimento, nel senso
di adeguarne l’ammontare alle decisioni di risparmio di pieno impiego.
Vediamo dunque che relazione intercorre tra la teoria marginalista della
distribuzione e la sua spiegazione del livello degli investimenti.
6. Il fattore produttivo capitale può essere considerato, nella teoria
marginalista, come un ammontare di valore incorporato in un complesso di
beni di produzione, costituito dal flusso dei risparmi passati. A mano a mano
che il consumo produttivo dei beni di produzione libera parte di questo valore,
attraverso la produzione e la vendita del prodotto finito, esso può essere
investito nell’acquisto di nuovi beni di produzione. Così “[la domanda di
capitale elastica rispetto al saggio dell’interesse] rappresenta in forma
21
“istantanea” una successione di domande di investimento mediante le quali
soltanto essa può di fatto agire10”. Si può dunque asserire che, considerando il
capitale non tutto circolante, la curva di domanda degli investimenti sarà in
linea di massima una copia in scala della curva di domanda di capitale, e ne
presenterà quindi le medesime caratteristiche; in particolare risulterà anch’essa
decrescente rispetto al saggio dell’interesse. Questo significa che al diminuire
del saggio dell’interesse gli imprenditori troveranno conveniente passare a
tecniche a maggiore intensità capitalistica, incrementando la domanda di beni
di investimento. Considerando questa curva di domanda di investimenti,
insieme alla curva di offerta dei risparmi, e alla flessibilità del saggio
dell’interesse rispetto a divergenze tra decisioni di risparmio e decisioni di
investimento, la teoria può concludere che il saggio di interesse di equilibrio
sarà determinato sul mercato risparmi-investimenti.
7. Questo passaggio è fondamentale per chiarire i presupposti teorici della
tendenza al pieno impiego, nella teoria marginalista. Supponiamo infatti, che,
in un’economia chiusa e senza intervento dello Stato, vi sia disoccupazione del
lavoro; per l’ipotesi di elasticità del prezzo dei fattori produttivi rispetto a
eccessi di domanda sul mercato dei fattori, la concorrenza tra i lavoratori farà
diminuire i salari reali, il che indurrà le imprese ad impiegare nuova forza
lavoro. Aumenteranno dunque il volume dell’occupazione e il livello della
produzione. Un aumento dell’offerta di beni ingenererà un aumento di reddito,
10
Cfr. Garegnani (1979), pag. 29.
22
e con esso un aumento dei consumi e un aumento dei risparmi. L’aumento dei
consumi andrà a costituire la domanda addizionale di beni di consumo, atta a
colmare almeno in parte l’eccesso di offerta venutosi a creare; l’aumento dei
risparmi invece creerà un eccesso di offerta di risparmi rispetto alla domanda di
investimenti, il che farà diminuire il saggio dell’interesse11. La caduta del
saggio dell’interesse, una volta affermata l’esistenza di una curva di domanda
11
Di fatto non esiste un mercato dei prestiti monetari, in cui i soggetti che offrono somme in
prestito contrattino direttamente con quelli che domandano somme in prestito, con la
possibilità di risposte immediate del saggio dell’interesse a eventuali eccessi di domanda.
Cerchiamo perciò di chiarire meglio come un eccesso di risparmi sugli investimenti determini
una diminuzione del saggio dell’interesse, sulla scorta dell’analisi di Wicksell riportata in
Garegnani (1979), pag. 51-59. Procediamo con un’esemplificazione. Supponiamo un’economia
chiusa e senza intervento dello Stato, in cui tutte le risorse siano pienamente impiegate.
Supponiamo ora che in un anno t
le banche fissino un saggio dell’interesse monetario
maggiore del saggio di interesse “naturale” che equilibrerebbe, nella teoria marginalista, i
risparmi e gli investimenti, commettendo ad esempio un errore di valutazione sulla
profittabilità degli investimenti stessi. Ne risulterà un livello degli investimenti inferiore
rispetto al valore che corrisponde alle decisioni di risparmio di pieno impiego. Anche
ammettendo un’offerta di risparmi inelastica rispetto al saggio dell'interesse, si verificherà
comunque un eccesso di risparmi rispetto agli investimenti. Ci sarà dunque un’insufficienza
della domanda aggregata monetaria, che non sarà in grado di assorbire la produzione
aggregata. Tale insufficienza si manifesterà dapprima nel settore dei beni capitale, attraverso
eccesso di offerta di beni capitale: il loro prezzo tenderà a scendere e diminuiranno anche i
salari monetari del settore. La diminuzione dei salari monetari è da ascriversi a fenomeni di
disoccupazione che si verificheranno nel breve periodo, perché la deflazione tende a far
aumentare il valore reale delle retribuzioni. La concorrenza tra lavoratori farà perciò cadere il
salario monetario. Per le relazioni relative ai costi di produzione e alla domanda aggregata
monetaria dipendente dai salari monetari, l’effetto deflazionistico si scaricherà anche sul
settore dei beni di consumo. La caduta di prezzi e salari sarà peraltro assolutamente
equiproporzionale, e il processo deflazionistico procederà senza scaricarsi sul reddito (che è
sempre al livello di pieno impiego, e dipende da fenomeni reali, e non da fenomeni monetari),
fintantoche la scarsità di domanda di prestiti non indurrà il sistema bancario ad abbassare il
tasso di interesse.
23
degli investimenti decrescente rispetto a i, determinerà un aumento degli
investimenti, che proseguirà sino all’equilibrio con i risparmi. L’incremento
addizionale di domanda di beni capitale andrà infine a colmare l’eccesso di
offerta iniziale. Questo meccanismo, che fa concettualmente perno sulla
relazione inversa tra domanda di investimenti e saggio dell’interesse,
continuerà ad operare sino al pieno impiego del lavoro.
§I.C La prima via alla domanda effettiva: la critica di Keynes alla teoria
marginalista del saggio dell’interesse, e la teoria della preferenza per la
liquidità
8. Per poter dunque asserire che il livello della produzione aggregata può
incontrare un limite nella domanda aggregata monetaria, bisogna mostrare che
il legame tra risparmi, investimenti e saggio dell’interesse non è quello
ipotizzato dalla teoria marginalista. Vediamo quindi la via che Keynes ritenne
di individuare alla domanda effettiva, attraverso la sua critica alla teoria
marginalista dell’interesse.
9. Keynes ammette l’esistenza di una curva di domanda degli investimenti
negativamente inclinata rispetto al saggio dell’interesse, chiamandola curva
dell’efficienza marginale del capitale12. Ammette anche che le decisioni di
risparmio, per ogni dato livello di reddito, possano essere in qualche modo
12
Cfr. Keynes (1936) cap. XI, pag. 295-297.
24
influenzate da variazioni del saggio dell’interesse. Nega però la possibilità di
costruire, attraverso questi elementi, una teoria della determinazione del saggio
dell’interesse che non sia sostanzialmente indeterminata. La ragione di tale
indeterminatezza è da attribuire, secondo l’autore, al fatto che per conoscere il
livello dei risparmi è necessario conoscere il livello del reddito; ma per
conoscere il livello del reddito bisogna conoscere l’ammontare degli
investimenti, che a sua volta è influenzato dal saggio dell’interesse. Dunque la
teoria “tradizionale”, che determina il saggio dell’interesse come il prezzo di
equilibrio tra offerta di risparmi e domanda di investimenti, sarebbe viziata
dalla contraddizione in termini per cui per determinare il saggio dell’interesse
bisogna in realtà conoscerne preventivamente il valore. A suo modo di vedere
quindi, la curva dell’efficienza marginale del capitale e la curva dei risparmi
sono in grado di determinare il saggio dell’interesse solo una volta noto il
livello del reddito, o alternativamente il livello del reddito, una volta noto il
saggio dell’interesse. Cioè “[...] data la curva di domanda di capitale e data
l’influenza di variazioni del saggio di interesse sulla disposizione a risparmiare
da dati redditi, il livello del reddito e il saggio dell’interesse devono essere
correlati in modo univoco13”, senza che ciò però implichi la determinazione del
saggio dell’interesse sul mercato risparmi-investimenti14.
13
Cfr. Keynes (1936), cap. XIV, pag. 340. Si noti inoltre come il dettato keynesiano costituisca
una chiara enunciazione ante litteram della curva IS. Cfr. in proposito Hansen (1953), pag. 159
e ss. (I riferimenti di pagina sono all’edizione italiana citata in bibliografia)
14
Prima di addentrarci oltre nella teoria keynesiana dell’interesse, valutiamo la fondatezza di
questa accusa di indeterminatezza mossa da Keynes alla teoria marginalista, sulla scorta
dell’analisi di Garegnani (1979) pag. 65-66. Ipotizziamo, così come ipotizza la teoria
25
10. Dunque, secondo Keynes, l’indeterminatezza della teoria marginalista
dell’interesse inficia la possibilità di trattare il saggio dell’interesse come
risultante dell’equilibrio risparmi-investimenti. Egli osserva inoltre che, da un
punto di vista concettuale, la natura del saggio dell’interesse non è a suo avviso
quella di essere la remunerazione del risparmio in quanto tale15. E infatti l’idea
di Keynes è che il saggio dell’interesse sia qualcosa di essenzialmente
connesso a fenomeni di carattere monetario: è, nelle sue parole “[...] la
ricompensa all’abbandono della liquidità per un periodo determinato16”, ovvero
il costo opportunità di detenere moneta. Ora, secondo Keynes la moneta non è
marginalista, che il saggio dell’interesse equilibri risparmi e investimenti per ogni dato livello
del reddito, e chiamiamo tale ipotesi ipotesi a. Supponiamo che vi sia disoccupazione del
lavoro, cioè che il livello degli investimenti non sia tale da garantire il pieno impiego del
lavoro: secondo i teorici marginalisti, la concorrenza tra i lavoratori disoccupati farà diminuire
i salari monetari, e questo farà sì che, almeno inizialmente, diminuiscano i salari reali. Le
imprese impiegheranno nuova forza lavoro, e aumenteranno quindi il volume dell’occupazione
e il reddito. Ne seguirà un aumento di consumi e risparmi. Per l’ipotesi a, l’eccesso dei
risparmi sugli investimenti, al nuovo livello di reddito, farà diminuire il saggio dell’interesse, il
che, data la curva dell’efficienza marginale del capitale, farà aumentare gli investimenti sino a
che il livello degli investimenti non sia pari al nuovo livello dei risparmi. Questo processo
proseguirà fino al pieno impiego del lavoro, con un equilibrio risparmi-investimenti-saggio
dell’interesse compatibile con la piena occupazione. Ma allora l’unica curva di risparmio che
rilevi da un punto di vista teorico è quella corrispondente al livello del reddito di pieno
impiego, e l’accusa di indeterminatezza mossa da Keynes alla teoria marginalista dell’interesse
appare essere ingiustificata.
15
“Dovrebbe essere ovvio che il saggio dell’interesse non può essere una ricompensa per il
risparmio o l’astinenza come tali. Giacché se un uomo tesaurizza i suoi risparmi in denaro, non
percepisce alcun interesse, benché risparmi esattamente tanto quanto prima”. Cfr. Keynes
(1936), cap XIII, pag. 326-327.
16
Cfr. Keynes (1936), cap. XIII, pag. 327.
26
solamente un mezzo di scambio atto a semplificare le transazioni, ma è anche
fondo di valore, ovvero ha la caratteristica di conservare il valore nel tempo17.
L’insieme di queste caratteristiche fa sì che gli individui domandino moneta
non solo a fini transattivi, ma anche a fini speculativi, cioè preferendo la
detenzione della moneta rispetto a quella di qualsiasi altra attività con cui essa
sia sostituibile; è concepibile cioè che essi desiderino la moneta in quanto tale,
come modo di detenere la ricchezza. Ora, la ricchezza può essere detenuta sotto
forma di moneta, oppure sotto forma di titoli che garantiscano un certo
rendimento, un premio per l’abbandono della liquidità. La discriminante tra le
decisioni di detenere moneta e quelle di detenere titoli è costituita dal tasso di
interesse e dalle sue variazioni, verificate e attese, che inducono movimenti
contrari nei corsi borsistici dei titoli. Poiché gli speculatori non valutano solo i
guadagni in conto interesse, ma anche quelli in conto capitale, al diminuire del
tasso di interesse rispetto a quello che essi si attendono debba essere il tasso di
interesse vigente sul mercato, vi sarà un’aspettativa diffusa al rialzo di i. Ciò
indurrà gli operatori a tenersi liquidi, per non incorrere in perdite attese in
conto capitale. Considerato che l’insieme degli operatori avrà aspettative
diverse sul livello del tasso di interesse, sommando la domanda di moneta a
fini speculativi di tutti gli operatori, ne risulterà a livello aggregato una
domanda di moneta a scopo speculativo decrescente rispetto al saggio
dell’interesse. Aggiungendovi poi la domanda di moneta a scopo transattivo,
che non dipende per Keynes dal saggio dell’interesse, avremo una domanda
17
Ovviamente se non c’è inflazione della moneta.
27
complessiva di moneta che sarà negativamente inclinata rispetto al saggio
dell’interesse. Se supponiamo un’offerta di moneta esogena, all’aumentare
dell’offerta di moneta, ammesso che ciò non turbi lo stato delle aspettative, gli
operatori, dato il reddito, e perciò la domanda di moneta a scopo transattivo,
riverseranno la quantità aggiuntiva di moneta nell’acquisto di titoli, facendone
aumentare il corso e diminuendone di conseguenza il rendimento: il saggio
dell’interesse diminuirà. Seguendo lo stesso ragionamento, al diminuire
dell’offerta di moneta, il saggio dell’interesse aumenterà. Ne risulta quindi una
teoria monetaria del saggio dell’interesse, che non viene determinato
dall’equilibrio risparmi-investimenti, ma da quello domanda-offerta di moneta.
Tale teoria è nota come “teoria della preferenza per la liquidità18”.
11. Vediamo ora di chiarire il ruolo della teoria della preferenza per la liquidità
come via alla domanda effettiva, così come in effetti lo intese Keynes.
Supponiamo che si verifichi una situazione di disoccupazione del lavoro.
Secondo le teorie marginaliste che Keynes si proponeva di confutare, la
concorrenza tra i lavoratori farà diminuire i salari monetari, e questo farà sì
che, almeno inizialmente, diminuiscano i salari reali. Le imprese dunque
aumenteranno il volume dell’occupazione; aumenterà quindi il reddito, e con
esso consumi e risparmi. L’eccesso dei risparmi sugli investimenti produrrà
una deflazione dei prezzi e dei salari monetari19. A questo punto “coloro che
credono nella facoltà autoriequilibratrice del sistema economico devono [...]
18
Cfr. Keynes (1936), cap XIII, pag. 325-333.
19
Cfr. paragrafo 7, nota 11.
28
poggiare il loro ragionamento sull’effetto che un livello discendente dei prezzi
e dei salari monetari avrebbe sulla domanda di moneta20”. E infatti la
diminuzione del valore monetario del reddito, conseguente alla diminuzione di
prezzi e salari monetari, farà sì che una minore quantità di moneta sia richiesta
a fini transattivi. Questo significa che, data l’offerta di moneta, una maggiore
quantità di moneta è disponibile per il movente speculativo. Diviene quindi
essenziale valutare lo stato delle aspettative degli speculatori; se il saggio
dell’interesse vigente sul mercato è pari a un saggio “critico” minimo al di
sotto del quale gli operatori preferiscono comunque tenersi liquidi, allora essi
non impiegheranno la quantità addizionale di liquidità nell’acquisto di titoli,
ma deterranno moneta (cosiddetta trappola della liquidità), e il tasso
dell’interesse resterà costante; in caso contrario acquisteranno titoli, facendone
aumentare il corso, cosicché il tasso dell’interesse diminuirà. Ora, nel primo
caso, stanti le aspettative degli imprenditori, la spesa per beni di investimento
non sarà sufficiente ad assorbire il nuovo volume dei risparmi, con il risultato
che il sistema inizierebbe a sperimentare una deflazione cumulativa di prezzi e
salari monetari, non dissimile da quella ipotizzata nell’analisi monetaria della
teoria marginalista21. In questo caso però, secondo Keynes, la dinamica
deflazionistica si tramuterà presto in
una recessione reale dell’economia,
poiché lederà le aspettative di profitto di breve periodo degli imprenditori. Nel
secondo caso, invece, la diminuzione del tasso dell’interesse farebbe aumentare
la spesa per beni di investimento, laddove le aspettative di profitto che
20
Cfr. Keynes (1936), cap. XIX, pag.432.
21
Cfr. paragrafo 7, nota 11.
29
regolano il livello dell’efficienza marginale del capitale si mantenessero
immutate, rendendo possibile il mantenimento del nuovo più elevato livello
dell’occupazione. Qualora però le aspettative degli imprenditori dovessero
volgere in negativo, ad esempio perché la deflazione di prezzi e salari monetari
dovesse aumentare in modo molto significativo il valore reale del debito delle
imprese, è anche possibile che, al nuovo inferiore livello del saggio
dell’interesse, l’efficienza marginale del capitale sia comunque tale da non
indurre in alcun modo gli imprenditori ad aumentare la spesa per beni di
investimento22. Nel qual caso si produrrebbe di nuovo una spirale
deflazionistica di prezzi e salari monetari, che si tradurrebbe presto in una
recessione del reddito.
In sintesi dunque, sulla base delle argomentazioni riportate, Keynes ritiene di
poter affermare che gli effetti sul raggiungimento della piena occupazione della
diminuzione dei salari monetari rispetto alla quantità di moneta sono molto
incerti. Da un lato una lieve deflazione salariale potrebbe non abbassare il
saggio dell’interesse, perché la preferenza per la liquidità degli operatori
economici potrebbe aumentare di più della quantità di moneta disponibile per il
movente speculativo. Dall’altro una forte deflazione salariale potrebbe turbare
lo stato di fiducia degli operatori economici, con effetti destabilizzanti sia sul
mercato della moneta che su quello dei beni. Conclude così dicendo : “Non v è
dunque ragione di ritenere che una politica flessibile dei salari sia atta a
mantenere uno stato di continua occupazione piena; come non vi è ragione di
22
Perché la curva dell’efficienza marginale del capitale si sposterebbe nel piano verso il basso.
30
ritenere che una politica monetaria di intervento sul mercato aperto sia capace
da sola di raggiungere tale risultato. Il seguire l’una o l’altra di queste linee di
condotta non può conferire al sistema economico la facoltà di riequilibrarsi
automaticamente.23”
§I.D L’analisi di Keynes nel lungo periodo: la sintesi neoclassica e la
riaffermazione della tendenza al pieno impiego
12. Ci proponiamo ora di illustrare l’effettiva robustezza delle argomentazioni
addotte da Keynes come base teorica su cui poggiare il principio della
domanda effettiva, in particolare per quanto attiene al lungo periodo. Notiamo
anzitutto che, nel lungo periodo, fenomeni collettivi di natura psicologica
relativi allo stato di fiducia lasciano il posto allo stato reale delle grandezze
economiche. Dovremo quindi valutare la portata delle argomentazioni di
Keynes, e in particolare della teoria della preferenza per la liquidità come via
alla domanda effettiva, a prescindere dalla volatilità delle relazioni tra le
grandezze economiche che può sussistere nel breve periodo. Nello svolgere
queste considerazioni seguiremo nei suoi tratti essenziali l’analisi svolta da
Modigliani nell’articolo “La preferenza per la liquidità e la teoria dell’interesse
e della moneta24”. Questo lavoro di Modigliani fa parte di un filone teorico, cui
23
Cfr. Keynes (1936), cap. XIX, pag. 433.
24
Cfr. Modigliani (1944).
31
appartengono anche numerosi altri autori25, che va sotto il nome di “sintesi
neoclassica”, e che ha posto le basi teoriche per il riassorbimento dell’opera di
Keynes nei canoni della teoria marginalista26.
13. Nel ricostruire la teoria della preferenza per la liquidità di Keynes in
un’ottica di lungo periodo, Modigliani opera una lieve quanto significativa
rivisitazione della domanda di moneta a scopo speculativo. Il fatto che, al
diminuire del saggio dell’interesse, aumenti a livello aggregato la domanda di
moneta non viene ricondotto da Modigliani ad aspettative sul livello “normale”
del saggio di interesse, di cui la teoria non è in grado di rendere conto, come di
fatto è in Keynes, quanto piuttosto al fatto che quanto più bassa è la
remunerazione di un titolo, tanto più esso risulta meno preferibile a un’attività
25
Cfr, ad esempio Hicks (1937), Patinkin (1948), Hansen (1953), Tobin (1955). Per riferimenti
bibliografici più completi sulla sintesi neoclassica, cfr. il capitolo su Keynes in IngraoRanchetti (1996). Per una più completa esposizione degli argomenti della sintesi neoclassica,
cfr. Napoleoni-Ranchetti (1990), cap. V e cap. XIV. Si è scelto di seguire da vicino
l’impostazione di Modigliani, perché essa ha il pregio di essere particolarmente nitida e
coerente, e nel contempo sufficientemente rappresentativa di quei risultati comuni a tutti questi
autori.
26
Per la verità il riassorbimento della teoria di Keynes nei canoni dell’economia ortodossa è
proseguito ben oltre quanto teorizzato dalla stessa sintesi neoclassica, i cui autori possono
comunque definirsi “keynesiani”, sino alla completa negazione di ogni rilevanza sul piano
pratico e teorico del principio della domanda effettiva. Il che è accaduto con l’avvento del
monetarismo (cfr. Friedman 1956), e della nuova macroeconomia classica (cfr. Lucas 1973).
Per quel che ci interessa in questa sede è sufficiente ricordare come tale riassorbimento sia
tutto incentrato sulla validità della teoria marginalista del valore e della distribuzione, e su
alcuni problemi teorici connessi con l’argomentazione di Keynes e di parte degli autori
“keynesiani”.
32
perfettamente liquida come la moneta, il cui valore è certo nel tempo27. Così la
domanda di moneta a scopo speculativo sarà nulla per valori di i maggiori di un
certo livello iMAX, “perché deve esistere per ogni individuo un rendimento
minimo netto che lo indurrà a liberarsi della moneta come attività28”; sarà
“assoluta29” per tutti i valori di i inferiori a un iMIN, dato che “poiché i titoli
costituiscono una forma “inferiore” di detenere attività finanziare, è
generalmente riconosciuto che deve esistere un livello minimo del tasso di
interesse [...] al quale nessuno desidererà attività non reali eccetto che sotto
forma di moneta30”; sarà infine decrescente rispetto al tasso di interesse per i
compreso tra iMAX e iMIN. Ne risulterà quindi una domanda di moneta molto
stabile, che non è soggetta alle violente fluttuazioni derivanti dal modificarsi
delle aspettative sul saggio dell’interesse, perché non trae da esse la propria
determinazione.
Tale
rivisitazione
della
domanda
di
moneta
rende
perfettamente operante il meccanismo di aggiustamento degli investimenti ai
risparmi che lo stesso Keynes aveva individuato31. Supponiamo infatti che, a
fronte di una disoccupazione del lavoro, diminuiscano i salari monetari e
aumenti perciò il volume dell’occupazione. L’aumento del reddito che ne
seguirà determinerà un aumento dei consumi e dei risparmi. L’eccesso dei
risparmi sugli investimenti produrrà una deflazione di prezzi e salari monetari,
27
Ma cfr. in proposito Garegnani (1979), pag. 72-73 nota 4.
28
Cfr. Modigliani (1944), pag. 39. (I riferimenti di pagina sono all’edizione italiana citata in
bibliografia).
29
Cfr. Modigliani (1944), pag. 40.
30
Cfr. Modigliani (1944), pag. 40.
31
Cfr. Keynes (1936), cap. XIX, pag. 432-435. Cfr. anche il paragrafo 11 di questo capitolo.
33
diminuendo il valore monetario del reddito aggregato. Avremo quindi una
minore domanda di moneta a scopo transattivo; data la quantità di moneta
esistente nel sistema, si creerà un eccesso di offerta di moneta a scopo
speculativo rispetto alla domanda di moneta a scopo speculativo: gli operatori
riverseranno le disponibilità addizionali di moneta nell’acquisto di titoli,
facendo diminuire il saggio dell’interesse. Data la curva dell’efficienza
marginale del capitale, al diminuire del saggio dell’interesse la spesa per beni
di investimento aumenterà, portandosi a un livello tale da eguagliare il nuovo
volume dei risparmi. L’occupazione si manterrà dunque stabilmente al nuovo
più elevato livello. Nel lungo periodo, dunque, il sistema graviterà intorno a
posizioni di pieno impiego del lavoro.
Ci sono comunque, secondo Modigliani, due casi in cui questo meccanismo
non è operante. Il primo è quello della rigidità dei salari monetari32. In questo
caso infatti la divergenza tra decisioni di risparmio e decisioni di investimento,
che si creerebbe a seguito dell’aumento del volume dell’occupazione, non
produrrebbe alcuna deflazione salariale; con il risultato che il saggio
dell’interesse risulterebbe estraneo al mercato risparmi-investimenti, e
tornerebbe ad essere fenomeno essenzialmente monetario, come è in Keynes.
D’altro canto il mancato aumento della domanda di beni di investimento
produrrà una crisi da sovrapproduzione nel settore dei beni capitale che, per
salari monetari rigidi, si scarica sul volume dell’occupazione nel settore stesso.
32
“La spiegazione del perché non sia profittevole espandere l’occupazione al livello di “pieno
impiego” risiede nel fatto che i salari monetari sono troppo alti rispetto alla quantità di
moneta.” Cfr. Modigliani (1944), pag. 70.
34
La crisi tenderà a estendersi a tutti gli altri settori ingenerando un processo
recessivo, che si tradurrà in una riduzione generalizzata del reddito reale e
dell’occupazione. Questo caso però limita il significato teorico del principio
della domanda effettiva, la cui valenza verrebbe circoscritta all’esistenza di
elementi di rigidità che ostacolano il naturale funzionamento del sistema
economico; una volta rimossi tali elementi attraverso interventi di politica
economica, ad esempio aumentando la quantità di moneta rispetto al livello dei
salari monetari, il sistema tornerebbe a gravitare attorno a equilibri di piena
occupazione.
Il secondo caso in cui il meccanismo di equilibrio automatico del sistema
economico attorno al pieno impiego non funziona è quello che Modigliani
chiama “caso keynesiano33”, ovvero il caso della trappola della liquidità. Esso
si verifica, come abbiamo già sottolineato, quando il saggio dell’interesse è
pari al saggio minimo al di sotto del quale gli operatori preferiscono detenere le
proprie disponibilità tutte in moneta. In questo caso la diminuzione del valore
monetario del reddito non ha effetti sul saggio dell’interesse, esattamente come
ipotizzato da Keynes nel capitolo XIX della “Teoria Generale”; e la spirale
deflazionistica produrrebbe solo effetti recessivi sul sistema economico. E’
dunque necessario valutare la rilevanza del cosiddetto caso keynesiano,
nell’analisi teorica, per poter correttamente apprezzare la solidità dell’ipotesi
della preferenza per la liquidità, come fondamento teorico del principio della
domanda effettiva nel lungo periodo. Ora, nello schema di Modigliani, la
33
Cfr. Modigliani (1944), pag. 43.
35
domanda di moneta individua una relazione stabile e di lungo periodo tra
preferenza per la liquidità e saggio dell’interesse. Affinché si verifichi il caso
keynesiano deve essere vero che il valore di lungo periodo dell’efficienza
marginale del capitale sia così basso da risultare inferiore al tasso di interesse
minimo per il quale gli operatori sono indifferenti tra il detenere moneta o il
detenere titoli. Con la qualificazione che questo tasso di interesse minimo non
è variabile e suscettibile di assumere anche valori significativi, come è in
Keynes, ma è estremamente basso, poiché rappresenta esclusivamente la
frontiera al di sotto della quale il rischio di detenere ricchezza sotto forma di
titoli è superiore al rendimento che questi garantiscono. Dovrebbe dunque
essere vero che il saggio di rendimento sul capitale anticipato assuma valori
prossimi allo zero, condizione generalmente ritenuta poco probabile dalla
teoria, e comunque riferibile a condizioni di marcata depressione del sistema
economico. Il che farebbe del caso keynesiano un caso particolare della teoria
marginalista, una teoria delle depressioni, più che una teoria generale del
livello dell’attività economica.
14. Appare dunque che, in un’ottica di lungo periodo, la teoria della preferenza
per la liquidità non è di per sé sufficiente a fornire un’adeguata base teorica al
principio della domanda effettiva. La causa di tale insufficienza è da ricercarsi
nel fatto che, una volta postulata la dipendenza degli investimenti dal saggio
dell’interesse,
gli
ostacoli
di
carattere
monetario,
che
renderanno
eventualmente rigido il saggio dell’interesse nel breve periodo, non potranno
36
che dissolversi nel lungo periodo, quando a determinare il saggio dell’interesse
sarà, come è nei principi distributivi marginalisti accettati da Keynes, la
profittabilità degli investimenti34.
§I.E La seconda via alla domanda effettiva: critica della nozione di capitale
come fattore produttivo
15. Esiste però una seconda via alla domanda effettiva35, che pone le
fondamenta teoriche del principio della domanda effettiva in una teoria della
distribuzione diversa da quella marginalista. Questa seconda via si serve della
critica del concetto di capitale come fattore produttivo per negare l’esistenza
stessa della curva dell’efficienza marginale del capitale, e togliere così
l’elemento che nella teoria marginalista, così come nella teoria keynesiana
nell’interpretazione che ne dà Modigliani, consente nel lungo periodo
l’adeguamento del livello degli investimenti al livello dei risparmi di pieno
impiego. In questo modo, la possibilità che gli investimenti correnti non siano
34
“[...] E’ certamente vero che il prezzo quotidiano del pesce è spiegato interamente da quanto
pesce viene pescato ogni giorno. Ma se vogliamo capire perché il prezzo di ogni giorno fluttua
intorno a un certo livello e non intorno a un livello dieci volte superiore, dobbiamo cercare
qualcosa di più fondamentale della fortuna o sfortuna dei pescatori in un certo giorno.
Scopriremo allora che il numero dei pescatori e l’attrezzatura utilizzata non cambiano ogni
giorno ma vengono determinati dalla condizione che i ricavi medi, nei giorni fortunati e in
quelli meno fortunati, devono essere sufficientemente alti da rendere l’occupazione nell’attività
della pesca (e l’investimento nell’attrezzatura da pesca) altrettanto attraente dell’occupazione
nelle attività alternative. Ciò che è ovviamente vero per prezzo del pesce deve valere anche per
il prezzo dei prestiti” Cfr. Modigliani (1944), pag. 83.
35
Cfr. Garegnani (1983).
37
sufficienti a mantenere un livello dell’occupazione prossimo al pieno impiego
non dipende né dalla rigidità del saggio dell’interesse a fronte di un eccesso dei
risparmi di pieno impiego sugli investimenti, né dallo stato di fiducia degli
operatori economici, né tanto meno dalla rigidità dei salari monetari, quanto
piuttosto dal fatto che non esiste alcun meccanismo riequilibratore che adegui
la domanda all’offerta aggregata.
L’idea che è sottesa a questa impostazione è che i beni capitale costituiscono
essi stessi delle merci prodotte, il cui valore, come quello di qualsiasi altra
merce, è uguale al prezzo di produzione, che dipende a sua volta dal saggio
dell’interesse. Ora, nella teoria marginalista, il saggio del salario e il saggio
dell’interesse vengono ottenuti dall’equilibrio tra domanda e offerta dei fattori
produttivi. La domanda dei fattori produttivi viene ricavata dalla conoscenza
delle condizioni tecniche di produzione, dei gusti dei consumatori e delle
quantità dai fattori produttivi stessi. Per determinare cioè saggio del salario e
saggio dell’interesse devono essere già note la quantità di capitale e la quantità
di lavoro esistenti nell’economia. Mentre il lavoro può essere misurato in
termini fisici, il capitale, che non è un bene unico, ma un complesso eterogeneo
di beni, non potrà che essere misurato in termini di valore. Abbiamo però visto
come, per conoscere il valore dei beni capitale, occorra conoscerne
preventivamente il prezzo, e come, per conoscerne il prezzo, debba essere noto
il saggio dell’interesse, ovvero, contraddittoriamente, la variabile da
determinare.
38
16. Vediamo ora maggiormente nel dettaglio questa critica al concetto di
capitale come fattore produttivo. Nello svolgere questa analisi seguiremo da
vicino l’impostazione di Garegnani nel saggio “Note su consumi, investimenti
e domanda effettiva36”. Abbiamo visto nel paragrafo 4 come la costruzione di
funzioni di domanda dei fattori produttivi si basi sui concetti di sostituibilità
tecnica e di sostituibilità nel consumo, dai quali è desumibile il principio che la
combinazione dei fattori nell’ambito del processo produttivo varia al variare
del prezzo relativo del loro servizio. Così, dati due beni A e B, supponendo che
A sia prodotto con un rapporto capitale-lavoro maggiore di B, e data la
variabilità nel continuo delle tecniche di produzione, definite dalle infinite
differenti combinazioni tra i fattori produttivi mediante le quali è possibile
ottenere la stessa quantità di prodotto, avremo che, al diminuire del saggio
dell’interesse rispetto al saggio del salario:
1. nell’ambito della produzione di ognuno dei due beni, gli imprenditori
adotteranno tecniche a maggiore intensità capitalistica;
2. la diminuzione del prezzo relativo del capitale farà sì che diminuisca il
prezzo del bene prodotto con un maggiore rapporto capitale-lavoro; per
la teoria dell’utilità marginale, aumenterà la domanda del bene A
rispetto a quella del bene B; deve dunque aumentare la produzione di A
e diminuire quella di B; a livello aggregato deve aumentare la quantità
di capitale impiegata nei processi produttivi.
36
Cfr. Garegnani (1979), parte prima.
39
Dalla combinazione di questi effetti segue la costruzione di curve di domanda
dei fattori produttivi negativamente inclinate rispetto al saggio dell’interesse.
Vediamo ora di rappresentare analiticamente questi due effetti, in modo da
rendere più visibile sia l’impostazione marginalista, che la critica che gli è stata
rivolta. Iniziamo dal principio della sostituibilità tecnica tra i fattori.
Supponiamo che per produrre il bene A esistano due tecniche, la tecnica T e la
tecnica T’, che si differenziano, secondo la concezione del processo produttivo
propria dei teorici marginalisti, per le differenti proporzioni di capitale e lavoro
che impiegano nella produzione di A. Supponiamo ad esempio che la tecnica T
richieda un rapporto capitale-lavoro maggiore di quello richiesto dalla tecnica
T’. Chiamiamo LA e KA rispettivamente le quantità di lavoro e di capitale
impiegate nella produzione di una unità di A con la tecnica T, e LA’ e KA’, le
quantità di lavoro e capitale impiegate nella produzione di una unità di A
quando è in uso la tecnica T’. Chiamiamo w il saggio del salario e r il saggio
del profitto. Avremo che il prezzo di A sarà
p A = wL A + rK A
se la tecnica in uso è la tecnica T; altrimenti, nel caso in cui fosse in uso la
tecnica T’,
p A' = wL'A + rK A'
Ora, noi vogliamo studiare quale tecnica verrà scelta dalle imprese al variare
del prezzo relativo dei fattori. E’ chiaro che, in un mercato concorrenziale, la
scelta ricadrà su quella tecnica che permette di produrre la stessa quantità di A
a un prezzo inferiore. Confrontiamo dunque i prezzi di produzione di A con le
40
due tecniche, e vediamo come variano l’uno rispetto all’altro al variare dei
prezzi dei servizi dei fattori produttivi. Avremo
p A wL A + rK A
=
p 'A wL'A + rK A'
wL A
wL A
Moltiplicando il secondo membro dell’equazione per
e procedendo alle
wL'A
wL'A
opportune semplificazioni otteniamo


