Curriculum vitae e critiche La Grande Ricerca di Michal Rosenberger
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Curriculum vitae e critiche La Grande Ricerca di Michal Rosenberger
Curriculum vitae e critiche Nata in Israele il 15 giugno 1968. Nel 1991 Michal Rosenberger è approdata in Italia, ove nel dicembre del 2000, si è laureata con il massimo dei voti alla facoltà di Architettura presso il Politecnico di Milano. Da sempre Michal nutre e coltiva una passione particolare per l’arte in tutte le sue espressioni, con accento sempre crescente per la scultura. Le sue opere emanano una intensa emotività, che ha subito colpito critici e appassionati. Incoraggiata da questo consenso, Michal ha sviluppato una continuativa creatività scultorea, caratterizzata dalla personale ricerca di espressione figurativa. Nell’ottobre del 2006 le viene assegnato il Primo Premio della scultura alla sesta edizione del Premio Nazionale di Pittura e Scultura Città di Novara. Vive e lavora a Milano. La Grande Ricerca di Michal Rosenberger di Arturo Schwarz Nel testo luminoso, Etica e infinito (1982), Emmanuel Levinas scrive: "Il viso è esposto, minacciato, sembra che voglia invitarci ad un atto di violenza", e questo grande umanista pregno dei valori dell’ebraismo - aggiunge ancora: "Nel Viso dell’Altro c’è sempre la morte dell’Altro". Queste parole mi riportano, irresistibilmente, ai visi dolenti dei misteriosi personaggi senza età di Michal Rosenberger. Si veda, ad esempio, In - cubo (una terracotta patinata del 2008) dove il gioco di parole rimanda non solo ad un incubo immanente ma anche ad una doppia realtà: la prima di carattere fisico - i visi emergono dolorosamente da un cubo - la seconda di carattere esistenziale - il titolo allude ad un incubo elevato, in qualche modo, alla potenza cubica. Il tema è ripreso, lo stesso anno, con Ciottoli, opera composta da quattro piastrelle in terracotta dalle quali sorgono solo gli stessi visi dolenti. Nella letteratura - non solo esoterica - il viso sta per l’intera persona. È il riflesso della sacralità della vita, l’espressione - anche se parziale - dell’anima: quando si dice di qualcuno che "ha perso la faccia", s’intende molto di più di quanto questa locuzione lasci intendere nel suo significato letterale. Ne I Cori dell’anima (2004-2009) i visi dei 131 più 13 corpi mutilati - compaiono solo torsi senza braccia - sembrano intonare un lamento funebre o forse una preghiera. Un corpo mutilato rimanda allegoricamente al processo creativo - come evidenzia, tra gli altri, Erich Neumann, rilevando, "La mutilazione, tema ricorrente anche nell’alchimia, è la condizione di ogni creazione"2. Sulla scorta di queste parole potremmo presumere che il coro stia intonando la richiesta di un ritorno all’integrità originale, sia fisica sia psichica. Cosa che, a sua volta, richiede il raggiungimento dell’integrazione armoniosa e dialettica del principio maschile (l’animus, per usare il termine junghiano) e di quello femminile (l’anima). In altre parole, si può pensare che l’obiettivo di questi personaggi sia di attuare il processo d’individuazione3 (da individuus: indivisibile), diventare un Io - un essere completo. Esigenza vitale per un essere ridotto ad un tronco asessuato. In accordo con questa interpretazione Dicotomia (2009) evidenzia il carattere schizofrenico che noi tutti alberghiamo in una misura più o meno pronunciata. Nell’opera in questione il viso è spaccato longitudinalmente e con le due metà divaricate come a sottolineare il carattere duale della personalità. Non è certo un caso se il Doppio è uno dei temi più ricorrenti della letteratura mistica, mitologica e letteraria. Dolenti, interroganti, attoniti - sono questi gli stati d’animo che caratterizzano i personaggi di questa scultrice che si propone di dare un’espressione tridimensionale alla pulsione cognitiva che, come quella amorosa, è al centro della vita