costruzione di xiang qi - Archivio Istituzionale
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costruzione di xiang qi - Archivio Istituzionale
LABORATORIO “GIOCHIAMO!” COSTRUZIONE DI XIANG QI – LA SCACCHIERA CINESE PROGETTO EDUCATIVO RIVOLTO AD ADOLESCENTI CINESI DI REGGIO EMILIA ANNO 2011 contributo di Alina Mussini, educatrice del progetto "Educativa di strada" e mediatrice culturale Breve premessa: Una delle progettazioni ideate all'interno dell'iniziativa “Giochiamo!” è stata la realizzazione di due scacchiere di Xiang Qi, una forma di scacchi molto diffusa tra i cittadini cinesi sia in patria sia all'estero. L'idea di costruire, con un gruppo di giovani appartenenti alla variegata “comunità cinese” di Reggio Emilia, le scacchiere e le pedine (ognuna con un ideogramma scritto dai ragazzi stessi), ha rappresentato un momento di dialogo e di forte avvicinamento tra la città e la comunità cinese, e un importante riconoscimento delle competenze dei giovani cinesi, nuovi cittadini del nostro paese. I cittadini cinesi d'Italia sono spesso etichettati come chiusi e dediti solo al lavoro, estranei alla vita sociale, e soprattutto agli aspetti ludici-ricreativi della loro nuova vita da “espatriati”. Vi sono tuttavia buone ragioni per credere che non sia così, e forse questa iniziativa di Reggio Emilia potrebbe essere la prima di una serie, perché finalmente ha visto buona parte della comunità cinese scendere nelle piazze e nelle strade durante le due giornate di festa, e la grande partecipazione dei ragazzi durante i mesi del progetto e della costruzione delle scacchiere. Lo spazio e l'attività: Ogni venerdì pomeriggio, da aprile a giugno 2011, circa 20 ragazzi e ragazze di nazionalità cinese, tra i 7 e i 17 anni, si sono incontrati in una piazzetta della “zona stazione” di Reggio Emilia. Piazza Domenica Secchi, che con il bar “Caffè Reggio” rappresenta per tanti cittadini, in particolare molti cittadini migranti che risiedono nel quartiere, un naturale luogo d'incontro e di relazione, è diventata per tre mesi lo spazio educativo dove realizzare l'intervento sopra descritto. I ragazzi e le ragazze, coinvolti e seguiti da una educatrice - mediatrice culturale, hanno potuto (di)mostrare le proprie competenze e gioire delle proprie esperienze pregresse, scrivendo e disegnando quegli ideogrammi che con tanta fatica avevano appreso nei primi anni della scuola elementare in Cina. Qualcuno dei ragazzi, in quei frizzanti pomeriggi primaverili, ha preferito qualche volta giocare a basket o a yumaoqiu (il volàno, cosi amato da tanti bambini cinesi), poiché l'accesso al tavolo della costruzione della scacchiera è stato sempre libero e aperto a tutti. L'apporto di molte ragazze cinesi, alcune in Italia solo da pochi mesi, è stato fondamentale, perché con grande impegno hanno partecipato al progetto scrivendo gli ideogrammi sulle pedine di sughero. Dopo aver quindi scritto gli ideogrammi corrispondenti ai pezzi degli scacchi, e dopo aver disegnato le linee sulla scacchiera, i ragazzi e l'educatrice hanno scelto gli ideogrammi “più belli” (quelli che secondo i loro canoni si avvicinavano a quelli dell'antica arte calligrafica), li hanno plastificati, e poi utilizzati in diverse occasioni, tra le quali la più importante è stata sicuramente il festival “1,6,7 Contatto”, in data 19 giugno 2011. Il gioco: In Cina il gioco è assai presente nella quotidianità delle persone, e capita molto spesso di vedere sia adulti sia anziani dediti al mahjong o agli scacchi, accucciati ai bordi delle strade o nei numerosi parchi di Pechino o Wenzhou. Purtroppo la situazione lavorativa dei cinesi residenti in Italia è tale per cui difficilmente riescono a ritagliarsi un tempo libero per dedicarsi anche al gioco e allo svago, ma appena vi sono ricorrenze o festività non è raro incontrare famiglie intere che si divertono e godono del tempo libero. Le celebrazioni del capodanno cinese, ad esempio, o i banchetti dei matrimoni, anche in Italia, sono tutte occasioni per divertirsi e rilassarsi, anche con gli scacchi e gli xiang qi. Le tante facce della comunità cinese e gli adolescenti cinesi: Figli di alcuni espatriati dal