Capitolo 6

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Capitolo 6
Edizioni Simone - Vol. 11/3 Diritto pubblico comparato
Capitolo 6
Le forme di governo
Sommario
Sezione Prima: Nozioni generali. - 1. Concetti introduttivi. - 2. Il principio della separazione dei poteri.
3. La moderna concezione del principio. - 4. Le classificazioni tradizionali delle forme di governo. - 5. La devolution.
Sezione Seconda: Le forme di governo contemporanee. - 1. Quadro generale. - 2. La monarchia costituzionale.
3. La forma di governo parlamentare. - 4. La forma di governo presidenziale. - 5. La forma di governo semi-presidenziale.
6. La forma di governo direttoriale. - 7. La forma di governo italiana.
8. Quadro generale delle attuali forme di governo in Europa.
Sezione Prima
Nozioni generali
1.Concetti introduttivi
Per «forma di governo» si intende il modello organizzativo che uno Stato assume per
esercitare il potere sovrano.
Esso riguarda, in modo particolare, le concrete modalità di gestione del potere statale, la
struttura degli organi, il loro numero e i rapporti di forza tra gli stessi.
Come si è visto in precedenza (v. Cap. 5, §1):
— la nozione di forma di Stato fa riferimento alle relazioni che intercorrono tra tutti gli elementi che
compongono lo Stato (popolo, territorio e sovranità);
— il concetto di forma di governo riguarda unicamente le relazioni che si instaurano all’interno di
uno solo di tali elementi, vale a dire il potere supremo (o potere di governo o sovranità).
Per forma di governo, quindi, si può intendere il concreto atteggiarsi dei rapporti tra
Parlamento, Governo e Capo dello Stato, con particolare riferimento alle modalità con
cui sono ripartiti e condivisi i rispettivi poteri e le proprie funzioni sovrane.
La forma di Stato influisce anche sulla forma di governo:
—nello Stato assoluto, nel quale tutte le funzioni sovrane (legislativa, esecutiva e giurisdizionale) sono accentrate nella persona del Re, dando vita ad una monarchia assoluta;
—nello Stato liberale, connotato dal costituzionalismo, dal principio della separazione dei
poteri e dall’attribuzione della sovranità alla nazione (e poi al popolo), che portano alla
separazione e al bilanciamento delle singole funzioni in precedenza concentrate in capo
alla figura del Re. Ciò, come vedremo, dà vita a diverse forme di governo.
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Parte I: Nozioni generali
2.Il principio della separazione dei poteri
A) Nozione, scopo ed evoluzione storica
Il principio cardine dello Stato di diritto (sorto con il fine prioritario di impedire la concentrazione di potere tipica dello stato assoluto) è costituito dalla separazione dei poteri (1).
In virtù di tale principio ogni funzione statale (legislativa, esecutiva e giudiziaria) deve
venire esercitata da organi diversi in condizioni di bilanciamento (balance of powers)
affinché ciascuno sia dotato di autonomia decisionale, senza interferenze tra l’uno e l’altro.
Oggi, tale separazione costituisce una formula organizzatoria dei poteri statali, che ha
come corollario il principio della competenza, in base al quale:
—al potere legislativo (il Parlamento) spetta il compito di creare le norme giuridiche;
—al potere esecutivo (il Governo, e/o il Capo dello Stato) spetta il compito di darvi concreta attuazione;
—al potere giudiziario (la Magistratura) spetta il compito di interpretare tale norma ed
applicarla ai casi concreti.
Scopo ultimo del principio della separazione dei poteri è, dunque, garantire un coordinamento armonico e un controllo reciproco tra gli organi istituzionali evitando che l’uno
prevarichi sugli altri fino a degenerare nell’assolutismo o in atteggiamenti dittatoriali o tirannici; in pratica la separazione dei poteri costituisce la più idonea garanzia affinché sia
assicurata la libertà dei cittadini e delle istituzioni.
La teoria della separazione dei poteri anche se presente nel pensiero politico greco (Erodoto, Platone, Aristotele) era sconosciuta agli ordinamenti antichi e medievali.
La teorizzazione compiuta del principio risale all’opera di Montesquieu intitolata «Lo spirito delle leggi»
(1748). In essa l’autore, riferendosi allo schema costituzionale inglese, fondato sulla distinzione tra la funzione
di fare le leggi (affidata alle due Camere, salvo il diritto di veto attribuito al Re) e la funzione di farle eseguire
(attribuita allo stesso sovrano), distingueva tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario.
Tuttavia, la separazione tra i poteri prefigurata da Montesquieu costituiva un criterio generale non così netto da
escludere ogni forma di collaborazione tra essi; in taluni casi, addirittura, erano consentite forme perosonali
di subordinazione dell’uno all’altro nonché reciproche interferenze, senza però far venir meno il bilanciamento
di «pesi e contrappesi» (checks and balances).
Tutte le Costituzioni, ad ogni modo, si ispirarono al principio della divisione dei poteri: quella degli Stati Uniti
d’America e le Costituzioni rivoluzionarie emanate in Francia alla fine del ‘700 (in particolare, la Costituzione
della Virginia del 1776 si apre con la solenne enunciazione «il Legislativo, l’Esecutivo e il Giudiziario saranno
sempre separati e distinti in modo che nessuno di essi possa esercitare il potere che legittimamente spetta agli altri»).
A tale principio si ispirarono più timidamente anche gli Statuti concessi nei vari Stati in cui era divisa la penisola italiana nell’800.
B) Forme applicative
Attualmente la dottrina e la stessa pratica costituzionale sono consapevoli dell’impossibilità di applicare rigorosamente tale principio nella complessa dinamica costituzionale delle
istituzioni politiche attuali. Molti meccanismi, infatti, sfuggono a tale rigida tripartizione,
(1) La separazione dei poteri può essere orizzontale, se ci si riferisce alla separazione tra organi sovrani, o verticale (o territoriale), se riguarda i principi del decentramento e dell’autonomia in base ai quali l’esercizio del potere viene distribuito su
più livelli territoriali per garantire al popolo una più diretta partecipazione alla vita politica e un più diretto e rapido soddisfacimento dei suoi interessi (VIGNUDELLI).
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con la conseguenza che nella maggioranza degli Stati attuali una forma di governo che
preveda una netta separazione nell’esercizio delle diverse funzioni rappresenta un’eccezione rispetto alla regola che, invece, privilegia forme di governo in cui i poteri si
intersecano senza, tuttavia, far venir meno il bilanciamento tra di essi.
3.La moderna concezione del principio
A) La concezione attuale
Gli elementi che contribuiscono a differenziare la moderna concezione della divisione dei
poteri rispetto alla sua configurazione classica sono (VOLPI):
—la sempre più diffusa commistione tra le competenze del potere legislativo e di quello esecutivo. Il primo non manca di esercitare funzioni di tipo amministrativo o giurisdizionale.
Così, ad esempio, nell’emanazione di leggi provvedimento, cioè leggi che non si rivolgono alla generalità
dei cittadini ma, al pari dei provvedimenti amministrativi si applicano solo ad alcune categorie predefinite.
Tale commistione si realizza anche tra potere legislativo e giurisdizionale (è il caso della messa in stato di
accusa del Capo dello Stato la cui fase istruttoria viene demandata alle camere e non ad un organo giurisdizionale); al secondo, invece, è consentito, in casi di necessità e di urgenza o su delega rigorosa del Parlamento (in materie che richiedono conoscenze molto tecniche) di esercitare, salvo ratifica, il potere legislativo;
—la presenza di funzioni costituzionali non riconducibili alla tradizionale tripartizione tra legislativo, esecutivo e giurisdizionale.
Ad esempio la funzione di revisione costituzionale va tenuta nettamente separata da quella legislativa ordinaria,
ma ancor di più dalla funzione di indirizzo politico, ossia l’attività di individuazione dei fini politici da perseguire e di coordinamento degli atti e degli strumenti che ne garantiscono l’attuazione. Tale ultima funzione, in alcune
forme di governo è condivisa fra organi diversi come governo e parlamento o tra organi centrali e periferici. Va,
inoltre, ricordata la «funzione locale» in merito alla divisione verticale del potere (Stato, Comuni, Regioni etc.);
—l’esistenza di poteri costituzionali che non appartengono né al legislativo, né all’esecutivo, né all’ordinamento giurisdizionale.
