Teoria dei Klesa

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Teoria dei Klesa
APPROFONDIMENTI
La Teoria dei
KLEŚA
Il significato letterale del termine Klesa è: afflizione, sofferenza.
Il problema della sofferenza e della miseria umana è stato ampiamente trattato da
Patanjali e sua è la filosofia dei Klesa che trova la sua massima espressione
nell’applicazione pratica dei rimedi da Patanjali stesso indicati.
Le filosofie nate in Oriente costituiscono infatti un mezzo di osservazione delle reali
problematiche dell’umanità ed al contempo propongono il rimedio ideale per la
risoluzione alle difficoltà di carattere esistenziale con mezzi opportuni ed efficaci.
Sono 5 le afflizioni che secondo Patanjali guidano l’umanità con conseguenze
disastrose: Avidya (ignoranza), Asmita (illusione), Raga (attaccamento), Dvesa
(repulsione), Abhinivesia (forte desiderio di vivere ovvero paura della morte).
Esse sono la causa prima di disordine mentale che procura dolore, disperazione:
sintomi di una mente distratta.
Analizzando da vicino ciò che rappresenta il dolore e tralasciando in questa sede
“quello fisico” (conseguenza di una malattia oggettiva), in presenza di dolore mentale
pochi ricorrono ai ripari esaminando la propria mente per cercarne le cause.
Quando associato al dolore è fondata la consapevolezza dell’impotenza ad eliminarlo,
cresce la disperazione che genera a sua volta nervosismo con la conseguenza di
turbare il giusto fluire del respiro alterandone l’equilibrio, il cui effetto è disarmonia
lungo i canali energetici attraverso cui scorre il Prana: la forza vitale.
La mente vittima dello squilibrio creatosi sarà disorientata e incapace di funzionare
correttamente.
La salvezza per l’uomo è rappresentata dalla sua determinazione a dirigere la propria
mente verso l’interno, consentendogli di alzare una barriera che lo ponga al riparo da
pensieri e azioni dettati dal modo di vivere del vitale e del fisico, inevitabili quando la
mente viene proiettata verso l’esterno.
Impegno, costanza e perseveranza nell’applicazione di una rigorosa disciplina, sono
requisiti indispensabili per compiere significativi progressi nella propria evoluzione
spirituale liberando chiunque intraprenda con serietà questo percorso dalla schiavitù
dei klesa.
I
Le 5 forme originarie di Klesa____________________________
Primo e più importante di tutti i klesa, perché da questo derivano gli altri come
conseguenza inevitabile, è AVIDYA:
metafisica
AVIDYA mancanza di conoscenza, ignoranza metafisica.
Il concetto che più di altri fa intendere il significato di Avidya è il seguente: ignorare la
Realtà nella sua vera essenza ed il suo manifestarsi. Ritenere eterno ciò che eterno non
è, puro e buono ciò che è impuro e male.
Avidya è privazione della conoscenza, la conoscenza che non si apprende mediante
l’intelletto, anche il più dotto dei sapienti infatti che non abbia intrapreso un cammino
verso l’evoluzione spirituale è vittima di Avidya nonostante il suo sapere accademico;
anch’egli come quasi la totalità dell’umanità ignora la Realtà vera: la vera natura
dell’essere e dell’esistenza tutta.
Cercare di capire con la mente il significato di Realtà è impresa impossibile, la Realtà è
un’esperienza, essa è la verità che sottende tutte le cose e come tale può solo essere
vissuta e per sua natura è intrasmissibile verbalmente, è invece l’autorealizzazione il
solo mezzo per attingere alla Realtà ultima.
ASMITA:
ASMITA: l’illusione
Asmi letteralmente: “Io sono”.
“Io sono” corrisponde alla pura coscienza originaria a prescindere dal corpo fisico che
la contiene.
Diviene afflizione e sofferenza (klesa) quando “l’Io sono” si identifica con il veicolo
oggetto della nostra attenzione mutando in: “io sono questo”.
Un esempio potrà illustrare meglio il concetto sopra espresso.
Poniamo che il veicolo attraverso cui avviene l’identificazione sia il corpo fisico (il
nostro veicolo più grossolano).
Quando mediante il corpo attraverso gli occhi viene esercitata la facoltà della vista,
chiunque dice: “io vedo” e l’entità che abita il corpo si identifica con la vista, mentre in
realtà essa prende atto semplicemente di ciò che appare dinnanzi all’occhio.
È necessario fare un lungo passo indietro (nello specifico risalire al processo iniziale
della creazione) per capire l’importanza della netta differenza tra Coscienza eterna “Io
sono” e materia “il veicolo attraverso cui passa la Coscienza” che, come la filosofia
Yoga insegna, sono diverse nella loro natura essenziale.