pA 
=
p 'A 



KA
LA
K A'
L'A

r
+1
w
 LA
 L'
r
+ 1  A
w

(1
Supponiamo adesso che diminuisca il prezzo del servizio del capitale rispetto
al saggio del salario. Poiché per ipotesi la tecnica T necessita nella produzione
di una maggiore quantità di capitale rispetto al lavoro, avremo che il
numeratore della frazione nella parentesi tonda nell’equazione 1 diminuirà più
velocemente del denominatore. Dunque la tecnica T sarà più conveniente
rispetto alla tecnica T’. Al diminuire cioè del saggio dell’interesse, le imprese
passeranno a tecniche a maggiore intensità capitalistica.
Lo stesso ragionamento può essere effettuato, mutatis mutandis, per quanto
attiene alla sostituibilità indiretta nel consumo tra beni la cui produzione
richieda rapporti capitale-lavoro diversi. Supponiamo che esista una sola
tecnica T per produrre i due beni A e B, che abbiano le caratteristiche che
abbiamo delineato sopra. In quel caso l’equazione 1 diverrebbe
41


pA 
=
pB 


KA
LA
KB
LB
r

+1
w
 LA
L
r
+1 B
w

(2
Dall’equazione 2 possiamo dedurre che al diminuire del saggio dell’interesse
rispetto al saggio del salario, diminuisce il prezzo relativo di A rispetto a B; il
che indurrà i consumatori a domandare una maggiore quantità di A, facendo
aumentare al livello aggregato la quantità di capitale.
Vediamo ora dove incide la critica del concetto di capitale nel ragionamento
della teoria marginalista che abbiamo appena esposto. Il fatto che al diminuire
del rapporto
pA
pA
r
diminuiscano sia
che
è valido nell’ipotesi che le
'
w
pB
pA
quantità dei fattori produttivi rimangano costanti al variare del rapporto tra i
prezzi dei loro servizi. Il che è giustificato qualora essi siano misurati in
termini fisici. Ma se il capitale, come abbiamo visto nel paragrafo 15, è un
complesso eterogeneo di beni, che necessita di una misurazione in termini di
valore per essere trattato come un fattore della produzione, allora non v’è
garanzia circa la costanza dei termini KA, KA’, KB. Il valore di questi beni
capitale, infatti, sarà noto solo una volta noto il saggio dell’interesse, o il
saggio del salario, nonché il metodo di produzione in uso. Così al variare del
prezzo relativo dei fattori produttivi, il valore dei fattori produttivi stessi può
variare in un senso o nell’altro, a seconda della merce presa come numerario, e
degli effetti che le variazioni della distribuzione del reddito indurranno su tutto
il sistema dei prezzi relativi. Sarà ad esempio perfettamente possibile che, al
42
diminuire del rapporto tra saggio dell’interesse e saggio del salario, nella
produzione di un bene con una determinata tecnica produttiva vari, in un senso
o nell’altro, il rapporto capitale-lavoro, senza che questo implichi che siano
variate fisicamente le unità di lavoro e l’attrezzatura produttiva necessarie per
produrre, con quella tecnica, un’unità di prodotto37. Tale variazione sarà poi
diversa, sia nella dimensione che nella direzione, a seconda della merce scelta
come numerario del sistema dei prezzi. Così, una volta ammessa la dipendenza
del valore del capitale dalla distribuzione del reddito, diviene impossibile
ordinare a monte le tecniche a seconda del rapporto tra capitale e lavoro che
ognuna di esse prevede, nella misura in cui non siano preventivamente noti
metodo di produzione in uso, distribuzione del reddito e prezzi relativi. “[...]
Divengono [così] privi di significato i termini assoluti in cui la teoria
tradizionale raffronta sia le proporzioni tra capitale e lavoro richieste da
tecniche o produzioni diverse, sia le proporzioni in cui quei fattori sono usati
nell’economia in situazioni definite da saggi di interesse e salario diversi38”.
Appare dunque che non sia possibile asserire molto circa la forma della
relazione tra saggio dell’interesse e valore dei beni capitale, che sarà
suscettibile di variare in qualsiasi direzione e con qualsiasi frequenza al variare
della distribuzione del prodotto sociale, nonché al variare della merce nei cui
termini sono espressi i prezzi dei beni capitale. Ne risulta che tale incerta
relazione non potrebbe in ogni caso essere assunta come una funzione di
37
Questo fenomeno va sotto il nome di inversione delle intensità capitalistiche. Cfr. Garegnani
(1979).
38
Cfr. Garegnani (1979), pag. 40.
43
domanda di capitale, che possa determinare, assieme all’offerta del capitale, e
alla flessibilità del saggio dell’interesse rispetto a eccessi di domanda, il saggio
dell’interesse di equilibrio. Ora, l’invalidazione del meccanismo equilibratore
della domanda e dell’offerta di capitale implica la conseguente invalidazione
del meccanismo equilibratore della domanda e dell’offerta di lavoro, che
determina, nella teoria marginalista, il saggio del salario. E questo perché è il
meccanismo di equilibratore della domanda e dell’offerta di capitale che
assicura la costanza della quantità di capitale nella costruzione della funzione
di domanda di lavoro.
Si giunge così alla conclusione che la spiegazione della distribuzione del
reddito in termini di domanda e offerta dei fattori produttivi non sembra
reggere alle difficoltà poste dalla dipendenza del valore dei beni capitale dalla
distribuzione del prodotto sociale; di modo che il meccanismo che, nella teoria
marginalista, adegua il flusso degli investimenti all’ammontare dei risparmi, e
che è strettamente dipendente da tale spiegazione della distribuzione in termini
di domanda e offerta dei fattori produttivi, risulta anch’esso invalidato.
44
Capitolo II
CENNI DI ESTENSIONE DELL’ANALISI KEYNESIANA AL LUNGO
PERIODO: DOMANDA AGGREGATA E ACCUMULAZIONE DI CAPITALE
§II.A Introduzione
17. Nel capitolo precedente abbiamo considerato due vie alla domanda
effettiva: una incentrata sulla teoria della preferenza per la liquidità, e sul ruolo
delle aspettative nelle decisioni di investimento; l’altra invece basata sulla
critica del concetto di capitale come fattore produttivo, e sulla conseguente
scissione della relazione inversa tra domanda di investimenti e saggio
dell’interesse. Abbiamo fatto notare come la prima via alla domanda effettiva,
quella basata sulla teoria della preferenza per la liquidità, si sia rivelata
insufficiente a fondare il principio della domanda effettiva nel lungo periodo, e
come questo abbia permesso il sostanziale riassorbimento dell’opera di Keynes
nei canoni dell’economia tradizionale.
In questo capitolo ci proponiamo di illustrare brevemente come il principio
della domanda effettiva sia stato esteso all’analisi di lungo periodo, mostrando
il meccanismo attraverso il quale, nel lungo periodo e a livello aggregato, si è
sostenuto in letteratura che gli investimenti determinano l’ammontare dei
risparmi.
45
§II.B Definizioni preliminari: capacità produttiva e grado di utilizzo della
capacità produttiva
18. E’ opportuno premettere alla trattazione dei paragrafi seguenti una nota
definitoria sui concetti di “capacità produttiva” e di “utilizzo della capacità
produttiva” che verranno utilizzati in seguito39.
Per capacità produttiva dell’economia in una situazione data intendiamo
l’insieme delle attrezzature produttive esistenti, nonché la forza lavoro
necessaria al loro utilizzo. Per “utilizzo della capacità produttiva” intendiamo il
grado di sfruttamento delle attrezzature esistenti, ovvero il prodotto
effettivamente ottenuto nell’unità di tempo per unità di attrezzatura produttiva
impiegata nella produzione. Definiamo poi “utilizzo normale della capacità
produttiva”, il livello di output nell’unità di tempo, e per unità di attrezzatura
produttiva, programmato dagli imprenditori nel momento in cui acquistano
quella stessa attrezzatura produttiva. Esso costituisce quindi il paradigma su cui
vengono ponderate le decisioni di investimento. Ci si può ragionevolmente
attendere che tale livello sia inferiore al massimo prodotto tecnicamente
ottenibile per unità di attrezzatura produttiva, e questo perché la capacità
produttiva sarà generalmente installata in dimensioni tali da poter far fronte a
picchi previsti o imprevisti di domanda, e sarà quindi generalmente
sovradimensionata rispetto alla media della produzione prevista.
39
Per queste definizioni, e per una trattazione più completa di questi concetti, cfr. Garegnani
(1992)
46
§II.C L’Ipotesi Keynesiana nel lungo periodo come teoria della distribuzione
19. Veniamo ora, dopo questa breve parentesi, all’estensione dell’Ipotesi
Keynesiana al lungo periodo. Accade che in media, e su cicli temporali
sufficientemente lunghi, non siano generalmente osservabili divergenze
consistenti e durature tra capacità produttiva e livello della produzione. Questo
significa che, nel lungo periodo, non sembra in genere accadere che l’utilizzo
normale della capacità produttiva esistente darebbe luogo, in media, a un
livello della produzione aggregata sensibilmente diverso dal livello della
produzione aggregata effettiva.
Questo fatto ha indotto alcuni autori40
cosiddetti “post-keynesiani” a ritenere che nel lungo periodo la capacità
produttiva sia utilizzata al suo livello normale, con un ammontare della
produzione complessiva che sia costantemente quello risultante da tale utilizzo
normale della capacità produttiva. Questa ipotesi implica che nel lungo periodo
il livello della produzione aggregata dipenderebbe dalla capacità produttiva, e
perciò in linea di massima dalle sole condizioni tecniche di produzione,
risultando così rigido a fronte di variazioni della domanda aggregata monetaria.
Il che è gravido di conseguenze per quanto attiene al meccanismo di lungo
periodo di aggiustamento del volume dei risparmi al livello della spesa per beni
di investimento, secondo l’Ipotesi Keynesiana. Se infatti nel lungo periodo la
capacità produttiva è utilizzata costantemente al suo livello normale, allora
eventuali variazioni autonome della spesa per beni di investimento non
40
Cfr. ad esempio Kaldor (1956).
47
potranno riflettersi in un aumento o in una diminuzione della produzione, ma
solo in una variazione del livello generale dei prezzi, derivante dall’eccesso
della domanda aggregata rispetto un’offerta aggregata di beni e servizi che non
è suscettibile di variare. Il che, dato il livello del saggio del salario monetario,
si tradurrebbe in variazioni del saggio del salario reale, e perciò, in variazioni
del saggio del profitto normale e di tutto il sistema dei prezzi relativi.
Supponendo, come generalmente si suppone, che la propensione media al
risparmio dei percettori di profitti sia maggiore di quella dei salariati, avremo
che l’effetto redistributivo ingenerato dalle variazioni autonome dell’incentivo
a investire opererà nel senso di riequilibrare i risparmi agli investimenti41.
In quest’ottica, accumulazione di capitale e distribuzione del reddito risultano
intimamente connesse, qualificando l’Ipotesi Keynesiana nel lungo periodo
come una teoria della distribuzione del reddito più che come una teoria della
determinazione del livello generale dell’attività economica42.
41
Per chiarire meglio quanto esposto nel testo, si supponga che aumentino gli investimenti; tale
aumento eserciterà una pressione sulla domanda aggregata, che non potrà però trovare risposta
in un aumento della produzione; ne seguirà un aumento del livello generale dei prezzi. Dato il
saggio del salario monetario, diminuirà il saggio del salario reale, mentre aumenterà il saggio
del profitto. Poiché i capitalisti risparmiano più dei lavoratori, aumenterà l’ammontare dei
risparmi sino a coincidere con quello degli investimenti.
42
Questo modo di estendere l’analisi keynesiana al lungo periodo può essere definito come
“approccio keynesiano di lungo periodo basato sulla distribuzione”. Cfr. Garegnani-Palumbo
(1998).
48
§II.D Un approfondimento: l’ipotesi di rigidità dell’output nel lungo periodo
20. Abbiamo visto come a favorire tale interpretazione dell’Ipotesi Keynesiana
nel lungo periodo abbia contribuito l’osservazione della natura temporanea di
ogni forte eccesso di capacità produttiva rispetto al volume della produzione
complessiva. Da tale osservazione, infatti, i teorici post-keynesiani hanno
dedotto l’ipotesi di rigidità del livello della produzione a fronte di eccessi di
domanda aggregata.
21. In realtà, è stato fatto notare43 come il fatto che nel lungo periodo non
siano osservabili divergenze significative e durature tra produzione e capacità
produttiva non implichi necessariamente che sia la produzione ad adeguarsi al
livello della capacità produttiva determinato dalle sole condizioni tecniche di
produzione, e che questa sia utilizzata costantemente al suo livello normale. Si
può anzi sostenere esattamente il contrario, e cioè che è la capacità produttiva
ad adeguarsi al livello della produzione, a sua volta determinato dal livello
della domanda aggregata. E questo perché, in effetti, eventuali sovrautilizzi o
sottoutilizzi della capacità produttiva possono modificare la dimensione
complessiva della capacità produttiva stessa, rispettivamente creando nuova
capacità produttiva o distruggendone parte di quella esistente, e influendo in
questo modo sul reddito e sulla capacità produttiva dei periodi successivi. In
questo modo il potenziale produttivo di un’economia si adegua al livello della
43
Cfr. Garegnani (1992) e Garegnani-Palumbo (1998).
49
domanda aggregata, ed è questa la ragione per cui poi, in media e nel lungo
periodo, non si osservano divergenze significative e durature tra produzione e
capacità produttiva44.
22. Vediamo di chiarire brevemente la questione con una semplice trattazione
algebrica costruita sulla scorta dell’analisi di Garegnani-Palumbo nel saggio
“Domanda aggregata e accumulazione di capitale45”.
Ci proponiamo di visualizzare l’incremento di capacità produttiva al tempo t
generato da un sovrautilizzo temporaneo della capacità produttiva nel periodo
0. Siano dati, in un’economia chiusa e senza l’intervento dello Stato, il saggio
del salario reale w* e le condizioni tecniche di produzione. Supponiamo che
non vi siano risorse naturali scarse, e che la disponibilità di forza lavoro sia
illimitata. Misureremo l’incremento di capacità produttiva anno per anno come
il valore ai prezzi naturali46 del prodotto annuo netto cui essa darebbe luogo se
utilizzata al suo livello normale. Chiamiamo Y il valore del prodotto annuo
netto, K il valore dell’attrezzatura produttiva, entrambi calcolati ai prezzi
naturali, s la propensione marginale al risparmio della collettività, che
supponiamo costante e pari a quella media, S i risparmi aggregati, e I gli
44
“[...]Nel lungo periodo la capacità produttiva in grado di soddisfare la domanda esiste
potenzialmente, ma non può generalmente essere osservata, se non in minima parte, nella
forma di eccesso di capacità”. Cfr. Garegnani-Palumbo (1998), pag. 4 (enfasi degli autori).
45
Cfr. Garegnani-Palumbo (1998).
46
Definiamo prezzi naturali i prezzi relativi compatibili con il saggio del salario dato w* e con
le condizioni tecniche di produzione date, in ipotesi di utilizzo normale della capacità
produttiva.
50
investimenti netti. Chiamiamo infine y il rapporto prodotto-capitale in ipotesi
di utilizzo normale della capacità produttiva.
Se in t = 0 la capacità produttiva fosse utilizzata al livello normale avremmo
Y0 = yK 0
S 0 = I 0 = sY0
dove i pedici indicano il periodo di riferimento. Nel periodo t = 1 il valore
dell’attrezzatura produttiva sarebbe pari a
K1 = K 0 + I 0
cioè al valore dell’attrezzatura nel periodo precedente, incrementato del valore
del flusso degli investimenti netti. Reddito e risparmi netti sarebbero
Y1 = yK1
S1 = I 1 = sY1
nell’ipotesi che la capacità produttiva continui ad essere utilizzata al suo livello
normale. Così nel periodo t = 2 il valore di reddito, capitale e risparmi
potrebbe essere rappresentato con queste equazioni
K 2 = K1 + I1
Y2 = yK 2
S 2 = I 2 = sY2
Supponiamo invece che in t = 0 un aumento autonomo dell’incentivo a
investire determini un sovrautilizzo temporaneo della capacità produttiva;
supponiamo inoltre che tale sovrautilizzo si verifichi nel solo periodo 0, e che
nei periodi successivi sino al periodo t la capacità produttiva torni ad essere
utilizzata nuovamente al livello normale. Possiamo tradurre analiticamente
l’ipotesi di un sovrautilizzo temporaneo della capacità produttiva, dicendo che
51
nel periodo 0, e solo nel periodo 0, il rapporto prodotto-capitale sarà un
qualche valore y’ maggiore di y. Avremo che, nel periodo 0, dato K0, sarà
possibile ottenere un prodotto Y0’ maggiore di quanto non sarebbe avvenuto nel
caso in cui la capacità produttiva fosse stata utilizzata al suo livello normale.
Avremo cioè
Y0' = y ' K 0
con Y0’>Y0
Seguendo poi il ragionamento precedente potremo scrivere
S 0' = I 0' = sY0'
K 1' = K 0 + I 0'
Ne risulterà ovviamente che K1’ è maggiore di K1.
Poiché abbiamo supposto che il sovrautilizzo di capacità produttiva duri per un
solo periodo, nei periodi successivi avremo un rapporto prodotto-capitale di
nuovo pari ad y. Avremo quindi
Y1' = yK1'
S1' = I 1' = sY1'
K 2' = K 1' + I 1'
e così via. Ora noi, vogliamo studiare l’incremento47 di capacità produttiva ∆C
rinvenibile nel periodo t ingenerato da un sovrautilizzo temporaneo della
capacità produttiva esistente nel periodo 0. Esso sarà pari nel primo periodo a
∆C1 = Y1' − Y1 = y ( K 1' − K 1 ) = ys(Y0' − Y0 )
nel periodo 2 a
47
Ricordiamo che misuriamo tale incremento di capacità produttiva come il valore ai prezzi
naturali dell’incremento di produzione cui essa darebbe origine se utilizzata al livello normale.
52
[ (
∆C 2 = (1 + ys ) ys Y0' − Y0
)]
e nel periodo 3 a
[ (
∆C 3 = (1 + ys ) ys Y0' − Y0
2
)]
Così, estendendo il ragionamento fino al periodo t, avremo che in t
l’incremento di capacità produttiva sarà pari a
∆C t = (1 + ys )
t −1
[ys(Y
'
0
− Y0
)]
(3
L’equazione 3 ci consente di visualizzare un ipotetico ordine di grandezza del
fenomeno che stiamo analizzando, ovvero del fatto che un sovrautilizzo
temporaneo di capacità produttiva determina la creazione iterativa di nuova
capacità produttiva, aumentando il livello dell’output. Supponiamo infatti che
il prodotto annuo netto sia pari a 1000, che la propensione marginale al
risparmio sia pari a 0,20, e che il rapporto prodotto-capitale in condizioni di
utilizzo normale della capacità produttiva sia 0,5. Supponiamo quindi che il
sovrautilizzo temporaneo di capacità produttiva crei nell’anno 0 prodotto
addizionale per un ammontare pari a 100. Si creerà così nell’anno 1 capacità
produttiva addizionale pari a 10. Avremo quindi che, sulla base dell’equazione
3, nell’anno 10, la creazione di capacità produttiva addizionale sarà pari a
23,58; nell’anno 30 sarà pari a 158,63; nell’anno 50 essa sarà pari a 1067,19 e
così via, ingenerando un processo di moltiplicazione di reddito e capacità
produttiva, che implica un aumento sia degli investimenti che dei consumi.
Questo significa che, in questo semplice esempio numerico, un sovrautilizzo di
53
capacità produttiva del 10% durante un solo periodo implica un potenziale
raddoppio della capacità produttiva in meno di 50 anni.
23. Con questo esempio abbiamo visto come sia plausibile che la creazione dei
risparmi attraverso gli investimenti operi attraverso un processo moltiplicativo
protratto nel tempo di creazione di reddito e capacità produttiva, senza
coinvolgere in alcun modo la distribuzione del reddito, che infatti nell’esempio
abbiamo preso come data. Abbiamo così mostrato come l’ipotesi di rigidità del
livello della produzione a fronte di eccessi di domanda aggregata non appaia
sufficientemente giustificata, e derivi probabilmente da una sorta di “illusione
ottica48” ingenerata dall’osservazione della natura temporanea di ogni eccesso
significativo di capacità produttiva rispetto alla produzione aggregata. Da tale
osservazione, infatti, i teorici post-keynesiani hanno ritenuto di poter dedurre
l’ipotesi che nel lungo periodo la capacità produttiva è utilizzata costantemente
al livello normale, di modo che il livello della produzione aggregata,
dipendendo da tale ipotesi di utilizzo normale della capacità produttiva,
risulterebbe rigido a fronte di variazioni della domanda aggregata. Come
abbiamo mostrato con il nostro esempio, invece, tale osservazione può trovare
opportuna spiegazione nel fatto che nel lungo periodo la dimensione
dell’attrezzatura produttiva varia in relazione all’andamento della produzione
aggregata, che a sua volta dipende, in linea di massima, dall’andamento della
48
Cfr. Garegnani-Palumbo (1998), pag. 3.
54
domanda aggregata; di modo che in media gli eccessi significativi di capacità
produttiva non potranno che essere temporanei.
§II.E L’Ipotesi Keynesiana come teoria del livello dell’attività economica
24. Se dunque è possibile asserire che la produzione ammette nel lungo periodo
margini di elasticità rispetto agli eccessi di domanda aggregata, l’estensione
dell’Ipotesi Keynesiana all’analisi di lungo periodo non implica alcuna
necessaria connessione con la teoria della distribuzione del reddito, nel senso
ipotizzato dai post-keynesiani; e il meccanismo di adeguamento del volume dei
risparmi al livello della spesa per beni di investimento sarà affatto diverso,
come abbiamo anticipato nei paragrafi 21 e 2349. Un aumento autonomo
dell’incentivo a investire si tradurrà nel breve periodo in un aumento del
reddito, secondo il moltiplicatore keynesiano, ottenibile attraverso un
incremento del grado di utilizzo della capacità produttiva. L’aumento del grado
di utilizzo della capacità produttiva e del reddito stimoleranno ulteriormente gli
investimenti in attrezzatura produttiva, adeguando il livello della capacità
produttiva al nuovo livello della domanda. Così variazioni nel breve periodo
del grado di utilizzo della capacità produttiva modificheranno nel lungo
periodo la dimensione della capacità produttiva stessa, e influiranno quindi sul
reddito, sulla produzione, e sulla dimensione della capacità produttiva di tutti i
periodi successivi. In quest’ottica l’ammontare degli investimenti crea il
49
Cfr. in proposito Garegnani (1992), Trezzini (1995) e Garegnani-Paulmbo (1998).
55
corrispettivo ammontare di risparmi attraverso variazioni del livello della
produzione e del reddito, nel breve come nel lungo periodo, senza che si debba
verificare alcuna necessaria variazione della distribuzione normale del reddito.
Questo modo di estendere l’Ipotesi Keynesiana al lungo periodo può essere
definito come “approccio keynesiano di lungo periodo basato sul reddito50”, e
appare essere “[...] quello che meglio rappresenta la strada che un’economia di
mercato è più probabile segua nell’adeguare i risparmi all’incentivo a
investire51”.
25. Nell’ approccio keynesiano di lungo periodo basato sul reddito, l’Ipotesi
Keynesiana è caratterizzata anche nel lungo periodo come una teoria del livello
dell’attività economica, così come è nella “Teoria Generale” di Keynes. In
questo approccio infatti è il livello della domanda aggregata a determinare, in
senso lato, l’accumulazione di capitale, e perciò il processo di crescita del
sistema economico. Così la possibilità che il sistema economico impieghi nel
lungo periodo tutte le risorse disponibili dipende, esattamente come è in
Keynes per quanto riguarda il breve periodo, dalla possibilità, perlopiù casuale,
che il livello della domanda effettiva sia tale da assorbire il volume della
produzione corrispondente al pieno impiego delle risorse. Seguendo questa
impostazione, si può dire, in prima approssimazione, che lo studio delle
determinanti del livello dell’attività economica nel lungo periodo, e perciò
l’analisi della crescita dei sistemi economici, dovrà essere condotto nei termini
50
Cfr. Garegnani-Palumbo (1998).
51
Cfr. Garegnani-Palumbo (1998), pag. 3.
56
di uno studio delle componenti della domanda aggregata, e cioè della spesa per
beni di consumo, della spesa per beni di investimento, delle componenti della
domanda che non dipendono dal reddito, e delle relazioni di tutte queste
variabili con l’evoluzione del reddito stesso52. Torneremo su questo punto nel
prossimo capitolo.
52
Ricordiamo che stiamo ragionando nell’ipotesi di un’economia chiusa e senza l’intervento
dello Stato. Qualora considerassimo invece un’economia aperta agli scambi internazionali e
l’intervento dello Stato nel sistema economico, dovremmo senza dubbio annoverare tra le
componenti della domanda aggregata oggetto di studio anche il saldo delle partite correnti e la
spesa pubblica.
57
Capitolo III
IL RUOLO DELL’ESPANSIONE DELLA DOMANDA DI CONSUMI NELLA
CRESCITA ECONOMICA: ALCUNE CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
§III.A Introduzione
26. Abbiamo visto nei capitoli precedenti che il principio della domanda
effettiva può trovare una solida base teorica nella critica alla nozione di
capitale come fattore produttivo. Tale critica infatti inficia la possibilità che gli
investimenti si adeguino al livello dei risparmi di pieno impiego attraverso
variazioni del saggio dell’interesse. Abbiamo visto come, sulla base di queste
considerazioni, si possa argomentare che il sistema economico non tenda al
pieno impiego delle risorse disponibili nel lungo periodo, oltre che al pieno
utilizzo della capacità produttiva data nel breve periodo. Abbiamo infine
illustrato come il flusso degli investimenti crei il corrispettivo ammontare di
risparmi: nel breve periodo, attraverso variazioni del grado di utilizzo della
capacità produttiva, che ingenerano incrementi del reddito secondo il
moltiplicatore keynesiano; nel lungo periodo, attraverso la creazione o la
distruzione di capacità produttiva addizionale, che ha effetti cumulativi nel
tempo sul livello della produzione e del reddito, e che discende dalle variazioni
nel grado di utilizzo dell’attrezzatura produttiva in ogni periodo.
In questo capitolo ci proponiamo di delineare brevemente il quadro generale di
una teoria Classica e Keynesiana della determinazione del livello dell’attività
58
economica, in modo da poter circoscrivere la nostra indagine ad alcuni aspetti
meno esplorati di questa impostazione teorica.
§III.B Teorie del sovrappiù e principio della domanda effettiva
27. La prima considerazione da fare è che se il principio della domanda
effettiva trova adeguata giustificazione teorica sulla base della critica del
concetto di capitale come fattore produttivo, allora una teoria Keynesiana del
livello dell’attività economica necessiterà del quadro di una teoria del valore e
della distribuzione non marginalista, e che risulti ovviamente compatibile con
il principio della domanda effettiva, nel breve come nel lungo periodo.
28. Un approccio teorico di lungo periodo alla teoria della distribuzione,
flessibile per quanto attiene alla tendenza al pieno impiego delle risorse
produttive, è quello basato sul concetto di sovrappiù sociale53, che fu proprio
degli economisti classici. Nelle teorie del sovrappiù, infatti, teoria
dell’accumulazione e teoria del valore e della distribuzione sono affrontate in
stadi separati dell’analisi economica, di modo che la determinazione dei prezzi
relativi e delle variabili distributive non dipende logicamente dalla tendenza del
sistema economico ad impiegare nel lungo periodo tutte le risorse disponibili54,
53
Cfr. Garegnani (1981).
54
Cfr. Garegnani (1979), pag 18, ove si fa notare come Ricardo e Marx, che condividevano i
principi fondamentali della teoria della distribuzione, raggiunsero conclusioni affatto diverse
per quanto attiene alla possibilità del verificarsi di crisi da sovrapproduzione generale di merci.
59
né la implica di necessità. Così “[...] l’applicazione alla distribuzione del
“punto di vista basato sul concetto di sovrappiù” non preclude la possibilità di
deficienze di domanda aggregata nel lungo periodo, cioè che il livello della
domanda aggregata possa influenzare il ritmo dell’accumulazione55”.
§III.C Lineamenti di una teoria Classica e Keynesiana del livello dell’attività
economica
29. Per quanto riguarda la teoria della determinazione del livello dell’attività
economica nel suo aspetto di breve periodo, essa può consistere essenzialmente
delle tesi di fondo della “Teoria generale” di Keynes, riformulate in un
contesto teorico non marginalista. La spesa per beni di investimento può essere
assunta nel breve periodo come una variabile indipendente, nel senso che il suo
livello medio e le sue fluttuazioni intorno a tale livello medio troveranno
opportuna spiegazione nella teoria di lungo periodo56. Essa determinerà il
livello della produzione aggregata, e per questa via l’ammontare dei risparmi
aggregati. Il livello della produzione si manterrà stabilmente intorno a un
valore per cui gli investimenti risultino uguali ai risparmi. Tale equilibrio potrà
ben essere un equilibrio di sottoccupazione, nel senso che per quel livello della
produzione la capacità produttiva potrebbe non essere pienamente utilizzata, e
in ogni caso la forza lavoro disponibile potrebbe non essere pienamente
55
Cfr. Garegnani (1983), pag. 10. (I riferimenti di pagina sono all’edizione italiana citata in
bibliografia).
56
Cfr. Garegnani (1983), pag. 9.
60
impiegata. In tutto questo ragionamento la distribuzione del reddito può essere
considerata come un dato, nel senso che la logica che vi è sottesa è largamente
indipendente dal livello della produzione57.
30. Per quanto attiene invece alla teoria della crescita, e cioè alla teoria della
determinazione del livello del reddito nel suo aspetto di lungo periodo,
abbiamo visto che i prezzi relativi e la distribuzione del reddito possono essere
determinati sulla base dell’approccio del sovrappiù58. Abbiamo inoltre visto in
che modo, anche nel lungo periodo, è possibile sostenere che la spesa per beni
di investimento determini l’ammontare dei risparmi aggregati attraverso
variazioni della produzione e del livello della capacità produttiva. Se dunque è
il livello della spesa per beni di investimento che genera variazioni
nell’ammontare dell’attrezzatura produttiva, e perciò della produzione, del
reddito e dei risparmi, studiare la crescita economica in un’economia di
mercato significa studiare i fattori che influenzano il livello degli investimenti
privati. Seguendo quanto proposto da Garegnani nel saggio “Il problema della
domanda effettiva nello sviluppo economico italiano59”, è possibile asserire
che, in generale, l’espansione del livello degli investimenti è prevalentemente
57
Con ciò non si vuole asserire che le variazioni del livello dell’attività produttiva non possano
avere una qualche influenza sul valore delle variabili distributive, e perciò sul sistema dei
prezzi relativi, e viceversa, quanto piuttosto che teoria della determinazione del livello del
reddito e teoria della distribuzione possono essere affrontate in stadi logici separati dell’analisi
economica, secondo il metodo proprio delle teorie del sovrappiù. Cfr. Garegnani (1981).
58
Cfr. Sraffa (1960), Garegnani (1981).
59
Cfr. Garegnani (1962).
61
determinata dall’espansione della domanda finale e dalle innovazioni tecniche,
sia di processo che di prodotto. Ora, la domanda finale consiste di “[...] quella
