Steve McCurry

Transcript

Steve McCurry
Steve
McCurry
Nella vita ci sono persone che possiedono il
dono di comunicare agli altri con maggior
efficacia mediante il linguaggio, l’utilizzo di
p a r o l e a r t i c o l a t e, s a g a c i , p e r s u a s ive,
convincenti, spontanee; c’è ne sono altre che
hanno la capacità di esprimersi magistralmente
utilizzando il proprio corpo, la tensione dei
muscoli, l’armonia dei movimenti, la mimica
del volto, e poi ci sono individui che scelgono
come mezzo comunicativo le immagini come
Steve McCurry che ha fatto della fotografia, la
propria, una forma assoluta di stile espressivo
p u r o, a m e t à t r a l a f i n e t r a d i z i o n e
documentarista e la soggettività di un immagine
d’autore colma di emozioni personali e allo
stesso tempo ataviche primordiali ed universali,
bagaglio emotivo dell’umanità intera.
Scrive McCur r y : “nelle
immagini cerco il momento
indifeso, l’anima più genuina che
si affaccia, esperienza impressa
sul volto di una persona. Cerco di
trasmettere ciò che quella
persona può essere, una persona
colta sopra un paesaggio più
ampio, che potremmo chiamare
la condizione umana…voglio
trasmettere il senso viscerale
della bellezza e della meraviglia
che ho trovato di fronte a me,
durante i miei viaggi, quando la
sorpresa dell’essere estraneo si
mescola alla gioia della
famigliarità”
Steve McCurry nasce nel 1950 a Philadelphia, si laurea in Arte ed Architettura alla
Pennsylvania State University. Durante gli anni universitari inizia ad avvicinarsi al
mondo della fotografia e a distanza di due anni dalla laurea parte per l’India per
lavorare come fotografo freelance. Da questo momento in poi per Steve McCurry ha
inizio una carriera ricca di successi, peregrinazioni e scoperte in India, Tibet,
Afghanistan, Iraq, Cambogia; per citare solo alcuni dei luoghi che hanno fatto da
sfondo o da soggetto alle sue foto. Nel 1986 diventa membro dell’agenzia Magnum,
vince innumerevoli premi tra cui l’illustre Robert Capa Golden Medal per il migliore
reportage fotografico dall’estero, in questa occasione vestito in abiti tradizionali,
attraversò il confine del Pakistan per arrivare nell’Afghanistan controllato dai ribelli
appena prima dell’invasione russa. Al ritorno dal suo viaggio i rullini delle pellicole
che aveva fatto cucire nei suoi vestiti contenevano le immagini che sarebbero state
pubblicate in tutto mondo facendo di lui il primo a mostrare il conflitto. Il suo lavoro
viene pubblicato in ogni principale giornale del mondo e frequentemente compare
nel National Geographic Magazine ne è un esempio la foto di Sharbat Gula oggi
divenuta un’icona del fotografo.
Descrivendo il suo operato Steve parla di tre elementi legati in una combinazione
imprescindibili per la realizzazione di una foto: Intuizione-Metodo-Fortuna, “Ogni
foto –per McCurry- è prima di tutto intuizione. Qualcuno la chiama ispirazione,
quell’attesa del momento da immortalare… La vita è di fronte alla tua macchina
fotografica e non la puoi pianificare.…ma se sai aspettare, la gente si dimenticherà
della macchina fotografica ed il loro animo più profondo si mostrerà”.
Ciò che ha sempre affascinato McCurry è stato il desiderio di raccontare storie,
vissuti ed emozioni in maniera semplice, immediata, diretta e nella fotografia ha
trovato lo strumento per eccellenza, il mezzo che lo ha accompagnato e gli ha
consentito di esplorare, luoghi e culture “mi sono semplicemente innamorato di quei
luoghi, delle culture diverse che li attraversano della terra e dei suoi colori della
storia e della gente”, una sete di ricerca di conoscenza senza fine che lo ha condotto
più volte in uno stesso luogo, soprattutto in India da dove è partito il suo viaggio.
La ricchezza, la varietà di culture e di religioni di questo paese è straordinaria, dice
McCurry, nonostante i cambiamenti e la modernizzazione, l’India è la terra dei
contrasti, è talmente vasta e la sua cultura talmente profonda che anche gli elementi
della modernità vengono inglobati nella tradizione. E’ una realtà che ritrovo anche in
