programma di sala - Società del Quartetto di Milano

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programma di sala - Società del Quartetto di Milano
Martedì 12 aprile 2016, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
17
Sir András Schiff
pianoforte
Bach - Sei Partite BWV 825 - 830
2015
2016
1 5 1 a S TA G I O N E
Di turno
Di turno
Antonio
Antonio
Magnocavallo
Magnocavallo
Maria
Majno
MarioAndrea
Mario
Bassani
Bassani
Kerbaker
Consulente
Consulente
Artistico
Artistico
Consulente
Artistico
Paolo
Paolo
ArcàArcà
Paolo
I concerti sono preceduti da una breve introduzione
di Gaia Varon o Oreste Bossini
Sponsor
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istituzionali
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contributo
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La Società
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senza senza
il consenso
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dell’artista,
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fare fotografie
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e registrazioni,
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con il con
cellulare.
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IniziatoIniziato
il concerto,
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si puòsientrare
può entrare
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solo
fine
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ognidicomposizione.
ogni composizione.
Si raccomanda
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di: di:
• disattivare
• disattivare
le suonerie
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dei telefoni
dei telefoni
e ogniealtro
ogniapparecchio
altro apparecchio
con dispositivi
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acustici;
acustici;
• evitare
• evitare
colpi di
colpi
tosse
di tosse
e fruscii
e fruscii
del programma;
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• non lasciare
• non lasciare
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salaalfino
congedo
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dell’artista.
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Il programma
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è pubblicato
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sul nostro
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sito web
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venerdì
il venerdì
precedente
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il concerto.
il concerto.
Johann Sebastian Bach
(Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
Sei Partite BWV 825 - 830
da Clavier-Übung - Opus I
Partita n. 5 in sol maggiore BWV 829 (ca. 21’)
Praeambulum - Allemande - Corrente - Sarabande - Tempo di Minuetto Passepied - Gigue
Partita n. 3 la minore BWV 827 (ca. 19’)
Fantasia - Allemande - Corrente - Sarabande - Burlesca - Scherzo - Gigue
Partita n. 1 si bemolle maggiore BWV 825 (ca. 18’)
Praeludium - Allemande - Corrente - Sarabande - Menuet I & II - Gigue
Partita n. 2 do minore BWV 826 (ca. 21’)
Sinfonia. Grave adagio - Allemande - Courante - Sarabande - Rondeaux Capriccio
Intervallo
Partita n. 4 in re maggiore BWV 828 (ca. 33’)
Ouverture - Allemande - Courante - Aria - Sarabande - Menuet - Gigue
Partita n. 6 in mi minore BWV 830 (ca. 33’)
Toccata - Allemande - Corrente - Air - Sarabande - Tempo di Gavotta - Gigue
l Anno di pubblicazione: 1731
La musica per tastiera del primo Settecento è sopravvissuta a stento all’urto
del pianoforte romantico. L’immenso patrimonio musicale degli antichi maestri
è caduto in oblio già ai tempi di Haydn e di Mozart, tornando alla luce molto
lentamente nel corso del Novecento. Per i pianisti d’oggi la grande scuola
tedesca di Kuhnau e quella francese di Couperin sono le vestigia di un’epoca
d’oro, ma ormai remota. Le Sonate di Domenico Scarlatti sopravvivono con
parsimonia nei programmi da concerto, mentre i lavori di Händel ogni tanto
fanno capolino come encore. L’unico autore barocco veramente rappresentato
nel repertorio pianistico, al di fuori dei cultori delle tastiere storiche, è Bach. Le
Partite appartengono alle opere scritte per “Clavier”. Clavier, o Clavir nella
grafia antica, è un termine che indicava gli strumenti a tastiera nel loro insieme
(dall’etimo clavis, chiave). All’epoca di Bach gli strumenti più diffusi a livello
domestico erano il clavicembalo, il clavicordo e la Hausorgel, una specie di
organo portatile da camera. Nella prassi del Settecento non si facevano troppe
distinzioni tra una tastiera e l’altra, era lecito suonare qualsiasi musica sullo
strumento a disposizione. Kuhnau per esempio specificava, nel frontespizio
delle sue Sonate bibliche, che esse erano “Sei Sonate da suonare sul Organo,
Clavicembalo ed altri Stromenti famiglianti”. Questa promiscuità non significa
però che Bach fosse indifferente alle caratteristiche di ciascun strumento. La
confusione è stata generata in un certo senso dallo stesso Bach, che nei
manoscritti non specifica quasi mai il tipo di tastiera, così come omette molte
altre informazioni utilissime. Gli studiosi hanno indagato con accanimento per
cercare di chiarire anche questi aspetti del lavoro di Bach. Un’ipotesi
sufficientemente fondata è che Bach suonasse le Partite più volentieri sul
clavicordo. Questo strumento, oggi una rarità da museo, è una tastiera da tavolo
di sonorità intima e delicata, in grado di modulare l’intensità del suono. Il
clavicordo era molto meno potente del Flügel, il clavicembalo ad ala, ma in
compenso molto più espressivo e flessibile. Secondo Johann Nikolaus Forkel,
amico del figlio Carl Philipp Emanuel e autore della prima biografia di Bach, il
clavicordo era la tastiera preferita dal Kantor all’interno delle mura domestiche.