domanda il cui fine non è l’ulteriore produzione di beni all’interno
dell’economia60”: e cioè i consumi privati, i consumi pubblici e le esportazioni
al netto delle importazioni. Studiare perciò la crescita del sistema economico
significa studiare le relazioni che intercorrono nel lungo periodo tra reddito e
consumi privati, tra reddito e consumi pubblici, tra reddito e saldo delle partite
correnti; e studiare altresì le relazioni che intercorrono tra queste stesse
relazioni, prese singolarmente e nel complesso, e l’innovazione tecnologica. La
nostra attenzione si concentrerà sulla prima relazione, quella tra reddito e
consumi privati.
§III.D Introduzione all’analisi successiva: la propensione al consumo e
l’analisi della crescita economica
31. Nei prossimi capitoli ci occuperemo dunque di fornire una prima
indicazione circa il possibile ruolo della domanda per beni di consumo
nell’analisi della determinazione del livello del reddito aggregato. La nostra
attenzione sarà in primo luogo rivolta alla spiegazione della cosiddetta
componente autonoma della domanda di beni di consumo, ovvero a quella
parte della spesa per beni di consumo che si suppone in generale essere
indipendente dal livello corrente del reddito aggregato. Suggeriremo, sulla
60
Cfr. Garegnani (1962), pag. 92.
62
scorta della letteratura analizzata, che un’opportuna spiegazione di tale
componente autonoma può essere ricercata nelle teorie che affermano la
determinazione sociale dei modelli di consumo. Il livello dei consumi apparirà
così essere strettamente dipendente dal tipo di società considerata, e dal ruolo e
dalla posizione delle famiglie all’interno di tale società. In questo senso
appariranno più chiare, a nostro modo di vedere, anche le relazioni tra
l’evoluzione del reddito corrente e quella dei consumi correnti. Vedremo come,
in particolare, l’idea della determinazione sociale dei modelli di consumo
implichi che la propensione marginale al consumo assuma valori differenti a
seconda del segno delle variazioni del reddito corrente, e come questo fatto
possa avere conseguenze rilevanti sulla teoria della crescita economica, nel
contesto Classico-Keynesiano brevemente illustrato nei paragrafi precedenti.
Analizzeremo queste questioni con riferimento ad una particolare teoria del
consumo,
nota
come
“ipotesi
del
reddito
relativo”,
ed
elaborata
indipendentemente e quasi contemporaneamente da Duesenberry61 e da
Modigliani62.
61
Cfr. Duesenberry (1948) e Duesenberry (1949).
62
Cfr. Modigliani (1949).
63
Capitolo IV
LA PROPENSIONE AL CONSUMO NELL’ANALISI DI DUESENBERRY E
DEI SUOI CONTEMPORANEI
§IV.A La propensione al consumo nella “Teoria Generale” di Keynes
32. Nella “Teoria Generale”, Keynes definisce “[...] propensione al consumo la
relazione funzionale χ tra un dato livello Yw di reddito in termini di unità
salario e la spesa Cw in consumi dal reddito a quel livello dato”63. In formule
C w = χ (Yw )
(4
Nell’analizzare la propensione al consumo, egli si preoccupa in primo luogo di
verificare la stabilità di tale relazione. A tal fine discute l’influenza sulla
propensione al consumo di una serie di circostanze che non dipendono dal
reddito, e che potrebbero indurre variazioni nella propensione al consumo per
ogni dato livello del reddito. Riconduce tali circostanze a due categorie: i
“fattori soggettivi” e i “fattori oggettivi”. I primi comprendono, nelle sue
parole, “[...]quelle caratteristiche psicologiche della natura umana e quelle
consuetudini e istituzioni sociali le quali, pur non essendo immutabili,
raramente mostrano mutamenti rilevanti nel corso di un periodo breve [...]”64.
63
Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 250.
64
Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 251.
64
Poiché Keynes limita la propria analisi al breve periodo, ritiene di poterli
considerare come dei dati65.
Per quanto riguarda i “fattori oggettivi”, egli ne elenca sei: “[...] 1) Una
variazione dell’unità di salario. [...] 2) Una variazione della differenza tra
reddito e reddito netto. [...] 3) Variazioni accidentali dei valori capitali delle
quali non si è tenuto conto nel calcolare il reddito netto. [...] 4) Variazioni del
saggio di attualizzazione, ossia del rapporto di scambio tra beni presenti e beni
futuri. [...] 5) Mutamenti della politica fiscale. [....] 6) Variazioni nelle
aspettative sulla relazione fra il livello presente e il livello futuro del reddito”66.
Dopo averli passati in rassegna uno ad uno, Keynes afferma che l’influenza di
questi fattori oggettivi sulla propensione al consumo è di norma trascurabile67.
Può così concludere che di norma la spesa per beni di consumo della
collettività dipende principalmente dal reddito aggregato, e che quindi la
propensione al consumo individua una relazione sufficientemente stabile68.
65
“[...] Nella materia di questo libro non ci occuperemo, salvo in digressioni occasionali, di
mutamenti sociali profondi o dei lenti effetti del progresso secolare; ossia assumeremo come
dato lo sfondo principale dei moventi soggettivi al risparmio e al consumo”. Cfr. Keynes
(1936), cap. IX, pag. 269.
66
Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 251-256.
67
“Ci rimane quindi da concludere che in una data situazione la propensione al consumo può
essere considerata una relazione abbastanza stabile, purché siano eliminate le variazioni
dell’unità di salario in termini di moneta. Variazioni accidentali dei valori capitali potranno
variare la propensione al consumo, e variazioni considerevoli del saggio di interesse e della
politica fiscale possono provocare qualche differenza; ma gli altri fattori oggettivi che
influiscono su di essa, pur non dovendo essere trascurati, probabilmente non sono rilevanti in
circostanze ordinarie.” Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 255-256.
68
“Siccome quindi lo sfondo principale degli incentivi soggettivi e sociali varia lentamente,
mentre l’influenza in periodi brevi di variazioni del saggio di interesse e di altri fattori oggettivi
65
Per quanto attiene alla forma normale della propensione al consumo, Keynes
ritiene che essa debba essere tale da esprimere analiticamente quella “legge
psicologica fondamentale” per cui “[...] di norma e in media, gli uomini sono
disposti ad accrescere il loro consumo all’aumentare del reddito, ma non tanto
quanto l’aumento del loro reddito69.” Questo significa che, secondo Keynes,
ogni incremento di reddito causerà in media un incremento di spesa in consumi
per un ammontare assoluto inferiore a quell’incremento di reddito, e cioè,
tornando all’espressione nell’equazione 4, che la funzione χ dovrà essere tale
che
0<
∂C w
<1
∂Yw
dove
∂C w
∂Yw
definisce la propensione marginale al consumo, ovvero
l’incremento della spesa per beni di consumo per ogni incremento unitario del
reddito70. Attribuisce questa caratteristica della propensione al consumo al fatto
che, specialmente nel breve periodo, le abitudini che regolano il tenore di vita
è spesso di importanza secondaria, ci rimane da concludere che le variazioni a breve andare del
consumo dipendono soprattutto da variazioni dell’ammontare di reddito guadagnato per unità
di tempo (misurato in unità di salario) e non da variazioni della propensione al consumo da un
dato reddito.” Cfr. Keynes (1936), cap. IX, pag. 269-270.
69
Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 256.
70
“[...] Se Cw è l’ammontare del consumo e Yw è il reddito (entrambi misurati in unità di
salario), ∆Cw ha lo stesso segno di ∆Yw ma è inferiore, ossia dCw/dYw è positiva e inferiore
all’unità”. Cfr. Keynes (1936), cap. VIII, pag. 256.
66
rendono relativamente rigido per le famiglie il valore assoluto della spesa per
beni di consumo al variare del livello del reddito71.
33. In sintesi dunque possiamo asserire che, nella sua analisi, Keynes sottolinea
in particolare due caratteristiche della propensione al consumo:
1. la spesa per beni di consumo dipende essenzialmente dal reddito
corrente;
2. all’aumentare della produzione e del reddito, non tutto il reddito
addizionale verrà speso nell’acquisto di beni di consumo; aumenterà
cioè il livello assoluto dei risparmi.
§IV.B La “funzione keynesiana del consumo”
34. Nella letteratura successiva72 alla “Teoria generale” si è affermata, come
semplificazione utilizzabile nelle stime sui dati empirici, una rappresentazione
dell’idea keynesiana della propensione al consumo di questo tipo
C = C 0 + cY
71
(5
“[Il fatto che la propensione marginale al consumo sia positiva e inferiore all’unità] si
verifica specialmente quando si considerano brevi periodi, come nel caso delle cosiddette
fluttuazioni cicliche dell’occupazione, durante le quali le abitudini [...] non hanno il tempo
necessario per adattarsi al mutare delle circostanze oggettive. [...] Così un reddito crescente
sarà spesso accompagnato da un risparmio crescente, e un reddito discendente da un risparmio
discendente, su più vasta scala all’inizio che successivamente”. Cfr. Keynes (1936), cap. VIII,
pag. 256-257.
72
Cfr. ad esempio Mosak (1945).
67
dove C sono i consumi reali, Y è il reddito reale, 0 < c < 1 è la propensione
marginale al consumo e C0 è la cosiddetta “componente autonoma” della
domanda di consumi, cioè quella parte di domanda di beni di consumo che non
dipende dal reddito corrente, e che si suppone in generale essere positiva. Tale
rappresentazione individua una dipendenza funzionale stabile tra consumi e
reddito reale, una propensione marginale al consumo compresa tra 0 e 1, e, per
valori di C0 maggiori di 0, una propensione media al consumo, e cioè la
frazione di reddito spesa nell’acquisto di beni di consumo, decrescente rispetto
all’aumentare del reddito73. Essa risulta perciò compatibile con la trattazione
della propensione al consumo che troviamo in Keynes74. Così, quando in
73
Questo significa che nell’equazione 5 il consumo aumenta meno che proporzionalmente
rispetto all’aumentare del reddito, di modo che il saggio di risparmio sul reddito tende ad
essere crescente all’aumentare del reddito. Questo andamento della propensione media al
consumo può essere stato suggerito a Mosak e ad altri statistici “keynesiani” in parte da alcune
osservazioni di Keynes che discuteremo nella nota 74, in parte dall’osservazione che nelle
analisi cross section la propensione media al consumo è più alta per le fasce della popolazione
a basso reddito, e più bassa per quella ad alto reddito, indicando che queste ultime, a fronte di
un reddito maggiore, risparmiano una quota maggiore del proprio reddito. Cfr. in merito
Stiglitz (1997), capitolo 10, pag. 192 (i riferimenti di pagina sono all’edizione italiana citata in
bibliografia).
74
E’ forse opportuno avanzare qui un’osservazione. Abbiamo visto come Keynes si soffermi
su due aspetti della propensione al consumo: la stabilità della relazione nel breve periodo, e il
fatto che la propensione marginale al consumo sia compresa tra 0 e 1. Queste due
caratteristiche di per sé non sono sufficienti a stabilire se i consumi aumentino
proporzionalmente all’aumentare del reddito, o meno che proporzionalmente, o anche più che
proporzionalmente; né del resto Keynes era interessato, nel costruire una teoria generale del
funzionamento del sistema economico, ad approfondire questo aspetto così specifico. Egli
esprime tuttavia per inciso la propria convinzione che all’aumentare del reddito aumenterà la
frazione di reddito che viene risparmiata. Afferma infatti: “[...] Un livello assoluto superiore di
reddito tenderà di regola ad allargare il divario fra reddito e consumo. Infatti la soddisfazione
68
questo lavoro ci riferiremo alla “funzione keynesiana del consumo”, faremo
riferimento all’equazione 5, e non direttamente alla trattazione di Keynes.
§IV.C Il disagio empirico: i dati di Kuznets e gli studi sui bilanci delle famiglie
americane
35. Pochi anni dopo la pubblicazione della “Teoria generale”, uno studio
empirico di Simon Kuznets75 condotto sull’economia statunitense mostrava
dei bisogni primari immediati di un uomo e della sua famiglia è usualmente un movente più
forte di quelli verso l’accumulazione, i quali acquistano un’influenza effettiva soltanto quando
si è raggiunto un margine di conforto. Per queste ragioni la frazione del reddito che viene
risparmiata aumenterà di norma col crescere del reddito reale. Ma aumenti o no la frazione
risparmiata, assumiamo come legge psicologica fondamentale di qualsiasi collettività moderna
che, quando il suo redito reale aumenta, essa non aumenterà il suo consumo per un eguale
ammontare assoluto, cosicché sarà risparmiato un ammontare assoluto maggiore [...]”. Cfr.
Keynes (1936), cap. VIII, pag. 257. Questo significa che secondo Keynes all’aumentare del
reddito i consumi aumenterebbero meno che proporzionalmente, cioè che la propensione media
al consumo sarebbe decrescente al crescere del reddito. E’ evidente tuttavia dal passo riportato
come Keynes circoscriva immediatamente la portata di questa affermazione, nel cui merito non
vuole evidentemente entrare. A lui interessa sottolineare che all’aumentare del reddito aumenta
il livello assoluto dei risparmi, perché questo ha effetti importanti da un punto di vista teorico
sulla stabilità del sistema economico, indipendentemente da cosa accada alla frazione di
reddito risparmiata. E’ importante sottolineare questa sfumatura, perché quando in letteratura si
parla di “funzione keynesiana del consumo” si intende sempre una funzione con propensione
media al consumo decrescente, e si cita in proposito questo brano di Keynes; mentre, a nostro
avviso, la teoria di Keynes non afferma che i consumi aumentino meno che proporzionalmente
rispetto all’aumentare del reddito, ma solo che all’aumentare del reddito aumenti il livello
assoluto dei risparmi.
75
Cfr. Kuznets (1942). Premettiamo all’esposizione dei dati Kuznets, che la bontà di queste
stime fu subito posta in discussione, nei suoi valori assoluti, da Kuznets (1946) e da
Duesenberry (1949). Più di recente si è sviluppato un dibattito in termini econometrici sulle
metodologie di rilevazione e di analisi dei dati utilizzate da Kuznets nei suoi lavori; cfr., ad
69
andamenti
secolari
costanti
della
propensione
media
al
consumo,
contraddicendo così una delle caratteristiche della “funzione keynesiana del
consumo”, così come desumibile dall’equazione 5.
Kuznets costruisce serie storiche per gli Stati Uniti d’America che coprono il
periodo che intercorre tra il 1879 e il 1938, suddividendole per decadi, e
individuando in ogni decade il valore medio sul periodo delle grandezze che lo
interessano. Esprime tali serie sia a prezzi in dollari correnti, che a prezzi in
dollari costanti, prendendo come anno base il 1929. Calcola tali valori medi
anche per le decadi formate dagli ultimi cinque anni di una decade e dai primi
cinque di quella successiva, in modo da ottenere valori medi riferiti a undici
decadi per un periodo di sessant’anni76. Il suo proposito è quello di indagare il
valore e l’evoluzione nel tempo della spesa per beni di consumo e del flusso
degli investimenti. Riportiamo in tabella 1 i dati rilevanti nel dibattito sulla
funzione del consumo, e che riguardano il rapporto tra investimenti lordi e
esempio, Spanos (1989). Noi non entreremo nel merito di queste osservazioni, perché il
riferimento all’analisi di Kuznets rileva qui in quanto momento iniziale del dibattito teorico
sulla propensione al consumo successivo all’opera di Keynes. Serve cioè a contestualizzare i
lavori statistici e teorici sulla funzione del consumo tra gli anni ’40 e gli anni ’50 che
prenderemo in esame nel corso di questa trattazione, e a chiarirne la genesi storica e teorica.
76
“[...] We calculated totals also for overlapping decades (i. e., not only for 1879-88, 1889-98,
etc. but also for 1884-93, 1894-1903, etc.), so that for the sixty years we have eleven
overlapping decades, the midpoints of each pair separated by five years. The estimates are both
in current and constant prices (as 1929), [...]. As all these shares are for decades, they are not
affected by short term fluctuations.” Cfr. Kuznets (1942), pag. 5.
70
prodotto nazionale lordo e quello tra investimenti netti e prodotto nazionale
netto77, entrambi espressi sia a dollari correnti che a dollari costanti 1929. Sulla
Tabella 1. Quota degli investimenti sul prodotto nazionale. USA, anni 1879-1938
(presi per decadi). Dati presi da Kuznets78 (1942)
Anno
1879-1888
1884-1893
1889-1898
1894-1903
1899-1908
1904-1913
1909-1918
1914-1923
1919-1928
1924-1933
1929-1938
Rapporti calcolati su valori espressi a
prezzi in dollari correnti
(Investimenti
(Investimenti
lordi/Prodotto
netti/Prodotto
nazionale lordo)% nazionale netto)%
20
21,2
21,2
20,9
20,4
20,2
20,6
21,2
20,2
16,6
14,6
10,4
11,7
12
11,6
11,3
11
11,3
11,6
10,8
6,6
3,1
Rapporti calcolati su valori
espressi a prezzi in dollari 1929
(Investimenti
(Investimenti
lordi/Prodotto
netti/Prodotto
nazionale
nazionale
lordo)%
netto)%
22,5
24,8
25,3
23,7
22,5
22,4
22,8
21,8
19,6
16,1
13,5
11,6
14
14,8
13,4
12,7
12,4
12,9
11,6
10,1
5,8
2,5
Tabella 1
base dei dati esposti in tabella 1, Kuznets rileva come il rapporto tra
investimenti e prodotto nazionale, sia al netto che al lordo degli ammortamenti,
77
Kuznets parla di prodotto nazionale lordo e prodotto nazionale netto, identificando queste
due grandezze rispettivamente con il reddito nazionale lordo e con il reddito nazionale netto.
“Net capital formation is a component of the net national product or national income [...] Gross
capital formation can be treated as a component of gross national product, i. e., of national
income taken gross of the durable capital consumed in production.” Cfr. Kuznets (1942) pag.
4. Attualmente la contabilità nazionale dà due diverse definizioni del prodotto nazionale: il
reddito nazionale e il prodotto interno, che possono poi essere considerati al lordo o al netto
degli ammortamenti. Cfr. Castellino (1994), Hicks (1952) e Palumbo (1998). Nel testo
manteniamo la dizione di Kuznets, perché non ci è dato di sapere a quale delle due moderne
definizioni possa ricondursi la grandezza cui egli fa riferimento. Del resto la questione è qui
inessenziale.
78
Cfr. Kuznets (1942), pag. 30-31, tabelle 1 e 2.
71
e indipendentemente dal fatto che le grandezze risultino espresse a prezzi
correnti o a prezzi costanti, si mantenga sostanzialmente stabile, come media di
decennio in decennio, fatta eccezione per le ultime tre decadi della serie79. Il
che significa, ovviamente, che la quota dei consumi sul reddito, e cioè la
propensione media al consumo, si è mantenuta anch’essa sostanzialmente
stabile, nel periodo che egli prende in esame80.
36. D’altro canto una serie di studi governativi statunitensi, all’incirca
contemporanei all’opera di Kuznets, mostrava una propensione media al
consumo decrescente all’aumentare del reddito, e perciò compatibile con la
“funzione keynesiana del consumo”, quale essa appare nell’equazione 5. Si
tratta degli studi sui bilanci delle famiglie americane condotti negli anni 1935193681 e 1941-194282, e relativi all’analisi su un solo periodo della relazione tra
reddito e consumo in ogni classe sociale (cosiddetta analisi cross section), e dei
dati annuali su reddito e risparmio aggregati pubblicati a partire dal 1929 dal
Dipartimento del Commercio del governo degli Stati Uniti. Entrambe le serie
79
“[...] The ratio of capital formation to the national product has been stable. Except during the
periods affected by severe depression of 1929-32, when the decade average even of the
national product declined, the share of capital formation in national income fluctuates from
decades to decades [...], but shoes not definite trend either upward or downward”. Cfr. Kuznets
(1942), pag. 9.
80
“The share of consumer’s outlay in the national product and its behaviour are, of course,
determined by the size of the other component, capital formation, its stability during the first
eight decades, and its decline during the last three”. Cfr. Kuznets (1942), pag. 6.
81
Cfr. National Resources Committee (1938), National Resources Committee (1939) e
National Resources Committee (1941).
82
Cfr. United States Bureau of Labour Statistics, Bollettino 723 e 724.
72
di dati infatti mostrano che il saggio del risparmio sul reddito aumenta
all’aumentare del reddito, e diminuisce al diminuire di questo83.
Gli studi sui bilanci delle famiglie americane, inoltre, mostrano la presenza di
forti deficit di bilancio nel periodo 1935-1936, in presenza di un’alta
percentuale di forza lavoro disoccupata; deficit che, nel 1941, per ogni livello
di reddito, risultano più che dimezzati, a fronte di una percentuale di forza
lavoro disoccupata significativamente inferiore rispetto a quella rilevata nel
‘35-‘3684.
§IV.D I primi tentativi di soluzione del disagio empirico: la “funzione
keynesiana” con i fattori di trend
37. Dopo l’apparizione di questi divergenti studi empirici sulla funzione del
consumo, e il conseguente emergere di un disagio attorno ad essa, fiorirono una
serie di analisi statistiche e teoriche, volte all’individuazione di una
formulazione della propensione al consumo in grado di trovare opportuno
riscontro con le serie dei dati disponibili.
38. In un lavoro statistico del 1945 Smithies85 propose una funzione keynesiana
del consumo del tipo di quella formulata nell’equazione 5, ma corretta con
l’introduzione di alcuni fattori esogeni alla relazione individuata dalla
83
Cfr. Duesenberry (1949), pag. 4.
84
Cfr. Duesenberry (1949), cap. 5, pag. 86.
85
Cfr. Smithies (1945).
73
propensione al consumo, e che determinerebbero una variazione nel tempo
della spesa per beni di consumo, per ogni livello del reddito. Tali fattori
esogeni vengono definiti “fattori di trend86”. Essi consistono in quella serie di
cambiamenti della struttura economica e sociale di un paese, che possono
prodursi nel lungo periodo, e che sono per l’appunto suscettibili di modificare
il livello dei consumi, per ogni livello di reddito87. Facciamo qualche esempio
per chiarire meglio il concetto. La demografia anzitutto. Se a parità di reddito
si verificasse un aumento della popolazione, la propensione media al consumo
sarebbe probabilmente destinata a salire.
Smithies fa notare, ancora con
riferimento a fenomeni demografici, come “[...] la migrazione dalle fattorie alle
città incrementi probabilmente la spesa degli emigranti88”. Poi la tecnologia,
che non modifica solo le condizioni tecniche di produzione, ma permette anche
l’introduzione di nuovi beni di consumo, la cui esistenza induce il bisogno di
consumo, e modifica quindi i gusti dei consumatori89. Cambiamenti nella
distribuzione del reddito indotti da vari fenomeni sociali possono poi influire
sul valore della propensione al consumo, dato che, plausibilmente, vi saranno
86
Cfr. Smithies (1945), pag. 6.
87
E’ bene notare come il tema di cambiamenti nella struttura economica e sociale di un paese
che modificano il livello dei consumi per ogni livello del reddito è tema comune a tutte le
analisi che prenderemo in considerazione in questo lavoro. Così nello spiegare che cosa si
intenda per “fattori di trend” abbiamo preso spunto anche dalle analisi di Woytinsky,
Duesenberry, Samuelson e Modigliani, che però non hanno nulla a che vedere con la “funzione
keynesiana” con l’aggiunta dei fattori di trend.
88
Cfr. Smithies (1945), pag. 6. (Traduzione dall’inglese nostra).
89
Cfr. ad esempio Modigliani (1949).
74
saggi di risparmio sul reddito diversi per le diverse classi sociali90. Infine “[...]
la crescita degli standard di vita ha aumentato il livello minimo della spesa in
beni di consumo91”, rendendo necessari, nella vita delle famiglie, beni il cui
consumo era ritenuto in periodi precedenti un lusso.
Con l’aggiunta di questi fattori di trend, dunque, la funzione del consumo, in
una versione lineare semplificata, utilizzabile per le stime sui dati empirici,
assumerebbe analiticamente una forma del tipo
C = C 0 + cYd + FT
(6
dove consumi e reddito disponibile aggregati sono valori pro-capite ed espressi
a prezzi costanti, e dove con FT intendiamo i cosiddetti fattori di trend92.
Ora, l’equazione 5, che rappresenta la “funzione keynesiana del consumo”, e
l’equazione 6, che abbiamo appena scritto, presentano, da un punto di vista
analitico, una certa similarità; il consumo, infatti, dipende in entrambe dal
reddito corrente e da una componente autonoma, indipendente dal reddito
corrente. La differenza è nel fatto che nell’equazione 6 viene esplicitato che la
componente autonoma non è costante, ma cambia con il tempo e con
l’evolversi delle condizioni storiche e sociali dei sistemi economici.93.
90
Cfr. ad esempio Woytinsky (1946), Samuelson (1943), Duesenberry (1949).
91
Cfr. Smithies (1945), pag. 6. (Traduzione dall’inglese nostra).
92
“Estimates [...] using data from 1923-1940 yield the following formula in dollars terms of
1929 prices:
Consumption expenditure per capita = 76,58 + 0,76(Disposable income per capita) +
1,15(Time – 1922)”. Cfr. Smithies (1945) pag. 5-6.
93
Se però assumessimo che C0 non sia costante nell’equazione 5, ma anzi vari in relazione al
prodursi dei fattori di trend, e invero non sembrerebbe esservi alcun elemento ostativo in
75
C
B
b
C
a
O
Yd
Figura 1
In figura 1 abbiamo riportato una possibile rappresentazione grafica di tale
funzione, assumendo per semplicità, come fa Smithies94, che la propensione
marginale al consumo sia costante. Le rette a e b rappresentano appunto
l’equazione 6 scritta per due diversi valori delle componenti della domanda di
beni di consumo che non dipendono dal reddito disponibile. La retta OB è la
bisettrice del primo e terzo quadrante. La retta OC indica l’andamento secolare
costante della propensione media al consumo deducibile dai dati di Kuznets.
Secondo Smithies, dunque, il fatto che la retta OC emerga come regressione sui
questa direzione, l’equazione 5 e l’equazione 6 sarebbero concettualmente identiche. La scelta
di Smithies di esplicitare nella funzione del consumo i fattori di trend in questo modo deriva
probabilmente dalla maggiore trattabilità statistica dell’equazione 6 nel procedere alle stime
econometriche, rispetto al dover considerare nella funzione del consumo un generico fattore
autonomo ma variabile. L’osservazione appare vieppiù significativa laddove si consideri che
Smithies ottiene una funzione del tipo della 6, non sulla base di considerazioni teoriche, ma
come regressione lineare sui dati empirici, costituiti da serie storiche. Cfr. l’equazione riportata
nella nota 92.
94
Cfr. nota 92.
76
dati empirici è giustificato dagli spostamenti nel tempo delle funzioni del tipo a
e b ingenerati dai fattori di trend.
39. In sintesi, Smithies tenta di individuare una prima soluzione al disagio
empirico derivante dalla discrepanza tra i dati di Kuznets e la “funzione
keynesiana del consumo”, distinguendo, nella funzione del consumo, due
componenti, una di breve ed una di lungo periodo. Considera poi i cosiddetti
fattori di trend nel lungo periodo, introducendo nell’analisi della funzione del
consumo elementi particolarmente innovativi, che consistono nella rilevanza
dei fenomeni storici e sociali nella determinazione del livello della spesa in
beni di consumo corrispondente ad ogni livello del reddito aggregato. D’altro
canto, l’interesse per un’analisi di carattere statistico, volta alla stima dei
parametri di una funzione del consumo utilizzabile a fini di politica economica,
lo ha probabilmente indotto a non interessarsi di chiarire quale connessione
possa intercorrere tra l’evoluzione del reddito aggregato e il prodursi di questi
fattori di trend. Per chiarire questa osservazione si consideri ancora il grafico in
figura 1. Supponiamo che nel periodo t la relazione tra reddito e consumo sia
rappresentata dalla retta a. Supponiamo che nei periodi successivi il reddito
aggregato aumenti. Secondo la funzione del consumo rappresentata
nell’equazione 6, il saggio di risparmio sul reddito tenderà, inizialmente, ad
aumentare con l’aumento del reddito; nel grafico di figura 1 ci si muoverà
verso destra lungo la retta a. Con il passare del tempo però inizieranno ad
operare i cosiddetti fattori di trend. Ad esempio, a mano a mano che il reddito
77
aumenta, se tale aumento ha carattere persistente, le abitudini di consumo
tenderanno a conformarsi a standard superiori, di modo che ci si sposterà
gradualmente su un’altra funzione del consumo, in cui la componente
autonoma assuma un valore maggiore. Da a si passerà, supponiamo, a b.
Questo significa che le curve come la a e la b rappresentano, per così dire,
curve virtuali, in cui le combinazioni di reddito e consumi non descrivono
situazioni mutuamente compatibili. In esse infatti non si legge come varia il
livello dei consumi al variare del reddito, ma quale sarebbe il livello dei
consumi se il reddito in quello stesso periodo, e ceteris paribus, avesse un altro
valore rispetto a quello effettivamente osservabile, e da cui siamo partiti. Infatti
all’aumentare del reddito il livello dei consumi andrà letto non sulla curva a,
ma su un’altra curva, che la teoria avrà dunque il compito di individuare.
Possiamo cioè dire che il prodursi dei fattori di trend appare connesso con
l’evoluzione del reddito aggregato, e che occorre spiegare in che termini si
manifesti tale connessione.
§IV.E L’analisi di Woytinsky: l’andamento della propensione al consumo
rispetto alle fasi del ciclo economico
40. Una spiegazione diversa dei dati di Kuznets viene avanzata in quegli anni
da Woytinsky95, in un’analisi di carattere prettamente statistico. Egli osserva
che nelle depressioni il consumo si mantiene complessivamente stabile, o
95
Cfr. Woytinsky (1946).
78
diminuisce relativamente poco96, rispetto a quanto non aumenti nelle fasi di
espansione del reddito aggregato. Attribuisce questo andamento diverso della
propensione al consumo in recessione e in espansione alle peculiarità di
un’economia in depressione. Ritiene così di poter isolare il periodo recessivo e
di poter trascurarlo all’atto di procedere alla stima econometrica di quella che
sarà, in condizioni “normali”, la funzione del consumo. Sulla base di questa
ipotesi egli ottiene, per i periodi in cui l’economia non è in recessione, una
funzione del consumo del tipo di quella rappresentata in figura 1 dalla retta
OC, e che ha quindi piena compatibilità con i dati di Kuznets. Interpreta tale
risultato come l’affermazione di una sostanziale indipendenza tra propensione
media al consumo e reddito disponibile, e ipotizza che la quota di reddito spesa
in consumi dipenda dalla posizione delle famiglie nella distribuzione del
reddito97.
41. Nella sua analisi statistica, dunque, Woytinsky coglie dall’indagine sulle
serie storiche un andamento diverso della propensione al consumo a seconda
delle fasi del ciclo economico, ed è questo l’elemento più significativo del suo
lavoro. Da tale osservazione egli deduce l’idea di stimare due funzioni del
consumo, una “normale” che spiegherebbe i consumi in condizioni di crescita
del sistema economico, e l’altra specifica dei soli periodi recessivi, giustificata