dell’individuo pensante. L’importanza che il tema della consapevolezza assume per la Rosenberger è evidenziato dal fatto che vi dedica cinque opere. Cinque opere cariche di una commossa partecipazione. La prima di esse, La ricerca (2007), è costituita da quattro infanti, ognuno alto 30-35 cm. Il primo, come fosse emarginato per via della sua inquietudine, è in piedi, isolato dagli altri tre, dando loro la schiena. Le sue braccia cadono lungo il corpo, il viso è rivolto al cielo in un muto interrogativo trascendente. Fra gli altri tre, quello di mezzo ha una preoccupazione più terrena: il braccio è alzato - parallelo al suolo - e l’indice punta in direzione di un luogo invisibile, che i suoi compagni guardano con stupore meravigliato. Ne La grande ricerca (2008) ritroviamo il primo bambino interrogante, questa volta da solo, è molto cresciuto: è alto ben 160 cm. L’espressione del suo viso, più complessa, accentua l’ansia di avere una risposta alla domanda non formulata del gruppo degli infanti. Ne La ricerca - Natura (Contemplazione) (2009) lo stesso bambino è posto tra due alberi ma, in conformità con il contesto nel quale è collocato, rivolge la sua domanda - senza riceverne risposta - alla natura. Ovviamente: dell’albero di sinistra (nel linguaggio metaforico la sinistra sta per il passato) si vedono solo alcuni rami secchi, mentre quello di destra è mutilato e morto. L’albero - in quanto axis mundi collega la terra (elemento ctonio, femminile) al cielo (elemento uranico, maschile) - sta non solo per l’albero della saggezza dell’Eden, ma anche, e principalmente, per l’Androgino primordiale. In questa ottica si comprende perché i personaggi di Michal Rosenberger sono asessuati, e quindi androgini - condizione questa che implica il raggiungimento dell’aurea apprehensio. Forse la Rosenberger allude al fatto che quest’epoca terribile in cui viviamo - dalla Shoah in poi, con tutti gli altri tentativi di genocidi che sono seguiti - è stata contrassegnata dalla morte dell’albero della saggezza che ci lascia disorientati a vivere in un presente privo di ogni prospettiva umanista - un presente che, come osservava Castoriadis, ha visto "la bancarotta fraudolenta del comunismo, ma anche la delusione crescente della gente di fronte all’evidente impotenza del liberalismo conservatore; la privatizzazione in una società sempre più burocratizzata e dominata dai supermercati e dai mass-media; la corruzione e/o la nullità dei politici di professione e, non ultima, la scomparsa di un orizzonte storico, sociale, collettivo, politico"4 . Dall’infante che interroga la natura passiamo, a quello che interroga, anche questa volta in vano, la società. Ne La Ricerca - Città (Ma Dove Corrono) (2009). Il personaggio, da interrogante, diventa perplesso. Si vedono, sfocati, in lontananza nell’angolo destro, alcuni uomini che camminano disordinatamente, l’uno dei quali in smoking - come per sottolineare il carattere fittizio della nostra società del consumo. Non saranno certo questi individui formali che potranno rispondere al quesito esistenziale dell’infante, A conclusione di questa "grande ricerca", quattro sculture suggeriscono a chi rivolgere il quesito e la via della rinascita. Nelle prime due, l’infante è un orante. Ne In Preghiera (2009) lo vediamo accovacciato, le mani aperte e tese verso un alberello d’ulivo. L’ulivo sta per la purificazione, la forza, la vittoria, la ricompensa, la pace e la fecondità. In Grecia come a Roma quest’albero era consacrato alle divinità della saggezza, rispettivamente Atena e Minerva. Nella tradizione ebraica è simbolo di pace: è un ramo d’ulivo che la colomba porta a Noé per annunciare la fine del diluvio. Nei libri del Levitico, dei Profeti e dei Re troviamo notizie dell’unzione regale, profetica e sacerdotale. Lo stesso termine ebraico che designa la consacrazione con l’olio è mashach, dal quale deriva la parola mashiach (messia), che significa "unto, consacrato". Con In Seconda Preghiera, dello stesso anno, questo simbolismo viene rafforzato: l’infante, braccia alzate verso il cielo, è nello stesso atteggiamento assunto dallo sciamano in trance quando esclama "sto toccando il cielo, sono immortale". Infatti, in questa posizione lo sciamano è un axis mundi (vedi sopra) e, di conseguenza, s’identifica con l’Androgino primordiale onnisciente ed eterno, dato che assomma in sé il principio ctonio femminile e quello uranico maschile. Nelle ultime due sculture di questo ciclo è indicata la Via: l’infante passa attraverso un regressus ad uterum. Nella prima, Bozzolo (2010), lo vediamo totalmente avvolto, non a caso, da una foglia. È la foglia che, grazie alla fotosintesi, permette alla pianta di vivere. Nella visione poetica della Rosenberger, la foglia svolge la stessa funzione della placenta nell’utero, che porta il sangue al feto. Nei miti come nella letteratura esoterica il regressus ad uterum sta per il ritorno simbolico al grembo materno e segna, sia la morte sia la rinascita dell’individuo. A livello esoterico è il passaggio obbligato dell’adepto rigenerato nell’iniziato5. In Bozzoli, variante dello stesso anno e sullo stesso tema, l’artista affida la funzione della foglia a una coperta che avvolge l’infante, proteggendolo. Per concludere vorrei precisare che, nell’elaborare queste sculture, Michal Rosenberger percorre a livello dell’inconscio - le tappe della longissima via che dovrebbe portare l’Artista - così si autodefinivano i primi alchimisti - all’illuminazione, al livello, cioè, dove l’arte non è più utopia ma diventa auto-conoscenza. L’artista raggiunge allora lo stato di veggenza, secondo l’imperativo di Rimbaud. Consegue questo stato in quanto è ispirato, è preda, cioè, di una sollecitazione creativa di carattere transpersonale e transrazionale. Come insegna Platone, "nessuno che sia nel possesso della ragione raggiunge una divinazione ispirata e verace"6. Allora è bene ricordare che Michal Rosenberger trae da "l’antro dei tesori dell’inconscio collettivo" (Jung), gli elementi delle sue opere. È quindi chiaro che ella ignora la valenza simbolica degli schemi e dei motivi iconografici adoperati. Questi motivi sono scelti in obbedienza a pulsioni inconsce anche se, in partenza, l’obiettivo è di esprimere il tema determinato dal titolo dell’opera. Ma, come in ogni opera d’arte autentica, ‘memoria conscia’ e ‘memoria inconscia’7 si danno la mano in quello che Duchamp ebbe a chiamare "un piccolo gioco fra ‘io’ e ‘me’"8. La qualità evocativa del lavoro di Michal Rosenberger sta nel fatto che ella è guidata da forze che non conosce. Parlando del processo creativo, Duchamp dichiarò: "dobbiamo negare all’artista, sul piano estetico, lo stato di coscienza di quello che sta facendo o del perché lo sta facendo"9. Da parte sua, Jung riteneva che "si possono dipingere quadri [in questo caso, sculture] molto complicati senza avere la minima idea del loro significato reale"10. E Marie Bonaparte ribadiva: "Meno l’autore indovina i temi nascosti nella sua arte, più è probabile che siano veramente creativi"11. Selma Fraiberg, a sua volta, confermava: "Se, per esempio, Kafka avesse capito, nel corso del suo fantasticare, il significato più profondo del cavallo bianco, l’elaborazione di questa fantasia sarebbe stata inibita e si sarebbe perso l’aumento di piacere ottenuto grazie al mascheramento"12. La poetica della Rosenberger vive delle stesse tensioni che emergono negli scritti di Duchamp, Freud, Jung e di quei tanti, tra questi Kafka, che hanno riconosciuto (e in alcuni casi vissuto) nell’arte anche uno strumento iniziatico. Agosto 2010 1 La scelta di questo numero non è casuale: per René Alleau, autore de Le Symbolisme des nombres (Paris 1948), il 13 sta per il principio di attività, mentre per René Schwaller de Lubicz questo numero sta per la potenza generatrice - cattiva o buona che sia -, segnando anche l’evoluzione verso la morte (Esotérisme et Symbole, Editions La Colombe, Paris 1960). 