Centre N. 31 - Centre d`études francoprovençales

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Centre N. 31 - Centre d`études francoprovençales
Note sulla variabilità linguistica
nell’appennino abruzzese
Francesco Avolio
«E se ancora, malgrado che l’Abruzzo si trovi
al 42° parallelo, come il Lazio, se ne continua a parlare
come di una regione meridionale, ciò avviene con fondato
motivo, a causa dei caratteri storici acquisiti durante
molti secoli dalla sua economia e del costume degli abitanti»
(Ignazio Silone)
«Porre a disposizione di tutti noi ciò che ognuno di noi sa già o può, con una
certa facilità, riuscire a sapere sulle condizioni dialettali di una determinata
regione: la propria»
Questo, secondo Oronzo Parlangèli1, il compito principale, o, quanto meno,
uno dei compiti assegnati ai dialettologi italiani, e, per la verità, una simile affermazione (che non cessa di essere valida, anche al di fuori della dialettologia) torna
in questo momento particolarmente comoda. Chi scrive, infatti, «napoletano» nato
e vissuto a Roma, non si è mai occupato di Val d’Aosta, o di patois francoprovenzali, di qua o di là del confine. Ha avuto, però, sia il privilegio di conoscere e di
apprezzare alcuni degli studiosi che si sono dedicati a fondo a tali varietà (fra i
quali, e in primo luogo, Marco Perron), sia, anche, la possibilità di acquisire con
un altro ambiente montano, quello appenninico (soprattutto, ma non esclusivamente, con i territori intorno alla più alta vetta di questa lunga catena, il Gran
Sasso), una certa dimestichezza, grazie a diversi anni di ricerche sul campo e ad
origini familiari geograficamente e linguisticamente non troppo distanti. Ognuno,
insomma, ha studiato le «sue» montagne, ed è dunque questa – insieme all’affetto
sincero per Marco – una delle ragioni per le quali le pagine che seguono vengono
ospitate in una sede poco usuale come le Nouvelles du Centre d’Etudes Francoprovençales.
Un altro, non secondario motivo sta però nel fatto che le origini dell’ALEICA
(Atlante Linguistico ed Etnografico Informatizzato della Conca Aquilana), impresa geolinguistica dalla quale provengono i dati qui presentati, sono da ricercarsi,
per una bizzarra serie di concause, anche in Val d’Aosta. L’Atlante, infatti, non
sarebbe nato – per lo meno nella forma che ha attualmente – se non fossi riuscito
ad instaurare un affiatato sodalizio con alcuni dei tecnici e collaboratori dell’Informatica Valdostana (IN.VA. SpA), e in particolare con i sigg. Mario Vietti e
Pierluigi Lasagna, conosciuti in occasione del convegno del Centre d’Etudes
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Francoprovençales del dicembre 1991, dedicato, quell’anno, all’illustrazione
dello stato di avanzamento dei lavori per l’Atlas des Patois Valdôtains (APV).
Inoltre, qualche mese dopo, nel maggio 1992, fu proprio Marco Perron ad accompagnare all’Aquila il gruppo dell’IN.VA. per il primo appuntamento di lavoro
comune, un seminario su L’informatizzazione della ricerca linguistica organizzato dalla locale cattedra di Storia della lingua italiana (allora tenuta dal prof. Ugo
Vignuzzi), ed al quale intervennero alcuni dei responsabili dei maggiori progetti
geolinguistici in via di realizzazione nel nostro Paese2.
Non è dunque fuori luogo – malgrado la profonda tristezza che ciò ancora
suscita nel mio animo – dedicare questo modesto contributo sull’ALEICA al
ricordo di un caro amico che si è trovato fra noi, e non per caso, esattamente nel
momento in cui si gettavano le basi di questo insolito, ma solido asse Abruzzo-Val
d’Aosta (o Appennino-Alpi).
1. L’ALEICA è, almeno in questa fase, un atlante linguistico di stampo «tradizionale» (esso riunisce infatti carte di tipo analitico, con risposte punto per punto,
ancorché realizzate elettronicamente, e non carte interpretative, con usi anche raffinati di simbolizzazioni varie), ma, a differenza di altri, è stato appositamente
progettato per un’area di transizione particolarmente complessa quale, appunto,
quella aquilana3. Il suo scopo principale, perciò, è contribuire al chiarimento delle
condizioni di tale area, cercando non solo, sul piano geolinguistico, di delineare la
fascia di territorio in cui sono collocabili le transizioni o, se si preferisce, i «confini» dialettali (senza dimenticare elementi utili per lo studio di alcune delicate questioni di ambito storico-linguistico e storico tout court), ma anche, sul piano
sociolinguistico, di individuare i più interessanti fenomeni di contatto e interferenza, in una parola, di variabilità, anche interna ai singoli punti esplorati. Un’impresa tradizionale, dunque, che vorrebbe però essere la base di partenza per altre ad
essa collegate, magari più circoscritte, ma in grado di spingere l’analisi ancor più
in profondità. Essa ha acquisito così, in modo del tutto naturale – vista la particolarità dell’area presa in esame e degli obiettivi prefissati –, una sostanziale autonomia dalle parallele iniziative rientranti nel progetto del VDSA (Vocabolario dei
Dialetti della Sabina e dell’Aquilano), ideato e diretto, fin dal 1989, da Ugo
Vignuzzi (prima nella sede universitaria dell’Aquila ed ora in quella di Roma «La
Sapienza»).