96
Cfr. Woytinsky (1946), paragrafo II, pag. 2-3.
97
“[…] The propensity of a consumer to save depends more on his position in the frequency
distribution of income than on the number of dollars he earns.” Cfr. Woytinsky (1946), pag.
11.
79
a suo modo di vedere dalla necessità di procedere a stime econometriche su
dati omogenei, che riguardino cioè le medesime fasi del ciclo economico98.
Tale procedimento non ci appare tuttavia sufficientemente solido da un punto
di vista teorico: una teoria del consumo deve poter spiegare con una logica
unitaria i diversi andamenti della propensione al consumo a seconda che il
reddito cresca o diminuisca, e non assumerli come un dato. E questa
osservazione appare tanto più pertinente nei limiti in cui egli sembra ritenere
che la funzione del consumo sia rappresentata normalmente dalla sola stima
ottenuta isolando e non considerando il periodo recessivo99.
§IV.F Un primo tentativo di ricostruzione teorica: l’analisi di Samuelson
42. Sulla variabilità ciclica della funzione del consumo è basato anche un
contributo di Samuelson alla teoria del consumo, esposto nel saggio “Full
Employment after the War100”.
In questo lavoro egli prende le mosse da due considerazioni preliminari:
98
“[...] A formula for prosperous years may differ widely from that for depression years”. Cfr.
Woytinsky (1946), pag. 2.
99
Si veda in proposito quanto afferma Modigliani relativamente all’analisi di Woytinsky: “His
approach [...] is not very convincing inasmuch as he segregated 1931-34 from 1923-40, and
fitted separate equations to 1932-34 and to the remaining years [...]. This procedure seems to us
too arbitrary[...]. The distinction between prosperity and depression is obviously quantitative,
not qualitative, and can therefore be measured.” Cfr. Modigliani (1949), pag. 378-379.
100
Cfr. Samuelson (1943).
80
1. è ragionevole attendersi una relazione sufficientemente stabile tra il
reddito nazionale e il risparmio delle famiglie, come del resto indicano i
dati di Kuznets101;
2. l’evidenza empirica e la teoria economica fanno ritenere che la funzione
del consumo debba avere come caratteristiche una propensione
marginale al consumo compresa tra 0 e 1, e una propensione media al
consumo decrescente rispetto al crescere del reddito102.
Al fine di fornire una spiegazione teorica ragionevole di queste due
caratteristiche in apparente contraddizione, Samuelson considera la necessità di
distinguere nell’analisi della propensione al consumo, i movimenti ciclici del
reddito da quelli secolari103. A suo modo di vedere nel lungo periodo le
caratteristiche delle moderne economie capitalistiche sono tali che il livello dei
consumi, in una condizione di crescita del sistema economico, tende di norma
ad aumentare all’aumentare del reddito; il che sarebbe giustificato dal fatto che
101
“In view of the relationship between family savings and family income, it is to be expected
that there should be a fairly stable relationship between the total of all family savings and total
national income [...]. Examination of the data provided by the painstaking efforts of Prof.
Simon Kuznets [...] shows this to be the case.” Cfr. Samuelson (1943), pag. 1434 (i riferimenti
di pagina sono all’edizione citata in bibliografia).
102
“Statistically, theoretically, and institutionally, everything points toward a consumption-
savings-income pattern which is relatively stable, which is qualitatively predictable, and which
change only slowly over time. At low levels of national income net savings are negative; at
some intermediate break-even point considerably below the full-employment level, they are
zero; as we approach full employment, they mount rapidly, increasing more than
proportionately with income”. Cfr. Samuelson (1943), pag. 1434.
103
“As a second approximation to bring the picture into greater conformity to reality, we must
modify the above notion of a stable consumption-savings-income pattern to allow for secular
and cyclical alterations”. Cfr. Samuelson (1943), pag. 1435.
81
lo standard di consumo ritenuto il minimo necessario da parte delle famiglie
tende ad essere crescente nel tempo104. Sulla base di questa osservazione,
fornisce una spiegazione della costanza della propensione media al consumo
rinvenibile nei dati di Kuznets incentrata sulla concomitanza di due fenomeni
tra loro indipendenti: da un lato l’aumento dello standard di consumi
considerato il minimo necessario da parte delle famiglie; dall’altro un
incremento nel “potenziale produttivo” che si è verificato, nel periodo di
rilevazione, a un saggio di incremento all’incirca pari al saggio di crescita dei
consumi delle famiglie stesse105. Notiamo come, a nostro avviso, affinché tale
concomitanza di fattori indipendenti dia luogo effettivamente alla costanza
della quota dei consumi sul reddito, sia necessario ipotizzare che, nel periodo
preso in esame da Kuznets, il “potenziale produttivo”, che è aumentato allo
stesso saggio al quale è aumentato il consumo delle famiglie, sia stato
pienamente utilizzato, come del resto ammette implicitamente lo stesso
Samuelson, laddove afferma che la relazione stabile tra percentuale del reddito
104
“As real income increases over time, commodities that were once luxuries become
necessities. Today, modest incomes can buy more than a king’s fortune could command in
former times. And yet such income are often not large enough to finance “absolutely
necessary” purchases [...].” Cfr Samuelson (1943), pag. 1435.
105
“[…] The most plausible explanation [dei dati di Kuznets] […] is to be found in the
hypothesis that our enlarged scale of wants was causing an upward shift in the consumption
function at about the same rate as improvements in our production potential, yielding a stable
relation between percentage consumed out of national incomes corresponding to a given
fraction of full-employment income”. Cfr. Samuelson (1943), pag. 1435.
82
spesa in consumi e reddito sarà stata corrispondente “[...] a una frazione data
del reddito di pieno impiego106”.
Per quanto riguarda il comportamento della funzione del consumo al variare
ciclico del reddito nel breve periodo, Samuelson afferma che, nel breve
periodo, all’aumentare del reddito, il consumo aumenterà meno di quanto non
aumenti nel lungo periodo, e che, simmetricamente, al diminuire del reddito, il
consumo diminuirà meno di quanto non diminuisca nel lungo periodo107. Ne
seguirà108 che “[...] la propensione marginale al consumo di breve periodo è
inferiore alla propensione marginale al consumo di lungo periodo109”.
Samuelson non formalizza analiticamente queste sue osservazioni sulla
propensione al consumo, ma le sintetizza in una rappresentazione grafica che
riproduciamo in figura 2.
Vediamo tale rappresentazione nel dettaglio, e cerchiamo di chiarire meglio il
senso delle argomentazioni di Samuelson.
La retta OB è la bisettrice del primo e terzo quadrante. La retta OC rappresenta
l’andamento secolare costante della propensione media al consumo desumibile
dai dati di Kuznets. La curva a rappresenta, nelle sue parole “[...] what the
static consumption function would be at any instant of time if income were to
106
Cfr. Samuelson (1943), pag. 1435. (Traduzione dall’inglese nostra). Cfr. comunque nota
105.
107
“[...] In the short run consumption increases less then it does in the long run, saving taking
up the slack. Moreover, when income drops, consumption is maintained at the expense of
savings”. Cfr. Samuelson (1943), pag. 1436.
108
Chiariremo le nostre perplessità su questo punto specifico nel paragrafo 44.
109
Cfr. Samuelson (1943), pag. 1436. (Traduzione dall’inglese nostra).
83
be maintained stable at each given level110”; cioè, se interpretiamo bene questa
definizione, questa curva rappresenterebbe la relazione di breve periodo tra
reddito e consumo, in assenza di fluttuazioni cicliche del reddito e in assenza
dell’incremento autonomo dei consumi111.
C
B
C
b
a
O
Yd
Figura 2
Con il passare del tempo il livello di consumo necessario sale per le
caratteristiche di un’economia capitalistica, e quindi la curva della propensione
al consumo rilevante diverrà la curva b. Poiché però il reddito non aumenta
stabilmente, ma oscilla ciclicamente, in realtà le curve a e b non sono mai
osservabili, e l’unica curva osservabile è la curva a spirale112, lungo la quale la
110
Cfr. Samuelson (1943), pag. 1437.
111
In sostanza questa curva è analoga, da un punto di vista teorico, a quella disegnata con lo
stesso nome in figura 1 a pag. 65. Essa descrive cioè ipoteticamente quale sarebbe il livello dei
consumi se il reddito fosse, in una data situazione, diverso da quello che è effettivamente.
112
“Strictly speaking, under modern conditions these schedules [a e b] are not observable since
income rarely holds to a plateau of income, but moves cyclically. This point is indicated in the
84
propensione marginale al consumo assume un andamento diverso a seconda
delle fasi del ciclo economico, risultando maggiore nelle fasi di espansione del
reddito e minore in quelle di contrazione113. Egli osserva infine come la curva
OC114 non sia a suo modo di vedere interpretabile come una funzione del
consumo di lungo periodo, coerentemente con la spiegazione che fornisce dei
dati di Kuznets. Essa infatti non sarà altro che l’interpolazione della nuvola dei
punti che individuano le situazioni in cui saggio di crescita dei bisogni delle
famiglie e saggio di crescita del “potenziale produttivo” dell’economia, in
ipotesi di utilizzo normale della capacità produttiva, assumono lo stesso valore.
Ed è questo il motivo per cui viene disegnata vicina al punto di massima
espansione del reddito nella fase di boom del ciclo economico, rappresentato
dai punti in cui la curva a spirale, per così dire, ruota a sinistra. Così, se le
curve a e b non sono strettamente osservabili, e la curva OC non è una
funzione del consumo, in quanto risultante di una concatenazione di eventi, che
si è verificata nel periodo preso in esame da Kuznets, ma che non è
necessariamente destinata a ripetersi, allora la funzione del consumo
risulterebbe effettivamente rappresentata dalla sola curva a spirale.
lighter curve [la curva a spirale] which takes the shape of ascending spirals; these are counter
clockwise in direction because of the delayed adjustment of consumption to new levels of
income”. Cfr. Samuelson (1943), pag 1437.
113
Samuelson non dà alcuna spiegazione di questo particolare comportamento della
propensione marginale al consumo, di cui peraltro non fa menzione nel saggio in esame, e si
limita a disegnare questa curva senza entrare nel merito di una sua più precisa connotazione
teorica.
114
“Some might choose to interpret the dotted line [la curva OC] as a very long-run
consumption function, although I myself would not.” Cfr. Samuelson (1943), pag. 1438, nota
1.
85
43. Vediamo ora di approfondire alcuni aspetti di questa analisi di Samuelson.
Consideriamo il grafico di figura 2. Se Samuelson non avesse disegnato la
curva a spirale, la sua analisi della propensione al consumo sarebbe stata non
dissimile da quella degli autori keynesiani che introducono i fattori di trend
nella funzione del consumo. Avremmo avuto infatti le curve di breve periodo
del tipo della a o della b, e un andamento di lungo periodo della propensione al
consumo rappresentato dalla curva OC. Con l’introduzione della curva a
spirale, invece, Samuelson ipotizza, pur senza argomentarla, una relazione tra
l’andamento del reddito e l’evoluzione della componente autonoma della
domanda per beni di consumo. La curva a spirale, infatti, lega il prodursi dei
fattori di trend all’andamento ciclico del reddito aggregato, di modo che, nella
sua analisi, la distinzione tra funzione del consumo di lungo periodo e funzione
del consumo di breve periodo sembra, in un certo senso, perdere di significato.
Tale distinzione infatti, come abbiamo visto esponendo il lavoro di Smithies,
trova una sua logica nel fatto che nel lungo periodo la componente autonoma
della domanda di consumi muti in larga misura indipendentemente
dall’evoluzione del reddito aggregato. In questo modo infatti la funzione del
consumo individuerebbe nel breve periodo una relazione stabile tra reddito
corrente e consumi correnti, che varia poi nel lungo periodo in relazione a
fenomeni esogeni rispetto alla propensione al consumo, e che non dipendono
direttamente dal reddito aggregato, ma dal fatto che le istituzioni e i costumi
mutano con lo scorrere del tempo. Ora, poiché nell’analisi di Samuelson il
prodursi dei fattori di trend è invece legato dalla curva a spirale all’andamento
86
del reddito aggregato, e non c’è nessuna componente autonoma che muta
indipendentemente dall’andamento del reddito aggregato, questa distinzione tra
funzione del consumo di breve periodo e funzione del consumo di lungo
periodo sembra non essere più significativa. E tale osservazione è rafforzata dal
fatto che Samuelson non attribuisce alla curva OC, come abbiamo visto, il
significato di funzione del consumo di lungo periodo.
Quest’ultima considerazione, e cioè il fatto che Samuelson non attribuisca alla
curva OC il significato di funzione del consumo di lungo periodo, merita poi
un ulteriore approfondimento, in almeno due direzioni. In primo luogo
vogliamo sottolinearne alcune implicazioni con riferimento alle ipotesi
formulate da Samuelson sul comportamento della funzione del consumo nel
breve periodo. Abbiamo visto infatti come egli ritenga che nel breve periodo la
propensione marginale al consumo sia inferiore a quella di lungo periodo. Se
però la curva OC non rappresenta la funzione del consumo nel lungo periodo,
come lui stesso afferma esplicitamente, allora non è chiaro quale sia il valore di
lungo periodo della propensione marginale al consumo rispetto al quale
asserire che nel breve periodo la propensione marginale al consumo è inferiore
a quella di lungo periodo. Di fatto, a nostro modo di vedere, Samuelson vuole
dire che le curve a e b dovranno avere una pendenza inferiore rispetto alla
curva OC; ma se le curve a e b sono inosservabili, e la curva OC rappresenta
un risultato empirico, l’osservazione ci sembra, in questo contesto,
inessenziale.
87
In secondo luogo, se la curva OC non è la funzione del consumo di lungo
periodo, ma rappresenta sostanzialmente la costanza della propensione media
al consumo rinvenibile nei dati di Kuznets, essa sarà interpretabile come
un’interpolazione lineare su una nuvola di punti che rappresentano le
combinazioni di reddito e consumo ottenute come media su decenni che si
accavallano; ma allora tale curva non potrà essere disegnata in corrispondenza
dei picchi di massimo della funzione del consumo, rappresentata dalla curva a
spirale, ma dovrà, per così dire, tagliarla nel mezzo: la propensione media al
consumo, su dati calcolati come medie decennali, dovrà emergere come valore
medio delle propensioni medie al consumo calcolate anno per anno sulla base
della curva a spirale.
Possiamo sintetizzare l’insieme di queste nostre osservazioni in una
C
B
C
O
Yd
Figura 3
88
rappresentazione grafica ricostruttiva, coerente con quello che a nostro avviso è
il senso dell’analisi di Samuelson, che proponiamo in figura 3.
In essa abbiamo eliminato le curve a e b, e abbiamo modificato la posizione
della curva OC, che emerge ora come interpolazione dei dati che sarebbero
rilevabili nell’economia se il consumo seguisse l’andamento delineato dalla
curva a spirale. Si osservi come questa rappresentazione della curva OC come
un andamento medio nel tempo della propensione al consumo non implichi più
alcuna necessaria considerazione sul saggio di crescita del potenziale
produttivo, né sul grado di utilizzo della capacità produttiva, né tanto meno sul
pieno impiego delle risorse disponibili.
44. Sulla base di una lettura congiunta dei grafici di figura 2 e di figura 3,
possiamo riassumere la nostra interpretazione dell’analisi di Samuelson in
questo modo:
1. Samuleson individua una relazione tra i consumi aggregati e
l’evoluzione storica della struttura sociale, esattamente come fanno i
teorici keynesiani che introducono i fattori di trend;
2. appare convinto che tale relazione non si manifesti in modo erratico col
procedere del tempo, ma in modo sistematico, e che sia essenzialmente
connessa con l’evoluzione del reddito aggregato; disegnando la curva a
spirale, infatti, lega il prodursi dei fattori di trend all’andamento ciclico
del reddito aggregato;
89
3. la curva a spirale, che Samuelson non argomenta, manifesta un
andamento diverso della propensione marginale al consumo a seconda
delle fasi del ciclo economico; nel grafico, infatti, essa risulta più bassa
nelle fasi di contrazione del reddito, e più alta in quelle di espansione;
questo significherebbe, secondo noi, che dalla sua analisi è in qualche
modo desumibile che i consumi manifestano una rigidità rispetto alle
variazioni del reddito relativamente maggiore nelle recessioni che nelle
espansioni.
§IV.G L’analisi di Duesenberry: l’“ipotesi del reddito relativo” e
l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo
45. Un tentativo di risoluzione del disagio empirico maggiormente sistematico
rispetto a quelli sinora analizzati è stato proposto da Duesenberry nei suoi
lavori sulla propensione al consumo115.
Egli prende le mosse dalla considerazione della necessità di una riformulazione
della teoria marginalista delle scelte del consumatore, che tenga conto del
carattere essenzialmente sociale delle scelte di consumo116.
115
116
Cfr. Duesenberry (1948) e Duesenberry (1949).
“Per una reale comprensione del problema del comportamento del consumatore, è
necessario cominciare a riconoscere pienamente la caratteristica sociale dei modelli di
consumo”. Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 23. (I riferimenti di pagina sono all’edizione
italiana citata in bibliografia). Duesenberry traduce analiticamente tale necessità di considerare
la caratteristica sociale dei modelli di consumo, inserendo, come argomento della funzione di
utilità di un individuo, i consumi degli altri individui. Cfr. Duesenberry (1949), cap. 2, e cap. 3
pag 32-37. Noi non entreremo nel merito delle osservazioni che Duesenberry avanza, nei
90
Tale caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale implica, secondo
Duesenberry, che per ogni famiglia la frazione di reddito spesa nell’acquisto di
beni di consumo è in media indipendente dal reddito disponibile corrente, ma
dipende piuttosto dalla posizione relativa della famiglia nell’ambito della
distribuzione percentuale del prodotto sociale. Egli infatti afferma: “[...] [E’]
possibile formulare la tesi che la percentuale di risparmio di una famiglia, data
la distribuzione relativa del reddito, tenderà ad essere funzione crescente, unica
e costante, della sua posizione, espressa in termini percentuali, nella
distribuzione del reddito. La quota di risparmio sarà indipendente dal livello
assoluto del reddito. Ne segue che il saggio di risparmio aggregato sarà
indipendente dal livello assoluto del reddito”117, confermando così l’andamento
secolare costante desumibile dai dati di Kuznets.
46. La sua argomentazione in merito è svolta con riferimento alle finalità della
spesa in beni di consumo. Il consumo infatti è per Duesenberry destinato a
soddisfare due tipologie di bisogno del consumatore: da un lato i bisogni di un
individuo in quanto tale, con riferimento ai quali la scelta tra beni di consumo è
luoghi citati, con riferimento alla teoria dell’utilità marginale. Per un’analisi di questo punto
della teoria di Duesenberry, cfr. Pigou (1951) e Clower (1952). Ci basta osservare come sia
Duesenberry sia gli autori che abbiamo citato ritengono che la caratterizzazione del consumo
come fenomeno sociale sia elemento compatibile con l’impianto analitico marginalista, e
perciò trattabile con quegli strumenti teorici propri di tale approccio. Per quel che ci riguarda,
infatti, vogliamo sottolineare la caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale più che
la sua formalizzazione nei termini di un approccio teorico che non costituisce il nostro
orizzonte di riferimento.
117
Cfr. Duesenberry (1949), cap. 1, pag. 5.
91
orientata ai beni che soddisfino in modo fisicamente e soggettivamente più
efficace ogni singola necessità; dall’altro i bisogni di un individuo in quanto
membro di una collettività organizzata in classi sociali, con riferimento ai quali
la scelta tra beni di consumo è orientata verso quei beni che soddisfino in modo
socialmente e psicologicamente più efficace per l’individuo ogni singola
necessità118. Tosto che “[...] un tenore di vita sempre più alto è uno dei
principali obiettivi della nostra società [...] è facile comprendere la ragione per
la quale il consumo cresce con il reddito119”. Nelle moderne economie
capitalistiche, infatti, la divisione in classi sociali è essenzialmente reddituale, e
non gentilizia, e la manifestazione sociale delle differenze di reddito si esplica
nell’adozione di diversi standard di consumo. Così, secondo Duesenberry,
all’aumentare del reddito le famiglie tenderanno a modificare i propri standard
di consumo sul modello di quelli delle classi sociali più agiate120. E questo
comportamento sarà tanto più accentuato, quanto più alto è il grado di mobilità
sociale, all’interno della collettività. A questo effetto emulativo se ne
affiancherà un altro, che Duesenberry chiama “effetto di dimostrazione121”;
l’alto grado di mobilità sociale farà sì che le famiglie si trovino frequentemente
a contatto con famiglie che consumano beni di qualità superiore, nel senso di
118
Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 23-37.
119
Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 30.
120
“La forza dello stimolo al raggiungimento di un più alto tenore di vita – cioè all’acquisto di
beni di qualità superiore – è aumentata nella nostra società dalle caratteristiche stesse della
struttura sociale. La nostra è una società formalmente senza classi, ma caratterizzata tuttavia da
un sistema di differenziazioni di stato sociale”. Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 34.
121
Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 31.
92
beni che soddisfano in modo fisicamente più efficace una determinata
necessità; se il contatto tra le due famiglie è frequente, ciò indurrà, nella
famiglia meno agiata, il desiderio di possedere tali beni122.
47. Duesenberry ipotizza dunque un saggio del risparmio sul reddito costante
come media di lungo periodo, e che è quindi compatibile con i dati di Kuznets.
Abbiamo visto come tale ipotesi emerga dall’idea che i modelli di consumo
siano socialmente e storicamente determinati, per cui la quota dei consumi sul
reddito dipende nel lungo periodo dalla distribuzione del reddito più che dal
suo valore assoluto. D’altro canto egli rileva come vi sia un insieme di ricerche
empiriche e di lavori teorici, di noi abbiamo già esposto in questo capitolo gli
elementi più significativi, che mostrano una funzione del consumo
ciclicamente variabile, e in cui la quota dei consumi sul reddito appare essere
crescente al diminuire di questo123.
La sua giustificazione di tale variabilità ciclica della propensione al consumo fa
riferimento a due elementi: da un lato, nuovamente, la caratterizzazione del
consumo come fenomeno sociale; dall’altro la naturale rigidità nel tempo delle
abitudini di consumo. Così, se il tenore di vita è la manifestazione di uno status
sociale, allora nelle fasi di recessione le famiglie, in particolare quelle agiate da
122
“Possiamo dunque confermare che la frequenza e la forza dell’impulso all’aumento delle
spese di consumo dipende dalla frequenza con cui entriamo in contatto con beni di qualità
superiore a quelli di cui facciamo abitualmente uso”. Cfr. Duesenberry (1949), cap. 3, pag. 32.
123
“Vi è tuttavia una certa evidenza che prova quasi categoricamente che la funzione del
consumo è ciclicamente variabile”. Cfr. Duesenberry (1948), pag. 41. (Il riferimento di pagina
è all’edizione italiana citata in bibliografia).
93
cui dipende la maggior parte del risparmio aggregato, tenderanno a mantenere
lo standard di consumi di riferimento, cioè quello che corrisponde al massimo
reddito di cui hanno goduto nel passato124. Questo sarà possibile, per le
famiglie più agiate, attraverso una diminuzione della frazione di reddito
risparmiata; per la middle class, vi sarà la possibilità di decumulare risparmio
passato; le famiglie meno agiate, infine, sperimenteranno iniziali deficit di
bilancio125. A livello aggregato, dunque, in presenza di una recessione di breve
periodo del reddito, avremo una diminuzione del saggio di risparmio sul
reddito, e simmetricamente un aumento della propensione media al consumo.
D’altro canto una certa rigidità della spesa in beni di consumo rispetto al
variare del reddito può anche essere giustificata, per Duesenberry, con il fatto
che le abitudini di consumo sono normalmente poco elastiche nel breve
periodo, il che renderà i consumi meno sensibili, in termini assoluti, alle
variazioni del reddito corrente, in particolare nella fase iniziale di ogni periodo
recessivo126. Anche per questa via, dunque, la propensione media al consumo
calcolata su valori aggregati appare essere crescente al diminuire del reddito.
Sulla base di queste argomentazioni e dell’analisi dei dati desumibili dagli
studi sui bilanci delle famiglie americane, Duesenberry può sostenere che “[...]
124
“Quando le famiglie ad alto reddito subiscono una perdita di reddito [...], esse continuano a
vivere alla stessa maniera dei vicini e mantengono i contatti con gli altri membri dello stesso
status socio-economico”. Cfr. Duesenberry (1948), pag. 52-53.
125
Cfr. Duesenberry (1948), pag. 52-55.
126
“Il postulato psicologico fondamentale che sorregge la nostra argomentazione è che per una
famiglia è più difficile ridurre le proprie spese di consumo partendo da un livello elevato dei
consumi, che non astenersi sin dal principio da spese elevate”. Cfr. Duesenberry (1949), cap. 5,
pag. 91.
94
il consumo dipende tanto dal reddito corrente relativamente al reddito passato,
quanto dal livello assoluto del reddito corrente127”; in particolare, durante una
recessione, rileverà nelle scelte di consumo il reddito massimo di cui la
famiglia abbia goduto nel passato128, poiché questo è il reddito che definisce,
nel senso indicato prima, lo status della famiglia nella collettività, di cui il
consumo è manifestazione sociale. Questa ipotesi è nota in letteratura come
“ipotesi del reddito relativo”, poiché in essa il livello dei consumi correnti
dipende dalla relazione tra reddito corrente e massimo reddito dei periodi
precedenti.
48. Prima di proseguire oltre nell’esposizione dell’analisi di Duesenberry, è
opportuno avanzare un’osservazione preliminare. Abbiamo visto nel paragrafo
precedente come Duesenberry analizzi la variabilità ciclica della propensione
al consumo facendo riferimento ai soli periodi recessivi. Questa caratteristica
della sua analisi ci induce ad una riflessione. Anticipando quanto emergerà
meglio nel corso della trattazione, diciamo che Duesenberry sembra supporre
che il reddito graviti nel lungo periodo intorno a posizioni di pieno impiego, e
127
Cfr. Duesenberry (1949), cap. 5, pag. 92.
128
“Possiamo concludere, quindi, dicendo che il reddito o il consumo dell’ultimo massimo
ciclico gioca un ruolo speciale e molto consistente nel determinare il consumo a un dato
(inferiore) livello di reddito durante una depressione. In linea di principio si dovrebbe far uso
della media ponderata di tutti i redditi dall’anno di massimo all’anno corrente; ma disponendo
soltanto di poche osservazioni, sarebbe impossibile stimare i pesi. Nelle pagine che seguono
considereremo la relazione del consumo corrente con il rapporto (reddito corrente/reddito più
alto precedentemente goduto) ma i risultati debbono essere interpretati come una
approssimazione della relazione veritiera”. Cfr. Duesenberry (1948), pag. 55.
95
con un trend crescente; e che le oscillazioni cicliche del reddito siano solo
quelle che lo fanno oscillare al di sotto del livello di pieno impiego. Così,
quando nel breve periodo il reddito è al di sotto del livello di pieno impiego,
che aveva precedentemente raggiunto, la frazione di reddito consumata dipende
dal reddito corrente e dalla relazione tra questo e il reddito di pieno impiego
precedentemente raggiunto, che sarà perciò il reddito dell’ultimo massimo
ciclico, e corrisponderà al massimo reddito dei periodi antecedenti il periodo
corrente. Quando invece il reddito corrente è maggiore del reddito di pieno
impiego dei periodi precedenti, questo per Duesenberry vuol dire che stiamo
ragionando in un’ottica di lungo periodo sulla crescita del reddito di pieno
impiego. Questa nostra interpretazione sembra trovare conferma in questo
passo, ove Duesenberry, dopo aver definito Yt come il reddito corrente, e Y0
come il massimo reddito dei periodi antecedenti t, afferma: “[...] Nella fase
ascendente del ciclo, dopo che si sia raggiunta la piena occupazione, Y0 e Yt si
muovono assieme. Se il reddito aumenta incessantemente ad un tasso annuale
del 3%,
Yt
è costante ad un valore di 1,03. [...] In tal modo la propensione
Y0
marginale ciclica al risparmio è (nel tratto che interessa) più alta della
propensione al risparmio di lungo periodo [...]129”.
Emerge dunque che Duesenberry, nella sua analisi, assume che nel lungo
periodo variazioni del reddito corrente al di sopra di Y0 rappresentino la
crescita del reddito in condizioni di pieno impiego, e che nel breve periodo le
129
Cfr. Duesenberry (1948), pag. 60.
96
oscillazioni cicliche avvengano solo al di sotto del livello di pieno impiego
precedentemente raggiunto.
49. Chiarito questo punto, possiamo asserire, in prima sintesi, che la funzione
del consumo secondo Duesenberry consta, nelle sue parole, di due ipotesi:
1. “che secolarmente la propensione al consumo di un individuo è
funzione della sua posizione entro la distribuzione del reddito (il che
indica che il risparmio aggregato tende nel lungo periodo ad essere una
frazione costante del reddito);
2. che al punto di vista ciclico la propensione aggregata al consumo
dipende dal rapporto tra il reddito corrente e il più alto reddito
precedentemente goduto130”.
Vediamo ora una trattazione analitica di tale funzione del consumo, costruita
da Duesenberry come una possibile esplicitazione semplificata dell’“ipotesi del
reddito relativo”; in seguito ci soffermeremo su alcune implicazioni
nell’ambito della teoria del consumo di questo metodo di approccio alla
relazione tra reddito e consumo.
50. Abbiamo visto come l’“ipotesi del reddito relativo” consista nell’ipotesi
che il livello dei consumi in un dato periodo dipenda tanto dal reddito corrente,
quanto dallo scostamento del reddito corrente dal reddito massimo dei periodi
130
Cfr. Dueseneberry (1948), pag. 60.
97
precedenti. Sulla base di questa ipotesi l’equazione della propensione al
consumo, scritta per i risparmi, sarà131
 Y
S t = f  Yt , t
 Y0