Zhejiang quindi, cinesi del sud, qualcuno delle zone montuose qualcuno della ricca e caotica città portuale di Wenzhou, figli di imprenditori e commercianti, sono loro alcuni degli adolescenti cinesi di Reggio Emilia: alla moda e alla scoperta del mondo, del mondo delle relazioni e delle sconfitte, dei successi e delle frustrazioni; orgogliosi di rappresentare la “Tigre rampante” che è oggi la Cina, in un orecchio l'auricolare del cellulare, perenne contatto con la lingua parlata dai connazionali, nell'altro musica cinese, on line QQ, il “Facebook cinese”. Adolescenti forti di esserlo, ma allo stesso tempo spaesati, sperduti, soli. Iscritti in scuole che non conoscono e che a volte non capiscono, in scuole che sono spazio dell'incontro e della condivisione di esperienza, ma non sempre luogo dell'apprendimento linguistico, o della crescita educativa. Scuole quali luoghi dove finalmente si possono incontrare coetanei, ma scuole che rappresentano uno scoglio a volte spaventoso, e insormontabile. Giovani che si trovano ad affrontare, e a scontrarsi, con difficoltà linguistiche, culturali e relazionali. E con le loro competenze pregresse, con ciò che avevano faticosamente appreso in Cina, che vengono lasciate da parte, cancellate, nascoste e dimenticate. Ma non si può dimenticare che tutti questi ragazzi conoscono e usano una lingua, dei codici, ri-conoscono la cultura e le tradizioni della loro terra.Molto spesso i giovani cinesi sono ricongiunti alle famiglie dopo tanti anni di vita in Cina, passati con i nonni, lontani dai genitori; arrivano adolescenti in Italia, e non ri-conoscono più i loro genitori, soprattutto non riconoscono loro il ruolo genitoriale così importante per il processo educativo. Si sentono molto soli nell'affrontare la loro nuova vita, soli nelle scelte (nella scelta della scuola superiore, ad esempio, momento così cruciale anche nella vita dei ragazzi e delle ragazze italiani), soli nella gestione della quotidianità della casa, soli nell'accudire fratelli o cugini più piccoli, soli nel crescere. Troppo spesso, infatti, i ragazzi cinesi di 14, 15, 16 anni sono considerati e trattati come adulti, la famiglia richiede loro una grande competenza in ambito linguistico, sociale, lavorativo, e investe su di loro per la futura integrazione di tutta la famiglia. Questo porta alcuni ragazzi a sentirsi iper-responsabilizzati, a dover portare il peso delle scelte dei genitori, ma senza un adeguato sostegno familiare, affettivo, educativo. Ci sono inoltre situazioni di ragazzi cinesi molto frustrati dalla loro condizione scolastica in Italia, perché spesso in Cina erano capaci e meritevoli a scuola, seguivano percorsi adeguati alle loro preferenze e inclinazioni, avevano una rete amicale e familiare che li sosteneva. Lo sradicamento che provano nel lasciare amici e parenti, nel lasciare le loro certezze e nell'interrompere la costruzione della loro identità, li rende molto vulnerabili e deboli, lasciandoli in balìa di scelte miopi o di comportamenti a rischio (rischio di uso di sostanze e di abbandono della scuola, ecc). Troppo spesso non hanno punti di riferimento, sono lasciati soli a orientarsi e a capire quali codici e quali richieste il nuovo mondo propone o richiede loro. Anche per questo, credo, il progetto realizzato ha avuto una valore molto grande, un valore educativo fortissimo, per i ragazzi cinesi e le loro famiglie, e per i cittadini italiani che conoscono poco la comunità cinese; un grande valore educativo insito anche nell'accesso libero al “laboratorio”, un accesso che non richiedeva un'iscrizione, nella modalità dell'educativa di strada, dove i ragazzi e le ragazze del progetto non erano obbligati dai genitori a partecipare, ma anzi hanno portato lì, nel loro luogo, i genitori, per mostrare loro quel che avevano costruito. L'iniziativa ha dato a molti di questi ragazzi l'opportunità di recuperare le competenze acquisite nel proprio paese, di di-mostrare la capacità e la competenza di scrivere gli ideogrammi, di essere portatori e detentori di conoscenze pregresse, di saperi antichi, importanti e condivisi all'interno della comunità. In una città come Reggio Emilia, che