I rilevamenti sul campo, iniziati nel 1993 dopo una prima serie di sondaggi e
sopralluoghi, durata diversi mesi, hanno finora riguardato 22 località, 18 delle
quali indagate in modo che può considerarsi «definitivo», 4 in modo parziale. 19
di esse si trovano all’interno del vastissimo territorio comunale aquilano4: si tratta
di Cese di Preturo, Arischia, Coppito, Collebrincioni, Aragno, L’Aquila (centro
storico, inchiesta parziale), Assergi, Camarda, Filetto, Pagànica, Pescomaggiore
(inchiesta parziale), Bazzano, Onna, Monticchio, S. Gregorio, Civita di Bagno
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(inchiesta parziale), Bagno Grande, Piànola, Poggio di Roio (inchiesta parziale); 3
sono invece comuni autonomi (Termine, frazione di Cagnano Amiterno, Fossa,
Poggio Picenze). Nel periodo 1995-96 è in programma l’estensione dei rilevamenti ad altri 8 punti, per un totale di 30, una rete sufficientemente densa per
avere una visione più chiara almeno della variabilità diatopica.
Nel corso dell’indagine sul campo si sono adoperati quattro questionari, redatti ad hoc: uno «esteso», con 362 campi di domanda5, impiegato nella fase iniziale
(in 6 punti, sicuramente appartenenti all’uno o all’altro dei due tipi linguistici in
contatto), ed altri tre più brevi, basati sui risultati di queste prime inchieste paradigmatiche; il questionario «normale» (190 campi di domanda), adottato nella
maggior parte delle località, quello «ridotto» (112 campi di domanda), e quello
specificamente destinato ai rioni del centro storico dell’Aquila (114 campi di
domanda). Questa scelta metodologica – obbligata dati i tempi, le esigue forze a
disposizione (chi scrive era ed è raccoglitore unico) ed il numero delle località – è
stata «mitigata», per così dire, da alcuni correttivi, fra i quali la presenza di diversi tipi di domande (dirette, indirette, conversazioni guidate)6.
Per quanto concerne i criteri di scelta degli «informatori», non è difficile indovinare che – visto che ci si è trovati a lavorare quasi sempre in località rurali – la
decisione di intervistare degli agricoltori tuttora legati alla tradizione è stata non
solo necessaria, ma inevitabile. Non si è però mai data a priori la preferenza agli
uomini piuttosto che alle donne, né agli anziani piuttosto che agli individui di
media età o ancora giovani (trentenni e quarantenni). Le persone intervistate nelle
varie località, insomma, non rientrano per forza in quella che, non senza un pizzico di vena polemica, è stata definita la categoria degli informatori medi (cioè
maschi poco mobili, anziani, contadini)7. Il contributo delle donne, anzi, è stato, in
questa come in altre ricerche (lo vedremo fra poco), a dir poco sorprendente per la
sua rilevanza.
L’elaborazione elettronica delle 100 carte finora prodotte – tuttora in corso, e
curata dagli amici dell’IN.VA. SpA – è certo un aspetto che rende l’ALEICA un
po’ meno «tradizionale» rispetto a quanto detto fin qui. Essa è avvenuta
nell’ambiente operativo Macintosh, ed ha avuto due finalità principali: a) archiviare i dati linguistici su di un supporto più affidabile e duraturo delle comuni
audiocassette, dando contemporaneamente a quest’archivio una forma definita
(quella, appunto, dell’atlante) tramite un programma di data-base (FileMaker Pro,
della Claris) associato ad una carta geografica, ed in grado di distribuire automaticamente su di essa le risposte dialettali inserite in una scheda in forma di lista (per
punti d’inchiesta e per domande); b) prevedere subito la possibilità di creare carte
«sonore», alcune delle quali già realizzate (e pour cause; esse sono infatti un
passo obbligato, dato che l’archivio riguarda in primo luogo pronunzie, più che
grafie), e di acquisire, più in là, immagini8 e filmati, le une e gli altri della massi93
ma importanza da un punto di vista etnografico (punto di vista che l’ALEICA, fin
dalla sua denominazione, non intende affatto trascurare)9.