(7
dove con Y0, come abbiamo visto, Duesenberry intende “ [...] il reddito più alto
ottenuto prima dell’anno t132”. Così la propensione marginale corrente al
risparmio sarà ottenibile, secondo Duesenberry, come la derivata parziale della
funzione rispetto a Yt133. Essa perciò sarà pari a
Y
∂ t
Y
∂S t
∂f
∂f
=
+
⋅  0
∂Yt ∂Yt
 Y  ∂Yt
∂ t 
 Y0 



(8
L’equazione 8 indica che la propensione marginale al risparmio dipende in
primo luogo, ovviamente, dalla forma della funzione f, e poi da una quantità
Y
∂ t
 Y0
∂Yt


 che rappresenta la variazione del rapporto tra reddito corrente e
massimo reddito dei periodi precedenti al variare del reddito corrente.
Duesenberry interpreta l’equazione 8 in questo modo. Per quanto riguarda
l’analisi di lungo periodo, egli afferma, e vedremo più avanti di approfondire il
131
Cfr. Duesenberry (1948), pag. 56.
132
Cfr. Duesenberry (1948), pag. 56.
133
Ricordiamo che data una funzione y = f ( x1 , x 2 ( x1 )) continua e derivabile, la derivata
parziale prima della funzione rispetto a x1 è pari a
∂y
∂f
∂f ∂x 2
.
=
+
⋅
∂x1 ∂x1 ∂x 2 ∂x1
98
significato di questa affermazione: “Se noi stabiliamo la relazione di lungo
periodo tra risparmio e reddito considerando soltanto i periodi di occupazione
Y
∂ t
Y
approssimativamente piena, il termine  0
∂Yt


 sarà uguale a zero” 134. Così la
propensione marginale al risparmio nel lungo periodo sarà pari a
∂S t
∂f
=
∂Yt ∂Yt
e, sulla base delle argomentazioni viste nel paragrafo 46, sarà per Duesenberry
costante135. Nel breve periodo invece, a fronte di oscillazioni cicliche del
reddito che, come abbiamo visto, porteranno il reddito al di sotto del livello Y0,
il secondo addendo dell’equazione 8 sarà positivo, per cui la propensione
marginale ciclica al risparmio sarà maggiore di quella secolare136. Avremo
134
Cfr. Duesenberry (1948), pag. 56. Cfr. più avanti paragrafo 51.
135
Per la verità le argomentazioni di Duesenberry che abbiamo riportato nel paragrafo 47
riguardano la propensione media al consumo, e non quella marginale. Ma poiché una
propensione media al consumo costante implica di necessità una propensione marginale al
consumo costante e per giunta di valore pari alla prima, l’affermazione riportata nel testo
risulta essere corretta.
Y
∂ t
 Y0
136
“Ma, se i dati coprono un ciclo economico,
∂Yt


 avrà un valore positivo, e, se usiamo
dati ciclici per stimare la propensione secolare marginale al consumo, le nostre stime saranno
troppo alte”. Cfr. Duesenberry (1948), pag. 56. Per la verità in questo passo Duesenberry non
appare molto chiaro. Sulla base dell’equazione 5 infatti si può certamente dire che la
propensione marginale al consumo sarà, nelle ipotesi avanzate da Duesenberry, minore nelle
fasi cicliche rispetto al suo livello secolare. Questo implica che stimare la propensione
marginale secolare al consumo sulla base di quelle cicliche può indurre un errore di sottostima
della propensione marginale stessa, e non di sovrastima.
99
simmetricamente che la propensione marginale al consumo, che è scrivibile
come
1−
∂S t
∂Yt
sarà costante nel lungo periodo, e avrà invece nel breve periodo un valore
inferiore a tale valore costante.
51. Soffermiamoci brevemente sulla lettura che Duesenberry avanza
dell’equazione 8, con riferimento all’analisi di lungo periodo. Il termine
Y
∂ t
 Y0
∂Yt


 nell’equazione 8 indica la variazione del rapporto tra reddito corrente e
massimo reddito dei periodi precedenti al variare del reddito corrente.
Duesenberry, come abbiamo visto, osserva che, da un punto di vista analitico,
la propensione marginale secolare al risparmio sarà costante e pari a quella
media, se è possibile sostenere che nel lungo periodo il rapporto
Y
∂ t
Y
al variare del reddito corrente, di modo che il termine  0
∂Yt
Yt
non varia
Y0