La storia del pianoforte e la fortuna di Bach tuttavia sono pressoché inscindibili.
Le prime edizioni di ampia tiratura delle opere per tastiera di Bach furono
pubblicate agli inizi dell’Ottocento (Das wohltemperierte Klavier, 1801;
Invenzioni, 1801; Clavier-Übung I, 1801-2; Variazioni-Goldberg, 1802; Suites
inglesi, 1805; Concerto nach italienischem Gusto, 1806; Suites francesi, 1817).
Il primo nucleo del repertorio didattico per pianoforte era appunto basato sulle
opere di Bach. Il solido ambiente dei musicisti “dilettanti” fu l’artefice del
trionfo del pianoforte, che nel 1830 aveva ormai soppiantato ogni altro
strumento a tastiera. Bisogna inoltre rilevare che il movimento di riscoperta del
clavicembalo iniziato nel primo Novecento, a partire da personaggi come
Wanda Landowska, ha destato sì una coscienza dei problemi filologici, ma non
ha ribaltato le gerarchie della sala da concerto.
Al contrario di quanto accade oggi, Bach ha pubblicato una minima parte della
sua produzione. La prima raccolta stampata a suo nome si apre proprio con le
Sei Partite, che formano la prima parte della Clavier-Übung, pubblicata a
spese di Bach (“in Verlegung des Autoris”, recita il frontespizio) nel 1731, a 46
anni. Il valore di questa prima impresa editoriale è sottolineato dalla definizione
di Opus I, anche se le prime cinque Partite erano già state stampate
separatamente tra il 1726 e il 1730. Il termine Übung indica il desiderio di
raggiungere un pubblico di Liebhaber, amatori, offrendo loro in sostanza uno
strumento pedagogico. Il maestro di cappella e “Directore Chori Musici
Lipsiensis”, come viene presentato dal frontespizio, desiderava dunque mettere
in rilievo al di là delle mura cittadine l’immagine di docente di alto livello.
Educare e divertire era un fine concepito per i “dilettanti”. “Belli ma difficili”,
fu per esempio il commento della fidanzata del poeta Johann Christoph
Gottsched, amico e collaboratore di Bach. Difficili per un non professionista, ma
non impossibili. Il loro valore non è racchiuso infatti nel contenuto tecnicovirtuosistico, ma nella qualità artistica di cui occorre impadronirsi. Le Partite
erano concepite in primo luogo come musica per gli occhi e per le dita di chi
esegue.