2. La conca aquilana è stata riconosciuta come un’area di confine nell’ambito
dell’«Italia dialettale» fin quasi dagli inizi della dialettologia scientifica. Essa,
infatti, si configura come uno snodo, all’interno delle varietà italoromanze peninsulari (a Sud della linea La Spezia-Rimini), fra una zona che il Merlo definiva
marchigiana umbra romanesca (detta poi dal Migliorini «mediana»), a
Nord-Ovest (comprendente, nella nostra rete d’indagine, i centri di Temmine,
Cese di Preturo, Arischia, Coppito, Collebrincioni, Poggio di Roio), ed una zona
abruzzese pugliese settentrionale e molisana campana basilisca (o, secondo la
definizione del Bertoni, «altomeridionale»), a Sud-Est (con i paesi di Onna, Monticchio, S. Gregorio, Poggio Picenze, Fossa, Civita di Bagno). Le due sezioni si
differenziano fra loro (e il Merlo è stato il primo a soffermarsi su ciò in modo puntuale) innanzitutto per il diverso trattamento delle vocali atone finali, che nella
prima restano salde, essendo caratterizzata dalla «mancanza assoluta di suoni
vocalici indistinti» e, anzi, nella maggior parte del suo territorio, «dalla distinzione tra -o (= -Ŏ, -Ō) e -o. (= -Ŭ)» (ancora abbastanza vitale), mentre nella
seconda «eccezion fatta per la -A di sillaba protònica, le vocali si fan tutte più o
men vicine all’ , vocale neutra per eccellenza» (Merlo 1920, p. 233).
e
Rispetto a questo quadro generale già noto – e alle notizie successivamente
fornite da studiosi quali Ernesto Giammarco ed Ugo Vignuzzi, nonché da alcuni
«appassionati» (nel senso migliore del termine) come Luigi Lopez10 –, le inchieste
svolte per l’ALEICA hanno non solo confermato che la fascia di transizione tra i
due gruppi si colloca interamente all’interno dello stesso territorio comunale
aquilano, ma anche accertato, per la prima volta, l’esistenza di alcuni fenomeni,
presumibilmente molto antichi, di contatto e di reazione linguistica. Essi sono
certo più vistosi all’interno della fascia appena ricordata, ora circoscritta con sufficiente precisione – e comprendente, da Nord a Sud, Assergi, Aragno (di tipo
quasi del tutto «mediano» o «sabino»), Camarda, Filetto, Pescomaggiore, Pagànica, Bazzano, Piànola, Bagno (presso che totalmente «meridionale» o «vestino»11)
e L’Aquila stessa12 –, e tuttavia osservabili, dove più dove meno, dappertutto. Proprio perché si dispongono a pochissimi chilometri le une dalle altre, infatti, le parlate «mediane» e «meridionali» della conca aquilana hanno dato e danno luogo ad
un quadro «interdialettale» ancora più diversificato di quanto non si potesse
immaginare, e quindi del massimo interesse sia in sincronia che in diacronia13.
3. In questo quadro a dir poco insolito, anche rispetto a quelli di zone non lontane, i fenomeni di variabilità più evidenti e importanti limitatamente a quelli già
sufficientemente documentati – sono senza dubbio due.
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1) La «reinterpretazione» della vocale finale /- / come /-e/ (o /-ε/) in almeno
due centri della fascia di transizione, Assergi (a Nord, alle pendici del Gran Sasso)
e Bagno (a Sud, alle falde del M. Ocre). Tale suono è particolare certo non per la
sua natura fonica (è presso che identico alla vocale atona standard), ma perché è
stato rilevato, in entrambe le località, soltanto nell’uso delle donne piuttosto
anziane14. Si hanno così forme come /kom fa fridd , fridde/ ‘come fa freddo’,
/ε 'ppatete/ ‘è tuo padre’, /j 'asene/ ‘l’asino’, /le sawt∫itt∫e, sawt∫itt∫ / ‘le salsicce’,
/massera m r pus , r puse/ ‘stasera mi riposo’, /u 't∫it le/ ‘il bambino’, ecc.
Le condizioni dei due paesi, però, non sono del tutto coincidenti. Se nell’uso
delle anziane donne di Assergi possono confluire in /-e/ tutte le -E, -O ed -U originarie, mentre per -I l’esito attuale è oscillante tra /-i/ (e allofoni indeboliti) /-e/ e //, a Bagno passano ad /-e/ tutte le vocali tranne -A. In entrambi i dialetti, comunque, /-e/ compare in alternativa con /- /, manifestandosi, quindi, senza che ciò
possa destare ragionevoli dubbi, come un suo allofono15.
Una situazione così peculiare ha suggerito di qualificare la varietà assergese e
quella bagnese – o almeno i loro registri femminili più arcaici16 – come «varietà
fuse» (seguendo in questo la terminologia proposta da Peter Trudgill e J. K.
Chambers17). Il suono /-e/ o (ad Assergi) /-ε/ da esse sviluppato si pone difatti, a
ben guardare, fra i due poli di un «continuum»: come /- /, è esito unico di più
vocali finali, ma, a differenza di quest’ultimo, e come le altre vocali delle varietà
schiettamente «mediane», non è centralizzato18.