vede ogni anno un alto numero di adolescenti cinesi neoimmigrati, quindi giunti “grandi” in Italia, è molto importante ridare loro lo spazio del gioco, lo spazio dello svago, lo spazio delle loro esperienze, lo spazio per chiedere, il diritto di essere confusi, di non sapere, insomma il diritto di essere adolescenti. Molti di questi giovani cinesi, infatti, vorrebbero solo vivere la loro adolescenza. L'educativa di strada: È un’azione educativa attuata in contesti informali, che diventano luoghi deputati alla realizzazione di interventi pedagogici, al fine di sostenere processi relazionali positivi e la partecipazione attiva dei giovani coinvolti. I progetti di Educativa di Strada sono presenti a Reggio Emilia dal 2002, coordinati e gestiti dall'Associazione Papa Giovanni XXIII, e si sviluppano su tutto il territorio cittadino, promuovendo le competenze giovanili e la loro partecipazione come cittadini attivi. In questa prospettiva, la strada è considerata uno spazio e un tempo di azione pedagogica, dove è possibile attivare il processo educativo-relazionale al pari di luoghi istituzionali e strutturati. Gli educatori di strada sono impegnati a promuovere le situazioni che permettono ai gruppi di giovani e adolescenti di mostrare le proprie competenze e abilità, di chiedere e di essere accettati per quello che sono e quello che portano con sé come bagaglio di vita. Per i ragazzi, la strada è un luogo carico di significati, è il luogo eletto per l'incontro, la relazione, è lo spazio delle scelte, delle scoperte, della comunicazione, dell'aggregazione. La strada, la panchina, la piazza, il campetto, il muretto rappresentano per alcuni gruppi di adolescenti la libertà di scegliere e la libertà di sperimentare, spesso lontano dagli occhi degli adulti. La strada rappresenta nel contesto delle città urbanizzate ciò che l'agorà rappresentava nella polis greca: crocevia di conoscenza, spazio e temporalità del dialogo, del confronto e della formazione dell’individuo al di fuori della famiglia, segnale tangibile della comunicazione tra le persone. L'educativa di strada si inserisce in questo contesto, interagisce con il mondo di ragazzi e ragazze, carico di desideri, sogni, necessità e bisogni, di richieste a volte esplicite, a volte solo mostrate con gesti e azioni che non vengono sempre comprese dagli adulti. La promozione delle competenze, l'ascolto e l'accoglienza di tutto ciò che un giovane o un adolescente porta, il supportare e accompagnare nei processi di crescita, caratterizza il lavoro degli educatori di strada. Il lavoro con i gruppi di adolescenti è la componente principale e specifica del lavoro di strada. I percorsi attivati sono volti a sviluppare un'attenzione su oggetti di lavoro specifici usati come occasione per un'azione educativa. Le iniziative possono riguardare: tornei sportivi, organizzazione di eventi culturali, creativi, musicali, sostegno e accompagnamento nelle scelte sulla scuola e nel mondo del lavoro, promozione delle competenze individuali e di gruppo, mediazione dei conflitti all'interno del gruppo di pari o con gli adulti del territorio. Caratteristica è il libero accesso e la scelta individuale o del gruppo di partecipare o starne fuori. Ed è quindi in questo contesto educativo, con le modalità sopra descritte, che è stato attuato l'intervento educativo del progetto “Giochiamo”, rivolto ai ragazzi della comunità cinese della zona stazione di Reggio Emilia, intervento che ha avuto inoltre una forte valenza territoriale, risignificando e riqualificando uno spazio aggregativo (piazza Domenica Secchi) eletta a luogo d'incontro sia dal gruppo di adolescenti sia dagli adulti. Quale Cina, e da quando in Italia. I “Cinesi di Reggio Emilia”: L'immigrazione cinese a Reggio Emilia ha un'antica storia: i primi cittadini cinesi espatriati, che come venditori di cravatte all'inizio del 1900 già risiedevano e lavoravano a Milano, si spostavano infatti anche in Emilia per proporre la loro merce, e negli anni del secondo dopoguerra vendevano cravatte di seta nel centro storico di Reggio Emilia. Fino agli anni Settanta si è trattato di un'immigrazione sporadica, poco articolata, che