Per il processo della creazione, Coscienza e materia devono unirsi e, per procedere, la
Coscienza si priva della conoscenza della propria natura eterna per vivere nella forma
della materia che ha scelto e identificandosi con essa perde la consapevolezza delle
sue origini eterne di pura Coscienza individuale (Jivatma) parte della Coscienza
cosmica (Paramatma).
II
In ciascuna forma esistente è presente la pura Coscienza “l’Io sono” che altro è da “Io
sono questo corpo”. E ancora, l’illusione di appartenenza induce a dire: “i miei figli”, “la
mia casa“ ecc.ecc. e sempre si ripete l’errore di identificare la propria Coscienza
(Purusa) con ciò che “io sono” non “è”.
Quando si presta particolare attenzione ai pensieri prodotti dalla mente, ancora una
volta l’identificazione con un veicolo: “l’intelletto”, perdendo di vista la reale natura
divina eterna nella profondità del proprio essere.
RAGA:
RAGA: passione, attrazione, attaccamento.
Coesiste con Dvesa il 4° klesa dal significato contrario (repulsione).
Raga è la forza di “attrazione” verso persone o cose che illude colui che ne è posseduto
di trovare in esse la felicità.
Tale attrazione avviene perché il velo dell’illusione (maya) ci porta a credere con
assoluta certezza che da quell’oggetto o da quella persona dipenderà la nostra felicità.
La Coscienza, avendo perso il contatto con la sorgente della beatitudine che è
all’interno di ognuno, la ricerca altrove: fuori da sé, verso l’esterno e la conseguenza
inevitabile a ricercare nella direzione sbagliata la serenità, è un susseguirsi di delusioni
e frustrazioni causa di dolore.
Si rende indispensabile in tali frangenti adottare un atteggiamento che in sanscrito si
traduce con il termine di “Vairagya”: il distacco dagli oggetti dei sensi e da tutti i
piaceri che da questi derivano, mediante la capacità di discriminare: “Viveka”.
DVESA:
DVESA: repulsione
Vale per questo klesa quanto detto con il precedente, essendo “Dvesa” l’opposto di
“Raga” (l’attrazione).
Anche questo klesa come il precedente condiziona la vita dell’uomo in ogni istante.
Tutto nel mondo fenomenico ci attrae o ci respinge sui piani: fisico, emotivo o mentale
e la consapevolezza si sposta così verso i livelli inferiori della Coscienza perché solo in
questa sede le attrazioni e le repulsioni possono operare liberamente.
ABHINIVESIA:: sete di esistenza, attaccamento persistente e ostinato alla vita.
ABHINIVESIA
Ultimo klesa conseguenza di Avidya è Abhinivesia: il forte desiderio di vivere, radicato
anche nel dotto. Tanto la persona ordinaria quanto l’intellettuale più colto, sono
vittime di un forte attaccamento alla vita e temono la morte.
L’arte della realizzazione del Sé è la comprensione che tutto è impermanente, tutto
cambia e nulla è per sempre; tutto nel mondo fenomenico è relativo, la morte è l’altro
aspetto della vita, è la trasformazione del Sé (eterno) che cambia abito, muore il corpo
fisico, mentre l’anima si prepara al ritorno a casa nella Coscienza Cosmica.
III
Distruggendo i 4 klesa precedenti mediante una costante disciplina di Yoga, si potrà
superare la paura della morte, vivere in pace e in armonia la propria vita senza un
atteggiamento di attaccamento morboso alla stessa.
Come l’Avidya rappresenta la radice di tutti i klesa, così Abhinivesia ne costituisce il
frutto, l’espressione finale.
Più intensi saranno Raga e Dvesa (le attrazioni e le repulsioni) nella vita di una persona,
tanto più forte sarà il suo attaccamento alla vita.
DHY
HYĀNA
ĀNAĀNA-HEYĀS
HEYĀS TADTAD-VRTTAYAH
La scienza dello Yoga di Patanjali (cap.II
(cap.II–
ap.II–v.11)
Mediante la meditazione le loro forme attive scompaiono
Patanjali dedica diversi sutra (versi, aforismi) per descrivere le forme originarie dei
Klesa, le loro modificazioni ed i mezzi per distruggerli.
L’autodisciplina imposta dalla pratica costante dello Yoga, prevede quale perno
centrale per il progresso spirituale del ricercatore: la meditazione (Dhyana).
Grazie a Dhyana infatti, le afflizioni (Klesa) vengono attenuate e trasformate da attive
in passive (il Klesa è ridotto ad uno stato potenziale).
Con la pratica regolare della meditazione la mente sarà capace di comprendere senza
sforzo i problemi più profondi della vita e di trovare di volta in volta la soluzione più
adatta per affrontarli.
Samya
IV