Giocando s´impara
Transcript
Giocando s´impara
X Domenica 27 giugno 2010 «“Lu sciuoch r’ r’ vrecc’” (gioco delle pietre), consisteva nel dimostrare la propria abilità come giocoliere» o Otto Cultura, personaggi e miti dell’Irpinia dialetti bole vere e proprie, le bambine rivestivano piee tradizioni tre o altri materiali di stracci e ritagli di stoffa» «“La pupa”, non potendo comprare delle bam- trapassato presente Per indicare le dita ai bambini si diceva: Pollice: Vol’ ru cas’ (vuole il formaggio) Indice: Nun g’ né (non ce nè) Medio: Ramminn’ na bella fedra (dammi una bella fetta) Anulare: Stai n’da la casc’tedra (è conservato nella cassa) Mignolo: Zizì pan’ e casì. (Zia zia pane e formaggio) La conta E’ un gioco tra ragazzi nel quale tutti i giocatori mettevano l’indice sotto il palmo della mano di uno di questi che recitava la seguente strofa. giochi dei bambini non sono dei gio c hi, biso gna invec e valutarli c o me le lo ro azio ni più serie”, dic eva Mo ntaigne. Oggi è fac ile pensare ai tanti giochi che i bimbi po sso no fare, ai mille gio c atto li che possono avere, ma una volta, quando la miseria la faceva da padrona, i bambini erano costretti ad imparare presto l’arte di arrangiarsi. Pietre, cerchi di botte, bottoni e bambole di pezza avevano allora lo stesso valore che ora hanno i moderni videogiochi, le macchinine e le bambole capaci di parlare e camminare. Quelli di una volta erano giochi semplici, forse meno “didattici”di quelli attuali, che non rispettavano le norme di sicurezza, ma che di sicuro sortivano il doppio effetto di divertire i bambini e di insegnare lo ro a condividere quel poco che si aveva con gli altri, senza invidie nè gelo sie. Co me per tutte le altre c o mpo nenti della so c ietà rurale anche per i bambini esisteva una netta suddivisione fra maschi e femmine. Solo in alcuni casi essi potevano giocare insieme, so tto la stretta vigilanza di un adulto. Per quanto riguarda i maschietti, fra i passatempi più diffusi ricordiamo: “lu sciuoch r’ r’ vrecc’” (gioco delle pietre) – consisteva nel dimostrare la propria abilità come giocoliere, lanciando in aria, e riprendendo, 5 pietre piccole e tonde, preferibilmente lisce, raccolte lungo il letto di un corso d’acqua. Vinceva chi per primo riusciva a riprendere tutte le pietre. “La staccia” – si po sizio nava una pietra piatta (staccia) in un certo punto e poi vinceva chi, lanciando delle pietre più piccole, si avvic inava di più (era mo lto simile al gioco delle bocce). “Schicciarul’” – era una specie di cerbottana, ricavata da un pezzo di legno di sambuco. “Scazzatromm’l’” (capriole) – si giocava a capriole soprattutto sui prati “Nuzz’l r’ vascinell’” (semi di carrube) – venivano usati come gettoni “Lu sciuoch r’ lu shcatl’” – in assenza di palloni, un barattolo di latta (shcatl) era il miglior sostituto. “Tozza mur’” (tocca muro) – si lanciavano contro il muro monete o pietre. Vinceva chi riusciva a posizionare le sue “pedine” più vicino al muro stesso. Le ragazze, invece, facevano giochi che le preparavano al lo ro futuro di mamma e moglie: “La pupa” – non potendo comprare delle bambole vere e proprie, le bambine rivestivano pietre o altri materiali di strac c i e ritagli di stoffa. In questo modo si “costruivano” delle pupe (bambole) che cullavano e maneggiavano con cura, quasi come se fossero neonati. “Lu sciuoch’ r’ li cic’r” (gioco dei ceci) – c antic c hiando la filastro c c a “n’ drezza n’drezza can/ quanda cicir’ tengh’ man’?” (intreccia intreccia cane/quanti ceci ho in mano?) le bambine lasciavano cadere un po’ di ceci nel palmo della mano dell’amichetta. Se questa indovinava, senza guardare, il numero preciso, poteva gestire il gioco. Alc uni gio c hi, c o muni sia a masc hi c he femmine, servivano per socializzare. Fra Giocando s’impara A la lamba a la lamba Alla lamba alla lamba chi c’ cova e chi c’ camba chi ci cova e chi ci campa c’ camba Salvator’ ci campa Salvatore chi c’ n’gappa quir’ cova. chi ci acchiappa quello cova. Appena finito chiudeva il palmo mentre tutti i giocatori dovevano ritirare il dito. Chi restava acchiappato passava a dire la strofa. mariangela «Quelli di una volta erano giochi semplici, forse meno “didattici”di quelli attuali, che non rispettavano le norme di sicurezza, ma che di sicuro sortivano il doppio effetto di divertire i bambini e di insegnare loro a condividere quel poco che si aveva con gli altri, senza invidie nè