Dal punto di vista dell’interpretazione storica, se da una parte viene piuttosto
spontaneo il confronto con forme dell’aquilano (moderno e antico) come arrète
‘dietro’, camèle ‘cammello’, jalle ‘gallo’, lupe ‘lupo’, Roie ‘Roio’, ecc., inizialmente interpretabili – ma su ciò la discussione è aperta – come infiltrazioni, nel
dialetto cittadino, di forme tendenzialmente «non mediane» («tendenzialmente»
perché tutte prive di centralizzazione, proprio come quelle di Assergi e Bagno)
dovute al contatto interlinguistico19, dall’altra si fa strada, con una certa insistenza,
una domanda: e se la situazione del dialetto muliebre dei due centri riproducesse
oggi, quasi in vitro, quello che altrove, anche molto vicino, sarebbe accaduto in
passato? Non è facile rispondere, anche se le condizioni registrate ad Assergi si
accorderebbero piuttosto bene con quest’ipotesi. L’assenza di grosse confusioni
(assai probabili in un processo di «ricostruzione» delle vocali finali)20, la presenza
di /-a/ ed /-i/ (che sono le vocali più resistenti alla riduzione) allo stato residuale e
quella, da non trascurare, di articoli neutri non «ridotti» rendono infatti più plausibile (ed economico) postulare un processo di centralizzazione delle atone tuttora
in corso (anche se difficilmente databile nei suoi prodromi), piuttosto che una
sorta di «ritorno indietro», dovuto al contatto con l’area «sabina».
Accanto alle varietà «fuse» ancora osservabili ad Assergi ed a Bagno, si
hanno, nella fascia intermedia, anche varietà classificabili come «miste» (quelle,
cioè, in cui gli esiti dei due gruppi principali coesistono, in varia maniera, l’uno
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accanto all’altro, ma senza dar luogo a forme di compromesso). Simili varietà,
però, per vari motivi, anche morfosintattici, sono tutte maggiormente avvicinabili
al tipo «sabino» o «mediano», con l’eccezione, finora unica, di Pescomaggiore, le
cui condizioni particolarmente complesse sono tuttora allo studio, e la cui varietà
dovrebbe addirittura essere qualificata come «confusa» (vale a dire caratterizzata
dalla compresenza di varianti «miste» e «fuse»)21.
2) Restando ancora nell’ambito del vocalismo atono finale, sono stati ritrovati, questa volta non nella fascia di transizione, ma nell’area a fenomenologia chiaramente «meridionale», e per l’esattezza in tutte le località «vestine» finora esplorate più a fondo (Fossa, Monticchio, Onna, Poggio Picenze, S. Gregorio), interessanti casi di ripristino (o mantenimento) delle vocali atone finali determinato da
condizioni fonetiche e morfosintattiche ben precise. Essi dunque si dimostrerebbero, con ogni probabilità, conseguenze, finora ignote, del prolungato contatto
con la città e con il versante della conca a fenomenologia «mediana». Più precisamente, le vocali atone finali – che di norma, come si è visto, passano a / / (con la
parziale eccezione di /-a/ a Fossa) –, sono ripristinate soltanto quando, in fine di
parola o di frase (quindi tanto alla finale assoluta, quanto in fonosintassi), vi sono
dei pronomi (personali o dimostrativi). Il ripristino (o mantenimento)22 è anzi più
evidente in tre casi: enfasi, prosodìa sospensiva, prosodìa interrogativa.
e
Si ha dunque un’interazione, sotto diversi aspetti assai singolare, di fonologia,
morfologia e sintassi. Ma vediamo subito degli esempi:
da Monticchio: /'εkkii! / ‘eccoli!’, /'εssii! / ‘eccoli [si avvicinano]!’, /gward
kwela!/ ‘guarda quella!’, /l a k kkwii?/ ‘ce l’ha con quelli?’, /p ff rmajju so
ffatt tutt / ‘per fermarlo ho fatto tutto’;
e
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e
e
e
e
da Poggio Picenze: /'εggj ri! / ‘eccoli laggiù!’, /'εss ri! / ‘eccoli [si avvicinano]!’,
/p ff rmaggju ru ta s'treηηa/ ‘per fermarlo lo devi stringere’, /'prov ri!/ ‘provali!’, /sem ∫tat tant temp a '∫fott ru/ ‘siamo stati tanto tempo a prenderlo in
giro’, /warda kwela! / ‘guarda quella!’;
e
e
e
e e
e
e
e
e
e
da S. Gregorio: /'εssii!/ ‘eccoli [si avvicinano]!’, /'ε ii!/ ‘eccoli laggiù!’, /gwarda kwela!/ ‘guarda quella!’, /p ff rmajju so ffatt tutt / ‘per fermarlo ho fatto tutto’, /'ppruvii/ ‘provali!’, /la ∫ta ppij'ja ko kkwii/ ‘se la sta prendendo con quelli’.