giungeva a Reggio da altre città o regioni d'Italia. Dai primi anni Ottanta il numero dei cittadini provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese è aumentato costantemente, e benché siano stati sempre definiti “invisibili”, rispetto ad altri gruppi di stranieri, la loro visibilità è aumentata con l'apertura dei ristoranti, delle rosticcerie e dei negozi di alimentari e d'artigianato. Un'analisi socio-demografica della popolazione cinese di Reggio Emilia ci mostra che la maggior parte proviene dalla zona circostante Wenzhou, nel Sud del Zhejiang, ma non mancano sporadiche figure, estranee alla “catena migratoria” classica, provenienti dalla provincia Nord-Orientale del Liaoning. Come rilevato nelle analisi riguardanti diverse altre città, è andato aumentando, costantemente negli anni, il numero di bambini e ragazzi cinesi in età scolare, in parte emigrati qui con la famiglia, in parte nati nel nostro paese. Peculiarità della componente cinese è l'esigua differenza numerica tra l'elemento femminile e quello maschile, a differenza di altre comunità immigrate che vedono uno scarto molto forte tra il numero degli uomini e quello delle donne, trattandosi di situazioni migratorie in cui difficilmente la coppia si sposta nel medesimo tempo. Tali considerazioni sulla componente femminile e minorile della comunità cinese si evidenzia nel fatto che un numero sempre maggiore di famiglie ha scelto Reggio Emilia come residenza definitiva, guardando anche all'aspetto occupazionale, che coinvolge diversi settori, dai laboratori di confezioni ai ristoranti, dalla vendita ambulante ai negozi di alimentari o medicinali. Zhejiang: Situata sulla costa sud-orientale della Cina, la provincia del Zhejiang è la zona da cui proviene la maggior parte dei cittadini cinesi presenti in Italia. Tra le più piccole province cinesi (ha una superficie di circa 101.000 kmq, e una popolazione che si aggira intorno ai 45 milioni di abitanti), il Zhejiang ha acquistato un'importanza sempre maggiore negli ultimi vent'anni, importanza legata soprattutto ad uno sviluppo economico-imprenditoriale senza precedenti, reso possibile dal “nuovo corso” intrapreso dalla Cina a partire dal 1979. Esistono piccoli paesi nella zona di Wenzhou – il fulcro commerciale ed economico della regione – dove il numero di emigrati sul totale degli abitanti raggiunge un'altissima incidenza: “A Guifeng, ad esempio, una frazione di Fulin (ad 80 Km da Wenzhou), dei 6000 abitanti del luogo circa 1000 si sono trasferiti in Italia; e a Lilin, un paesino di poco più di 1000 abitanti appartenente al distretto di Qingtian, ne sono espatriati circa 400, la maggioranza dei quali vive adesso in Italia.” Benché sia una delle province cinesi più piccole, il Zhejiang presenta una forte differenziazione interna, sia dal punto di vista geografico, linguistico e culturale – per la composita conformazione territoriale e per l'ampia varietà di dialetti e tradizioni locali – sia da quello sociale ed economico. La regione si caratterizza da un lato per una vasta area montagnosa, dove le coltivazioni sono state rese possibili dall'ingente lavoro dell’uomo (le cosiddette colture “a terrazzo”). Dall'altro per un'area caratterizzata da altopiani e dalla pianura formata dal grande fiume (Zhejiang, da cui deriva il nome della provincia) e dal suo estuario. Il nord della provincia, dove si trovano il capoluogo – Hangzhou – e la città portuale di Ningbo, gravita attorno alla vicina metropoli di Shanghai, area che rappresenta una delle zone chiave dell'economia nazionale. La fascia costiera è allo stesso modo ben integrata economicamente, e fa riferimento al movimentato porto di Wenzhou. Il resto della provincia, in particolare le valli dell'interno, chiuse tra fitte catene montuose, è molto meno sviluppato e in alcune aree permangono sacche di arretratezza economica e sociale più o meno estese. Nei numerosi distretti le differenze linguistiche e culturali sono marcate, tanto che a distanza di pochi chilometri difficilmente si parlerà lo stesso dialetto. “Wenzhouren”: Fulcro economico e commerciale della provincia, il porto di Wenzhou deve la sua prosperità al fatto