gelosie. Come per tutte le altre componenti della società rurale anche per i bambini esisteva una netta suddivisione fra maschi e femmine. Solo in alcuni casi essi potevano giocare insieme, sotto la stretta vigilanza di un adulto» o l’associazione di Trevico L’impegno di Irpinia Mia di MARIANGELA CIORIA E TERESA LAVANGA questi molto ricorrenti erano: “Lu sciuoch’ r’ lu piatt” (gioco del piatto) si imbrattava con la fuliggine il fondo di un piatto e lo si faceva circolare di persona in persona. La vittima prescelta doveva passare la mano so tto il piatto più vo lte e po i accarezzarsi la faccia, sporcandosi tutto. “Lu sciuoch’ r’ li suon” (gioco dei suoni) – quando si ballava nelle case dei privati, fra un intervallo e l’altro, si faceva questo gioco che consisteva nel riprodurre un determinato suono in seguito all’ordine impartito da un ragazzo che comandava il gioco. Costui, passando davanti ai giocatori, messi in fila vic ino al muro , c hiedeva: “Tu c he sunata tien’?” (tu che suono fai?) e a seconda delle risposte che riceveva, dirigeva una specie di concerto. “Lu sciuoch’ r’ lu spe rchije ” (gioco dello specchio) – donne e uomini si posizionavano su due pareti frontali. A turno, con uno specchio , si facevano riflettere i vo lti dei ragazzi. Coloro che venivano scelti potevano ballare insieme. “Lu sciuo ch’ r’ la buttiglia” (gioco della bottiglia) – si faceva girare a terra una bottiglia. Il c o llo e il fo ndo della stessa, nel momento in cui si fermava, indicavano i due prescelti che dovevano quindi scambiarsi un bacio. C’erano poi altri giochi che si facevano in occasione di feste che coinvolgevano tutta la comunità. Due che servivano a testare la forza degli uomini, erano “la zoca”, il classi- co tiro alla fune, che spesso veniva fatto recitando questa cantilena: “Quist' eia lu sciuoch' r' lu fil' tirend'/Quann' ii rich' tira tu tann' allenda/ quann' ii rich' allenda tu tann' tira” (questo è il gioco del filo che si tira/quando io dico tira tu allenti/ quando io dic o allenta tu tiri) e “zo mba cavadduzz” (salta cavalluccio) che vedeva un ragazzo fare da “cavalluccio” e un altro da cavaliere. Nel momento in cui il cavaliere saliva in groppa al cavallo, lo faceva con forza gridando: “uorsh o vena?” (botte o avena?) se il cavallo rispondeva “uorsh” veniva bastonato, se rispondeva “vena” il cavaliere rispondendo a sua volta “e caca ru ‘blen” (crepa!) faceva di tutto per dargli fastidio . Altri passatempi mo lto diffusi erano “lu tuo t” (rudimentale trottola di legno), “lu ferraut” (flauto ricavato da un virgulto di c astagno ) , “l’ annac c uvata” (nascondino), “lu shcaff” (lo schiaffo del soldato), “lu zurr” (coccio di ceramica cui veniva praticato un buco al centro, attraverso il quale si faceva passare un cordoncino) e “lu chirch’” (il cerchio). Sempre nei giochi rientrava infine, anche il c ruento “pad r’ fra ‘Glo rm” ( padre fra Girolamo). I partecipanti si dividevano in due squadre. Ogni squadra aveva un capo ( padr’ fra Glo rm) c he do veva guidare i “figli” verso la conquista del “territorio” avversario. Le scorribande, però, avvenivano fra mille penitenze, non ultimi le scudisciate e i calci. L’Associazione Irpinia Mia nasce nel 2008 a Trevico come ente con scopo culturale, che persegue esclusivamente finalità di utilità sociale, senza fini di lucro, neppure indiretto, né di tipo economico, politico o sindacale. L'associazione ha per oggetto lo svolgimento di attività nei seguenti settori: - la valorizzazione e la promozione della cultura, della storia e delle tradizioni locali, riferite in spec ie al territo rio del Comune di Trevico e, più in generale della Baronia e dell’Irpinia; - la valorizzazione e la promozione delle peculiarità socio-culturali e gastronomiche locali; - la promozione dell'istruzione, con riferimento alle attività di cui innanzi; - la tutela, la promozione e la valorizzazione dei beni di interesse storico, artistico e culturale, con particolare - ma non esclusivo - riferimento al territorio di Trevico; - la tutela e la valorizzazione della natura e dell'ambiente; - la rievocazione delle tradizioni del passato appartenenti alla c o munità della Baronia per offrire anche alle nuove generazioni la conoscenza degli usi e delle consuetudini di allo ra, anc o ra vive nella memoria degli anziani; e si avvale principalmente dell'opera personale, volontaria, spontanea, libera e gratuita dei propri associati.