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yy
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e e
▼
▲
Un punto importante nei futuri sviluppi della ricerca sarà ovviamente rappresentato dall’accertamento dell’espansione di questi fenomeni fono-morfosintattici
verso oriente, in direzione della piana di Navelli, della media valle dell’Aterno e
della valle subequana. Essi, infatti, sono certamente assenti nel Teramano, nel
Pescarese e nel Chietino – così come nella parte meridionale della provincia
dell’Aquila (a Sud di Sulmona) e nelle altre subregioni del gruppo «meridionale»
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– e la determinazione più precisa del limite dell’area di diffusione potrà senz’altro
fornire una conferma decisiva della sua natura di fenomeno linguistico «di contatto», tipico della zona aquilana.
4. Quanto osservato sulla variabilità diastratica e diafasica a livello di vocalismo atono finale andrebbe ora integrato da alcune considerazioni su altri fenomeni fonetici e morfosintattici, che sono invece rilevanti soprattutto (ma non solo)
sul piano diatopico, conferendo alla fisionomia geolinguistica della nostra conca
la sua natura assolutamente peculiare. Fra di essi, si potrebbe parlare ampiamente,
per esempio, degli esiti di G + vocale velare (/g-/ o /γ-/ in area «mediana», come
in /na go'lia/ o /na gu'lia/ ‘una voglia di qualcosa’; il succedaneo /v-/ protetico
in area «meridionale», come in /na vu'li /); di quelli di L + consonante (uno
dei possibili, la velarizzazione, mostra nella prima area lo sviluppo in /w/ oppure /o/: /'awtu, sawt∫itt∫a/ ‘alto, salsiccia’; nella seconda, l’ulteriore passaggio a
/-v -/ o /- ß -/, diffuso in altre zone abruzzesi e molisane, in Campania e in Lucania: /'av t / ‘alto’, /'kav ts / ‘[calze, cioè] pantaloni’, /sav t∫itt∫ / ‘salsicce’, ecc.);
della «strana» assenza di assimilazione -ND- > /-nn-/ nell’area «meridionale»
(abbiamo così, a Tèrmine, Aragno, Arischia e Collebrincioni, regolarmente,
/kwanno bbe?/ ‘quando vieni?’ [con un singolare caso di betacismo in /bbe!/], di
fronte al /kwand vi?/ [con la cosiddetta «metafonesi dislocata» nella voce verbale: VENI > /vi/ ≠ /ve/] di Onna, Monticchio, S. Gregorio, Fossa); delle diverse
forme del pronome interrogativo ‘che’ (l’area «sabina», assieme al Lazio orientale e a parte dell’Umbria e delle Marche, ha, come forma più usuale, /kwe/
< QUĬD, alla quale oggi si affianca /ke/; in area «vestina» si ha invece soprattutto
/ku/ < QUŎD, che si ritrova, per esempio, nella Marsica, nei dialetti dell’area
peligna e nella Campania settentrionale (Gallo)23; delle notevoli diversità nelle
forme di 6a pers. del pres. indic. (quelle «mediane» del tipo /∫tau/ ‘stanno’, /dau/
‘danno’, /au/ ‘hanno’, /sau/ ‘sanno’, /fau/ ‘fanno’, /vau/ ‘vanno’24, sono difatti
regolari in tutto il contado «sabino», ed anche ad Aragno e Camarda, ma non
all’Aquila, Pagànica, Bazzano e Piànola, dove, al loro posto, compaiono di norma
/∫tanno, danno, anno/ o / cnno/, /sanno, fanno/, ecc., «letterarie» sì, ma anche quasi
identiche – salvo che per la vocale finale – a quelle di Onna, Monticchio, S. Gregorio, Fossa, Poggio Picenze, ed anche di Bagno, diffuse in quasi tutto il Meridione: /∫tann , dann , ann , sann , fann /) 25.
e
e
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e e
e
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In questa sede, tuttavia, per motivi fin troppo ovvi, lo spazio per approfondire
in modo sufficiente questi argomenti non c’è, così come manca quello necessario
per dar conto della grandissima variabilità lessicale, che vede spesso la compresenza, in uno stesso punto, di due o tre tipi assai diversi26 (e anche di varianti qualificabili come «napoletane» e sentite comunque come «alte», tipiche delle persone che spanciottavano, cioè che volevano ‘darsi delle arie’)27.
Ciononostante non sembra inutile, per concludere queste brevi note, ricordare
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almeno uno dei casi di variabilità etnolinguistica che più si sono messi in evidenza durante la raccolta: la progressiva equiparazione, lessicale e concettuale, tra
‘suocero’ e ‘patrigno’ in parecchie località della conca (Cfr. AIS, carta 31).