 risulti nullo. Ora,
come abbiamo fatto notare nel paragrafo 48, e come vedremo meglio nel
paragrafo 54, Duesenberry ha, a nostro avviso, una particolare concezione del
lungo periodo. Egli infatti ipotizza:
1. che nel lungo periodo il reddito oscilla intorno al livello di pieno
impiego;
100
2. che quando il reddito corrente è maggiore del massimo reddito
precedentemente goduto, l’economia è su un sentiero di espansione di
lungo periodo in condizioni di pieno impiego.
Stanti queste ipotesi, nel lungo periodo, il valore Y0 sarà, in ogni periodo t, il
reddito di pieno impiego del periodo t-1. Per cui dire che il rapporto tra reddito
corrente e massimo reddito dei periodi precedenti si mantiene costante al
variare del reddito equivale a dire, date queste ipotesi, che, nel lungo periodo e
in condizioni di pieno impiego, il reddito cresce a tassi costanti. Duesenberry,
cioè, per poter giustificare analiticamente la costanza della propensione media
e marginale al consumo, si trova a dover sostenere che nel lungo periodo il
tasso di crescita del reddito di pieno impiego è pressappoco costante. Ora,
come emerge dal passo di Duesenberry che abbiamo riportato, egli sembra
giustificare questa costanza del saggio di crescita del reddito nel lungo periodo
con l’ipotesi che il reddito graviti nel lungo periodo intorno al livello pieno
impiego137, e non fornisce altre argomentazioni in proposito. Ci sembra qui
possibile avanzare due osservazioni.
In primo luogo, questa ipotesi di costanza del saggio di crescita del reddito nel
lungo periodo non sembra in alcun modo essere implicita nell’argomentazione
che abbiamo riportato nei paragrafi 45-47 sulla caratterizzazione sociale dei
137
Come ulteriore esempio per avallare la nostra tesi, si consideri ancora questo passo, già
riportato nel testo del paragrafo 48, dove Duesenberry afferma: “D’altra parte la propensione
media al risparmio non aumenta
con l’aumento secolare del reddito. Infatti nella fase
ascendente del ciclo, dopo che si sia raggiunta la piena occupazione, Y0 e Yt si muovono
assieme. Se il reddito aumenta incessantemente ad un tasso annuale del 3%, Yt/Y0 è costante a
un valore di 1,03.” Cfr. Duesenberry (1948), pag. 62, enfasi aggiunta.
101
modelli di consumo. Ci sembra così possibile sostenere che Duesenberry si
trova a dover introdurre questa ulteriore ipotesi nel momento in cui esprime
l’“ipotesi del reddito relativo” in quella particolare forma analitica.
In secondo luogo, è necessario notare come, da un punto di vista teorico, non
appare possibile dedurre la costanza del saggio di crescita del reddito nel lungo
periodo direttamente dall’ipotesi di pieno impiego. Infatti, anche ammettendo
che nel lungo periodo il reddito si mantenga sufficientemente vicino al livello
di pieno impiego, è perfettamente possibile che la popolazione e le innovazioni
tecniche agiscano in modo tale da determinare tassi di crescita del reddito
diversi di periodo in periodo138.
52. Torniamo, dopo questa breve parentesi, all’analisi di Duesenberry. Dalla
trattazione analitica che abbiamo riportato nel paragrafo 50, emerge che
nell’analisi di Duesenberry la propensione marginale al consumo assume un
particolare comportamento rispetto alle variazioni del reddito aggregato; essa
infatti risulta essere costante nelle fasi di espansione secolare del reddito
aggregato, e variabile intorno a valori inferiori a tale valore costante di lungo
periodo, nel corso delle oscillazioni cicliche del reddito stesso. Tale andamento
distinto rispetto a variazioni di segno diverso del reddito aggregato fa sì che la
relazione tra reddito e consumo non sia in questo tipo di analisi reversibile al
138
La deduzione che Duesenberry opera potrebbe essere corretta se ad esempio la popolazione
si mantenesse, nel lungo periodo, costante, sia in termini numerici che come composizione
sociale, e se la produttività del lavoro aumentasse nel lungo periodo a tassi costanti. Il tutto in
condizioni di pieno impiego, e mantenendo inalterati distribuzione e prezzi relativi.
102
variare del reddito; essa cioè non assume la stessa forma esplicita
indipendentemente dal segno della variazione del reddito stesso. Ora, questa
irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo al variare del reddito
costituisce a nostro avviso l’elemento più caratteristico ed innovativo
dell’analisi di Duesenberry, e ci appare essere la diretta conseguenza analitica
dell’ipotesi che i modelli di consumo siano socialmente determinati. E’ infatti
la caratterizzazione sociale dei modelli di consumo a spiegare perché il
comportamento dei consumatori vari a seconda che lo stesso livello del reddito
aggregato corrisponda a una fase di espansione del reddito o ad una di
recessione. In questo senso l’“ipotesi del reddito relativo” nella formulazione
di Duesenberry appare ai nostri occhi come una delle possibili rappresentazioni
del pieno riconoscimento del carattere sociale dei modelli di consumo; e le
osservazioni che abbiamo avanzato con riferimento alla particolare forma
analitica in cui Duesenberry esprime l’“ipotesi del reddito relativo”, nonché
alle ipotesi addizionali che ritiene di dover formulare, non inficiano, a nostro
avviso, la validità dell’impianto generale della sua analisi.
53. Ora, Duesenberry si mostra pienamente consapevole di questa
irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo che emerge dalla sua
analisi, e la rappresenta in un grafico139 che riproduciamo in figura 4.
In tale grafico i valori in ascissa e in ordinata sono valori reali pro-capite. La
curva OB rappresenta la funzione del consumo di lungo periodo a propensione
139
Cfr. Duesenberry (1949) pag. 122.
103
media e marginale costante. Le curve II e III rappresentano la propensione al
consumo nel breve periodo, durante le fasi recessive, con propensione
marginale al consumo inferiore al valore costante di lungo periodo. Le curve 2
e 3 rappresentano la propensione al consumo di breve periodo, durante le fasi
di accentuata crescita del reddito, ancora con propensione marginale al
consumo inferiore a quella di lungo periodo.
C
B
b
a
3
2
III
II
O
Y
Figura 4
Duesenberry avanza una lettura di questo grafico di questo tipo140: supponiamo
che l’economia si trovi in a, con un reddito corrispondente al livello di pieno
impiego, e un rapporto consumo-reddito costante e che riflette la composizione
sociale della collettività. Supponiamo che il reddito aumenti, in condizioni di
pieno impiego, per un po’ di anni, e che i consumi aumentino anch’essi in
modo proporzionale, non essendo mutata la distribuzione del reddito. Da a
140
Cfr. Duesenberry (1949), cap. 7, pag. 121-122.
104
l’economia passerà a b lungo la curva OB. Supponiamo a questo punto che si
verifichi una recessione, per una diminuzione autonoma dell’incentivo a
investire. Il reddito diminuirà, ma i consumi diminuiranno meno che
proporzionalmente, perché l’“ipotesi del reddito relativo” implica una frazione
del reddito consumata crescente al diminuire di questo, rispetto al massimo
reddito precedente. Ci si muoverà dunque lungo la curva III. Quando poi il
reddito aumenta di nuovo, se la ripresa è graduale, ci si muoverà lungo la III
fino a b, per poi proseguire sulla curva OB; se invece la ripresa è molto rapida,
allora si oltrepasserà b e ci si muoverà su curve del tipo della 2 o della 3.
“Tuttavia il reddito non potrà continuare a crescere indefinitamente ad un tasso
molto rapido poiché non appena sia raggiunta la piena occupazione gli
incrementi di reddito si potranno ottenere solamente attraverso un incremento
di produttività. Alla fine, allora, si verificherà un assestamento ad un nuovo
tenore di vita ed ancora una volta il consumo si potrà ricavare sulla base della
linea OB141”. Il che significa che sul grafico di figura 4 ci si muoverà da una
curva del tipo della 3 in senso parallelo all’asse delle ordinate sino a
raggiungere nuovamente la curva OB.
54. Soffermiamoci brevemente su questo grafico di figura 4, e sulla lettura che
Duesenberry ne avanza nei luoghi citati. La curva OB assume in questo grafico
il significato di luogo geometrico delle combinazioni tra reddito e consumo che
individuano una propensione media e marginale al consumo costante nel lungo
141
Cfr. Duesenberry (1949), cap. 7, pag. 122.
105
periodo. Ora, Duesenberry suppone che l’economia si trovi su questa curva
soltanto quando, in condizioni di pieno impiego, il reddito corrente è maggiore
del reddito massimo dei periodi precedenti, e sostiene che questo si possa
verificare esclusivamente nel lungo periodo. Così, come abbiamo anticipato nel
paragrafo 48, da questo grafico emerge abbastanza chiaramente che
Duesenberry interpreta le oscillazioni cicliche del reddito come quelle
variazioni del livello del reddito che avvengono al di sotto del livello di pieno
impiego precedente; e interpreta i movimenti secolari del reddito come quelle
variazioni del livello del reddito che spostano il reddito, in condizioni di pieno
impiego, al di sopra del livello di pieno impiego precedente. Sulla base di
queste osservazioni sembrerebbe che la costanza di lungo periodo della
propensione media al consumo sia interamente dovuta, analiticamente,
all’ipotesi che nel lungo periodo il reddito aggregato graviti intorno al livello di
pieno impiego. E’ sulla base di tale ipotesi, infatti, che Duesenberry, come
abbiamo visto nei paragrafi 50 e 51, ritiene di poter sostenere che il tasso di
crescita del reddito nel lungo periodo è costante, mandando così a zero il
Y
∂ t
Y
termine  0
∂Yt


 nell’equazione 8. Abbiamo peraltro già mostrato, nel paragrafo
51, come, a nostro avviso, l’ipotesi di pieno impiego non sembra essere di per
sé condizione sufficiente a giustificare l’ipotesi di costanza del saggio di
crescita del reddito. Ci resta ora da aggiungere che, come già accennato in
precedenza, né l’ipotesi di pieno impiego, né l’ipotesi, che Duesenberry sembra
dedurne, di costanza del saggio di crescita del reddito nel lungo periodo
106
appaiono essere essenziali ai fini dello sviluppo delle sue argomentazioni sulla
funzione del consumo. Nei paragrafi 45-47, infatti, abbiamo illustrato la logica
di tali argomentazioni prescindendo completamente da queste ipotesi.
Potremmo anzi andare oltre, e sostenere che esse vengono introdotte da
Duesenberry nel momento in cui egli si trova a voler specificare, attraverso la
formalizzazione dell’“ipotesi del reddito relativo”, una forma analitica in cui
possa trovare espressione l’idea della determinazione sociale dei modelli di
consumo. Ciò che comunque rileva ai fini della nostra analisi, e che ci preme
sottolineare, è che l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo risulta
essere indipendente dall’ipotesi che nel lungo periodo il sistema economico
graviti intorno al pieno impiego, poiché essa trova la propria origine teorica
nella caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale, più che nelle
ipotesi aggiuntive che Duesenberry formula ad hoc per giustificare una
particolare espressione analitica dell’“ipotesi del reddito relativo”.
55. Se dunque, come appare da questa nostra argomentazione, la tendenza al
pieno impiego delle risorse produttive è inessenziale per sostenere le tesi di
Duesenberry, resta da chiarire perché l’autore assuma esplicitamente questa
ipotesi nel contesto della sua analisi. A nostro modo di vedere, si può dire, più
in generale, che nell’opera di Duesenberry può essere individuata
un’ambiguità, che consiste nella coesistenza di considerazioni di carattere
sociologico, attinenti al ruolo della società nella determinazione di alcune
variabili economiche, e che conducono alle sue ipotesi sulla funzione del
107
consumo, su un quadro teorico generale che corrisponde in linea di massima
all’interpretazione di Keynes fornita dalla “sintesi neoclassica”142. Così la
possibilità di recessioni del reddito e degli equilibri di sottoccupazione è
limitata all’analisi di breve periodo, mentre nel lungo periodo si suppone che
l’operare delle forze di mercato conduca naturalmente a posizioni di pieno
impiego. Che la coesistenza di questi due elementi teorici rappresenti
un’ambiguità emerge ad esempio molto chiaramente nell’analisi svolta da
Duesenberry con riferimento agli effetti dell’irreversibilità della relazione tra
reddito e consumo nell’ambito della teoria della crescita. Vediamola
brevemente, per chiarire il senso delle nostre affermazioni. Sulla base del
grafico di figura 4, Duesenberry definisce “effetto a uncino143” il particolare
andamento dei consumi aggregati al variare del reddito aggregato che emerge
dalle sue ipotesi sulla propensione al consumo. Quindi afferma: “Questo
cosiddetto “effetto ad uncino” costituisce un importante elemento di
collegamento tra la teoria dello sviluppo economico e quella del ciclo, poiché
spiega come mai ciascun ciclo economico si stabilisca a un più alto livello di
reddito e consumo del precedente. In ciascuna fase di espansione [...] si
sfruttano gli incrementi di produttività del boom precedente, così che il reddito
cresce ad un livello superiore
del precedente, e quando gli investimenti
diminuiscono, anche il reddito e il consumo diminuiscono, ma non al livello
del periodo di depressione precedente. L’uncino impedisce al sistema
economico di slittare indietro ogni volta e di perdere così tutti gli incrementi di
142
Cfr. Capitolo I, §I.D, paragrafi 12-14.
143
Cfr. Duesenberry (1949), cap. 7, pag. 121.
108
reddito realizzati nei periodi precedenti144”. Ora, il nocciolo della questione è
che Duesenberry appare in questi passi intuire come l’irreversibilità delle
relazioni tra reddito e consumo possa fornire una giustificazione teorica
all’espansione della domanda aggregata finale, necessaria, in un’ottica
keynesiana, a spiegare la crescita del prodotto reale145. Il problema è che se si
postula il pieno impiego delle risorse produttive nel lungo periodo, come
Duesenberry fa a più riprese, non si vede la necessità di indagare le cause di
un’espansione della domanda aggregata per spiegare la crescita economica. Se
infatti nel lungo periodo il sistema gravita intorno a posizioni di pieno impiego,
perché esiste un meccanismo che adegua il livello degli investimenti al livello
dei risparmi di pieno impiego, e questo vuol dire, come abbiamo visto nel
capitolo I, muoversi all’interno della teoria marginalista del valore e della
distribuzione, allora la crescita del prodotto reale dipenderà dalle variazioni
delle condizioni tecniche di produzione e dai movimenti demografici,
considerate insieme con il saggio di risparmio sul reddito di pieno impiego che
determinerà il trend dell’accumulazione di capitale. In questo caso la domanda
aggregata finale non avrà perciò un ruolo determinante nella spiegazione della
crescita economica. D’altro canto, se invece non esiste un meccanismo che
adegui il livello degli investimenti al livello dei risparmi di pieno impiego, e
non ci si muove quindi in un’ottica marginalista, allora la spiegazione della
144
145
Cfr. Duesenberry (1949), cap. 7, pag 122-123.
Vedremo nel dettaglio nel prossimo capitolo in che senso l’irreversibilità delle relazioni tra
reddito e consumo possa contribuire a spiegare la crescita della domanda aggregata nel lungo
periodo, nel quadro della teoria del livello dell’attività economica brevemente abbozzata nel
capitolo III.
109
crescita nel lungo periodo delle componenti della domanda aggregata finale
diviene essenziale per comprendere la crescita del prodotto reale; quest’ultima
infatti
sarà
essenzialmente
determinata
dalle
variazioni
autonome
dell’incentivo a investire, insieme di nuovo alle variazioni delle condizioni
tecniche di produzione e ai movimenti demografici. In questo caso però, non
sarebbe giustificato affermare aprioristicamente che il reddito debba gravitare
nel lungo periodo intorno al livello che garantirebbe il pieno impiego delle
risorse produttive.
56. Possiamo così asserire, in conclusione, che Duesenberry inserisce
nell’analisi economica la determinazione sociale dei modelli di consumo,
sintetizzando gli esiti di un dibattito significativo, e che si protraeva da tempo;
argomenta che questo elemento genera una irreversibilità delle relazioni tra
reddito e consumo, e intuisce l’esistenza di una relazione tra l’irreversibilità
della relazione tra reddito e consumo, la dinamica della domanda aggregata, e
l’andamento nel lungo periodo del prodotto reale. Sviluppa l’insieme di queste
osservazioni assai significative nell’ambito di un contesto teorico in cui si
ammette per ipotesi che nel lungo periodo il sistema graviti attorno a posizioni
di pieno impiego delle risorse produttive. Abbiamo peraltro mostrato come a
nostro modo di vedere l’analisi della funzione del consumo proposta da
Duesenberry appaia indipendente da tale ipotesi e abbiamo accennato ad
un’interpretazione in un’ottica diversa delle possibili implicazioni di tale
analisi. Nel capitolo successivo approfondiremo la possibili connessioni tra
110
l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo e la teoria della
determinazione del livello dell’attività economica quale l’abbiamo delineata
nel capitolo III.
§IV.H L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi di Modigliani
57. Una trattazione della propensione al consumo per molti aspetti simile a
quella proposta da Duesenberry viene avanzata, quasi contemporaneamente e
indipendentemente, da Modigliani146 nel suo primo contributo alla teoria del
consumo.
Egli prende le mosse da un’esposizione critica delle analisi di Smithies, Mosak
e Woytinsky che abbiamo visto in questo capitolo147, e rileva la necessità di
distinguere nella propensione al consumo due componenti, una relativa ai
movimenti ciclici del reddito e una relativa a quelli secolari. Definisce quindi i
movimenti secolari del reddito come “quei movimenti che spostano il livello
146
Cfr. Modigliani (1949). E’ molto interessante notare come Modigliani e Duesenberry siano
giunti a conclusioni quasi identiche in modo del tutto indipendente l’uno dall’altro. Scrive
Duesenberry in nota nel lavoro del 1948: “Una parte di questo saggio fu presentata alla
riunione della Società Econometrica nel gennaio 1947. Nella stessa riunione il Prof. Franco
Modigliani presentò un saggio contenente una relazione risparmio-reddito quasi identica”. Cfr.
Duesenberry (1948), pag. 35, nota 2. Gli fa eco Modigliani nel suo lavoro, scrivendo: “Mr.
Duesenberry independently developed and tested a hypothesis very similar to our equation
[...]”. Cfr. Modigliani (1949), pag. 386, nota 23. Così in questi paragrafi esporremo l’analisi di
Modigliani sottolineando la profonda similarità tra il suo lavoro e quello di Duesenberry.
Vedremo in questo modo che alcune delle considerazioni avanzate con riferimento all’analisi
di Duesenberry possono essere estese quasi senza modifiche all’analisi di Modigliani.
147
Cfr. paragrafo 34 per Mosak, 38-39 per Smithies, e 40-41 per Woytinsky.
111
del reddito pro-capite al di sopra del più alto livello mai raggiunto negli anni
precedenti148”, e quelli ciclici come “qualsiasi movimento, sia ascendente che
discendente, che lascia comunque il reddito reale pro-capite al di sotto del più
alto picco precedente149”. Definisce poi “indice ciclico del reddito150” il
rapporto
Yt − Y0
Yt
dove Y0 indica il massimo livello di reddito reale pro-capite raggiunto nei
periodi antecedenti t.
L’ipotesi di Modigliani è che l’indice ciclico del reddito appaia come
argomento nella funzione del consumo assieme al reddito corrente, e che il
saggio di risparmio sul reddito vari in relazione diretta con le variazioni di
questo indice151. Possiamo tradurre analiticamente questa ipotesi scrivendo
 Y − Y0
St
= f  t
Yt
 Yt



(9
L’equazione 9 indica che il saggio di risparmio sul reddito è funzione
dell’indice ciclico del reddito. Sulla base di questa equazione, è possibile
148
Cfr. Modigliani (1949), pag. 379. (I riferimenti di pagina sono all’edizione citata in
bibliografia). (Traduzione dall’inglese nostra).
149
Cfr. Modigliani (1949), pag. 379. (Traduzione dall’inglese nostra). Torneremo più avanti
sul significato di queste definizioni.
150
Cfr. Modigliani (1949), pag. 379.
151
“[...] The hypothesis we offer states that the proportion of income saved will be positively
related to, and largely explained by, the cyclical income index”. Cfr. Modigliani (1949), pag
379.
112
studiare come varia il saggio del risparmio sul reddito al variare del reddito
corrente, scrivendo la derivata parziale della funzione rispetto a Yt. Avremo
S
∂ t
 Yt
∂Yt


=
 Y − Y0
∂ t
Yt
∂f
⋅ 
∂Yt
 Y − Y0 

∂ t
 Yt 



( 10
Il significato di questa equazione 10 è che il saggio di risparmio sul reddito è
costante nei limiti in cui l’indice ciclico del reddito non vari al variare del
reddito stesso. Così, nel lungo periodo, quando l’indice ciclico del reddito
tende ad essere costante al variare del reddito - perché, sostiene Modigliani, e
discuteremo più avanti questa ipotesi, date le definizioni di movimenti ciclici e
movimenti secolari del reddito, gli incrementi del reddito a livelli superiori del
massimo raggiunto in precedenza avverranno a tassi approssimativamente
costanti152, perché dipendono dai soli incrementi di produttività153 - il saggio
152
Più avanti nel testo discuteremo analiticamente questa ipotesi. Riteniamo però opportuno
riportare già adesso tutti i brani del saggio di Modigliani (1949) da cui è possibile capire come
egli deduca questa ipotesi di costanza del saggio di crescita del reddito nel lungo periodo. Cfr.,
in primo luogo, il brano a pag. 383, ove, nell’analisi di un’equazione lineare ottenuta come
stima della sua funzione del consumo sui dati empirici, egli afferma: “As long as income rises
secularly, Yt and Y0 will rise together. Therefore, the saving-income ratio will depend not on
income but essentially on the rate of change in income. This can best be seen [...] [in the]
equation [...]
S t = −2 + 0,102Yt + 0,125(Yt − Y0 )
Since the constant term is entirely negligible in comparison with the relevant values of Y,
saving tends to represent approximately 10 percent of incomes plus some 12 percent of the
increment of income. [...] Since the normal secular growth is in order of 2 to 3 percent, we
may conclude that the saving-income ratio will tend to fluctuate around a level of about 10 ½
113
del risparmio sul reddito sarà costante e perciò indipendente dal livello assoluto
del reddito; il secondo membro dell’equazione 10 sarà infatti pari a 0. Nelle
oscillazioni cicliche di breve periodo, invece, quando il reddito cade al di sotto
del valore Y0, l’indice ciclico del reddito varia al variare del reddito, diventando
negativo, e la propensione media al risparmio sarà inferiore rispetto al livello di
lungo periodo.
58. Modigliani giustifica la costanza di lungo periodo della propensione media
al consumo sulla base della considerazione che, nel lungo periodo, gli
incrementi di reddito ad un tasso “normale”, dovuti secondo il suo punto di
vista essenzialmente al progresso tecnico154, verranno generalmente assorbiti
dai consumi dei nuovi beni che divengono gradualmente disponibili. Così,
secolarmente, il consumo aumenta all’aumentare del reddito.
percent. This figure clearly measure also [...] the long-run marginal propensity to save.” (Enfasi
aggiunta).
Si consideri poi questo brano a pag. 388, ove Modigliani discute la possibilità che la costanza
del saggio di risparmio sul reddito si manifesti con un qualche lag temporale: “ [...] When [...]
[the cyclical income] index is positive, it measures essentially the rate of growth in income,
and if this rate is much higher than the normal secular rate determined by the rate of
technological progress, the saving income ratio too must tend to rise above its normal secular
level. [...] Finally, our hypothesis states that eventually consumption will rise in proportion to
income, but this adjustment may easily occur with some lag.” (Enfasi aggiunta).
153
“[...] An expansion in income above the highest previous peak must, in general, be due to
the gradual secular improvement in technology and/or an increase in capital per worker”. Cfr.
Modigliani, pag. 379, nota 11.
154
Cfr. note 153-154 paragrafo 57.
114
Per quanto attiene invece al breve periodo, la variabilità ciclica della
propensione
al
consumo
viene
giustificata
dall’autore
attraverso
la
considerazione di tre elementi:
1. le variazioni della distribuzione del reddito durante i periodi recessivi;
2. la rigidità delle abitudini di consumo;
3. le fluttuazioni del livello dell’occupazione155.
Con riferimento ai cambiamenti ciclici della distribuzione del reddito, egli
afferma che le violente fluttuazioni del reddito tendono ad avere effetti
proporzionalmente più accentuati sugli agricoltori e sulle imprese che sui
lavoratori. Supponendo che i percettori di profitto abbiano una propensione
media al risparmio maggiore rispetto ai salariati, la propensione media al
risparmio della collettività tende ad essere più bassa quando il reddito oscilla
ciclicamente al di sotto del massimo dei periodi precedenti.
Per quanto riguarda la rigidità delle abitudini di consumo, Modigliani si limita
a constatarne la plausibilità, e a illustrarne l’influenza sulla propensione media
al consumo, nei termini in cui l’abbiamo già vista nell’esporre la trattazione di
Duesenberry, e rimandando in nota alle argomentazioni di quest’ultimo156.
Per quanto riguarda infine le fluttuazioni nel livello dell’occupazione, egli
osserva come le variazioni di breve periodo del reddito aggregato si
accompagnino generalmente a variazioni nella direzione opposta del tasso di
155
“With respect to our cyclical hypothesis, there are numerous supporting factors. We confine
ourselves here to considering briefly the three that seem to be quantitatively most important: a)
cyclical changes in the income distribution, b) rigidity of acquired consumption habits, and c)
fluctuations in the level of unemployment”. Cfr. Modigliani (1949), pag. 385.
156
Cfr. Modigliani (1949), pag. 386, nota 23.
115
disoccupazione; e poiché “[...] nonostante i disoccupati non producano reddito,
comunque devono mantenere una parte dei loro consumi157”, al diminuire del
reddito aggregato, e perciò dell’occupazione, la propensione media al consumo
tenderà ad aumentare rispetto al suo valor medio di lungo periodo.
59. E’ ora opportuno soffermarci su alcuni aspetti della trattazione di
Modigliani che meritano qualche approfondimento. Abbiamo visto nel
paragrafo 57 le definizioni che egli formula dei concetti di movimento ciclico e
movimento secolare del reddito158. Tali definizioni appaiono in effetti
abbastanza peculiari. Dire che i movimenti secolari del reddito sono quelli che
portano il livello aggregato del reddito reale al di sopra del massimo reddito
mai raggiunto dal sistema economico, mentre sono ciclici tutti quelli che lo
fanno oscillare al di sotto di questo picco massimo, equivale ad ammettere per
ipotesi che nel lungo periodo il reddito non possa mai diminuire. A nostro
modo di vedere, sottesa a queste definizioni sta l’ipotesi implicita che il
sistema economico tenderebbe nel lungo periodo a impiegare tutte le risorse
disponibili. Modigliani interpreta in questo modo il reddito massimo Y0 che
compare nell’equazione 10 come il reddito che corrisponde in ogni periodo al
pieno impiego delle risorse produttive; così un aumento del reddito al di sopra
157
Cfr. Modigliani (1949), pag 387. (Traduzione dall’inglese nostra).
158
Riportiamo qui, per comodità, queste definizioni. “By secular movement of income we
mean a movement that carries real income per capita above the highest level reached in any
preceding year; by cyclical movement we mean any movement, whether upward or downward,
that leaves real income per capita below the highest previous peak”. Cfr. Modigliani (1949),
pag. 379.
116
di Y0 avviene per Modigliani solo nel lungo periodo, e non può che essere
dovuto a incrementi nelle attrezzature per lavoratore, o al progresso
tecnologico159, mentre una sua diminuzione non può che essere dovuta a
fenomeni di carattere ciclico e congiunturale Di fatto Modigliani rende
esplicita un’ipotesi che abbiamo mostrato essere implicita anche nell’analisi di
Duesenberry: secondo questi autori, in sostanza, il reddito gravita nel lungo
periodo intorno al livello di pieno impiego, e oscilla ciclicamente solo al di
sotto di questo livello di pieno impiego. Così quando il reddito è al di sotto
dell’ultimo picco di massimo, l’economia è in condizioni di sottoccupazione, e
l’analisi è riferibile al breve periodo. Quando invece il reddito è al di sopra
dell’ultimo picco di massimo, significa che l’economia sta crescendo, nel lungo
periodo, su un sentiero di espansione in condizioni di pieno impiego. 160
Rappresentiamo graficamente questa nostra interpretazione dell’idea di
Modigliani in figura 5. In ascissa e in ordinata misuriamo variabili reali procapite. La retta OB è l’intercetta a 45°. La retta OC indica la relazione di lungo
periodo tra reddito e consumo che spiegherebbe i dati di Kuznets. Le rette a, b
e c indicano il comportamento ciclico della funzione del consumo, così come
desumibile dall’analisi di Modigliani. Le frecce danno un’idea della direzione
in cui ci si muove lungo le varie curve.
159
Cfr. ad esempio Modigliani (1949), pag. 379, nota 11, dove, a proposito della definizione di
movimenti ciclici e secolari del reddito, si afferma: “[…] This is in accordance with Marshall’s
use of “secular”, since an expansion in income above the highest previous peak must, in
general, be due to the gradual secular improvement in technology and/or an increase in capital
per worker.”
160
Cfr. paragrafi 49 e 54.
117
B
C
C
c
b
a
O
Y
Figura 5
La questione che abbiamo sollevato è visibile graficamente nel fatto che la retta
OC non emerge come l’interpolazione di una nuvola di punti che corrisponde
alle combinazioni di reddito e consumo sperimentate dall’economia di anno in
anno, nel susseguirsi delle normali fluttuazioni cicliche del reddito; ma si
colloca invece sui picchi delle funzioni di breve periodo, esattamente come
accade nell’analisi di Samuelson161. Vi è però un’importante differenza tra
l’analisi di Samuelson e quella di Modigliani nella spiegazione dei dati di
Kuznets: il primo infatti vede la costanza della propensione media al consumo
che emerge dai dati di Kuznets come risultante di una concatenazione di eventi
che non è necessariamente destinata a ripetersi, per cui il saggio di incremento
dei bisogni di consumo è risultato, nel periodo di rilevazione preso in esame da
Kuznets, all’incirca pari al saggio di incremento del “potenziale produttivo”162;
per il secondo invece questa concatenazione di eventi si riproduce nel lungo
161
Cfr. paragrafi 42-44.
162
Cfr. in merito paragrafo 43.
118
periodo in modo tendenzialmente sistematico, come effetto secondario del
processo di innovazione tecnologica163, in un sistema economico che nel lungo
periodo impiega tutte le risorse disponibili. Il che significa che in Modigliani la
teoria economica deve spiegare perché nel lungo periodo la propensione media
e quella marginale al consumo si mantengano proprio su quel livello e non su
un altro. Nel saggio del 1949, peraltro, non è dato trovare risposta a questo
quesito164.
60. Come abbiamo fatto già notare nel paragrafo 57, e come emerge dalla
breve sintesi delle sue argomentazioni che abbiamo proposto nel paragrafo 58 e
dal grafico di figura 5, l’analisi di Modigliani è simile per molti aspetti a quella
già esaminata di Duesenberry. Nei prossimi paragrafi mostreremo anzi come ci
sembri possibile argomentare che, da un punto di vista analitico, le due analisi
siano sostanzialmente identiche. Questo fatto ci porterà ad estendere all’analisi
di Modigliani molte delle considerazioni già avanzate con riferimento
all’analisi di Duesenberry.
163
“[…] Economic expansion is not characterized by the avalaibility of increasing quantities of
the same commodities, but rather by the continuous improvement of many old commodities
and by the continuous appearance of entirely new ones. […] Actually the increment in income
accruing to each group of income receivers tends to be avsorbed by the new commodities that
gradually become avalaible.” Cfr. Modigliani (1949) pag. 385.
164
Lo stesso Modigliani rileva in un’opera successiva: “[…] Si deve tuttavia notare che
l’ipotesi Duesenberry-Modigliani-Brown potrebbe ancora non essere in grado di fornire una
spiegazione del basilare livello di lungo periodo intorno al quale la quota di risparmio fluttua
ciclicamente”. Cfr. Modigliani (1975), pag 177. (I riferimenti di pagina sono relativi
all’edizione italiana citata in bibliografia). E’ questa considerazione che probabilmente ha
spinto l’autore a ulteriori elaborazioni sino alla teoria del ciclo vitale.
119
61. Abbiamo visto come Modigliani ritenga che il saggio di risparmio sul
reddito sia funzione dell’indice ciclico del reddito; e come egli formuli questa
ipotesi in un’equazione del tipo della 9, che riportiamo per comodità
 Y − Y0
St
= f  t
Yt
 Yt