altri paesi come lo Yemen, dove la cultura non è omologata, è ancora unica e tutto,
dai vestiti alle case, parla una lingua autentica”.
Da molti colleghi Steve McCurry è stato anche definito il fotografo del colore ed è
innegabile il fascino che le sue scelte stilistiche hanno nella visione d’insieme del
prodotto immagine-finito a questo proposito risponde così ai detrattori e ai critici del
suo stile.
“non gioco con il colore, ma cerco di avere a che fare con il colore, che è diverso.
L’elemento del colore è molto importante per me, ma il mio primo interesse è per la
persona, per la storia. Lavorare con il colore è più difficile. Ho usato anche il bianco
e nero, ma prediligo il colore: questo però non deve interferire con la storia che sto
raccontando”.
Dal punto di vista tecnico Steve è molto vicino alle nuove innovazioni di fotografia
sperimentale le definisce “grandiose” da tempo scatta solo in digitale e utilizza vari
software e programmi per editare i suoi scatti tra cui Aperture. A conclusione di
questo breve excursus ho scelto alcune foto che rappresentano il lavoro di Steve
McCurry, tra i suoi innumerevoli scatti che hanno come soggetto l’ infanzia, la
speranza, il dolore, la guerra, la vita in ogni sua sfaccettatura ho scelto di dare
maggior rilievo ai volti perché in quei visi immortalati nelle foto di Steve McCurry
traspare il senso della sua opera artistica, e si ha l’impressione, citando le parole del
fotografo che “Osservare un viso è come guardare dentro un pozzo, sul fondo si
compone un riflesso, ed è l’anima che si lascia intravedere.”
Ogni suo ritratto racchiude un complesso universo di esperienze, storie, emozioni,
dolori, paure, speranze. «Ho imparato a essere paziente. Se aspetti abbastanza, le
persone dimenticano la macchina fotografica e la loro anima comincia a librarsi
verso di te», spiega McCurry.
"Nei ritratti ricerco il momento di
vulnerabilità in cui l'anima, pura, si
svela e le esperienze di vita appaiono
incise nel volto. Se trovo la persona o il
soggetto giusto, può capitare che ritorni
una, due, o anche più volte, in attesa
dell'attimo ideale. Per me i ritratti che
ho colto trasmettono il desiderio di
rapporti umani, un desiderio talmente
forte che le persone, consapevoli del
fatto che non mi vedranno più si
aprono all'obiettivo nella speranza che
qualcuno, dall'altra parte, li veda;
qualcuno che riderà o soffrirà con loro.
" (Steve McCurry)
INTERVISTA
di Rosa Pugliese
Chi può dimenticare i profondi occhi verdi della ragazza afgana immortalati per due volte
a distanza di dieci anni da Steve McCurry? Sebbene più di cinque secoli separino quel
volto dalla Gioconda di Leonardo, qualcuno ha paragonato l’intensità dei due sguardi.
Steve McCurry ci sorprende per la cordialità con la quale risponde al telefono, lo abbiamo
raggiunto nel cuore della notte nel lontano Vietnam. Non ama le definizioni e si dichiara
semplicemente “fotoreporter”, sposa la filosofia del digitale, la fotografia sperimentale e
l’uso di software per il fotoritocco. C’e solo una cosa a cui non rinuncia mai: i colori, ciò
che egli stesso definisce “anima del mondo”.
La gente ti conosce come “il fotografo di Sharbat Gula”, la ragazza dagli
occhi verdi che hai fotografato a Peshawar, in Pakistan. Hai scattato quella
foto nel 1984 quando eri in un campo di rifugiati in Afganistan. Ti senti un
po’ prigioniero di questa icona?
No, per niente. Anzi, forse proprio il contrario. Voglio dire che percepisco tutto
questo quasi come fosse una sorta di regalo. È un onore essere legato a una foto
che piace così tanto, io personalmente la trovo bellissima e sono molto felice di
averla scattata.
È vero, la foto è decisamente bellissima e di forte impatto. Perché poi ha
deciso di tornare a Peshawar?
Torno spesso negli stessi posti, non è qualcosa che ho fatto in maniera
esclusiva. E quando mi sono trovato di nuovo a Peshawar non ho proprio
potuto fare a meno di cercare la ragazza dagli occhi verdi che aveva tanto fatto
parlare di sé. Forse perché la foto che la ritrae è stata così improvvisa per lei che
le regala quello sguardo spaventato, ma bello, fiero nella sua povertà e