2 Erich Neuman, The Origins and History of Consciousness (1949), vol. I, Harper & Brothers, New York 1962, p. 121. 3 Jung ricorda: "Individuazione, diventare un io, non è soltanto un problema spirituale, è il problema di tutta la vita" (Psychology and Alchemy (1944), Harper & Row, New York 1953, pp. 118-19). 4 Cornelius Castoriadis, "Elogio della politica", in Lettera Internazionale (Roma), IV° trimestre 2009, p. 2. 5 Si veda, in proposito, e tra tanti altri testi, il mio Introduzione all’alchimia indiana, Laterza, Roma 1984, pp. 24-32. 6 Timeo, xxxii: 72e 7 Cfr. a proposito di queste due categorie, il contributo di Eric R. Kandel, neuroscienziato e Premio Nobel per la biologia nel 2000. 8 "Marcel Duchamp", intervista in The Artist’s Voice, a cura di Katharine Kuh, Harper & Row, New York 1962, p. 83. 9 "The Creative Act" in Art News (New York), lvi, n.4 (estate 1957) - (datato per sbaglio, estate 1956), p. 28 10 "A Study in the Process of Individuation (1950)" in The Archetypes and the Collective Unconscious, The Collected Works, ix:1, Routlege & Kegan Paul, London 1959 11 "Poe and the function of Literature" in Art and Psychoanalysis, a cura di William Phillips, The World Publishing Company, Cleveland and New York, p. 61 12 "Kafka and the Dream (1956) in Art and Pschoanalysis, cit. p. 41 Chi è pari a Dio? Colui che viene dalla montagna di rose! Jean Blanchaert In ebraico Michal vuol dire chi è pari a Dio? In tedesco Rosenberger significa colui che viene dalla montagna di rose. Chi se non un’artista che si chiama Chi è pari a Dio? Colui che viene dalla Montagna di Rose poteva dedicare il suo lavoro all’anima? Sono moltissime le circostanze che hanno portato tale artista a concentrarsi su questo tema. Se vivessimo nelle immense praterie degli indiani d’America, sentiremmo chiamare Michal Rosenberger proprio in questo modo. Aquila Rossa direbbe a Grande Arco: "Hai visto passare Alzata con Pugno?" "No - risponderebbe Grande Arco -ma Orso Bianco e Cavallo Pazzo mi hanno detto che è partita con Oratore delle Pianure e con Nuvola Grigia per andare a incontrare Schiena di Cavallo che si trova da Toro Seduto Jr. e da Balla coi Lupi nei territori del nord. Forse si sarebbe unita a loro anche Chi è pari a Dio? Colui che viene dalla montagna di rose". "Ti riferisci a Caviglie Sottili?" - ribatterebbe Aquila Rossa. "Sì, certo, Caviglie Sottili, ma questo è il sopranome! Il suo vero nome, e ci tiene molto, è Chi è pari a Dio? Colui che viene dalla Montagna di Rose"- concluderebbe Grande Arco. Lasciamo le montagne e le praterie dei valorosi Apache, Sioux e Cheyenne e torniamo nel Mare Mediterraneo di cui Michal Rosenberger è giovane ma antica interprete. Nel vino e nel’aceto l’anima si nota e sta in fondo alla bottiglia, nelle persone è come nella musica, l’anima c’è ma non si vede. Michal Rosenberger l’ha immaginata e l’ha creata quest’anima umana, pensando all’Altissimo. Egli, pur non avendo forma, ha comunque influenzato l’artista che ha creato una figura di terra, di creta, di fango compattato. Il magico tocco finale, il soffio che rende vive le persone anche internamente, Dio lo dette nell’Eden, la Rosenberger lo dà in fornace. E’ un vento vitale, una risposta all’immortale esercito di terracotta, Xi’an. Ottomila soldati proteggono l’imperatore Qien Shi Huang durante il suo viaggio nell’Aldilà, nel 221 prima dell’Era Corrente. Le anime corporee della Rosenberger, molto simili fra loro, sono tutte diverse. Hanno la bocca aperta perché comunicano con il canto, un canto che è suono, un inno sacro alla vita, comprensibile agli uomini di tutte le religioni e di tutte le lingue. Il vero idioma Esperanto non ha parole, è pura musica. E se ben guardiamo queste dolci anime umane- non umane, potrebbero rappresentare anche gli abitanti