Ora, se il saggio di risparmio sul reddito è funzione dell’indice ciclico del
reddito, sarà certamente vero che il livello dei risparmi è funzione del livello
del reddito e dell’indice ciclico del reddito. In formule avremo
 Y − Y0
S t = q Yt , t
Yt




( 11
Così la propensione marginale al risparmio, cioè la derivata parziale della
funzione rispetto a Yt, sarà pari a
 Y − Y0
∂ t
Yt
∂S t
∂q
∂q
=
+
⋅ 
∂Yt
∂Yt ∂Yt
 Y − Y0 

∂ t
 Yt 



( 12
Confrontiamo queste equazioni con le equazioni 7 e 8 formulate da
Duesenberry165, che riportiamo qui per comodità
 Y
S t = f  Yt , t
 Y0
165



Cfr. paragrafo 50.
120
Y
∂ t
Y
∂S t
∂f
∂f
=
+
⋅  0
∂Yt ∂Yt
 Y  ∂Yt
∂ t 
 Y0 



E’ abbastanza evidente che le equazioni con cui abbiamo ricostruito l’analisi di
Modigliani differiscono da quelle formulate da Duesenberry solo per il modo
diverso di indicare la dipendenza del livello dei risparmi dal “reddito relativo”.
Entrambe le formulazioni, dunque, sono perfettamente idonee a rappresentare
analiticamente l’“ipotesi del reddito relativo”, ed entrambe sono soggette
perciò alla medesima interpretazione. In particolare anche nelle equazioni 11 e
12, nonché nel grafico di figura 5, è perfettamente visibile quell’irreversibilità
delle relazioni tra reddito e consumo che abbiamo sottolineato occupandoci
dell’analisi di Duesenberry: nel lungo periodo, quando per Modigliani, secondo
un’ipotesi che discuteremo più avanti, il reddito cresce approssimativamente a
tassi costanti166, in condizioni di pieno impiego e per i soli incrementi di
produttività, il secondo addendo del secondo membro dell’equazione 12 sarà
nullo. Cosicché la propensione marginale al risparmio nel lungo periodo sarà
pari a
∂S t
∂q
=
∂Yt ∂Yt
e, sulla base delle argomentazioni che abbiamo visto nel paragrafo 58, sarà
costante. Nel breve periodo invece, l’indice ciclico del reddito tenderà a variare
al variare del reddito, ragion per cui la propensione marginale ciclica al
166
Cfr. nota 150, e più avanti paragrafo 61.
121
risparmio risulterà essere maggiore di quella secolare. Avremo che,
simmetricamente, la propensione marginale al consumo sarà costante nel lungo
periodo e inferiore a tale valore costante nel breve periodo.
62. Ora, se l’analisi di Modigliani è, da un punto di vista analitico,
immediatamente riconducibile a quella di Duesenberry, come appare dalla
nostra argomentazione, essa risulterà soggetta alle medesime osservazioni. In
particolare, abbiamo visto come Modigliani definisca i movimenti secolari del
reddito come quei movimenti che spostano il livello del reddito aggregato al di
sopra del più alto livello di reddito precedentemente raggiunto. Abbiamo anche
visto come, di conseguenza, egli appaia interpretare il massimo reddito passato
Y0 che compare nell’equazione 10 e nell’equazione 12 come corrispondente,
nel lungo periodo, al reddito di pieno impiego del periodo precedente167. In
questo modo l’“indice ciclico del reddito”
Yt − Y0
può essere interpretato
Yt
come il tasso di crescita del reddito di pieno impiego nel lungo periodo. Perciò
l’“indice ciclico del reddito” non varierà nel lungo periodo al variare del
reddito, solo se è possibile supporre che il tasso di crescita del reddito di pieno
impiego sia nel lungo periodo costante. Ammessa questa ipotesi, le propensioni
media e marginale al consumo risulteranno, sulla base delle equazioni 10 e 12 e
delle considerazioni esposte nel paragrafo 57, secolarmente costanti. Il
problema è di capire come Modigliani giustifichi questa costanza nel lungo
167
Cfr. paragrafo 59.
122
periodo del saggio di crescita del reddito. Per quel che ci è dato di capire egli
sembra ritenere che nel lungo periodo, poiché il reddito gravita intorno al
livello di pieno impiego, il tasso di crescita del reddito oscillerà in media
attorno a un valore “normale” determinato dal solo “tasso di progresso
tecnico”168. Di fatto, cioè, Modigliani sembra in qualche modo giustificare la
costanza del saggio di crescita del reddito con l’ipotesi che nel lungo periodo il
reddito graviti intorno al livello di pieno impiego, esattamente come fa
Duesenberry. Ora, come abbiamo dimostrato con riferimento all’analisi di
Duesenberry169, l’ipotesi di pieno impiego non è condizione sufficiente per
affermare la costanza del saggio di crescita del reddito; questo significa che
non è possibile dedurre direttamente la costanza del saggio di crescita del
reddito dall’ipotesi di pieno impiego. D’altro canto, se l’ipotesi di pieno
impiego è inessenziale ai fini dell’argomentazione di Duesenberry, come
abbiamo sostenuto nell’esposizione della sua analisi, allora essa sarà altrettanto
inessenziale nell’analisi di Modigliani, poiché abbiamo dimostrato che
quest’ultima può essere di fatto ricondotta alla prima. Possiamo così
concludere che l’ipotesi di pieno impiego non sembra essere implicita
nell’“ipotesi del reddito relativo”, e che perciò, secondo la nostra
interpretazione, l’irreversibilità della relazione tra reddito e consumo e l’ipotesi
di pieno impiego sono due questioni scindibili e indipendenti l’una dall’altra.
168
Cfr. i brani riportati nella nota 150, paragrafo 57.
169
Cfr. paragraf1 51 e 54.
123
Capitolo V
L’IPOTESI DEL REDDITO RELATIVO NELL’ANALISI DELLA CRESCITA
ECONOMICA
§V.A Introduzione
63. Nel capitolo precedente abbiamo esposto il dibattito statistico e teorico
sulla propensione al consumo nel quindicennio successivo alla pubblicazione
della “Teoria Generale” di Keynes, soffermandoci in particolare sulle analisi di
Samuelson, Duesenberry e di Modigliani. Abbiamo quindi sottolineato come il
tratto caratterizzante di tali analisi, definite in generale “ipotesi del reddito
relativo”, sia costituito dall’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo,
che nelle trattazioni di questi autori si esplica nella differenza tra la
propensione marginale ciclica al consumo e quella secolare. Abbiamo poi
notato come l’intuizione dell’irreversibilità delle relazioni tra reddito e
consumo sia collocata da questi autori, pur in modo diverso l’uno dall’altro, e
con diverse sfumature, in un contesto in cui nel lungo periodo si suppone che
l’operare delle forze di mercato conduca naturalmente alla piena occupazione
delle risorse disponibili. A questo proposito, abbiamo anche illustrato come
l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo, che discende a nostro
modo di vedere dalla caratterizzazione sociale dei modelli di consumo, appaia
peraltro indipendente da tale ipotesi di pieno impiego.
124
In questo capitolo ci proponiamo di verificare se l’“ipotesi del reddito relativo”
possa essere rivisitata nell’ambito della teoria del livello dell’attività
economica che abbiamo brevemente delineato nel capitolo III. Vedremo in
quest’ottica come l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo possa
contribuire a spiegare l’espansione della domanda aggregata finale, in presenza
delle normali fluttuazioni cicliche del flusso degli investimenti, come del resto
già intuito da Duesenberry, sia pure in un’ottica diversa. Illustreremo questa
posizione con un semplice modello analitico e con una esemplificazione
numerica che permettano una migliore visualizzazione dei termini della
questione.
§V.B L’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo e l’ipotesi di pieno
impiego.
64. Iniziamo la nostra trattazione illustrando meglio in che senso, da un punto
di vista concettuale, l’“ipotesi del reddito relativo” possa essere considerata
indipendente dall’ipotesi che nel lungo periodo le risorse risultino sempre
pienamente occupate, e cosa cambia nella considerazione dell’irreversibilità
delle relazioni tra reddito e consumo, nel caso in cui non si assuma per ipotesi
il pieno impiego delle risorse nel lungo periodo.
65. Procederemo con un esempio. Supponiamo un’economia chiusa e senza
l’intervento dello Stato. Supponiamo che il sistema si trovi in un equilibrio di
125
sottoccupazione e che per un certo numero di anni sperimenti una crescita nulla
del reddito e della produzione. Supponiamo anche che il reddito che
corrisponde a questo equilibrio di sottoccupazione sia pari al massimo reddito
sperimentato dall’economia. Supponiamo ora che in un dato periodo t aumenti
il flusso degli investimenti correnti rispetto al reddito corrente. L’aumento
degli investimenti ingenererà un sovrautilizzo di capacità produttiva,
determinando un aumento della produzione e del reddito secondo il
moltiplicatore keynesiano di breve periodo. Secondo l’“ipotesi del reddito
relativo”, i consumi aumenteranno, ma poiché il reddito del periodo successivo
sarà maggiore del massimo reddito precedentemente sperimentato, la quota dei
consumi sul reddito tenderà almeno inizialmente ad essere decrescente. L’idea
è che le abitudini di consumo, come abbiamo visto nell’esporre le
argomentazioni di Duesenberry170, sono comunque relativamente rigide nel
breve periodo, ragion per cui le famiglie impiegheranno del tempo anche per
adeguarsi al loro nuovo aumentato potere di acquisto. Ora, supponiamo che in
uno dei periodi immediatamente successivi diminuisca improvvisamente
l’incentivo a investire. La diminuzione del flusso degli investimenti correnti
determinerà una diminuzione del reddito, di nuovo secondo il moltiplicatore
keynesiano di breve periodo. In questo caso però la diminuzione del reddito
corrente rispetto al massimo reddito del periodo precedente renderà molto
rigidi gli standard di consumo, di modo che il livello assoluto della spesa per
beni di consumo sarà, almeno inizialmente, quasi immutato. E questo perché la
170
Cfr. capitolo IV, paragrafi 45-56.
126
caratterizzazione del consumo come fenomeno sociale ci induce a ritenere che
le abitudini di consumo siano molto più rigide in presenza di diminuzioni del
reddito piuttosto che per i suoi aumenti, in relazione al fatto che la diminuzione
del reddito influisce sullo status sociale di una famiglia molto di più di quanto
non vi influisca un aumento di pari valore relativamente al massimo reddito del
periodo precedente; sulla base delle considerazioni già viste di Duesenberry,
infatti, possiamo asserire che la manifestazione sociale di un impoverimento
relativo è più temuta nella nostra società di quanto non sia desiderata la
manifestazione sociale di un eguale arricchimento relativo. La propensione
media al consumo, dunque, tenderà ad essere fortemente crescente.
Avremo quindi che per una lira di reddito in più rispetto al massimo reddito del
periodo precedente, i consumi aumenteranno per un valore inferiore ad una
lira; e per una lira di reddito in meno rispetto al massimo reddito del periodo
precedente, i consumi diminuiranno per un valore inferiore ad una lira, e
soprattutto inferiore rispetto a quanto non aumenterebbero per un eguale
aumento del “reddito relativo”.
66. Da questo esempio è possibile dedurre quali siano, a nostro modo di
vedere, le motivazioni per cui l’“ipotesi del reddito relativo” può ben
prescindere dall’ipotesi che nel lungo periodo le risorse del sistema economico
risultino pienamente impiegate. Essa infatti non è che un modo per esprimere
l’ipotesi che i modelli di consumo siano socialmente determinati, e la logica
che vi è sottesa non dipende in alcun modo da una particolare teoria del livello
127
dell’attività produttiva, quanto piuttosto da un insieme di considerazioni di
carattere sociologico circa i comportamenti delle famiglie nelle scelte di
consumo, nelle moderne economie capitalistiche.
67. Notiamo inoltre come l’irreversibilità delle relazioni reddito-consumo che
avevamo colto nell’ipotesi del reddito relativo nelle formulazioni di
Duesenberry e di Modigliani si manifesti nel nostro esempio in modo
differente rispetto a quanto ipotizzato da questi due autori. Nelle loro analisi
infatti, l’idea che le decisioni di consumo fossero influenzate dall’evoluzione
del reddito corrente rispetto al massimo reddito dei periodi precedenti, insieme
all’ipotesi che nel lungo periodo il sistema tende al pieno impiego delle risorse
disponibili, inducevano a ritenere che questa irreversibilità delle relazioni tra
reddito e consumo operasse nel senso di determinare due diversi andamenti
della propensione marginale al consumo: costante nel lungo periodo, e
inferiore a tale valore costante nel breve periodo. Nel nostro esempio invece,
rimossa l’ipotesi che nel lungo periodo il sistema tenda al pieno impiego delle
risorse disponibili, la maggiore rigidità delle abitudini di consumo rispetto a
variazioni in negativo del reddito corrente relativamente al massimo reddito dei
periodi precedenti, piuttosto che rispetto a sue variazioni in positivo, farà sì che
la propensione marginale al consumo sia maggiore nella fase ascendente del
ciclo economico, e minore nella fase discendente.
128
§V.C La propensione marginale al consumo e le fasi del ciclo economico. Un
esempio: la nostra rilettura dell’analisi di Samuelson
68. Questo modo di leggere l’irreversibilità delle relazioni tra reddito e
consumo a prescindere dall’ipotesi di pieno impiego può contribuire a spiegare
il grafico ricostruttivo del senso della trattazione della propensione al consumo
che fa Samuelson che abbiamo proposto nel capitolo IV171. Riportiamo per
comodità questo grafico in figura 6.
C
B
C
O
Yd
Figura 6
Se consideriamo un quadro teorico in cui il sistema economico non tende al
pieno impiego delle risorse, e in cui l’ipotesi del reddito relativo si manifesta
nella differenza tra la propensione marginale al consumo nella fase di slump e
171
Cfr. capitolo IV, paragrafo 43-44.
129
la propensione marginale al consumo nella fase di boom, l’andamento della
curva a spirale disegnata da Samuelson diviene immediatamente intellegibile.
Al diminuire del reddito, infatti, secondo il nostro modo di interpretare
l’irreversibilità della relazioni tra reddito e consumo, la propensione marginale
al consumo tende a diminuire, e la quota dei consumi sul reddito tende ad
aumentare. Quando il reddito invece aumenta, la propensione marginale al
consumo tende ad aumentare, mentre la quota dei consumi sul reddito tende a
diminuire. La curva a spirale rappresenta in modo abbastanza fedele questo
andamento della relazione tra reddito e consumo172.
§V.D L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi delle crescita economica:
un’ipotesi interpretativa
69. Abbiamo visto come l’“ipotesi del reddito relativo”, e l’irreversibilità delle
relazioni tra reddito e consumo di cui essa è espressione, appaiano essere
indipendenti dall’ipotesi che nel lungo periodo il sistema economico tenda ad
impiegare pienamente tutte le risorse disponibili. Abbiamo anche visto come,
eliminando l’ipotesi di pieno impiego, sia possibile riformulare, in modo
diverso da quanto ipotizzato da Duesenberry e da Modigliani, l’andamento
della propensione marginale al consumo rispetto alle fasi del ciclo economico.
172
Ci si può chiedere invero per quale motivo l’andamento della curva a spirale sia tale che la
differenza tra il picco di espansione massima e quello di massima recessione all’interno di ogni
ciclo economico è progressivamente crescente, quasi si stesse supponendo oscillazioni cicliche
del reddito che aumentino di ampiezza a mano a mano che l’economia raggiunga più alti livelli
di reddito.
130
A titolo esemplificativo abbiamo riletto la trattazione di Samuelson nei termini
di questa nostra interpretazione dell’irreversibilità delle relazioni tra reddito e
consumo. Ci proponiamo ora di illustrare il ruolo che l’“ipotesi del reddito
relativo”, così reinterpretata, può giocare nel quadro della teoria del livello
dell’attività economica che abbiamo brevemente delineato nel capitolo III.
70. L’“ipotesi del reddito relativo” implica che le relazioni tra reddito e
consumi siano irreversibili, cioè che la propensione al consumo abbia un
andamento differente a seconda che il reddito aumenti o diminuisca. Abbiamo
visto come, laddove non si supponga che il sistema economico tenda nel lungo
periodo ad impiegare tutte le risorse disponibili, tale irreversibilità si manifesti
nel fatto che la propensione marginale al consumo è maggiore nella fasi di
espansione del reddito, e minore in quelle di recessione. Questa
caratterizzazione della propensione marginale al consumo ha importanti
conseguenze per quanto attiene alla determinazione del livello del reddito
aggregato, in relazione alle fluttuazioni cicliche del flusso degli investimenti.
Riprendiamo infatti l’esempio del paragrafo 65. Supponiamo che in
un’economia chiusa e senza l’intervento dello Stato, le risorse non siano
pienamente utilizzate, e il sistema sperimenti un equilibrio di sottoccupazione.
Supponiamo che il reddito che vi corrisponde sia il massimo reddito
sperimentato dal sistema economico. Supponiamo che nel periodo t aumentino
gli investimenti correnti rispetto al reddito corrente per un ammontare pari a
∆I*. Per l’ipotesi del reddito relativo la propensione marginale al consumo sarà
131
pari a un certo valore 0 < c* < 1. L’incremento del reddito secondo il
moltiplicatore keynesiano sarà
∆Y * =
1
⋅ ∆I *
*
1− c
( 13
Ora, supponiamo invece che nel periodo t il flusso degli investimenti correnti
diminuisca rispetto al reddito corrente per un valore di nuovo pari, in valore
assoluto, a ∆I*. Per l’ipotesi del reddito relativo la propensione marginale al
consumo sarà pari a un certo valore c- tale che 0 < c- < c* < 1. Così il
decremento di reddito misurato di nuovo dal moltiplicatore keynesiano sarà
pari a
∆Y − =
1
⋅ ∆I *
−
1− c
( 14
Ora, poiché c- < c*, ne risulterà che
∆Y − < ∆Y *
ovvero che a fronte di una variazione degli investimenti di uguale valore
assoluto, il reddito diminuisce, quando gli investimenti diminuiscono, di meno
rispetto a quanto non aumenti quando invece gli investimenti aumentano.
71. L’andamento diverso della propensione marginale al consumo rispetto alle
fasi del ciclo economico, dunque, fa sì che, al diminuire delle componenti
autonome della domanda aggregata, la spesa per beni di consumo venga a
costituire una sorta di pavimento che impedisce diminuzioni più accentuate del
reddito e della produzione. Così, qualora supponessimo che le fluttuazioni
132
cicliche degli investimenti intorno a un valore costante di lungo periodo
avvengano secondo una distribuzione di probabilità a media zero, queste
fluttuazioni degli investimenti determinerebbero un andamento crescente del
reddito aggregato, poiché abbiamo visto che l’ipotesi del reddito relativo
implica che il reddito diminuisce meno nelle fasi recessive di quanto non
aumenti in quelle espansive. E tale andamento crescente sarà interamente
spiegato dalla relazione tra reddito e consumo che fornisce la domanda
aggregata finale necessaria affinché la produzione addizionale trovi sbocco sul
mercato dei beni e dei servizi.
§V.E L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi della crescita economica: un
semplice modello esemplificativo
72. Nella parte finale di questo capitolo ci proponiamo di illustrare meglio
come il fatto che la propensione marginale al consumo sia diversa nelle fasi di
espansione e nelle fasi di recessione del ciclo economico, fatto che noi
rappresentiamo con l’ipotesi del reddito relativo, contribuisca a spiegare
l’andamento crescente del prodotto reale.
Mostreremo prima come ciò sia verificabile con un semplice modello analitico,
che vuole avere esclusivamente carattere esemplificativo. Sulla base di tale
modello procederemo quindi ad una esemplificazione numerica che renda
ancora più visibili i termini della questione.
133
73. Supponiamo un’economia chiusa e senza l’intervento dello Stato.
Supponiamo costanti il sistema dei prezzi e la distribuzione del reddito. E’
assente l’inflazione. Chiamiamo Y il reddito nazionale netto, I gli investimenti
netti, S i risparmi netti, C i consumi privati, c la propensione marginale al
consumo, a la quota degli investimenti netti sul reddito del periodo precedente.
Il nostro modello teorico sarà
Yt = C t + I t
C t = C (C i ) + ct Yt → i = 1,2....t − 1
St = I t
I t = at Yt −1
a t = a + ε → E (ε ) = 0; σ (ε ) = k
Sistema 1
2
 c * ⇔ Yt ≥ YMAX (t −1)
ct =  −
*
c < c ⇔ Yt < YMAX (t −1)
Illustriamone brevemente il significato e le proprietà. La prima equazione
costituisce l’usuale rappresentazione del reddito in termini di domanda
aggregata. La seconda equazione indica che i consumi dipendono, in parte dal
reddito corrente secondo la propensione marginale al consumo corrente, e in
parte dai consumi nei periodi precedenti secondo una relazione funzionale che
non ci interessa individuare, almeno in questa sede. Considereremo dato, di
periodo in periodo, questo secondo fattore173. La terza equazione è l’usuale
condizione di uguaglianza tra domanda e offerta aggregata. La quarta
equazione indica che gli investimenti dipendono secondo un fattore
173
Vedremo più avanti di approfondire il senso di questo modo inusuale di trattare la funzione
del consumo.
134
proporzionale at dal reddito passato174. La quinta equazione indica che tale
fattore è costante a meno di disturbi casuali (ε è un disturbo casuale con
distribuzione uniforme a media zero e varianza data175). Infine la sesta
equazione esplicita in forma molto semplificata la nostra interpretazione
dell’ipotesi del reddito relativo: quando il reddito corrente è maggiore del
reddito massimo passato, la propensione marginale al consumo assume un
certo valore dato c*; quando invece il reddito corrente è minore del reddito
massimo passato, la propensione marginale al consumo assume un altro valore
dato176 c- minore di c*. Abbiamo 6 equazioni in 6 incognite per un sistema di
equazioni perfettamente determinato.
174
Il significato di questa equazione è che gli imprenditori investono in relazione
all’andamento della domanda aggregata, che prevedono sulla base del reddito nel periodo
precedente. E’ un’ipotesi molto forte, che infatti è mitigata dalla volatilità di at, e che
comunque utilizziamo solo a fini esemplificativi. Questa rappresentazione coinvolge infatti
molte altre questioni di carattere teorico, come le ipotesi di formazione delle aspettative e la
teoria dell’acceleratore, che, in questa sede, ci esimeremo dal trattare.
175
Chiariremo il concetto di distribuzione uniforme più avanti nel testo.
176
E’ chiaro che, data l’interpretazione dell’ipotesi del reddito relativo che abbiamo avanzato
nei paragrafi precedenti, assumere che la propensione marginale al consumo abbia lo stesso
valore dato e costante in ogni fase di boom ed un altro minore valore dato e costante in ogni
fase di slump è un’evidente forzatura che facciamo solo per semplificare le funzioni del