Il classico esempio è rappresentato dall’affermarsi delle Corti costituzionali che esercitano, a tutela della
Costituzione, un’attività di garanzia, di controllo e di difesa della Costituzione, nonché una moderata
attività pseudo-normativa con l’emanazione delle cd. «sentenze additive» che, in casi di «vuoti normativi»,
in un certo senso «creano il diritto» sostituendosi al potere legislativo;
—la presenza di nuovi organi istituzionali, istituiti per garantire democrazia ed equità al
sistema, non riconducibili a nessuno dei tre poteri tradizionali che, tuttavia, godono
di ampi poteri autonomi e sono inattaccabili.
Si pensi, ad esempio, al diffondersi delle autorità amministrative indipendenti (2) che grazie alla loro
terzietà garantiscono un controllo su particolari attività (es.: concorrenza, comunicazioni) oppure alla figura del Difensore civico (Ombudsman) cui, in certi ordinamenti, può ricorrere ogni individuo che si ritiene
leso dal potere esecutivo;
—la prevalenza indiscussa e generale del principio della sovranità popolare che postula sempre e comunque il primato della volontà popolare su qualsiasi potere costituito
(crisafulli).
(2) Tali «autorità» per potere effettivamente funzionare devono essere nominate da organi imparziali, presentare una composizione di membri indipendenti, essere in grado di gestire poteri effettivi e applicare sanzioni.
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Parte I: Nozioni generali
B) La separazione dei poteri nell’ordinamento italiano
È da riscontrarsi nel combinato disposto dagli artt. 3 (principio di uguaglianza), 70 (funzione legislativa), 102 e 104 (funzione giudiziaria) (VIGNUDELLI).
Attualmente, il senso e la portata della separazione dei poteri nell’ordinamento italiano
porta alle seguenti conclusioni:
—solo tra il potere legislativo e quello giudiziario è prevista una separazione assoluta
(altrimenti si sconfinerebbe nel sistema di common law);
—esistono due principi apparentemente contrastanti: la subordinazione dei giudici alla
legge (art. 101 Cost.) e l’affermazione che «la magistratura costituisce un ordine indipendente e autonomo» (art. 104 Cost.). Ciò si spiega se si riferiscono tali principi l’uno
all’attività dei magistrati (art. 101 Cost.) e l’altro alle prerogative di autonomia e indipendenza che devono caratterizzare lo status dei magistrati;
—è permesso al governo di legiferare (decreti legge e decreti legislativi) solo in casi delineati dalla Costituzione, giacché è al Parlamento che è attribuito il potere legislativo.
Divisione o concorrenza dei poteri?
La democrazia è basata sulla «divisione dei poteri» secondo la nota formula di Montesquieu, cioè
sull’equilibrio tra gli stessi affinché nessuno prenda il sopravvento sugli altri.
Con l’evolversi degli ordinamenti, soprattutto di civil law, tale «scissione» ha perso la sua intangibilità
e, prima con il «distinguo» tra poteri e funzioni, poi con la fungibilità, assistita da opportune garanzie
tra gli stessi poteri (es.: decreti legge) la rigidità di tale divisione è stata fortemente attenuata scadendo a valore orientativo, anche a causa di alcune forme di ridimensionamento con quello avvenuto,
per esempio, nell’Unione europea, la cui attività ha «invaso» prepotentemente soprattutto il territorio
legislativo-esecutivo dei singoli Stati membri.
Nell’esperienza statunitense, come nota la FERRARESE, è, invece, emersa una sorta di «concorrenza» tra i diversi poteri, per le continue sovrapposizioni tra quelle presidenziali in campo legislativo per
finire a quello giudiziario che rappresenta una «fonte normativa» di primaria importanza: grazie a tale
attività dei giudici nasce un importante «contropotere», il cd. judical review, che assoggetta la fonte
legislativa ad un continuo «esame» dei suoi registri costituzionali (enforcement giudiziario).
4.Le classificazioni tradizionali delle forme di governo
Le forme di governo possono essere studiate diacronicamente (cioè nella loro dimensione
storica) o sincronicamente (cioè in relazione ad uno specifico momento): non si può per motivi didattici prescindere da entrambe le prospettive per comprenderne a fondo il significato.
I criteri di classificazione delle forme di governo sono molteplici e tengono conto di elementi diversi.
A) Democrazia diretta, indiretta ed elettronica
Considerando le modalità con cui viene scelto l’organo titolare del potere sovrano, si
distingue tra:
—forme di governo dirette, nelle quali la sovranità è detenuta direttamente dal suo titolare
esclusivo che oggi è il popolo (antecedente storico fu la democrazia ateniese);
—forme di governo rappresentative, nelle quali il titolare del potere sovrano delega a
soggetti terzi la gestione del potere (si pensi ai parlamentari che ricevono l’investitura
dal corpo elettorale).
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La «democrazia diretta» si caratterizza per il fatto che è lo stesso popolo a prendere le decisioni politiche in quanto titolare della sovranità che viene, pertanto, considerata indelegabile.
Tale forma di governo, pur considerata apprezzabile, presenta due inconvenienti:
—il primo: con il crescere della normativa e delle leggi il popolo dovrebbe allontanarsi
dalle sue occupazioni per studiare le leggi, discuterle e approvarle. Questa operazione
è stata ritenuta in passato troppo complessa e soprattutto molto assorbente per i cittadini
che sarebbero chiamati quasi giornalmente a pronunciarsi.
Oggi, invero, con la democrazia elettronica per tutti è più facile raggiungere tutti …
per cui in linea teorica una più intensa partecipazione del popolo alla creazione delle
leggi non è più sola fantasia e i nuovi strumenti informatici, lecitamente controllati,
potrebbero svolgere tale compito;
—il secondo: la poca fiducia che molti pensatori e leader politici ripongono in un «popolo veramente democratico e sovrano» e, soprattutto, temono il procedere «ondivago»
degli elettori e delle loro turbolenze, nonché vivono il timore che «masse troppo obbedienti» possano delegare «in bianco» un leader politico dalle promesse facili in grado
di instaurare una dittatura.
B) Governo monista o pluralista
Prendendo in considerazione il numero dei soggetti posti al vertice del potere, e si distingue invece tra:
—forme di governo moniste, nelle quali il vertice dell’organizzazione statale è attribuito
ad un solo soggetto, di regola il monarca, che fa prevalere la sua volontà;
—forme di governo dualiste o pluraliste, nelle quali si procede ad una ripartizione del
potere tra più organi, che nell’organizzazione del potere si presentano autonomi, paritari e indipendenti.
Entrambi questi criteri hanno ormai valore puramente storico, dal momento che le esperienze
contemporanee conoscono forme di governo rappresentative, nelle quali gli organi titolari
del potere sovrano si basano esclusivamente sulla volontà popolare, e pluraliste, nel senso
che non vige più alcuna forma di concentrazione di poteri nelle mani di un unico soggetto.
C) Governi basati su un diverso grado di separazione tra potere legislativo ed esecutivo
In riferimento al grado di separazione tra il potere esecutivo e quello legislativo si distingue fra:
—forme di governo a separazione rigida, che si caratterizzano per l’assenza (o quantomeno la
riduzione) di interferenze nell’esercizio dei poteri; al Parlamento spetta l’esclusiva titolarità
del potere legislativo, mentre il Governo esercita in piena autonomia le funzioni esecutive (3);
—forme di governo flessibili o a collaborazione tra esecutivo e legislativo, caratterizzate
dalla commistione tra la funzione legislativa e quella esecutiva; in tal caso non vi è una
(3) Si noti che realtà contemporanea esistono condizionamenti e interferenze anche nelle forme di governo che, sul piano
teorico, dovrebbero riprodurre una netta separazione tra esecutivo e legislativo; ad esempio anche nel modello statunitense,
che viene generalmente indicato come la massima espressione di una forma di governo a separazione rigida (da un lato il
Presidente e dall’altro il Congresso), esistono vari strumenti di limitazione e di sovrapposizione che, di fatto, si pongono come
limiti all’attività dei due organi.