timidezza.
Steve, tu sei nato con la vocazione di fare il fotografo?
No, ho cominciato a studiare fotografia soltanto all’università, dopo aver
lavorato addirittura come cuoco nelle cucine d’Europa per mantenermi. I viaggi
mi hanno fatto cambiare idea sulla mia voglia iniziale di fare il regista. Così ho
cominciato ad appassionarmi e a lavorare nel campo della fotografia soltanto al
College, collaboravo con il quotidiano studentesco. E come sei arrivato poi alla Magnum Agency?
Sono molto riconoscente a Eve Arnold, Bruno Barbey e Philip Jones Griffins,
dopo averli incontrati mi hanno subito preso a lavorare per la Magnum. C’è differenza tra un fotografo freelance e uno che lavora per un’Agenzia?
No, nessuna differenza. È semplicemente la stessa cosa.
Possiamo dire che Steve McCurry è un fotogiornalista con una speciale
vocazione per il ritratto?
Io penso che mi si possa chiamare semplicemente “fotografo”, magari
“fotografo-documentarista”. Certo mi piace molto fare dei ritratti alle persone,
questo è vero. Ma la fotografia non è solo il ritratto e a me piace qualsiasi
inquadratura.
Sei stato in molte zone del mondo, posti segnati da conflitti e guerre. Ma
qualche volta sembra quasi che tu sia più interessato alle persone e alla loro
umanità piuttosto che agli eventi storici. È vero?
Si, è vero. Penso che sia proprio così. Spesso cerco di capire la gente, come vive,
come sopravvive nelle situazioni di incertezza create dalla guerra, nel
disastrastro disarmante. Mi piace pensare di poter in qualche modo aiutare
queste persone a rendere visibile al mondo la situazione di precarietà e di
dolore in cui si trovano.
Quanto è difficile fotografare in luoghi come l’Afganistan, l’Iran o l'Iraq?
Penso che sia invece molto facile, spesso basta semplicemente chiedere,
soprattutto per fotografare gli uomini o i bambini. Ma, come si può intuire, è
meno semplice fotografare le donne. Le donne in questi luoghi vivono spesso in
condizioni di sottomissione.
Sappiamo del tuo amore per l’Asia e ci chiediamo da dove abbia origine…
Dici bene, il mio amore per l’Asia penso sia nato la prima volta che ci sono
andato. Era il 1978, mi sono semplicemente innamorato di quei luoghi, della
cultura diversa che li attraversa, la terra e i suoi colori, la storia e la gente. E il
sincretismo lo trovo davvero affascinate, molto interessante. L’insieme di tutte
le religioni, dall’Induismo all’Islamismo, dal Cristianesimo al Sikhismo fino al
Buddismo, tantissime posizioni diverse che coesistono.
Come si può catturare l’anima di un luogo?
Questa è una bella domanda perché non ho proprio idea di quale possa essere
la risposta. Non lo so, non so come si possa catturare l’anima di un posto (ride).
Pensi che il fotogiornalismo possa giustificare anche mettere a rischio la
propria vita?
Se devo esser sincero non lo penso, direi che la risposta è no.
Noi sappiamo che tu hai rischiato la vita in certe occasioni, come quella
volta che in Slovenia l’aereo su cui viaggiavi si è capovolto in acqua…
Si, ci sono stati diversi momenti difficili, quello è stato di certo il peggiore.
Forse è anche per questo che non vorrei mai trovarmi di nuovo nella condizione
di mettere a rischio la mia vita.
Qualcuno dice: “una foto può dire più di mille parole. Prova a dire questo senza!”
Forse questa frase provocatoria è proprio l’anima del fotogiornalismo. Tu
pensi che una singola foto senza parole possa esser considerata
fotogiornalismo?
Assolutamente si.
Generalmente, quando noi pensiamo alla storia del fotogiornalismo
immaginiamo le fotografie in bianco e nero, e ancora suscitano un certo
fascino. Tu usi sempre i colori. Perché sono così importanti per te?
È molto semplice, perché la vita non è in bianco e nero. La realtà è colorata e a
me piace rappresentarla così come la vedo. Non so voi, ma io la vedo a colori
(ride), le cose hanno un’anima colorata.
E non hai mai sentito la tentazione di convertire una delle tue foto in bianco
e nero?
No, mai. Non ancora almeno.
Intuizione-Metodo-Fortuna. Puoi metterli nel tuo ordine di importanza?
Direi Intuizione-Metodo-Fortuna.