La situazione, piuttosto complessa, può essere riassunta così: i due centri
«vestini» più orientali (Fossa, Poggio Picenze) e quello di Pagànica presentano, in
base ai nostri dati, il caso di conservazione più accurata (tipo lessicale arcaico,
/patre / nei primi due, /patrεu/ a Pagànica, + significato di ‘patrigno’, cioè lo stato
di cose tipico dell’Italia meridionale); in altri tre, non distanti (S. Gregorio,
Bagno, Filetto), sono ancora assenti i tipi lessicali più moderni, ma, d’altro canto,
si registra già il significato di ‘suocero’, che parrebbe anzi (almeno nei primi due)
esclusivo. In tutte le altre località l’innovazione lessicale e semantica sembra
avere già fatto parecchia strada, dato che 8 fra esse (Termine, Cese, Camarda,
Assergi, Bazzano, Piànola, Monticchio, Onna) presentano anche il tipo innovativo
patrigno (/patriηηu/ e simm.), a volte (Termine, Cese, Camarda, Bazzano, Onna)
già predominante, mentre 2 hanno anche continuatori di SŎCERU(M) (/'sot∫eru/ a
Collebrincioni ed Aragno, dove è stato esplicitamente indicato come «moderno»);
Arischia e Coppito, infine, possedendo sia patrigno, sia suocero, non serberebbero più traccia del tipo lessicale arcaico. Ed è proprio in questi ultimi centri (Arischia, Collebrincioni, Coppito, Aragno) che la confusione fra le due relazioni di
affinità si mostra più evidente; ci sarebbe stata, insomma, una sovrapposizione,
lessicale e semantica, presso che completa, e a tutto vantaggio di ‘suocero’.
Il dato forse più notevole e interessante, comunque, sta nel fatto che in alcuni
centri l’innovazione introdotta dal tipo «letterario» patrigno sembra aver gradatamente spostato da ‘patrigno’ a ‘suocero’ il valore semantico della variante più
arcaica /patre , patreu/ ecc. (così, in modo piuttosto evidente, a Monticchio e a
Piànola; in modo probabile, stando ai nostri dati, a Camarda e a Bazzano, che si
avvicinerebbero così alla situazione documentata a S. Gregorio, Bagno e Filetto),
spostamento a volte non ancora concluso, come ben dimostrano i vivaci dissensi e
contrasti fra le diverse informatrici di Assergi (un centro in cui, evidentemente,
abbonda ogni tipo di variabilità). Prima di poter dire l’ultima parola, però, è bene
non trascurare l’eventualità che gli equivalenti dialettali (arcaici o innovatori) di
patrigno potessero avere già un tempo, come significato di base, anche o solo
quello di ‘suocero’, data l’indubbia ed antica vicinanza – dovuta, tra l’altro, ad
una connotazione fortemente negativa – fra i due concetti.
Certo, un approfondimento della situazione condotto non solo in ambito
abruzzese e centro-meridionale, ma attraverso un confronto sistematico con altre
varietà dialettali romanze sarebbe certamente auspicabile per far luce su fasi dello
sviluppo semantico ancora poco chiare (andando anche ad integrare i risultati
eventualmente inclusi nei grandi atlanti sovranazionali, come l’ALE e l’ALiR).
L’ALEICA, dal canto suo, avrebbe già raggiunto un grosso risultato se fosse servito e servisse ad incentivare prospettive di ricerca etnolinguistica (ed etnografica
e
e
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stricto sensu; i rapporti di parentela, «vera ossessione» degli studi antropologici!)
come quella qui malamente abbozzata.
LEGENDA
A
B
A-B
c
f
m
= limite sud-orientale dell’area linguistica “mediana” (“sabina”)
= limite nord-occidentale dell’area linguistica “meridionale” (“vestina”)
= “fascia di trasizione”
= varietà linguistiche “confuse”
= varietà linguistiche “fuse”
= varietà linguistiche “miste”
Si ringraziano le Edizioni ITER di Subiaco (Roma) per avere cortesemente autorizzato la riproduzione della carta di base.
99
NOTE
1
Parlangèli 1965, p. 56.
Per la precisione, si trattava di Giovanni Ruffino, dell’Università di Palermo, responsabile dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS); Antonino Pennisi, dell’Università di Messina,
responsabile del piano di informatizzazione dell’ALS; Tullio Telmon, allora all’Università
«Gabriele D’Annunzio» di Chieti, direttore dell’Atlante Linguistico ed Etnografico del Piemonte Occidentale (ALEPO), Enzo Mattesini, dell’Università di Perugia, direttore dell’Opera
del Vocabolario Dialettale Umbro (VDU).
2
3 È bene chiarire subito che, con «Aquilano» (sost. e agg.) si indica, in questo caso,
un’area di parecchio più ristretta rispetto alla provincia amministrativa, cioè la sua sezione
nord-occidentale, nella quale ricadono, oltre al vasto territorio comunale del capoluogo, i centri
vicini dell’alta valle dell’Aterno e immediati dintorni (Cagnano Amiterno, Campotosto, Capitignano, Lùcoli, Montereale, Pìzzoli, Scoppito, Tornimparte), più quelli che fanno da cerniera da
un lato fra la conca aquilana e la piana di Navelli (Poggio Picenze), dall’altro fra la stessa
conca ed il bacino del medio Aterno (Fossa, S. Demetrio ne’ Vestini). Si veda anche la carta
allegata.