di ogni pianeta del sistema solare e forse, chissà, pure gli esseri degli altri mondi. Quando l’artista ha una bella intuizione, quando gli riesce di tradurre un’idea in immagini, quando queste immagini sono degne di copyright quasi fossero un’ invenzione, a volte, è bene che detto artista continui per la strada intrapresa, senza cambiarla. La cifra stilistica della Rosenberger è quella sorta di kouros-anima che ha creato. Anche se ripetesse quest’immagine all’infinito sarebbe sempre nuova. C’è un tipo di arte che ha bisogno della cocciutaggine per rimanere sur place. Se Giorgio Morandi fosse passato dalle bottiglie ad altro, non sarebbe diventato Giorgio Morandi. Se Eric Satie si fosse vergognato di riproporre ossessivamente le sue nenie occidentali, non sarebbe divenuto immortale. Michal Rosenberger che appartiene alla medesima categoria di artisti ha avuto l’intelligenza di capire che il corpo-anima da lei creato era un’idea preziosa, una novità piena di significati, un pozzo di petrolio da non chiudere. Semmai, avrebbe potuto applicarsi a delle variazioni sul tema. Una di queste variazioni è quella dei Rotoli di Preghiera (Praying Wheels) come li chiama l’artista. Sono all’apparenza delle urne cinerarie con volti che emergono ad alto rilievo. A noi sembravano i volti delle anime di chi una vita l’ha già vissuta. Pensavamo contenessero delle ceneri. Michal Rosenberger ci ha spiegato, a proposito del suo lavoro chiamato bozzoli che potrebbe invece trattarsi dei visi di esseri che nasceranno, bozzoli appunto di persone in divenire. La Rosenberger col suo lavoro dà delle suggestioni, pone delle domande. Ognuno interpreti e risponda come crede. Una musica malinconica a qualcuno può apparire allegra. Una giornata di pioggia può essere fonte di serenità. L’opera della Rosenberger non è una dichiarazione dei redditi. E’ misteriosa, suscettibile delle interpretazioni più diverse. I cosiddetti Rotoli di Preghiera (Praying Wheels) sono studiati per essere appesi al muro. Chiunque li guardi, penserà alla vita, passata, presente o futura e verrà attratto nel percorso tracciato da Michal Rosenberger. Chi è pari a Dio? Colui che viene dalla Montagna di Rose! Critica di Licia Massella Michal Rosenberger, scultrice israeliana, raggiunge nelle sue opere la bellezza dell'oltre interiore. La componente del gesto espressivo plastico e quella immaginaria ed onirica, tendono, nella modellazione tridimensionale, a rappresentare il mondo non visivo delle emozioni, dei sentimenti e delle sensazioni. Grande ricchezza, quindi, di finzione ed immaginazione, in consonanza alla ricchezza di valori della realtà da imitare, sulla base di una riflessione che scaturisce dalla stessa estrazione culturale umanistica dell'artista. Michal Rosenberger tende alla visione estetica, alla conoscenza oggettiva dello spazio, ed ancor più, all'imitazione del pensiero umano moderno, filosofico, nell'assumere un atteggiamento intellettuale, critico, per prevenire ad un'autentica ispirazione. Un ordine figurale e simbolico che traduce la creta e la terra in un anelito alla crescita, con una plasticità dosata eppure vibrante di tensione emotiva, fino a sublimarsi in una poesia surreale, un linguaggio autonomo e completo, generato e di seduzione, anche nella funzione trasfigurata della luce. Licia Massella Amedeo Morandotti Critico d’arte Presentazione della mostra personale di scultura di Michal Rosenberger all’Auditorium di Milano, 22 novembre 2005 Titolo: “I Cori dell’Anima” L’artista Rosenberger è una persona che ha un breve vissuto, ma intensissimo e quindi si è caricata durante questo percorso di vita vissuta, di una serie di esperienze che ha maturato secondo un metro artistico. Quindi è giunta ad una proposizione che vediamo qui e che compendia un pò tutte queste sue esperienze, che sono a largo raggio, perché c’è musica, c’è canto, c’è costruzioni di carattere ambientale. Il tutto