ricordati di chiudere bene la porta
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ricordati di chiudere bene la porta
RICORDATI DI CHIUDERE BENE LA PORTA Vita in Palestina di Marina Sorrenti con Alessandra Roca e Marina Sorrenti regia Nadia Baldi PRESENTAZIONE Le chiavi di una casa lontana che non esiste più. Il rumore dei bombardamenti, e il silenzio del coprifuoco. Occhi sgranati, corpi tesi. Il desiderio di una terra da vivere. Territori Occupati. Palestina. La storia di un incontro - ...reale o immaginato? - tra due donne, una palestinese e una israeliana. Una possibilità di vita, in un luogo dove di vita ne è rimasto un niente. Attraverso la loro voce, una moltitudine di storie. Mentre sullo sfondo va avanti il tragico racconto di una guerra sempre in atto, il quotidiano, con i suoi piccoli, semplici accadimenti si manifesta, a tratti goffo, ironico, leggero... Un incontro possibile... impossibile... desiderato... temuto? Per un attimo due vite si intrecciano, e si apre la porta dell'immaginario, che annienta le nostre certezze di avere tutto nel palmo di una mano. Bianco o nero. E ci dona uno stupore confuso, meravigliato, incredulo, di fronte alla complessità della storia. Tutto e il suo opposto in una sottile lingua di terra. NOTE DI LAVORO Il conflitto israelo-palestinese ha origine oltre un secolo fa, con la decisione dei padri del sionismo di colonizzare i territori palestinesi, provincia dell’impero ottomano, ritenuti per ‘diritto divino’ appartenenti al popolo ebraico. E’ una delle vicende storico-politiche più complesse del secolo scorso, le cui propaggini si spingono fino alla drammatica attualità della cronaca. Non è nostro intento, con ‘RICORDATI DI CHIUDERE BENE LA PORTA. Vita in Palestina’, analizzare le ragioni politiche di una guerra, che in quanto guerra non ha ragioni, non può avere nulla di giusto, nonostante sia stata definita “ la guerra più giusta della storia d’Israele”. I dati oggettivi sono sotto gli occhi di chi vuole vedere, nonostante le informazioni che i media ci fanno pervenire siano oltremodo imperfette: parole, che possono facilitare il lavoro di chi uccide, parole mandate al fronte, che rendono la visione del sangue più lieve, giustificano, tolgono le macchie (come sottolinea Gideon Levy). Ma la realtà di un popolo occupato resta, come resta l’orrore negli occhi dei bambini, e l’impossibilità di respirare una normalità di vita. E’ questo il punto. Di Palestina, in Palestina, ne è rimasta poca, come di vita ne è rimasto un niente. Nella resistenza del popolo palestinese sta la grande forza, nella capacità di attesa, nella speranza. E’ vero, la ragione non sta mai da una parte sola, ma un piatto della bilancia pesa più dell’altro. ‘RICORDATI DI CHIUDERE BENE LA PORTA. Vita in Palestina’ pone lo spettatore, fin dalla prima scena, nel vivo della drammatica realtà della guerra, dei bombardamenti, dei pianti dei bambini a cui non si sa dare risposta, né si può. Ma siamo in Palestina, Territori Occupati, e la porta per entrare all’interno del conflitto la aprono due donne, una palestinese, l’altra israeliana, che di quel conflitto sono il simbolo. Attraverso i loro occhi vivono più vite, quelle dei figli, dei genitori, dei fratelli, della nonna… Con lei facciamo un tuffo nel passato e torniamo al 1948, quando tutto, o quasi, ebbe inizio. E la storia si ripete da allora. Sempre la stessa. Una porta si chiude, la si lascia alle spalle, si scappa per non tornare più. Un'altra porta si apre e vi si cerca rifugio. Scatole cinesi che contengono storie, storie di uomini e di donne, che alle loro case, alla loro terra, non rinunceranno mai. E’ un grido, per il diritto ad una quotidianità, è il grido di due donne che si ritrovano sotto lo stesso tetto, nel medesimo conflitto, unite da una sorte comune (immaginata o reale?). E’ l’urlo dell’essere umano contro ogni guerra. Non esistono diversità, o meglio la distanza tra i diversi è colma, coincide nel quotidiano negato, nel desiderio di vita. E in Israele e in Palestina il vivere è intenso, “si vive più che in altri luoghi e il tempo lì sembra durare meno che in ogni altra parte del pianeta. Forse questa è la ragione per cui tre delle quattro grandi religioni della storia dell’umanità hanno lì le proprie radici. Forse per questo, quel pugno di chilometri quadrati, da quattro millenni, ha visto più sangue e più follie che qualsiasi altra regione del mondo” (Mario Vargas Llosa). NOTE DI VIAGGIO Il lavoro è stato ineffabilmente segnato (oltre che da un lungo periodo di ricerca, tra letture, conferenze, dibattiti, documentari e film) da un recente viaggioinchiesta a Gerusalemme, di pietra bianca. Aiutata e ospitata da membri della cooperazione italiana, a Gerusalemme Est, dove ho fatto base, mi sono spostata tra Israele e i Territori Occupati, alla ricerca di sguardi, atmosfere, suggestioni, sensazioni, e parole. Nel mio viaggio ho avuto modo di incontrare e ascoltare: - Jamal Juma, dallo sguardo dignitoso e il sorriso umile e largo, da non molto fuori dalle prigioni israeliane e attivista del Palestinian Stop the Wall, a Ramallah. - Shahinaz e la sua pancia di tre mesi, giovane giornalista palestinese, conduttrice di una radio, Campo profughi di Jala’zone. - Jiulia Alfandari, fiume di parole in piena e sguardo limpido, coordinatrice di progetti dell’AICAD, The Israeli Committee Against House Demolitions, Gerusalemme Ovest. - Inam, origini beduine, lo dicono il suo sguardo dagli occhi verdi, profondi, un sorriso caloroso e poche parole, della cooperativa Peace Steps, Campo profughi di Qalandiya. - la guida, compita signora araba israeliana, di quell’assurdo esperimento di pace che è il villaggio di Newe Shalom, 60 famiglie in tutto, 30 ebree e 30 arabe. - David, arrogante e cinico musicista di Tel Aviv, Newe Shalom. - Issa, dagli occhi buoni e l’animo infuocato, attivista di One Minute, in un posto di confini invisibili e di filo spinato, Hebron. - la comunità beduina di Jahalin, i suoi bambini di fango e la Scuola di Gomma, nel Deserto di Giuda. Tutti loro, e tanti altri occhi ancora, hanno annientato, se ce ne fosse stato bisogno, la presunzione intellettuale e occidentale di avere le cose nel palmo di una mano. Bianco o nero. E mi hanno donato uno stupore confuso e meravigliato di fronte alla complessità della storia …quella che da sempre scrivono i vincitori. Tutto e il suo opposto in una sottile lingua di terra. Marina Sorrenti “RICORDATI DI CHIUDERE BENE LA PORTA. Vita in Palestina” è vincitore della terza edizione (Dicembre 2009) del Festival di Corti Teatrali DONNAMOSTRADONNA (in giuria, tra gli altri, Carlo Emilio Lerici, Teresa Malsano, Manuela Mandracchia, Luisa Morgantini, Angelo Orlando, Sandra Toffolatti). Il festival è stato creato e organizzato dall’ Associazione Culturale Aktivamente, con la direzione artistica di Noemi Serracini, e con il sostegno del Teatro Ambra Jovinelli e MArteLive, ed in parte realizzato con il contributo della Provincia di Roma.