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netta scissione tra esecutivo e legislativo, ma si instaurano rapporti caratterizzati da una
serie di pesi e contrappesi (il cd. balance of powers);
—forma di governo a prevalenza dell’esecutivo, che è il risultato di un graduale «smantellamento» delle assemblee parlamentari e della concentrazione nel Governo di una
serie di attività legislative soprattutto in presenza di un forte leader politico che gode di
un’ampia e fedele maggioranza in Parlamento. Ad esempio, in Italia accade sempre più
spesso che un decreto legge venga «blindato» in sede di conversione nelle aule parlamentari, senza cioè la possibilità per le minoranze di discutere o presentare emendamenti e, successivamente, sottoposto alla questione di fiducia sul provvedimento: in tal modo
viene completamente esautorata la funzione del Parlamento che perde, così, la funzione
di incontro-scontro delle diverse forze politiche in sede legislativa.
Tale forma di governo, se affiancata dal meccanismo del «premio di maggioranza» (con cui
si conferiscono più seggi di quelli effettivamente attribuiti dagli elettori al partito o alla
coalizione che vince le elezioni), porta inevitabilmente ad una forma latente di autocrazia
che cancella il parlamentarismo e la democrazia.
Esempi storici che hanno portato a compimento di una siffatta «scalata al potere» si è avuta con l’ascesa di Mussolini e di recente si è riproposta con l’ultimo governo Berlusconi.
5.La devolution (delega di poteri)
In relazione ai rapporti tra potere legislativo ed esecutivo e agli ambiti di competenza di cui
ciascuno (in ossequio al principio della «separazione dei poteri») è titolare, viene in rilievo
il fenomeno della «devolution» che se, spinto oltre misura, può creare una asimmetria sia
funzionale che strutturale nella ripartizione delle funzioni fra i due poteri.
Nato nel sistema britannico (v. Parte II, Cap. 1, §13), con l’approvazione dello Scotland act
(1998) seguito dal Government Wales Act (Galles), e il Northern Irland act questo procedimento consiste nella «delega di poteri (sia legislativi che amministrativi) dallo Stato centrale
agli enti e amministrazioni periferiche per conferire maggiori autonomie a determinate comunità locali che si caratterizzano per una spiccata diversità sociale, culturale ed economica.
La devolution, che si connota per il suo carattere dinamico (in quanto segue le trasformazioni e soddisfa i mutandi dello Stato-comunità) trova un limite invalicabile nella supremazia dello Stato centrale (in Gran Bretagna rappresentato dal Parlamento di Westminster)
che è e deve rimanere al centro del sistema e conservare sempre la sua posizione di organo
di vertice dell’ordinamento.
Sezione Seconda
Le forme di governo contemporanee
1.Quadro generale
Per operare una corretta distinzione tra le forme di governo contemporanee occorre tener
conto di due distinti criteri (VOLPI):
—il primo riguarda il rapporto che viene ad instaurarsi tra Governo e Parlamento,
riconducibile alla distinzione tra forme di governo che prevedono un rapporto fiduciario
tra i due organi e quelle che, invece, escludono tale istituto;
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—il secondo concerne la modalità di elezione ed il ruolo assunto dal Capo dello Stato.
Tale forma di governo si differenzia notevolmente sia per le modalità di assunzione
della carica (in via ereditaria per il Monarca o in via elettiva per il Presidente), sia per
le modalità di elezione (direttamente dal popolo o dal Parlamento), sia per il livello di
partecipazione alla determinazione dell’indirizzo politico (che nel governo parlamentare, è nullo o comunque marginale, mentre nel governo presidenziale risulta essere
fondamentale).
Sulla base di tali criteri è possibile distinguere tra:
—monarchia costituzionale (v. §2) ove il Governo non è legato al Parlamento da un rapporto fiduciario ma risponde unicamente al Re, capo dell’esecutivo e titolare dell’indirizzo politico;
—forma di governo parlamentare. Il Governo formula un indirizzo politico che si impegna
a seguire e di cui è responsabile solo dinnanzi al Parlamento, il quale, a sua volta, può in
ogni momento revocarlo, togliendogli la cd. «fiducia» (v. infra §3, lett. D). La carica di
Capo dello Stato può essere assunta da un Monarca o da un Presidente democraticamente eletto che non partecipa direttamente alla determinazione dell’indirizzo politico;
—forma di governo presidenziale (v. §4). Il ruolo chiave è assunto dal Presidente che
riveste la duplice carica di Capo dello Stato e di Capo del governo. È organo politico
eletto direttamente dal popolo e non presenta alcun vincolo fiduciario con il Parlamento;
—forma di governo semi-presidenziale (v. §5). Costituisce una soluzione intermedia tra
la forma di governo presidenziale e quella parlamentare. La sua caratteristica principale,
infatti, è data dal doppio rapporto di fiducia che lega il Governo con il Parlamento e il
Capo di Stato; si noti che il governo viene nominato dal Presidente della Repubblica, ma
che deve comunque godere della fiducia del Parlamento: essa, cioè, può dar luogo a
contrasti se non c’è identità di vedute politiche tra Presidente e Parlamento. La carica di
Capo dello Stato è assunta da un Presidente eletto direttamente dal popolo e al quale sono
attribuiti alcuni poteri nella determinazione dell’indirizzo politico;
—forma di governo direttoriale (v. §6). È caratterizzata dal fatto che il Governo (in questo caso assume la denominazione di direttorio) viene nominato dal Parlamento ad
inizio legislatura (4), e non può essere successivamente revocato attraverso un voto di
sfiducia, con la garanzia, quindi, di poter operare in completa autonomia fino alle successive elezioni. Lo stesso direttorio assume anche la veste e le competenze proprie di
Capo dello Stato.
2.La monarchia costituzionale
A) Evoluzione storica e ripartizione dei poteri
La monarchia costituzionale è quella forma di governo che si è affermata al momento del
passaggio dalla Stato assoluto a quello liberale.
Mentre nella monarchia assoluta il potere (legislativo, esecutivo e giudiziario) si concentrava nella figura del Sovrano, nel sistema costituzionalizzato la gestione del potere del
(4) Nel Direttorio, che riproduce i rapporti di forza dei partiti presenti in Parlamento, non esiste la dicotomia maggioranza (che
governa) e opposizione (che controlla) in quanto tutti i suoi membri (e quindi tutti i partiti) hanno responsabilità di governo.
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Parte I: Nozioni generali
monarca viene vincolata, mediante un patto sociale che assume la denominazione di
«Statuto» o «Costituzione».
Si assiste inizialmente ad una sostanziale dissociazione tra il potere esecutivo, che continua ad essere esercitato
dal Re attraverso i Ministri da lui nominati, ed il potere legislativo, che viene progressivamente trasferito al
Parlamento, in particolare alla Camera elettiva portavoce della volontà dei sudditi cui è riconosciuto il diritto
di elettorato attivo (5).
Questa prima fase di netta contrapposizione tra il Re ed il Parlamento connota la monarchia
costituzionale pura (attualmente ampiamente superata) che ha rappresentato il modello cui
si sono ispirate le principali costituzioni europee ottocentesche e da cui hanno tratto origine
i due fondamentali sistemi politici democratici occidentali: il sistema parlamentare e quello presidenziale (v. infra §§6 e 7).
Il governo costituzionale puro fu generato dalle lotte che in Inghilterra, a metà del Seicento, portarono a una graduale affermazione dei poteri del Parlamento e, conseguentemente, ad una limitazione dei poteri del sovrano per cui:
— al Re spettava il potere esecutivo: egli nominava e revocava i ministri scegliendoli fra persone di sua fiducia,
senza interferenze del Parlamento;
— al Parlamento, o meglio, ad un organo complesso comprensivo di Re e Parlamento (King in Parliament)
competeva il potere legislativo. Il Re aveva il potere di sciogliere la Camera elettiva, ma anche l’obbligo di
convocarne una nuova entro un ragionevole termine per evitare un ritorno all’assolutismo. I parlamentari,
a tutela del proprio status, godevao di particolari immunità;
— i ministri erano responsabili politicamente solo nei confronti del sovrano: quando viene meno il rapporto
di fiducia, il Re poteva revocarli sostituendoli con altri a lui più graditi; penalmente, invece, i ministri erano
responsabili verso la Camera dei lords, su iniziativa della Camera elettiva.
B) Il valore della controfirma ministeriale
Con la limitazione del potere regio nasce l’istituto della controfirma ministeriale che impone che tutti gli atti del sovrano devono essere sottoscritti dai ministri che hanno cooperato alla loro messa in opera e che se ne assumono la responsabilità politica, nei confronti del
Parlamento, essendo la figura del sovrano indefettibile (cioè insostituibile).