di essere stata, nel 1984, una delle quattordici “città aperte” agli investimenti stranieri e al commercio internazionale e, in quanto tale, di godere di uno statuto particolare che ha permesso alla città di attirare dall'estero investimenti di capitali e di strutture imprenditoriali, senza sottostare a vincoli particolarmente severi. Gli abitanti di Wenzhou hanno fama di essere gente sveglia e turbolenta, abile nel commercio e maestra nell’arte di arrangiarsi e procurarsi guanxi, le conoscenze e le relazioni privilegiate che s'intrecciano in fitte reti di mutua assistenza e solidarietà. I Wenzhouren, “gente di Wenzhou”, si definiscono “capitalisti irriducibili”, già noti nel paese nell’epoca maoista per questa “illecita” vocazione, e sono stati in qualche modo travolti dal boom economico degli anni Ottanta e Novanta. La città ospita industrie importanti a livello nazionale, come quella della ceramica e della carta, ma non tutti i suoi abitanti, o quelli dei distretti vicini, riescono ad emergere nel tumultuoso mare del capitalismo, e per non rischiare di “perdere la faccia” nel proprio paese tentano la fortuna all’estero. Tuttavia la dinamica città di Wenzhou è il luogo d’origine di una componente minoritaria della comunità cinese in Italia, che proviene invece prevalentemente dai piccoli villaggi dell’interno, da distretti contigui tra loro, a cavallo tra le due maggiori ripartizioni amministrative: la prefettura di Wenzhou (Wenzhoushi), dove si trovano il distretto montano di Wencheng e i distretti costieri di Wenzhou-Ouhai e Rui’an, e il territorio di Lishui (Lishui diqu), cui appartiene il distretto di Qingtian. Tali differenze regionali e distrettuali giocano un ruolo fondamentale nella definizione di un'identità comunitaria da parte dei migranti cinesi. L'appartenenza geografica definita nel dettaglio possiede una connotazione così forte, che questo tipo di legame può assumere la valenza di un impegno reciproco molto vicino a quello che esiste tra i membri della famiglia allargata. La rete di solidarietà si costruisce principalmente a partire dai tongxiang, dai compaesani; e di converso le contrapposizioni e le ostilità nascono tanto più facilmente con chi, nato anche solo a pochi chilometri di distanza, è esterno al nucleo geografico-identitario. Non è raro incontrare cinesi “cittadini”, di solito di Wenzhou, che evidenziano in maniera infastidita la chiara origine “montanara” di dipendenti o vicini con cui magari si trovano a stretto contatto per motivi di lavoro. È un campanilismo che talvolta gioca un ruolo decisivo nei rapporti di lavoro instaurati nelle imprese cosiddette “etniche”, dove in pratica dipendenti e datori di lavoro sono cinesi. Non è raro infatti che i cinesi che provengono da Wenzhou definiscano “rozzi”, “incolti”, “contadini” quelli che provengono dalle aree più arretrate, e che quest’ultimi, di rimando, li accusino invece di darsi troppe arie. In realtà sono pochissimi i cinesi che prima di venire in Italia facevano i contadini; per la maggior parte erano piuttosto artigiani, piccoli imprenditori, commercianti, insegnanti. Questo dato tuttavia resta secondario, l’ambiente arretrato in cui sono nati resta – agli occhi dei cinesi cresciuti nelle aree urbane – una pesante eredità, e si esprime in una pesante inadeguatezza, in un’incapacità relazionale tanto più visibile ora che sono inseriti nel contesto italiano. Per questo si assiste spesso alla tendenza ad insediarsi laddove altri tongxiang abbiano già trovato una sistemazione e possano offrire accoglienza e lavoro, e dove inoltre la rete di solidarietà è fortemente sentita, e più raramente si assiste a discriminazioni e soprusi. Diversi aspetti che appartengono alla collettività cinese espatriata, indipendentemente dal paese che li accoglie, si ritrovano nell’analisi delle comunità cinesi in Italia. Caratterizzati, nel nostro paese, da una crescita esponenziale molto rapida, i cittadini provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese sono diventati uno dei gruppi numericamente più consistente, e tuttavia continuano a far parte della categoria dei “più sconosciuti”, quantitativamente e socialmente.