Ingrandito in modo cospicuo nel 1927, con l’aggregazione dei vicini comuni di Arischia,
Bagno, Camarda, Pagànica, Preturo, Roio Piano e Sassa, nonché della borgata di S. Vittorino
(nei pressi delle rovine dell’antica Amiternum), fino allo stesso anno frazione di Pìzzoli.
L’ampliamento del territorio comunale rappresentò una sorta di compensazione per le contemporanee perdite subite da quello provinciale, con la cessione dell’ampio circondario di Cittaducale – comprendente centri come Amatrice, Antrodoco, Leonessa – alla neocostituita provincia
laziale di Rieti (quest’ultima località umbra fino al 1923).
4
5 Con «campo di domanda» si indica, in linea generale, il quesito presente nel questionario, senza tener conto della sua tipologia.
6 Il ricorso ai questionari (con i loro pregi ed i loro limiti), comunque, non doveva impedire – e difatti non ha impedito – l’adozione di una pluralità di altri metodi; oltre all’«osservazione partecipante», quindi, l’inchiesta puntuale ha sempre previsto anche la registrazione di testi
liberi e delle risposte a domande aperte su argomenti specifici («etnotesti a tema»).
7
Cfr. Chambers-Trudgill 1987, p. 52.
Sta infatti per partire una campagna fotografica, resa possibile dal buon esito delle
inchieste già svolte.
8
9 Gli etnotesti più interessanti raccolti finora hanno riguardato sia cicli lavorativi di notevole importanza, dalla canapicoltura (radicatissima fino a non molti anni fa) alla tessitura,
all’allevamento suino, sia tradizioni e feste religiose.
10
Cfr. Giammarco 1979, pp. 22-23, 89, Lopez 1988, pp. 263-64, Vignuzzi in stampa.
Seguiremo anche in questo caso la consuetudine di chiamare «sabini» i dialetti a fenomenologia mediana, e «vestini» quelli a fenomenologia meridionale, adottando i nomi delle
popolazioni preromane che abitavano i medesimi territori.
11
12
La zona è facilmente identificabile con quella che è stata dapprima, in antico, il confine
tra popolazioni sabine (a NO) e vestine (a SE), poi tra le diocesi medioevali di Amiternum
(aggregata in seguito a quella di Rieti) e di Forcona (confluita invece, fin dal 1257, nella diocesi della neonata città dell’Aquila, fondata, secondo la tradizione, tre anni prima).
13 Tutto questo, ovviamente, non contrasta in modo insanabile con la constatazione, già
suggerita dagli studi merliani, che il confine dialettale, preso nel suo complesso, cioè considerando unitariamente tutti i fenomeni linguistici più utili per una distinzione, è alquanto brusco,
e la fascia di transizione, con la sua forte variabilità, assai ristretta. Una delle peculiarità
100
dell’insieme del territorio aquilano, anzi, è data proprio dal fatto che fra la sezione «vestina» e
quella «sabina» non sono riscontrabili zone caratterizzate, ad esempio, dal definitivo conguaglio in /-o/ di -O ed -U latine, come avviene nell’area «marsicana occidentale» a Ponente di
Avezzano (Antrosano, Canistro, Capistrello, Magliano dei Marsi, Tagliacozzo, ecc.), e, nel
Lazio, sui monti Ernici e Lepini e in parte dei Castelli (Velletri, Lariano). La relativa scarsità di
situazioni intermedie è dunque un dato che differenzia la sezione aquilana del confine «mediano-meridionale» da altri tratti del medesimo, come quello marsicano, appunto, o, ancor più,
quello marchigiano meridionale e la «Ciociaria».
14 È anzi utile precisare che nella fase preliminare della ricerca, basata sull’osservazione
della normale conversazione tra compaesani, per strada e nei luoghi di ritrovo – questi
ultimi frequentati presso che esclusivamente da persone di sesso maschile (ancora abbastanza
raramente, almeno nelle ore serali, da ragazze) –, non si era notata in alcun modo la sua esistenza.
È stato sorprendente notare che la maggior parte delle donne intervistate non sembrava
rendersi conto della diversità di suono esistente fra le due varianti. Un’altra, non secondaria
differenza fra le due località è che ad Assergi la /o/ dell’articolo «neutro» /lo/ (relativo a quegli
oggetti che non possono avere plurale, cfr. Lüdtke 1979, p. 68) non subisce mai riduzione,
mentre le condizioni di Bagno sono da questo punto di vista identiche a quelle delle località
«vestine» vicine (Civita, Monticchio, Onna); l’articolo neutro, cioè, è costantemente /l /: /l
ka∫ , –∫e/ ‘il formaggio’, /l latt / ‘il latte’, /l m εl / ‘il miele’, ecc.