Questo assetto dualistico sarà superato soltanto nel momento in cui tra il Re e il Parlamento viene ad inserirsi un terzo organo, il Governo, che assume, così, una propria autonomia
distaccandosi progressivamente dalla dipendenza del sovrano (cd. monarchia costituzionale parlamentare).
3.La forma di governo parlamentare
A) Evoluzione storica: dal modello dualistico a quello monistico
La forma di governo parlamentare rappresenta l’evoluzione della monarchia costituzionale
pura e si delinea nel momento in cui il Governo acquista una graduale autonomia rispetto
alla Corona, necessitando dell’assenso anche del Parlamento.
(5) Si noti che, agli esordi del costituzionalismo, della Camera Bassa (cioè elettiva) facevano parte solo i rappresentanti
delle classi borghesi in quanto il diritto di voto poteva essere esercitato unicamente in base al censo (nel Regno d’Italia era
ammesso al voto solo il contribuente che versava almeno 40 lire di imposta di ricchezza mobile, tributo similare all’IRPEF),
alla scolarizzazione (erano necessari il saper leggere, scrivere e far di conto) e all’età. Gradualmente questi requisiti vennero
meno o furono temperati, finché non si giunse al suffragio universale maschile (in Italia con Giolitti nel 1912) che tenne
conto dell’unico limite della maggiore età e del sesso femminile come causa di esclusione dal voto.
Capitolo 6: Le forme di governo
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In sostanza, il Governo, presieduto da un Primo ministro, è nominato dal Re, ma nello
svolgimento del proprio mandato deve anche tener conto dell’indirizzo politico espresso
in Parlamento che può, in qualsiasi momento, revocargli la fiducia.
La graduale estensione del diritto di voto parallela alla crescita democratica dell’Europa
nel corso del ’900 e l’abolizione delle Camere di nomina Regia ha portato alla centralità
del Parlamento rinsaldandone i legami con l’esecutivo, ormai quasi del tutto svincolato
dalla figura del sovrano.
In Gran Bretagna, ad esempio, la Corona ha utilizzato per l’ultima volta il suo potere di revoca del Primo
ministro e di scioglimento delle Camere nel 1834, ma fu costretta a ritornare sui suoi passi dalla riconferma
della maggioranza parlamentare nella successiva tornata elettorale.
Una situazione analoga si è presentata in Francia nel 1877, anche se in questo caso fu il Presidente della Repubblica a doversi sottomettere alla volontà degli elettori (v. infra parte seconda Cap. 3).
Verso la fine del XIX secolo il passaggio dalla forma di governo parlamentare dualistica
(Corona-Parlamento) a quella monista (Parlamento) può dirsi completato.
B) Le diverse forme di governo parlamentare a prevalenza dell’esecutivo o del Parlamento
Il passaggio dal dualismo al monismo non ha, tuttavia, portato all’adozione di forme di
governo parlamentare con identiche caratteristiche; la più o meno marcata dipendenza
dell’esecutivo dal Parlamento ed il ruolo riconosciuto al Capo del Governo, infatti, costituiscono altrettanti discriminanti cosicché, pur sotto un’unica etichetta, si possono distinguere governi parlamentari a prevalenza del Parlamento e governi parlamentari a prevalenza dell’esecutivo.
Nel primo caso, pur in presenza di un dualismo Parlamento-Governo e di un Capo dello
Stato in teoria titolare di poteri significativi, la prassi costituzionale si orienta verso una
prevalenza del Parlamento, in grado di controllare ed influenzare l’attività del Governo
attraverso le commissioni permanenti strutturate come i corrispondenti dicasteri ministeriali, mentre viene ridimensionato il ruolo dell’esecutivo soprattutto se i partiti che lo sostengono sono frazionati e non sufficientemente omogenei nelle loro linee politiche.
Al contrario, la prevalenza dell’esecutivo si riscontra soprattutto in quegli ordinamenti in
cui il Primo ministro assume sia la carica di Capo dell’esecutivo che quella di capo del
partito di maggioranza in seno all’Assemblea parlamentare, come nel recente caso italiano
della Seconda Repubblica.
È questo, ad esempio, il caso tipico dell’ordinamento britannico, dove la prevalenza dell’esecutivo è garantita dalla omogeneità politica con il partito che generalmente detiene la maggioranza parlamentare (in questi
casi si parla di Governo del Premier).
In Gran Bretagna il Governo è il protagonista assoluto della vita politica (6) potendo contare su una maggioranza permanente e solidale che lo mette in grado di dominare l’organizzazione e i tempi del lavoro parlamentare.
Nelle esperienze costituzionali del dopoguerra la tendenza generale nelle democrazie occidentali è stata di procedere ad un rafforzamento del ruolo del Governo (e del suo Presidente) a scapito del Parlamento (v. infra lett. G).
(6) La posizione di preminenza riconosciuta al Governo e al suo Premier non ha mai dato adito a tentativi di prevaricazione
sulle «minoranze» a causa del notevole e tradizionale rispetto di tutte le forze politiche dei principi di lealtà costituzionale e
integrità morale.
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Parte I: Nozioni generali
Tuttavia, la presenza di un’opposizione istituzionalizzata, che elabora e rende note le sue
proposte politiche alternative in vista di una potenziale alternanza al governo, gode, comunque, di una certa «influenza» sull’attività parlamentare anche perché dovrebbe ricoprire
cariche di vertice (7) con funzioni di garanzia e di controllo secondo il principio che è alla
base di ogni sistema democratico «la maggioranza governa, la minoranza controlla».
In tal modo le minoranze sono in grado di esercitare il previsto contrappeso alla prevalenza
dell’esecutivo: chiaro esempio è l’istituto del cd. «governo ombra» formato dalle sole
minoranze, che prospetta all’opinione pubblica ipotesi alternative di governo, in relazione
alle scelte effettuate dalla maggioranza.
C) La forma di governo parlamentare razionalizzata
La principale caratteristica della forma di governo parlamentare è, quindi, costituita dalla commistione e il bilanciamento tra la funzione legislativa e quella esecutiva; tra i due poteri si
instaurano complessi rapporti caratterizzati da una serie di pesi e contrappesi (il cd. balance of
powers) per cui il Governo, titolare della funzione di indirizzo politico, è sottoposto al controllo dell’Assemblea, mentre al Capo dello Stato è affidata una funzione arbitrale di garante
della Costituzione e del corretto funzionamento del sistema in veste, di organo super partes.
Elementi caratteristici della forma di governo parlamentare sono, dunque:
—l’assenza di una netta separazione dei poteri a favore del principio di condivisione tra
l’esecutivo ed il legislativo;
—la prevalenza dell’organo rappresentativo della volontà popolare, ossia il Parlamento;
—l’esercizio del potere esecutivo da parte del Governo, vincolato;
—l’esistenza di una responsabilità politica del Governo nei confronti dell’organo legislativo che si esprime attraverso l’istituto della fiducia. Il Governo, cioè, deve rendere
conto al Parlamento del suo operato e se quest’ultimo non ne condivide più il programma o l’azione politica può esprimere la sua disapprovazione nei confronti dell’esecutivo
mediante il voto di sfiducia, costringendo, così, il Governo alle dimissioni;
—le funzioni di garanzia e rappresentanza attribuite al Capo dello Stato il quale non svolge alcun compito riconducibile ad uno dei tre poteri dello Stato (esecutivo, legislativo e
giudiziario), ma costituisce un organo di equilibrio che dialoga con gli stessi per garantire la continuità democratica e l’osservanza della Costituzione. Anche il potere di scioglimento delle Camere, che quasi sempre è formalmente attribuito al Capo dello Stato,
in realtà risulta fortemente condizionato dalla volontà del Governo o del Parlamento.
Puramente formale è, poi, anche il potere di nomina del Governo (8).
(7) Una regola di correttezza costituzionale prevede l’attribuzione, in caso di bicameralismo perfetto, della Presidenza di una
Camera ad un esponente della minoranza a garanzia di un comportamento super partes di entrambi i presidenti e, quindi, di un
equilibrato svolgimento dei rapporti parlamentari. Questa istanza, rispettata nel nostro Paese nella Prima Repubblica (ove spesso
la presidenza di una Camera era affidata ad un esponente del P.C.I. come Terracini, Napolitano, Iotti), non è stata conservata nella
Seconda, che ha visto avvicendarsi, per entrambi gli schieramenti, sempre presidenti eletti e sostenuti dalla sola maggioranza.