modello. Tale forzatura non appare comunque essenziale ai fini del nostro ragionamento. Ciò
che è rilevante ai nostri fini è mostrare che se la propensione marginale al consumo è maggiore
nelle fasi di boom e minore nelle fasi di slump, l’ipotesi del reddito relativo è in grado di
spiegare l’andamento crescente del reddito reale in presenza di fluttuazioni cicliche degli
investimenti.
135
74. Prima di procedere oltre richiamiamo brevemente il concetto di
distribuzione uniforme177, altrimenti detta rettangolare, e le motivazioni che ci
hanno indotto ad utilizzare questo tipo di distribuzione teorica. La distribuzione
uniforme è una distribuzione teorica in cui la funzione di densità assume lo
stesso valore non nullo in un intervallo limitato costituito da due numeri reali.
Così se a e b sono due numeri reali, con a < b, la funzione di densità di una
distribuzione uniforme sarà
 0
 1
f ( x) = 
b − a
 0
⇔ x<a
⇔a≤ x≤b
⇔b<x
Nel nostro modello abbiamo utilizzato questo tipo di distribuzione di
probabilità perché dobbiamo tener conto del fatto che nel breve periodo la
capacità produttiva è data in forma specifica, ragion per cui la fluttuazione
casuale degli investimenti non potrà essere tale da causare sovrautilizzi di
capacità produttiva che oltrepassino i limiti tecnici dell’attrezzatura produttiva
installata; e d’altro canto i sottoutilizzi di capacità produttiva non potranno
condurre all’assurda situazione di una produzione negativa. La distribuzione
uniforme ci consente di limitare il range delle oscillazioni cicliche casuali del
flusso degli investimenti a valori economicamente significativi, poiché ci è
possibile fissare esogenamente, e in virtù di considerazioni attinenti alla sola
plausibilità economica di tali valori, l’intervallo dei valori ammissibili per il
quale la probabilità che la quota degli investimenti sul reddito precedente si
scosti dal suo valore di lungo periodo sia positiva.
177
Cfr. ad esempio Di Ciaccio-Borra (1996), Cicchitelli (1984).
136
75. Torniamo ora al nostro modello. Sulla base del sistema 1 è immediatamente
possibile dedurre la formula del moltiplicatore keynesiano di breve periodo.
Esso sarà pari a
∆Y =
1
⋅ [∆C (C i ) + ∆I ]
1 − ct
76. Supponiamo ora che la quota degli investimenti sul reddito passato sia
costante per due anni al livello at, e che poi aumenti invece nel terzo anno.
Avremo che in questo terzo anno gli investimenti aumenteranno, e così il
reddito, che subirà un incremento tanto maggiore quanto maggiore è il
moltiplicatore, e quindi quanto maggiore è la propensione marginale al
consumo. Secondo il nostro semplice modello, in una fase di crescita del
sistema economico, la propensione marginale al consumo è costante ed ha un
valore pari a c*. Supponiamo ora che, dopo questa fase di boom, il sistema
economico entri in recessione, con la quota degli investimenti sul reddito
passato che diminuisce il primo anno sino al livello pre-espansione, per poi
raggiungere l’anno successivo un valore sensibilmente inferiore, e che presenti
uno scarto rispetto al valore di lungo periodo pari, in negativo, a quello
sperimentato, in positivo, nell’anno di espansione. Avremo che gli investimenti
diminuiranno, e così il reddito, che di nuovo subirà un decremento tanto
maggiore, quanto maggiore è la propensione marginale al consumo. Ora,
secondo il nostro modello, la propensione marginale al consumo sarà pari a un
valore c- inferiore a c*; ne segue che il reddito diminuirà di meno rispetto a
137
quanto non sia aumentato a fronte di una variazione positiva del rapporto
investimenti-reddito di pari valore assoluto. Questo significa che, data
un’oscillazione a media zero del rapporto investimenti-reddito attorno al valore
medio di lungo periodo, il reddito diminuisce di meno nelle recessioni rispetto
a quanto non aumenti nelle espansioni, manifestando così un trend crescente
nel lungo periodo.
77. E’ possibile verificare immediatamente come a spiegare l’andamento
crescente del reddito reale nel nostro modello sia l’irreversibilità tra reddito e
consumi, che si manifesta nel sistema 1 nei due diversi valori assunti dalla
propensione marginale al consumo nelle diverse fasi del ciclo economico.
Procediamo con una dimostrazione a contrario. Riproduciamo nel sistema 2 il
modello del sistema 1, modificando però l’espressione della propensione
marginale al consumo, e supponendo che essa sia sempre costante, ovvero che
la relazione tra reddito e consumo sia assolutamente reversibile, e cioè
indipendente dal ciclo economico.
Yt = C t + I t
C t = C (C i ) + ct Yt → i = 1,2....t − 1
St = I t
I t = at Yt −1
Sistema 2
a t = a + ε → E (ε ) = 0; σ 2 (ε ) = k
ct = c
Se ripetessimo il ragionamento esposto nel paragrafo 74, vedremmo come a
parità di scostamenti in valore assoluto del saggio di investimento sul reddito
138
passato dal suo valore di lungo periodo, le fasi di recessione e di espansione
risulterebbero in linea di massima simmetriche, cioè il reddito diminuirebbe ed
aumenterebbe nella stessa misura, mantenendosi nel lungo periodo
essenzialmente costante. La ragione di questo risultato è da ricercarsi nel fatto
che la propensione marginale al consumo è la stessa sia in espansione che in
recessione, di modo che il valore del moltiplicatore risulta costante, e che
l’entità dell’oscillazione del reddito risulta determinata dalle sole oscillazioni
di at e dalla stessa dinamica del reddito nei periodi precedenti. Questo significa
che è la differenza di valore della propensione marginale al consumo nel boom
e nello slump a spiegare nel nostro modello la crescita del prodotto reale, in
presenza di oscillazioni casuali della quota degli investimenti sul reddito
intorno al valore costante di lungo periodo.
78. E’ quasi superfluo sottolineare come l’“ipotesi del reddito relativo” spieghi
nel nostro semplice modello la crescita del prodotto reale solo se si ammettono
oscillazioni cicliche del flusso degli investimenti. Qualora infatti il flusso degli
investimenti fosse costante rispetto al reddito del periodo precedente, la
crescita del prodotto sarebbe ovviamente nulla a prescindere dalla
caratterizzazione della propensione al consumo.
79. Prima di procedere con l’esemplificazione numerica è forse opportuno
chiarire le ipotesi sottese alla rappresentazione dei consumi aggregati che
abbiamo adottato nel modello esemplificativo.
139
Abbiamo visto nel capitolo IV come la “funzione keynesiana del consumo” sia
scrivibile in questi termini
C = C 0 + cY
( 15
La nostra formalizzazione nel modello del paragrafo 71, che riproduciamo di
seguito,
C = C (C i ) + ct Yt ⇔ i = 1,2,...t − 1
( 16
se ne differenzia sotto tre aspetti:
•
in primo luogo abbiamo espresso la propensione marginale al consumo
in modo tale da riflettere l’ipotesi del reddito relativo, e l’irreversibilità
delle relazioni tra reddito e consumo;
B
C
C
b
a
O
Y
Figura 7
•
in secondo luogo abbiamo considerato variabili con indici temporali,
perché volevamo porre l’attenzione sulle variazioni delle grandezze da
un periodo all’altro;
140
•
infine abbiamo eliminato il termine noto C0, sostituendovi un valore C
funzione del consumo nei periodi precedenti.
Quest’ultima notazione merita subito una nota di approfondimento.
Le funzioni del tipo dell’equazione 15 sono tutte funzioni rappresentabili come
la a o la b in figura 7. Il termine noto C0 indica l’intercetta costante della a o
della b con l’asse delle ordinate. Da un punto di vista teorico esso rappresenta
le componenti della domanda di beni di consumo che non dipendono dal
reddito corrente, e che possono includere i cosiddetti fattori di trend che
abbiamo esaminato nel capitolo IV.
C
B
C
O
Y
Figura 8
La funzione del consumo che ci interessa, invece, deve avere un andamento del
tipo di quello rappresentato nel grafico ricostruttivo dell’analisi di Samuelson
in figura 6, o di quello in forma più semplice che proponiamo in figura 8, in cui
l’intercetta del prolungamento ideale dei segmenti che rappresentano la
141
propensione al consumo in ognuna della fasi del ciclo economico vari al
variare delle fasi del ciclo economico, nonché in relazione al susseguirsi dei
cicli stessi. La nostra funzione del consumo deve cioè rappresentare
adeguatamente l’idea che la spesa per beni di consumo dipenda dagli standard
di consumo acquisiti e dalle oscillazioni cicliche del reddito aggregato.
Abbiamo perciò considerato che l’espressione di un’intercetta variabile,
espressa come funzione dei consumi nei periodi precedenti, assieme alla
variabilità della propensione marginale al consumo rispetto alle fasi del ciclo
economico, potessero costituire una prima approssimazione per avviare uno
studio analitico più approfondito, da proseguire aldilà di questo lavoro, sulla
forma della propensione al consumo, sulla base dell’ipotesi del reddito relativo.
Ci preme infine sottolineare come la stessa rappresentazione della variabilità
ciclica della propensione marginale al consumo sia stata qui oltremodo
semplificata, al fine di rendere immediatamente visibile l’effetto sulla crescita
del prodotto reale. Tale rappresentazione, però, può presentare una serie di
problemi teorici che necessiteranno in futuro di un’opportuna considerazione.
Nel modello infatti abbiamo scritto che la propensione marginale al consumo
assume un certo valore c*, quando il reddito è maggiore del massimo reddito
dei periodi precedenti, e un altro valore c- inferiore a c*, quando il reddito è
inferiore al massimo reddito dei periodi precedenti. Il che è leggermente
diverso dal dire che la propensione marginale al consumo è maggiore nelle fasi
espansive del ciclo economico che in quelle recessive. Come caratterizziamo
infatti i periodi in cui dal punto di minimo reddito in un ciclo economico si
142
inizia a risalire fino al massimo reddito del periodo precedente? Essi
costituiscono certamente il periodo espansivo del ciclo successivo, e tuttavia il
reddito corrente sarà, almeno per una parte di questo periodo, inferiore al
reddito massimo del periodo precedente.
§V.F L’ipotesi del reddito relativo nell’analisi della crescita economica: un
esempio numerico
80. Ci proponiamo ora di fornire un’utile esemplificazione numerica che
illustri con maggiore immediatezza le argomentazioni sinora sviluppate.
Supponiamo che nell’anno 0 il reddito sia pari a 100, i consumi a 80, gli
investimenti e i risparmi a 20, la propensione marginale al consumo a 0,7.
Supponiamo inoltre che negli anni -1, -2,….-t, il sistema economico abbia
sperimentato una fase di crescita zero, con un rapporto investimenti-reddito
costante per un valore pari a 0,2. Supponiamo a questo punto che dall’anno 1
sino all’anno 50 il rapporto investimenti reddito vari in modo casuale intorno a
questo valore 0,2 secondo una distribuzione uniforme a media zero e varianza
data, definita in un intervallo chiuso e limitato (-0,01;0,01)178. Vogliamo
studiare l’andamento di reddito e consumi in presenza di queste oscillazioni
cicliche della quota degli investimenti sul reddito. Effettueremo due
simulazioni: una con una funzione al consumo calcolata secondo una
specificazione dell’ipotesi del reddito relativo, sulla scorta del modello del
178
Supponiamo cioè che la quota degli investimenti sul reddito del periodo precedente possa
variare al massimo tra 0,19 e 0,21 tra un anno e l’altro.
143
sistema 1; l’altra con una funzione del consumo del tipo che nel capitolo IV
abbiamo definito “keynesiana”, con una componente autonoma costante della
domanda di beni di consumo, e una propensione marginale al consumo
anch’essa costante. Confronteremo poi i risultati e ne trarremo delle indicazioni
in merito a quanto sin qui argomentato.
81. Il modello sulla base del quale sarà costruita la prima simulazione è quello
rappresentato nel sistema 1, con le funzioni opportunamente esplicitate, e con i
valori numerici assegnati. Si noterà come l’equazione che rappresenta la
propensione al consumo sia leggermente diversa da quella riportata nel sistema
1. Questo perché nel procedere con un esempio numerico si è reso necessario
esplicitare il termine noto C(Ci). Poiché, come più volte ricordato, riteniamo
che lo studio accurato di un’espressione funzionale esplicita dell’irreversibilità
delle relazioni tra reddito e consumo esuli dagli obiettivi del nostro lavoro,
abbiamo scelto un’espressione il più possibile semplice: il consumo dipende
dal consumo precedente, a significare lo standard di consumo acquisito, e dalle
variazioni del reddito, che influiscono in modo maggiore o minore a seconda
della differenza tra reddito corrente e massimo reddito dei periodi precedenti.
Tale formulazione è esclusivamente esemplificativa, e necessiterà di opportuni
approfondimenti teorici. A noi serve per dare un’idea tangibile di quanto
asserito in questo lavoro.
144
Yt = C t + I t
C t = C t −1 + ct (Yt − Yt −1 )
St = I t
I t = at Yt −1
at = 0,2 + ε
0,8 ⇔ Yt ≥ YMAX (t −1)
ct = 
0,4 ⇔ Yt < YMAX (t −1)
Riportiamo in tabella 2 il risultato di questa simulazione.
Simulazione con propensione al consumo calcolata secondo l'ipotesi del
reddito relativo
t
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
Y
C
I
S
c
a
100
99,6
98,5
99,8
104,2
108,5
113,8
112,1
114,8
122,8
122,6
123,7
123,2
123,0
124,4
126,5
126,3
129,5
133,4
140,1
144,0
148,1
151,9
164,0
169,4
174,1
176,6
190,9
202,7
218,6
219,2
80
79,8
79,4
79,9
83,4
86,9
91,1
90,4
92,6
99,0
98,9
99,8
99,6
99,5
100,7
102,3
102,3
104,8
107,9
113,3
116,4
119,7
122,7
132,4
136,7
140,5
142,5
153,9
163,4
176,1
176,5
20
19,8
19,1
19,9
20,8
21,6
22,7
21,7
22,2
23,8
23,7
23,9
23,6
23,5
23,8
24,2
24,1
24,7
25,5
26,8
27,6
28,4
29,2
31,6
32,7
33,6
34,1
37,0
39,4
42,5
42,7
20
19,8
19,1
19,9
20,8
21,6
22,7
21,7
22,2
23,8
23,7
23,9
23,6
23,5
23,8
24,2
24,1
24,7
25,5
26,8
27,6
28,4
29,2
31,6
32,7
33,6
34,1
37,0
39,4
42,5
42,7
0,7
0,4
0,4
0,4
0,8
0,8
0,8
0,4
0,8
0,8
0,4
0,8
0,4
0,4
0,8
0,8
0,4
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,2
0,19764
0,192014
0,20193
0,207982
0,207692
0,209169
0,19029
0,198148
0,207265
0,192772
0,194901
0,190909
0,190648
0,193283
0,194392
0,190342
0,195701
0,196862
0,201073
0,197147
0,197437
0,197112
0,208206
0,19932
0,198523
0,196078
0,209514
0,206133
0,209825
0,195125
Epsilon
-0,00236
-0,00799
0,00193
0,007982
0,007692
0,009169
-0,00971
-0,00185
0,007265
-0,00723
-0,0051
-0,00909
-0,00935
-0,00672
-0,00561
-0,00966
-0,0043
-0,00314
0,001073
-0,00285
-0,00256
-0,00289
0,008206
-0,00068
-0,00148
-0,00392
0,009514
0,006133
0,009825
-0,00487
145
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
235,0
233,5
247,3
264,1
285,5
293,5
296,6
313,0
317,3
335,1
333,3
335,7
335,0
344,2
357,7
372,0
381,2
413,7
412,0
418,2
189,2
188,6
199,6
213,0
230,2
236,6
239,1
252,2
255,7
269,8
269,1
271,1
270,8
278,1
288,9
300,4
307,8
333,7
333,0
338,0
45,8
44,9
47,7
51,0
55,3
56,9
57,5
60,8
61,7
65,2
64,2
64,6
64,2
66,1
68,8
71,6
73,5
79,9
78,9
80,2
45,8
44,9
47,7
51,0
55,3
56,9
57,5
60,8
61,7
65,2
64,2
64,6
64,2
66,1
68,8
71,6
73,5
79,9
78,9
80,2
0,8
0,4
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,4
0,8
0,4
0,8
0,8
0,8
0,8
0,8
0,4
0,8
0,209034
0,191069
0,204101
0,20633
0,20945
0,199326
0,196004
0,205004
0,19703
0,205513
0,191487
0,193969
0,191281
0,197167
0,199741
0,200224
0,197469
0,209718
0,190814
0,194614
0,009034
-0,00893
0,004101
0,00633
0,00945
-0,00067
-0,004
0,005004
-0,00297
0,005513
-0,00851
-0,00603
-0,00872
-0,00283
-0,00026
0,000224
-0,00253
0,009718
-0,00919
-0,00539
Tabella 2
Ai fini di una maggiore leggibilità dei risultati riportati in tabella 2,
proponiamo un grafico che illustri l’andamento del reddito e dei consumi
aggregati individuato dalla nostra simulazione.
146
Andam ento del reddito e dei consum i nella sim ulazione con propensione al
consum o calcolata secondo l'"ipotesi del reddito relativo"
450
400
350
YC
300
250
200
150
100
50
t
Y
C
Figura 9
Risulta evidente dall’analisi del grafico di figura 9 che il reddito ammette un
andamento accentuatamente crescente.
82. Verifichiamo ora se tale andamento è interamente spiegato dall’ipotesi del
reddito relativo, attraverso la costruzione della nostra seconda simulazione.
Sulla scorta del modello del sistema 2, esplicitando le funzioni e attribuendo i
valori assegnati ai parametri, avremo
48
45
42
39
36
33
30
27
24
21
18
15
12
9
6
3
0
0
Yt = C t + I t
C t = 10 + ct Yt
St = I t
I t = at Yt −1
at = 0,2 + ε
ct = 0,7
In questo modello la propensione al consumo è esplicitata attraverso una
funzione di tipo “keynesiano” con una componente autonoma pari a 10 e una
propensione marginale al consumo costante.
Rappresentiamo in tabella 3 i risultati di questa simulazione.
Simulazione con propensione al consumo calcolata secondo la "funzione
keynesiana del consumo" a propensione marginale costante
t
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
Y
100
99,2
96,8
98,5
101,6
103,7
105,6
100,3
99,6
102,1
99,0
97,6
95,5
94,0
93,9
94,2
93,1
94,1
95,1
97,0
97,1
97,2
97,2
100,8
100,3
99,7
C
80
79,4
77,8
79,0
81,1
82,6
83,9
80,2
79,7
81,5
79,3
78,3
76,8
75,8
75,7
75,9
75,2
75,8
76,5
77,9
78,0
78,1
78,1
80,6
80,2
79,8
I
S
c
a
20
19,8
19,1
19,6
20,5
21,1
21,7
20,1
19,9
20,6
19,7
19,3
18,6
18,2
18,2
18,3
17,9
18,2
18,5
19,1
19,1
19,2
19,2
20,2
20,1
19,9
20
19,8
19,1
19,6
20,5
21,1
21,7
20,1
19,9
20,6
19,7
19,3
18,6
18,2
18,2
18,3
17,9
18,2
18,5
19,1
19,1
19,2
19,2
20,2
20,1
19,9
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,2
0,19764
0,192014
0,20193
0,207982
0,207692
0,209169
0,19029
0,198148
0,207265
0,192772
0,194901
0,190909
0,190648
0,193283
0,194392
0,190342
0,195701
0,196862
0,201073
0,197147
0,197437
0,197112
0,208206
0,19932
0,198523
Epsilon
-0,00236
-0,00799
0,00193
0,007982
0,007692
0,009169
-0,00971
-0,00185
0,007265
-0,00723
-0,0051
-0,00909
-0,00935
-0,00672
-0,00561
-0,00966
-0,0043
-0,00314
0,001073
-0,00285
-0,00256
-0,00289
0,008206
-0,00068
-0,00148
148
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
98,5
102,1
103,5
105,7
102,1
104,5
99,9
101,3
103,0
105,2
103,3
100,8
102,2
100,5
102,2
98,5
97,0
95,2
95,9
97,2
98,2
98,0
101,8
98,1
97,0
79,0
81,5
82,5
84,0
81,5
83,1
79,9
80,9
82,1
83,7
82,3
80,6
81,5
80,3
81,5
79,0
77,9
76,6
77,1
78,0
78,7
78,6
81,3
78,7
77,9
19,6
20,6
21,1
21,7
20,6
21,3
20,0
20,4
20,9
21,6
21,0
20,2
20,7
20,1
20,6
19,6
19,1
18,6
18,8
19,2
19,5
19,4
20,5
19,4
19,1
19,6
20,6
21,1
21,7
20,6
21,3
20,0
20,4
20,9
21,6
21,0
20,2
20,7
20,1
20,6
19,6
19,1
18,6
18,8
19,2
19,5
19,4
20,5
19,4
19,1
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,7
0,196078
0,209514
0,206133
0,209825
0,195125
0,209034
0,191069
0,204101
0,20633
0,20945
0,199326
0,196004
0,205004
0,19703
0,205513
0,191487
0,193969
0,191281
0,197167
0,199741
0,200224
0,197469
0,209718
0,190814
0,194614
-0,00392
0,009514
0,006133
0,009825
-0,00487
0,009034
-0,00893
0,004101
0,00633
0,00945
-0,00067
-0,004
0,005004
-0,00297
0,005513
-0,00851
-0,00603
-0,00872
-0,00283
-0,00026
0,000224
-0,00253
0,009718
-0,00919
-0,00539
Tabella 3
Anche in questo caso, per rendere più leggibili i risultati della simulazione,
proponiamo in figura 9 un grafico che illustri l’andamento di reddito e consumi
aggregati a fronte delle oscillazioni cicliche del flusso degli investimenti. Si
nota come in questa seconda simulazione il reddito risulti oscillare
ciclicamente intorno a un valore costante, senza manifestare alcun trend, né
ascendente né tanto meno discendente.
149
Andam ento di reddito e consum i nella sim ulazione con propensione m arginale al
consum o calcolata secondo la "funzione keynesiana del consum o"
120
100
YC
80
60
40
20
t
Y
C
Figura 10
83. Ora, poiché l’oscillazione casuale del flusso degli investimenti è identica in
tutte e due le simulazioni, e l’unica differenza tra i due modelli è riconducibile
all’espressione della propensione al consumo, questo esempio numerico appare
confermare la nostra argomentazione teorica. L’irreversibilità delle relazioni
tra reddito e consumo sembra così poter contribuire a spiegare l’andamento
crescente del prodotto reale nelle moderne economie capitalistiche, in presenza
di normali oscillazioni cicliche del flusso degli investimenti.
150
48
45
42
39
36
33
30
27
24
21
18
15
12
9
6
3
0
0
CONCLUSIONI
In questo lavoro abbiamo sostenuto che la caratterizzazione sociale dei modelli
di consumo può fornire dei primi elementi nella direzione di una spiegazione
del ruolo delle relazioni tra reddito e consumo nell’ambito di una
teoria
Classica e Keynesiana della crescita economica.
Abbiamo tratto quest’idea della caratterizzazione sociale dei modelli di
consumo principalmente dall’opera di J. S. Duesenberry sulla funzione del
consumo.
Sulla base di questa idea si può sostenere:
1. che gli standard di consumo delle famiglie vengono acquisiti nel tempo,
in relazione ad abitudini che si formano in un determinato contesto
sociale, e si evolvono con l’evolversi nel tempo di tale contesto sociale;
2. che per questo motivo la relazione tra reddito e consumi non è
reversibile; ovvero che essa è diversa a seconda che il reddito aumenti o
diminuisca rispetto al massimo reddito precedente.
L’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo trova espressione
analitica nel fatto che la propensione marginale al consumo non è costante
rispetto alla direzione della variazione del reddito, ma assume valori diversi a
seconda che il reddito aumenti o diminuisca rispetto al massimo reddito
precedente.
La nostra tesi è che questa irreversibilità della relazioni tra reddito e consumo,
se collocata in un contesto Classico-Keynesiano, in cui si suppone che nel
151
lungo periodo il sistema economico non gravita naturalmente intorno al pieno
impiego delle risorse produttive, può contribuire a spiegare la crescita delle
economie di mercato. L’irreversibilità delle relazioni tra reddito e consumo,
infatti, fa sì che il valore del moltiplicatore del reddito risulti, ceteris paribus,
maggiore nelle fasi di espansione del reddito aggregato, e minore in quelle di
recessione. La spesa per beni di consumo, perciò, fornirebbe una sorta di
“pavimento” alle diminuzioni del reddito aggregato, impedendone diminuzioni
più accentuate durante i periodi recessivi. Abbiamo mostrato che questo
“effetto pavimento”, nel normale alternarsi di fasi espansive e di fasi recessive
del reddito aggregato, può contribuire a giustificare l’espansione della
domanda aggregata necessaria, nell’ottica Classica e Keynesiana che abbiamo
fatto nostra, a spiegare la crescita del prodotto reale.
Questa nostra ipotesi interpretativa vuole dunque essere un primo
suggerimento che possa aprire nuovi sviluppi ricostruttivi in tema di relazione
tra propensione al consumo e teoria Keynesiana della crescita.
152
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