15
e
e
e
e
e
e
e
16 Ritrovare varianti dovute al sesso in zone come l’Appennino abruzzese non deve stupire, dato che qui, almeno fino a due generazioni fa, una parte cospicua della popolazione
maschile, dedita alla pastorizia transumante, viveva per parecchi mesi all’anno in ambienti linguistici e culturali diversi dal proprio.
17
Cfr. Chambers-Trudgill 1987, p. 176.
Si osservi che, ad Assergi come a Bagno, le forme con /-e/ < -E sono presso che identiche a quelle «sabine»: /abballe/ ‘giù’, /lo pepe/ (Assergi) ‘il pepe’, /u s le/ ‘il sole’, ecc.
18
c
19 Più complicati i casi di fume ‘fumo’, déndre ‘dentro’ e fòre ‘fuori’, largamente diffusi
anche in area laziale (il primo perfino in centri dialettologicamente non «mediani»), e per i
quali, dunque, l’ipotesi di influssi provenienti dal Mezzogiorno è certo assai più ardua (cfr.
anche Devoto-Giacomelli 1972, p. 97, dove si suppone soltanto l’esistenza di «qualche elemento di punta» della pronuncia dell’«indistinta» in territorio aquilano «sabino», e non una
completa appartenenza dell’aquilano antico all’area dialettale caratterizzata da tale vocale).
20 Esemplare, al riguardo, la situazione di Preta, frazione di Amatrice (oggi, come si è
detto, in provincia di Rieti), documentata da Ferruccio Blasi (Blasi 1936-38, pp. 37, 45-46), ma
si veda anche quanto rilevato di recente a Campotosto, con condizioni forse ancora più complesse di quelle di Preta (Avolio in stampa a), § 3.3. e nota 27).
21
Un caso notevole di varietà «mista» è certo il dialetto di Pagànica, nel quale esiste una
vera e propria variabile (u), realizzata foneticamente in almeno 5 modi anche assai diversi (fra
questi /-u, -o, - /, articolabili, poi, con maggiore o minore energia). Di essi, tuttavia, i parlanti
non sembrano rendersi bene conto, per una norma intuitiva che equipara tutti questi vari suoni
a /-u/. Situazioni ugualmente interessanti, ma sulle quali purtroppo non possiamo soffermarci,
sono poi emerse dalle inchieste nel rione aquilano della Rièra. Per le varietà «miste» e «confuse», v. Chambers-Trudgill 1987, pp. 174-85.
e
22 Farebbe propendere per il secondo il fatto, non trascurabile, che finora non si sono
riscontrati esempi di false ricostruzioni, o di vocali non etimologiche.
23
Cfr. Rohlfs 1966-69, §§ 486, 785.
24
Cfr. Rohlfs 1966-69, §§ 532, 541-43, 546.
101
25 Di grande rilevanza anche la tripartizione – tipicamente «mediana» – dell’avverbio di
modo ‘così’, in tutto analoga a quella degli avverbi di luogo e dei pronomi dimostrativi (cfr.
Rohlfs 1966-69, § 946): /kku' ∫i/ oppure (Tèrmine, Arischia) /kko' ∫i/ ‘così, come faccio io’,
/ssu' ∫i/ o /sso' ∫i/ ‘così come fai tu’, /llu' ∫i/ o /llo' ∫i/ ‘così come fanno quelli’. Essa, ben nota in
tutta la zona «sabina», ed anche a L’Aquila, scompare bruscamente già ad Aragno e a Piànola,
ed è assente, come lo è in genere nel Meridione, sia nel resto della fascia di transizione (Bazzano, Pagànica, Camarda, Filetto, Assergi), sia in area «vestina» (Bagno, Onna, Monticchio, S.
Gregorio, ecc.) e sull’altopiano delle Rocche, fino ad Ovìndoli inclusa.
26 Stando ai questionari adoperati, le domande più interessanti da questo punto di vista
sono state: ‘L'agnello, gli agnelli’, ‘La lucciola’, ‘Il ratto o topo di fogna’, ‘La gamba, le
gambe’, ‘Quel poverino è cieco’, ‘La falce messoria’, ‘La gràmola’, ‘Devi strappare tutte le
erbacce!’, ‘La cantina’, ‘La madia’, ‘La radimadia’, ‘Il mattarello’, ‘Il mestolo di rame’, ‘Il
cercine’, ‘La sedia, le sedie’, ‘Lavorare’.
27 Sono ugualmente da trascurare i seri problemi storico-linguistici posti dal «sinecismo
aquilano» – vale a dire dalla nascita e dallo sviluppo della città dell'Aquila, fondata nel XIII
secolo con il concorso della popolazione di un ampio contado (i mitici «99 castelli», il cui reale
numero non era di molto inferiore) –, nonché quello relativo al ruolo da assegnare, in un caso
come il nostro, alla teoria del sostrato.
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