(8) La nomina del Governo da parte del Presidente della Repubblica è puramente formale esclusivamente nel caso di
raggiungimento da parte di un partito o di una coalizione della maggioranza assoluta dei suffragi: in tal caso, infatti, il
Presidente deve solo limitarsi a designare capo dell’esecutivo il leader del partito o della coalizione che ottiene il 50% + 1
dei rappresentanti. Qualora nessun partito (o coalizione) dovesse raggiungere la maggioranza assoluta, e in assenza di accordi istituzionali, il Presidente è chiamato a svolgere un delicato lavoro per identificare la coalizione di partiti che raggiunge la metà + uno dei suffragi e che sia potenzialmente in grado di ottenere la «fiducia» (cioè il gradimento) delle Camere.
Capitolo 6: Le forme di governo
117
Si parla in tal caso di «razionalizzazione» in quanto alle regole affermatesi in via consuetudinaria nel corso del XIX secolo, le moderne Carte Costituzionali hanno sostituito
procedure rigide e ben definite per la disciplina del voto di fiducia, del voto di sfiducia e
dell’eventuale titolarità del potere di scioglimento nell’ipotesi in cui il Parlamento non fosse
in grado di esprimere un’effettiva maggioranza di governo.
D)Il rapporto fiduciario come elemento centrale del governo parlamentare
Con la «fiducia» la maggioranza dei membri del Parlamento prende atto del programma politico presentato dal Governo e garantisce a quest’ultimo il proprio sostegno per
l’approvazione degli atti legislativi coerenti alla realizzazione di tale programma.
Qualunque Governo non in grado di ottenere l’appoggio da parte della maggioranza parlamentare difficilmente
potrebbe portare a termine efficacemente il proprio programma politico, in quanto le sue iniziative non otterrebbero la conferma in Parlamento.
La fiducia diventa, così, l’elemento centrale della forma di governo parlamentare; attraverso questo istituto si crea il vincolo che unisce il potere esecutivo e quello legislativo e
che consente all’intero sistema di operare in modo ottimale: questo delicato meccanismo
viene a cadere se la maggioranza è costituita da una forza politica coesa da una rigida disciplina di partito.
Pur essendo un istituto tipico di tutti gli ordinamenti che adottano una forma di governo di
tipo parlamentare, il rapporto fiduciario presenta notevoli differenze da uno Stato all’altro
che riguardano in particolare:
a) la previsione o meno di un voto di fiducia presunto o iniziale. Ben poche Costituzioni
prevedono esplicitamente un voto iniziale di fiducia da parte del Parlamento sul Governo di nuova nomina, al contrario di quanto previsto dalla nostra Carta costituzionale (art.
94 Cost.: «Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere
per ottenere la fiducia»).
Ciò non vuol dire che in tali ordinamenti non si instauri un rapporto fiduciario, ma più semplicemente che
sono previsti altri meccanismi. In alcuni Stati è la stessa procedura di nomina del Governo che richiede una
votazione da parte del Parlamento (Germania, Spagna), per cui un successivo voto di fiducia si dimostra
inutile. In altri Stati (Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi), invece, la fiducia al Governo è presunta e
si ritiene accordata fino all’approvazione di un’eventuale mozione esplicita di sfiducia;
b) l’esistenza di un rapporto fiduciario con entrambe o con una sola Camera. In casi di
bicameralismo imperfetto il compito di concedere o revocare la fiducia all’esecutivo non
è attribuito ad entrambe le Camere (così, invece, avviene in Italia: art. 94 «Ciascuna
Camera accorda o revoca la fiducia»), ma demandata ad una sola di esse, in genere la
Camera bassa; è questo il caso della Germania (il rapporto si instaura solo con il Bundestag), della Gran Bretagna (dove doinvolge solo la Camera dei Comuni) e della Spagna (dove tale compito è demandato solo al Congresso).
Tale scelta è giustificata dal diverso ruolo che le Camere assumono in questi Stati, i quali attribuiscono
soltanto alla Camera Bassa quella legittimazione popolare necessaria per poter influenzare l’operato del
Governo, laddove la Camera Alta o è espressione delle istanze regionali, oppure non ha alcuna potere di
influenzare l’indirizzo politico nazionale (come ad esempio nel Regno Unito, dove la Camera dei Lords, di
natura ereditaria, per i poteri che esprime e per l’attività prevalentemente di riflessione che svolge, non ha
nessun rapporto fiduciario con il Governo);
118
Parte I: Nozioni generali
c) la previsione o meno della possibilità per il Governo di porre in primo piano la cd. questione di fiducia attraverso la quale l’esecutivo chiede che si verifichi se sussiste o meno
il perdurare di un rapporto fiduciario con il Parlamento, ed è implicita in tale richiesta
l’eventualità che il Governo si dimetta nell’ipotesi in cui tale fiducia non sia rinnovata.
La facoltà di porre la cd. questione di fiducia costituisce un pericoloso strumento di pressione politica a
disposizione del Governo per forzare la volontà del Parlamento, dal momento che nella generalità dei casi
la mancata concessione della fiducia comporta la difficoltà di costituire una diversa maggioranza e, di conseguenza, lo scioglimento del Parlamento e l’indizione di nuove elezioni a meno che non viga l’istituto
della sfiducia costruttiva.
d) la possibilità per il Parlamento di approvare una mozione di sfiducia con la quale ritira
il proprio appoggio all’esecutivo costringendolo, nella generalità dei casi, alle dimissioni (l’obbligo delle dimissioni è espressamente previsto da diverse Costituzioni: Belgio,
Danimarca, Francia, Spagna, Svezia).
È da sottolineare, tuttavia, che raramente il Governo si dimette in seguito all’approvazione di una mozione di sfiducia, mentre nella prassi è molto più frequente l’ipotesi di
dimissioni provocate da contrasti interni alla maggioranza, che generalmente portano a
dimissioni spontanee di quest’ultimo senza un esplicito voto di sfiducia del Parlamento
(cd. crisi extraparlamentari).
In genere l’approvazione della mozione di sfiducia è sottoposta a diverse garanzie procedurali volte a
rafforzare il ruolo del Governo:
— l’obbligo di presentazione della mozione da parte di un numero minimo di parlamentari;
— l’obbligo di far trascorrere un tempo minimo tra la presentazione della mozione e la sua votazione, allo
scopo di evitare azioni a sorpresa delle opposizioni;
— l’obbligo di approvazione della mozione da parte della maggioranza assoluta dei parlamentari, anche se
non mancano esempi in cui è sufficiente il voto della maggioranza semplice (come in Italia);
— il divieto di ripresentare la mozione di sfiducia entro un determinato periodo di tempo nel caso in cui
non venga approvata;
— l’obbligo di votazione palese;
e) un istituto che limita la facoltà del Parlamento di approvare una mozione di sfiducia è
quello della cd. sfiducia costruttiva, noto soprattutto per la sua applicazione nell’ordinamento tedesco, ma presente anche in altri ordinamenti (Belgio, Spagna, Slovenia,
Ungheria). Esso vieta al Parlamento di votare una mozione di sfiducia nei confronti del
Cancelliere se non attraverso l’elezione contestuale, a maggioranza assoluta, di un
nuovo Cancelliere e quindi di un nuovo Governo. Si tratta di un istituto che mira a preservare la stabilità dell’esecutivo in carica e obbliga i partiti a creare una diversa
maggioranza parlamentare prima di procedere ad una generica rimozione del Governo
in carica.
E) Il potere di scioglimento delle Camere
Strettamente collegata alla tematica del rapporto fiduciario è quella del potere di scioglimento del Parlamento, che in passato veniva configurato come uno strumento a disposizione del Governo per contrastare un eventuale voto di sfiducia da parte delle Camere.
Il potere formale di scioglimento nei sistemi parlamentari spetta nella generalità dei casi
al Capo dello Stato, anche se questi ha pochi margini di discrezionalità, dal momento che
nella sostanza è il Governo (o il Primo ministro) a decidere; un’eccezione è costituita dalla
Capitolo 6: Le forme di governo
119
prassi costituzionale instauratasi nell’ordinamento italiano che attribuisce al Presidente
della Repubblica un ampio margine di intervento.