è stato percorso con una grande sensibilità artistica. Ora questa performance, che è una installazione, ci racconta di una coralità di personaggi, che sorti da una brutalità, da una terra, vogliono manifestare una spiritualità che contengono in sé stessi, compressa, e che è congiunta con quello che è un fondamentale requisito dell’umanità cioè la passionalità. Abbiamo questa tendenza verso l’alto, verso il divino che però è congiunto con la realtà dell’uomo. Le bocche sono spalancate, in atto di grido, in atto di riso, in atto di canto e di comunicazione. Per fare soltanto un breve aggancio con la filosofia critica, penso che i personaggi da citare siano: Adorno, Panowsky e Noam Chomsky, che sono dei semiologhi del linguaggio. A proposito di questa citazione, assistiamo appunto ad un personale sviluppo, scelta di linguaggio artistico, che esprime strumenti lessicali, prima intuitivi e, in profondità, più complessi, tali da richiedere elaborazioni mediate. Restiamo in una sfera di eccezione etica, prima che estetica, ove gli elementi spazio temporali non si annullano in senso crociano, di giudizio a priori, ma con sintesi di stratificazioni culturali archetipe e visioni attuali, dove la passione tenta di autoregistrarsi con i dettati della ragione. La scelta espressiva si articola morfologicamente in installazioni performanti che nei singoli componenti e nella coralità reiterativa, stimolano il fruitore ad apprendere il mondo interno e quello esterno al suo essere sincreticamente. Questo è un linguaggio che lei ha interpretato, ed è un linguaggio che dovrebbe coinvolgere tutti noi in questo desiderio di sorgere da una brutalità terrestre, della terra cosi considerata con questa formulazione di creta, dove però una scintilla divina gira e si appoggia, e dà la forza nel gruppo di rappresentarsi. Io penso che sia questo, fondamentalmente, ciò che l’artista ci vuole dire. Poi c’è una seconda lettura che è la lettura della misteriofisicità di questi prodotti artistici, dove ognuno può interpretare, leggere, pensare e andare avanti secondo un progetto psicoanalitico o di psichicità che ognuno di noi riceve di rimbalzo, potenziata dalla forza della nostra artista. Vorrei fare un ringraziamento all’artista, personalmente, poichè in un epoca di grande sofisticazione, dove c’è una schiera di persone che rappresentano soprattutto il desiderio di sbalordire, mi sono trovato di fronte ad un’artista che con passione compone la sua opera. Alfredo Pasolino Critico d’arte In occasione del “6° Premio Nazionale di pittura e scultura Città di Novara” Sezione Scultura 1° Premio Rosenberger Michal Titolo: “I Cori dell’Anima” La maturità stilistica di Michal Rosenberger coincide, in questa composizione, con l’acquisizione totale del sentimento interiore. La componente del gesto espressivo plastico e quella immaginaria ed onirica, tendono, nella modellazione tridimensionale, a rappresentare il mondo non visivo delle emozioni, dei sentimenti e delle sensazioni, come visione netta. Grande ricchezza, quindi, di finzione ed immaginazione, in consonanza alla ricchezza di valori della realtà da imitare, nell’opera, di rimando alla percezione visiva, e quindi, per l’espressione visiva, alla materializzazione di un’idea che scaturisce dalla stessa estrazione culturale umanistica dell’artista. In equilibrio tra intelletto e “bello” per eccellenza, la bellezza dell’oltre interiore, nel suo concretizzarsi per volgersi altrove, nella ricerca dell’uomo interiore, e dell’anima, fluida e spontanea, di visioni interiori. L’artista tende alla visione estetica, alla conoscenza oggettiva dello spazio, ed ancor più, all’imitazione del pensiero umano moderno, filosofico, nell’assumere un atteggiamento intellettuale, critico, per prevenire ad un’autentica ispirazione. Il valore nuovo che ciò propone, è un prodotto della visione e delle mani, ovvero, pensiero visivo con le mani. Espressione