Ogni foto è prima di tutto intuizione, secondo me. Qualcuno la chiama
ispirazione, quell’attesa del momento da immortalare.
Le tue foto sono “puro reportage”? Voglio dire, generalmente le scatti
istintivamente o le pianifichi? Istintivamente. Non puoi reagire alla persona o a quello che hai di fronte a te.
Spesso non ti aspetta, quindi devi scattare istintivamente, ma con metodo, a
proposito di quello che dicevamo prima. La vita è di fronte alla tua macchina
fotografica e non la puoi pianificare. Qualche volta è possibile con i ritratti, ma
quelli fatti d’istinto sono sempre più naturali e, oserei dire, reali.
Qual è stata l’esperienza più intensa della tua carriera in termini di
esperienza fotografica, ma anche umana?
Questa risposta invece è facile, è stata l’esperienza di Sharbat Gula. L’aver
potuto incontrare ancora una volta - e fotografare ancora una volta a distanza
di dieci anni - uno dei soggetti delle mie foto, è una cosa che non capita tanto
spesso quando scatti in posti come quelli.
Parliamo un po’ di tecnica. Sei un fotografo analogico o digitale?
Adesso scatto solo in digitale.
E usi qualche software per editare le tue foto?
Si, certo. Uso programmi come Aperture, ma anche altri.
Cosa pensi delle nuove tecniche e della fotografia sperimentale?
Penso che sia grandioso, le nuove tecnologie sono sempre una buona idea.
In passato il fotografo aveva un punto di vista privilegiato sulla vita e fino a
non molto tempo fa, guardare un reportage di un posto lontano permetteva
alla gente di viaggiare con l’immaginazione. Oggi, con i voli low cost,
equipaggiamento fotografico economico ma di qualità, internet, può il
fotogiornalismo aiutare ancora a viaggiare con l’immaginazione e raccontare
storie?
Non c’è dubbio. Il fotogiornalismo continua ad avere un punto di vista
privilegiato sulla vita e sul mondo. Anche se oggi tutti possono viaggiare a costi
accessibili, farsi la vacanza di una settimana in un posto esotico non è la stessa
cosa che fa il fotogiornalista che invece molte volte passa tanto tempo, mesi, in
un luogo.
Il reporter deve imparare a conoscere prima i soggetti delle sue foto, respirare la
cultura del luogo che vuole fotografare, deve necessariamente fermarsi e
assaggiare prima di premere il pulsante della sua macchina fotografica. Il
turista ha uno sguardo diverso, spesso non ha tempo per fare tutto questo. Il
fotogiornalismo non deve temere il digitale, è un grande vantaggio.
Qual è il tuo “kit fotografico”?
Sembrerà strano, ma ho solo due macchine fotografiche Nikon. Non voglio
complicarmi la vita, non amo portare dietro troppe cose e preferisco giocare
con la luce e l’ambiente in cui mi trovo a fotografare, utilizzando soprattutto la
luce naturale che regala alle cose una dimensione unica. C’è qualcos’altro che vorresti dalla fotografia in futuro?
Io penso che la fotografia sia sempre qualcosa d’altro al di là di quello che tu
hai bisogno. Quello che voglio è solo avere altre esperienze di vita, continuare a
viaggiare che è la cosa che mi piace di più in assoluto e di cui non mi sono
ancora stancato. Incontrare altra gente, altri volti, altre donne come Sharbat
Gula per raccontare al mondo la loro storia in maniera semplice, ma immediata
come solo la fotografia riesce ancora a fare.

Documenti analoghi

Scarica il comunicato stampa

Scarica il comunicato stampa Steve McCurry è uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea ed è un punto di riferimento per un larghissimo pubblico che nelle sue fotografie riconosce un modo di guardare il nostro t...

Dettagli

LA NUOVA MOSTRA DI STEVE McCURRY AL

LA NUOVA MOSTRA DI STEVE McCURRY AL arricchendo la sua ricerca di un sapore surreale. Conosciuto in tutto il mondo per i suoi strepitosi ritratti e i reportage che ha realizzato in alcuni dei paesi più difficili del pianeta, McCurry ...

Dettagli

Scarica il comunicato stampa

Scarica il comunicato stampa Comunicato Stampa: Il mondo di STEVE MCCURRY alla Venaria prorogata fino al 16 ottobre Grande successo di pubblico sta riscuotendo la mostra “Il mondo di STEVE MCCURRY” allestita presso la Citronie...

Dettagli