Così mettendosi contro la volontà del Governo uscito nel 1994 vincitore delle elezioni, in occazione del cd.
«ribaltone» con il quale alcuni parlamentari presero le distanze dalla maggioranza, il Presidente Scalfaro non
sciolse il Parlamento, ma nominò un nuovo Presidente del Consiglio, Dini, nonostante si ritenesse che, con il
nuovo sistema maggioritario, scioltasi la coalizione vincitrice delle elezioni, la scelta del nuovo governo dovesse essere rimessa agli elettori.
Analoga situazione si è presentata nell’autunno del 2011 quando il Presidente Napolitano, a seguito delle dimissioni del IV Governo Berlusconi, dietro la pressione degli organi di vertice dell’economia europea, ha nominato un governo tecnico (Monti) con l’apparente e limitato fine di individuare ed attuare una manovra economica
in grado di risanare il dissesto economico finanziario del Paese.
F) Forma di governo parlamentare e sistema dei partiti politici
Le forme di governo sono caratterizzate, oltre che dalla forma di Stato prescelta e dalla
distribuzione dei poteri sovrani fra gli organi costituzionali, anche dall’influenza dei partiti politici.
È importante non confondere la nozione di forma di governo con quella di sistema politico. Quest’ultimo «include tutti i soggetti che organizzano interessi sociali, che effettuano per ciò stesso mediazioni e compensazioni fra gli interessi organizzati, che ne fanno valere le istanze in tutte le sedi, comprese quelle pubbliche, dalle quali possono ottenere appagamento» (AMATO-BARBERA).
La rilevanza dei partiti politici assume una connotazione più o meno condizionante secondo il tipo di sistema politico prescelto:
a) il bipartitismo si basa sul ruolo determinante di due partiti in alternanza tra loro. Tipico esempio è il sistema inglese, tradizionalmente imperniato su due partiti: conservatore e laburista affiancati da un outsider (liberali).
Il bipartitismo presuppone una cultura politica omogenea, radicata nel contesto sociale,
pragmatica e in grado di dar vita a maggioranze elettorali in grado di produrre governi
alternativi. Tale sistema incentiva un’opposizione istituzionale (cd. governo ombra), in
grado di sostituirsi al partito al governo in un rapporto di alternanza dialettica;
b) il sistema pluripartitico, il cui presupposto è la presenza di pluralità di partiti aggregati in due schieramenti (coalizioni) anche disomogenei (bipolarismo) o, invece, un multipartitismo (polarizzato o a partito dominante), creando così una situazione non molto
dissimile da quella del sistema bipartitico. La presenza di una sola e possibile maggioranza garantisce la continuità di governo per tutta la durata della legislatura sino al suo
termine naturale assicurando, così, un’incisiva azione di governo.
c) nel caso, invece, del sistema pluripartitico a frammentazione esasperata (ipotesi
realizzatasi in Italia con l’ultimo governo Prodi nel 2008), la dispersione del consenso
elettorale in una miriade di partiti rende estremamente difficile formare delle maggioranze omogenee e coese. Ciò determina un quadro politico caratterizzato da una sostanziale instabilità governativa, aggravata dall’importanza che possono assumere partiti o
parlamentari anche in numero esiguo il cui dissenso fa venir meno i numeri che sostengono la maggioranza. In tal caso anche micropartiti o pochi parlamentari dissidenti
possono essere in grado di condizionare la coalizione di maggioranza in quanto il loro
120
Parte I: Nozioni generali
passaggio da uno schieramento all’altro (cd. ribaltone) farebbe venir meno la maggioranza.
G)Il rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio
Una delle tendenze del parlamentarismo contemporaneo (cd. razionalizzato) è il rafforzamento del Governo e del suo Presidente.
Tale rafforzamento è stato raggiunto sia attraverso l’apposizione di numerosi vincoli alla facoltà del Parlamento di votare una mozione di sfiducia, sia attraverso l’adozione di sistemi elettorali finalizzati all’instaurazione
di un sistema politico tendenzialmente bipolare (ciò perché l’esperienza del bipartitismo inglese è difficilmente
riproducibile in altri ordinamenti).
In Francia, Spagna, Germania, Svezia e in altri paesi europei, la stabilità dell’esecutivo è garantita dalla
presenza di una solida maggioranza parlamentare formata da pochi partiti, con un alto grado di coesione e saldamente controllati dal Presidente dell’esecutivo, che nella generalità dei casi è anche il leader del partito di
maggioranza della coalizione.
Negli ultimi anni, paradossalmente, si assiste ad una riallocazione di poteri e funzioni verso
l’alto (organismi sovranazionali come l’Unione europea), verso il basso (livelli di governo
substatali e di governance), e a fianco dell’esecutivo (agenzie e authorities più o meno
indipendenti dal Governo e caratterizzate da un elevato tasso tecnico di specializzazione
dei propri componenti).
In questa nuova forma di governo sono coese le strutture politico-amministrative di vertice
intorno al Primo ministro o Capo del Governo.
Emblematico è il caso inglese, a partire dal governo Thatcher e poi ancor di più con Blair.
Il Primo ministro ha visto considerevolmente rafforzato il proprio ruolo, sia attraverso la capacità di decidere la
politica di governo, di controllare l’esecutivo e il partito di maggioranza attraverso il cd. patronage (ossia il
potere di proporre la nomina dei titolari delle più alte cariche), sia attraverso il sempre più indiscusso ruolo di
portavoce dell’esecutivo, soprattutto nei confronti dei mass media. Di qui la formalizzazione, anche in campo
scientifico, di espressioni quali elected monarch per definire il dinamismo del Primo ministro.
Verso un assetto analogo si è avviata anche l’esperienza italiana dopo le riforme elettorali del 1993, che hanno creato le condizioni per la formazione di due coalizioni, alla guida
di ciascuna delle quali emerge la figura di un leader destinato, in caso di vittoria elettorale
della sua coalizione, ad assumere la carica di Presidente del Consiglio.
Tuttavia diversi elementi (lo sfaldamento della coalizione di centrodestra vincente nel 1994, il cambio di leader
e il passaggio di parlamentari da una coalizione all’altra nel corso della legislatura 1996-2001, la mancata maggioranza in entrambe le Camere, la mancata revisione delle norme costituzionali, la mancata definizione del
ruolo assunto dal Presidente del Consiglio, l’assenza di uno statuto che garantisca adeguati margini di manovra
all’opposizione etc.) inducono la maggior parte degli giuristi e dei politologi ad affermare che «le novità che si
sono avute in questi anni, se hanno comportato un funzionamento della forma di governo per vari aspetti diverso da quello del passato, non sono stati tali da far dichiarare giunta al termine la fase di transizione costituzionale» (VOLPI). Si è potuta evitare l’involuzione verso un Parlamento estremamente frammentato grazie
alla scelta di un sistema proporzionale temperato da clausole di sbarramento e premio di maggioranza, nonché
alla radicalizzazione dello scontro tra due «poli», Popolo delle Libertà e Partito Democratico.
H)La forma di governo neoparlamentare
Un tentativo di ulteriore rafforzamento del ruolo del Capo del Governo è rappresentato
dell’aspirazione alla creazione di nuovo modello del governo neoparlamentare, caratterizzato dall’elezione diretta sia del Capo del governo che del Parlamento e dalla tenden-
Capitolo 6: Le forme di governo
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ziale rigidità della carica di Primo ministro, che dovrebbe protrarsi per tutta la legislatura; l’intenzione è quella di raggiungere analoghi risultati a quelli conseguiti in Gran Bretagna a seguito di una progressiva evoluzione politica: cioè la sostanziale investitura popolare del Primo ministro e la stabilità di Governo (BIN-PITRUZZELLA).
Tale stabilità sarebbe garantita:
— dalla legittimazione popolare del Primo ministro, eletto direttamente dal corpo elettorale;
— dallo stretto vincolo che si instaura tra la durata in carica del Parlamento e quella del Governo. Il primo,
infatti, può votare una mozione di sfiducia nei confronti del secondo, anche se in tal modo determina anche
il proprio scioglimento; il Governo, dal canto suo, può chiedere al Capo dello Stato lo scioglimento del
Parlamento determinando, però, anche la caduta dell’esecutivo.