di volumi, forma umana vuota, a simulacro del pensiero mediativo, e a cassa di risonatore-diapason. Squarci di vuoto-pieno-zen, il reale rapportato all’irreale apparenza dell’oggettivo descrittivo, in modulazioni e metafore del “flauto dell’anima”, come una poesia di Tagore. Si deduce già dall’opera e dalla scelta del tema, che lei viene da un mondo poetico, nutrito di visioni interiori, di sogni e di verità, di finzioni e di certezze. La scultura è difesa dalla sua stessa autenticità, dove cioè, l’invenzione medesima è grandezza di sé, e comunque base, di quel suo mondo per trasmettere le proprie sensazioni. La stessa originalità è parte intrinseca delle sue stesse idee, di cadenza sicura. Un ordine figurale e simbolico che traduce la creta e la terra, l’anelito alla crescita basando su confronto, con la plasticità dosata come può essere la tensione emotiva, in una poesia surreale, un linguaggio autonomo e completo, generato e di seduzione, anche nella funzione trasfigurata della luce. C’è insomma, una classicità moderna nell’assoluta libertà d’invenzione, esprimente forme stilizzate ed essenziali, accorata alla ricerca dell’equilibrio e di ritmo riflettente lo spazio e l’ambiente. Non una pura questione di materia, Rosenberger è molto attenta ai rapporti, alle proporzioni delle forme stesse, nel cogliere il pensiero che può stare dietro alle forme, perché dietro al pensiero klimtiano c’è l’anima. La scultrice sembra che se ne compiaccia di sperimentare queste infinite virtù dell’anima liberata, in tutta la sua più veridica identità. Con gli strumenti tradizionali: energia, tensione, passionalità, potere acceso delle sensazioni, si scaricano sulla materia, con moti riferibili ad una pratica correlata ad un racconto, una vicenda interiore e un processo formativo, che si svolgono e si attuano nel contatto vivo della materia, gesto dopo gesto, restituita ad una libertà nobilitata a simbolismo, interattiva, spirituale, nel continuo scandaglio del cuore. Qui cuore e anima risorgono e ci interrogano. Romualdo Inverardi Anime “...ma un vapore saliva dalla terra e bagnava tutta la superficie del suolo. Dio il signore formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente.” Ge.(N.R.)2:6-7 Avvicinandomi all'opera di Michal Rosenberger mi è venuto spontaneo pensare a questo brano della Bibbia, il libro che per credenti e non credenti è tema e luogo di riflessione da sempre. E da sempre quel luogo culla della civiltà è stato ed è oggi, più che mai, snodo drammatico di tensioni geopolitiche e speranze di pace. Michal Rosenberger lì è nata, da lì è partita, lì ritorna. Le è forse necessario, vitale rinnovare un dialogo di appartenenza a quella città “di pietre bianche e di rose rosse” come canta la canzone. Scultura la sua? Forse. Certo la polvere della terra, sapientemente plasmata ha dato vita a figure che qualcosa dell'uomo evocano. Hanno tratti ancestrali, fetali, orientali: sono figure archrtipiche c’è un errore di un'infanzia dell'umanità. Sono tese in un anelito, sono rivolte verso un orizzonte possibile. Sono figure inumane, senza sesso e senza arti, macroformi o inerti; sono raccolte “In preghiera”, si dispongono verso “La grande ricerca” percorrendo un cammino di “Ciotoli” anchessi animati, sfiorando, attivandoli, preziosi contenitori custodi di antichi mantra. Sono forme di terracotta che evocano sapienze antiche poiché da sempre l'argilla si è prestata alla manipolazione, alla cottura, all'uso. I momenti del processo esecutivo sono rimasti sostanzialmente immutati, dai metodi primitivi fino alle tecniche più moderne ed elaborate. Rosenberger incontra ed elabora questa materia nel nostro paese dove si è stabilita e formata distinguendosi nell'eccellenza del risultato. Alla Fornace Curti, in quell'antica fabbrica di cotto lombardo (dal 1400 produce quel rosso mattone che ci è tanto caro alla vista, che melanconico ci appare e