4.La forma di governo presidenziale
Con il termine presidenziale si indica una forma di governo in cui il principio della separazione dei poteri viene applicato in maniera assai rigida, e si presenta molto accentuata
la distinzione tra legislativo e esecutivo. In tale forma di governo il Presidente assume la
duplice veste di Capo dello Stato e Capo del Governo ed è eletto direttamente dal popolo.
Il modello di riferimento per tale forme di governo è quello degli Stati Uniti d’America,
dove il Presidente assume un ruolo preponderante rispetto a tutti gli altri organi.
Gli elementi che contribuiscono a connotare in senso presidenziale una forma di governo sono:
— un Capo dello Stato (Presidente) eletto direttamente dal popolo;
— l’assunzione da parte del Presidente della doppia veste di Capo dello Stato e di Capo del Governo. Per quanto riguarda quest’ultima funzione spetta esclusivamente al Presidente il compito di
nominare la compagine governativa;
— l’impossibilità per il Parlamento di approvare una mozione di sfiducia che imponga le dimissioni
dell’esecutivo.
La qualificazione di una forma di governo come presidenziale dipende dalla contemporanea
presenza di tutte e tre le caratteristiche prima individuate; la semplice elezione diretta del
Capo dello Stato non è, infatti, condizione sufficiente per istituire di forme di governo presidenziali, dal momento che ciò che caratterizza questa forma di governo è la netta separazione tra l’organo legislativo e quello esecutivo, con l’assunzione da parte del Presidente di ampi poteri di governo.
Negli Stati in cui è prevista al sola elezione diretta del Capo dello Stato e l’attribuzione a quest’organo del solo
potere di nomina dell’esecutivo si parla di sistemi presidenziali deboli.
Il modello che più di frequente viene indicato è quello adottato in Austria con la Costituzione del 1920, successivamente modificata nel 1929. In tale assetto istituzionale la figura del Capo dello Stato è molto debole rispetto alla centralità assunta dal Parlamento.
Lo stesso potere di nomina del Capo del Governo è un’attribuzione puramente formale, essendo la sua scelta
vincolata dalla maggioranza formatasi in Parlamento. Quest’ultima può anche provocare la caduta del Governo
attraverso una mozione di sfiducia, atto che il Presidente non può ignorare. Le residue funzioni non si discostano notevolmente rispetto a quelle attribuite al nostro Presidente della Repubblica dalla Costituzione del 1948.
Sistemi simili sono stati adottati anche in altri Stati europei (Portogallo, Finlandia, Irlanda etc.).
Tale modello funziona perfettamente quando sia il Presidente che la maggioranza parlamentare fanno capo allo stesso partito politico: rischia, invece, di entrare in «stallo» nel momen-
122
Parte I: Nozioni generali
to in cui tale omogeneità viene meno. In questo caso il gioco dei veti incrociati tra il Presidente e la maggioranza parlamentare potrebbe condurre ad una paralisi totale dell’attività
di Governo che, in Stati in cui le regole democratiche non sono così ben radicate, può portare anche ad un’azione di forza per sbloccare la situazione di crisi: è questa la nota degenerazione latino-americana del modello presidenziale.
In alcuni di questi Paesi la preminenza del Presidente si associa spesso al ruolo dominante dell’esercito e dei
vertici militari, tutori indiscussi dell’ordine costituito, con evidente indebolimento dell’autorità del Parlamento
e dello stesso sistema dei partiti.
In altri Paesi dell’America latina, invece, il Presidente di fatto è una figura di secondo piano, scelto e appoggiato da un cartello di «potenti» che dispongono di notevoli risorse economiche per gestire le campagne elettorali
condizionando così i risultati del voto popolare. Alcuni tra costoro spesso si limitano a rivestire la sola carica di
Ministro al fine di poter imputare alla persona del Presidente tutte le scelte politiche, anche impopolari, pronti
a disarcionare il Capo dello Stato se decidono di sostenere la campagna elettorale di un altro leader che si dimostra più fedele ai loro interessi.
5.La forma di governo semi-presidenziale
A) Peculiarità e differenze con gli altri sistemi
Il semi-presidenzialismo costituisce un regime caratterizzato dalla presenza di un Presidente della Repubblica eletto dal popolo e dotato di poteri propri e di un Governo
responsabile di fronte al Parlamento.
Il termine, utilizzato la prima volta da DUVERGER nel 1970, indicava una forma di governo presente, al di là della Francia della Quinta Repubblica, anche in altri Paesi (Irlanda,
Islanda, Austria, Finlandia, Portogallo, Repubblica di Weimar).
Il termine «semipresidenzialismo» non è molto comune nella dottrina francese la quale preferisce parlare di
«regime parlamentare con correttivo presidenziale» (COLLIARD); altri cercano la sintesi tra le due posizioni,
distinguendo il regime (cioè la struttura costituzionale) dal sistema (cioè la pratica costituzionale): la Quinta Repubblica sarebbe, in tal modo, un sistema presidenzialista dotato di un regime semipresidenziale (DUHAMEL).
Dottrina
Relativamente a tale forma di Governo, la dottrina italiana ha assunto posizioni differenti.
ELIA distingue tra Governi a componenti parlamentari e presidenziali, aggiungendo che se il Governo
procede dal Capo dello Stato, la fiducia parlamentare è secondaria e sarebbe, pertanto, un errore
considerare la Quinta Repubblica come forma di governo parlamentare.
PINELLI parla di «dualismo parlamentare», in quanto il sistema è legittimato dalla doppia elezione
popolare sia del Presidente che dell’Assemblea nazionale e conserva il principio della «fiducia» che
fa di esso un sistema parlamentare.
MORTATI, dal canto suo, rileva nella Costituzione della Quinta Repubblica una duplicità di tendenze:
la prima, attraverso la razionalizzazione del parlamentarismo e lo svilimento dell’organo parlamentare, comporta un’alterazione dei principi tradizionali del regime parlamentare, la seconda tendenza
porta all’abbandono degli schemi del parlamentarismo, a causa dei rilevanti poteri esercitati dal Presidente e dal Governo.
BISCARETTI DI RUFFIA classifica la Quinta Repubblica all’interno delle forme parlamentari a tendenza presidenziale.
In maniera analoga DE VERGOTTINI utilizza il termine «semipresidenziale», precisando, però, che
tale forma di governo si inquadra all’interno del governo parlamentare a tendenza presidenziale.
Capitolo 6: Le forme di governo
123
Le posizioni più recenti tendono ad includere la Quinta Repubblica, pur con qualche differenza, all’interno di una forma autonoma di governo detta semipresidenziale, sia sul versante politologico (MASSARI, PASQUINO), che giuridico (CECCANTI, VOLPI, PEGORARO, BARBERA-FUSARO).
Si tratta, in pratica, di una forma di governo ibrida sia rispetto al sistema presidenziale puro,
sia rispetto a quello parlamentare presentando caratteristiche proprie di entrambi i sistemi.
A differenza del modello parlamentare, il rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento
è notevolmente allentato, pur non giungendo alla completa separazione prevista dal modello statunitense. Infatti, il sistema francese non prevede alcun voto di fiducia da parte del
Parlamento nei confronti dell’esecutivo: quest’ultimo entra automaticamente nella pienezza dei suoi poteri all’atto della nomina dal Presidente della Repubblica, salva un’espressa
mozione di censura adottata dall’Assemblea nazionale che, per essere esercitata, necessita peraltro di maggioranze molto elevate.
A rafforzare le separazioni tra Parlamento e Governo interviene anche l’esplicita previsione
(comunque presente in molti sistemi come l’Italia) dell’incompatibilità tra membro dell’esecutivo e del Parlamento.
Caratteristica comune al sistema presidenziale è, invece, l’elezione diretta sia del Presidente della Repubblica che dell’Assemblea nazionale (9).
B) Prassi evolutiva e conclusioni
Il grande pregio di questo sistema è caratterizzato dall’estrema flessibilità, tanto che si potrebbe affermare che può alternativamente configurarsi come sistema semi-presidenziale o semi-parlamentare.
In Francia, infatti, nulla vieta che il Capo dello Stato sia espressione di una parte politica contraria rispetto a
quella che detiene la maggioranza in Parlamento: in questo caso si produce il noto fenomeno della coabitazione (più volte verificatosi), vale a dire una convivenza forzata tra Capo dello Stato e Governo retto da un Primo
ministro espressione di una maggioranza parlamentare diversa dall’orientamento politico del Presidente.
Così il sistema si connota come semi-presidenzialista quando il Capo dello Stato sa che il
Governo da lui nominato e diretto può contare su una maggioranza parlamentare particolarmente omogenea. La figura predominante è, in questo caso, quella del Presidente della
Repubblica che, oltre ad esercitare i notevoli poteri che gli vengono attribuiti dalla Costituzione, può contare su un Governo ed una maggioranza parlamentare a lui vicini.
Viceversa, assume una connotazione semi-parlamentarista nell’ipotesi in cui il Capo dello Stato deve convivere (coabitare) con una maggioranza parlamentare a lui ostile. Un
Governo che non fosse espressione dell’orientamento politico del Presidente sarebbe inevitabilmente destinato a scontrarsi con l’assemblea parlamentare: ragioni di opportunità
politica indurranno, quindi, il Presidente a nominare un Primo Ministro gradito all’assemblea parlamentare, pur conservando i poteri di direzione ed indirizzo della compagine governativa. In questo caso la figura del Primo Ministro assume un ruolo più forte, potendo
egli contare su un solido rapporto fiduciario e di unità di intenti con la maggioranza parlamentare. I poteri del Presidente vengono, così, ridimensionati, anche se lo stesso conserva
(9) Si noti, comunque, che, nelle originarie disposizioni della Costituzione del 1958 non era previsto il suffragio
universale diretto per l’elezione del Presidente, introdotto successivamente con una modifica del 1962.
124
Parte I: Nozioni generali
importanti prerogative nel campo della politica estera e della difesa, potendo inoltre deferire al Consiglio costituzionale le leggi approvate dalla maggioranza prima della promulgazione, interferendo in questo modo sulla politica normativa del Parlamento.
6.La forma di governo direttoriale
Si tratta di una forma di governo storicamente prevista per la prima volta dalla Costituzione francese dell’anno III (1795) e che nell’esperienza costituzionale contemporanea trova
riscontro soltanto nell’ordinamento svizzero (v. amplius Parte II, Cap. 7).
In questa forma di Stato, infatti, il potere esecutivo è esercitato da un Consiglio federale
(o Direttorio), formato da 7 membri eletti dal Parlamento (l’Assemblea federale) nominato ad ogni inizio di legislatura.
La peculiarità di questo ordinamento è costituita dall’assenza dell’istituto della sfiducia
— per cui il Direttorio dura in carica per tutto il periodo della legislatura — e dall’assenza
di conflitto tra maggioranza ed opposizione in quanto nel Direttorio sono presenti tutte
le componenti politiche.
Non vige, dunque, un potere di scioglimento del Direttorio il cui rinnovo si ha unicamente
in coincidenza con una nuova tornata elettorale.
Peraltro, l’effettivo funzionamento della forma di governo elvetica tende a far prevalere il
Consiglio federale sull’Assemblea, in considerazione della sua continuità di azione politicoamministrativa, della sua sostanziale inamovibilità, della sua ampia rappresentatività che
include, come detto, anche le minoranze.
La forma di governo direttoriale adottata in Svizzera rappresenta sicuramente un modello
difficilmente estendibile ad altre realtà e si giustifica soprattutto alla luce della articolata
composizione etnica e linguistica di tale Stato (non a caso nel Direttorio sono rappresentati tutti i Cantoni che concorrono a formare la Confederazione).
Inoltre l’assoluta inamovibilità del Direttorio è in parte temperata dall’ormai radicata formula dei governi di coalizione, che consente a quasi tutti i partiti politici di essere rappresentati in quest’organismo, nonché dall’ampio utilizzo dell’istituto referendario che, di fatto,
demanda direttamente al popolo le scelte più importanti dell’indirizzo politico dello Stato.
7.La forma di governo italiana
L’art. 55 della Costituzione, affermando il principio della centralità del Parlamento, definisce la forma parlamentare di governo italiana.
Così, durante la Prima Repubblica, il Parlamento ha costituito il centro della vita politica
del Paese.
In passato, con i governi di coalizione, si era creata una forma di democrazia compromissoria giacché non essendovi nella maggioranza sempre piena coesione e identità di vedute,
il dualismo Parlamento-Governo aveva un senso e la fiducia costituiva il freno attraverso
il quale l’assemblea controllava l’attività del governo.
Nella Seconda Repubblica caratterizzata invece da un rigido bipolarismo, la stretta simbiosi tra Parlamento e Governo ha fatto cadere ogni confronto dialettico maggioranza-opposizione.
Capitolo 6: Le forme di governo
125
L’opposizione, pertanto, riusciva a esprimere il proprio dissenso solo in seno alle commissioni parlamentari, anche alla luce del reiterato uso della decretazione da parte del Governo. L’esecutivo, infatti, forte della maggioranza parlamentare che lo sosteneva, si è progressivamente sostituito al Parlamento, trasformando il suo potere legislativo da «eccezionale»
in «regolare». In più, l’uso ricattatorio della «questione di fiducia», pena la caduta del
Governo e la conseguente possibilità di un ritorno alle urne con correlata perdita dei privilegi di casta, blindava i disegni di legge governativi.
Con l’aggravamento della crisi economica non solo nazionale ma globale, il Governo Berlusconi IV, anche per evitare che si abbattesse su di esso il «voto di sfiducia», ha rassegnato le dimissioni e con la complicità dell’opposizione colpita spesso da contrasti interni, ha
favorito la nascita di un governo tecnico guidato da Mario Monti e affidato a Ministri dotati di competenze specialistiche.
Tale forma di «governo atipico», in passato già sperimentato con Dini, ha suscitato forti
critiche:
—sia perché non rappresentava il popolo, essendo l’espressione di un compromesso fra le
varie forze politiche che non volevano assumersi la responsabilità di scelte economiche
impopolari;
—sia perché rappresentava un Governo «indicato» dall’Unione europea che ne ha di fatto
dettato anche l’agenda programmatica, imponendo una serie di pesanti misure economiche per il risanamento delle finanze statali sacrificando ancora una volta i cittadini già
duramente colpiti non solo dalla difficile condizione economica ma anche da un sistema
tributario fra i più alti del mondo.
Con le elezioni del febbraio 2013, la situazione non è migliorata. Il risultato ottenuto dopo
la significativa affermazione del Movimento cinque stelle di Grillo ha cancellato i numeri
del sistema bipolare e reso ancor più caotico il panorama politico che non facilmente potrà
risolversi, tenuto conto che solo dopo 2 mesi dalle elezioni l’Italia è riuscita a vedere la
nascita di un Governo «consociativo di larghe intese» che ha affiancato i due maggiori
partiti senza alcuna affinità né pragmatica, né politica, né ideologica con il grande rischio
che una siffatta anomala maggioranza capovolga il più importante principio su cui si basa
la democrazia che vede una maggioranza (vera, consolidata e costruttiva) al governo ed
una minoranza (vera, consolidata e costruttiva) all’opposizione.
8.Quadro generale delle attuali forme di governo in Europa
Nell’Europa del XXI secolo coesistono differenti forme di governo.
La monarchia è prevalentemente concentrata nel nord Europa: Svezia, Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi, Belgio, Regno Unito, Spagna.
In Belgio, Norvegia e Regno Unito vige la «legge salica», cioè la discendenza considerata
ai fini della regnanza è solo quella maschile, a differenza di altri Stati a regime monarchico
dove vige la «legge borgognona» che attribuisce la corona al primo erede o discendente
indifferentemente a maschi e femmine (Danimarca, Regno Unito etc.).
Taluni Paesi prevedono poi l’eventualità della nomina del sovrano, in caso di mancanza di
successori legittimi al trono. Così in Danimarca il Parlamento può procedere alla nomina
126
Parte I: Nozioni generali
del nuovo re, mentre in Belgio è il sovrano che, in assenza di discendenza maschile, è autorizzato a designare il suo successore, previo consenso delle Camere.
Negli altri Paesi europei la formula più diffusa è quella del governo parlamentare (Italia,
Germania, Austria, Svizzera, Finlandia, Paesi balcanici). In altri Paesi è presente la forma
di governo semipresidenziale (Francia e, con talune varianti, Grecia e Portogallo).