resiste al disfacimento, in quelle splendide architetture, le cascine, sparse e abbandonate nella ipercoltivata pianura padana) Michal trova la possibilità di esprimersi in grande. “Anime” è il titolo che ha voluto dare a questa sua prima mostra alla galleria d'arte contemporanea Studio F22. I Cori dell'Anima è l'installazione con cui ha vinto nel 2006 il primo premio della VI edizione del Premio Nazionale di Pittura e Scultura Città di Novara. Titolo ed opera sono ancora una volta estremamente evocativi, come a voler introdurre lo spettatore in un mondo altro, senza lasciargli scampo, obbligandolo a dialogare, ad ascoltare la propria trascurata voce dell'anima con il fievole, silente, immateriale anelito che si leva dal gruppo scultoreo. Lo “spirare” dell'anima veniva rappresentato in alcuni dipinti medievali proprio nell'attodi volare via dalla bocca. Il coro di voci che accompagna l'installazione ci fa vivere l'emozione dell'appartenenza, del non sentirci estranei, anzi ci deriva una responsabilità profonda che la Terra Madre ci ha consegnato. I nostri corpi spesso ottusi, in/animati possono rinnovarsi nello spazio dell'arte, perchè l'anima non è cosa effimera, anima è nel suo significato profondo avvicinare. A che cosa? Ecco come Michal Rosenberger, attraverso le sue opere, e la loro disposizione nello spazio espositivo, installa, “...instaura luoghi di cui arrischia e progetta l'apertura...un porre in opera incorporante di luoghi e con questi un aprire di contrade, per un possibile abitare di uomini, per un possibile dimorare delle cose che li attorniano e li riguardano.”(Heidegger,1979). Romualdo Inverardi, Gennaio 2010 Giulia Remorino Psicoterapeuta UN PUNTO DI VISTA In questi anni ho avuto diverse occasioni di incontrare la scultrice di Michal Rosenberger. Non si è trattato di semplici incontri oggettuali, ma della conoscenza con creature vive che hanno lasciato il segno, ognuna nella propria peculiarità. Michal ha trasfuso, in questi esseri fatti di terra, impastati di materia palpitante, la propria passione per la vita stessa. Lo sguardo perso, concentrato, stupito, volto fuori e dentro di sé: sono le molte facce della personalità dell'artista, che affida loro tutto ciò che appartiene al suo non-detto, ad una sensibilità labirintica e conflittuale. Così bimbi innocenti aprono le braccia al mistero dell'universo, per presentarsi di fronte al cosmico ed abbracciarlo tutto – se fosse possibile! Ed è possibile, poiché l'Arte supera il limite e ci pone sempre di fronte a nuove sfide. E dagli scaffali dello Studio della donna, della ebrea, della scultrice Michal, ammiccano volti antichi, assorti, che sorridono dentro, di una eterna ironia semiticamente fine, penetrante in un profilo acuto, nella linea di bocca, orecchie, nel gesto del collo.... Ritroviamo antenati di umiltà operosa, sornioni artefici che tessono fili, fili di discorsi ininterrotti. Si ha voglia di tacere, quendo ci si trova fra le creature di Michal, poiché loro parlano e l'aria è pregna di connessioni, legami allusori, intese....promesse.... Stanno a gruppi, ma non necessariamente affini: ognuno porta un proprio discorso. Proviamo ad ascoltare: è una musica quella che esce da questi esseri bronzo-terrosi, dalle loro bocche aperte, dai corpi cavi attraversati da risonanze. Melodie discordanti, toni acuti e fondi che s'intrecciano, un cosmico arrovellato felice caos di suoni che mi lascia partecipe, stupita a mia volta, un po' stregata..... mi sono innamorata di quello stare lì, con loro, fra loro. Mi chino al tavolo da lavoro della scultrice perchè una creatura mi richiama con un sibilo lieve, è un bimbo piccolissimo, magico nucleo di vita, a germinare avvolto in una foglia schiusa.... promessa di ciò che sarà. Come lui scopro tanti altri piccoli nascituri, pronti ad entrare nel coro, nel trionfo di suoni, di amore e vita..... per sempre. Grazie, Michal! Milano, giugno 2010