Formalmente la Partita, come la Suite, è una raccolta di danze. Il titolo rende
omaggio a Johann Kuhnau, predecessore di Bach sulla cattedra della
Thomaskirche, che aveva chiamato allo stesso modo le sue nel 1689. Le danze
sono precedute da un’introduzione in stile libero: Praeludium, Fantasia,
Praeambulum, Ouverture, Sinfonia, Toccata, termini che evocano un richiamo
alla tradizione organistica. La sequenza di danze è quella canonica di Allemanda,
Corrente, Sarabanda e Giga, alle quali si mescolano varie Galanterien, come
recita il frontespizio, come il Passepied, il Minuetto, il Rondeaux, la Gavotta. A
modo suo, Bach intendeva offrire un lavoro di gusto moderno, adatto a un
divertimento intellettuale e di società. Bach tratta la danza come un modello
stilistico a cui riferirsi: come schema ritmico, in primo luogo, e come espressione
di affetti. Questo processo di distacco concettuale viene addirittura dichiarato
in alcune Partite, dove al posto del nome della danza si trova l’indicazione
Tempo di minuetto o Tempo di gavotta.
Rispetto al gusto mondano, tuttavia, la musica di Bach si colloca su un piano
superiore di fantasia e riflessione. Le Partite formano un ciclo unitario, come
risulta evidente dall’architettura ingegnosa delle tonalità. La loro sequenza
infatti, che va da si bemolle maggiore della prima a mi minore dell’ultima, divide
il lavoro in due valve simmetriche, la prima formata da una tonalità maggiore e
due minori, la seconda invece da due maggiori e una minore. Le due parti sono
riconoscibili anche dal fatto che la Partita III reca in calce la parola Fine,
mentre la VI è suggellata dal termine “Finis”. Inoltre la progressione tonale
disegna un intervallo crescente tra le fondamentali adiacenti, dall’intervallo di
seconda (si bemolle - do) a quello di sesta (sol - mi), stabilendo infine un
rapporto di tritono (mi - si bemolle) in un cerchio ideale che congiungesse
l’ultima Partita alla prima. La mentalità sistematica di Bach si rispecchia anche
in altri particolari di gusto barocco, come per esempio intitolare “Ouverture” la
forma libera della Partita IV, in quanto nuovo inizio della seconda parte.
La Partita n. 5 in sol maggiore BWV 829 ha il carattere di un’invenzione sul
ritmo. La scrittura sollecita una particolare finesse e una costante concentrazione
sul solfeggio. Il “Praeambulum”, per esempio, presenta subito una banalissima
cadenza, la cui caratteristica piccante è la disposizione della scala discendente e
degli accordi, come in un piccolo scherzo ritmico. Il moto armonico e il groviglio
di quartine ruzzolanti di questo ampio ricercare introduttivo hanno origine
dalla figura iniziale, che scandisce la forma del “Praeambulum”. Molto
complessa ritmicamente si presenta anche la successiva “Allemande”, in cui le
voci indipendenti si sovrappongono l’una sull’altra fino a perdere completamente
il riferimento ritmico alla danza originaria, mentre il “Corrente” è un esercizio
di agilità in 3/8. La “Sarabanda” è in sostanza una articolata variazione su una
cellula ritmica, che si sviluppa con grande libertà improvvisativa, tenuta però
sotto controllo dal punto di vista formale dallo schema armonico. Il “Tempo di
Minuetto” è invece un’interessante anticipazione di quel passaggio dal Minuetto
allo Scherzo che avviene nella sonata classica. Gli accenti ritmici delle due mani
sono disposti in modo tale da rendere quasi irriconoscibile il “Minuetto”, in
pratica, fino alla battuta finale della frase, alternando in maniera virtuale il
metro pari con quello dispari. Le due danze seguenti, “Passepied” e “Gigue”,
concludono la Partita, impegnando l’esecutore con una scrittura di grande
varietà ritmica e d’impianto polifonico, condotto in gran parte a tre voci.
La Partita n. 3 in la minore BWV 827 si apre con una “Fantasia”, che mette in
luce il carattere estroso e bizzarro del lavoro che chiude la prima parte. Il
raffronto con la versione della Partita trascritta da Anna Magdalena nel
Clavierbüchlein del 1725 è istruttiva. L’introduzione prende il nome di
“Prélude”, mentre la “Burlesca” si chiama in maniera più convenzionale
“Menuet” e lo Scherzo è assente. Nel passaggio alla versione del 1731, Bach ha
dunque voluto sottolineare il carattere contrastante e capriccioso della scrittura.
La “Fantasia”, nell’agile metro di 3/8, gioca con destrezza spostando il disegno
principale da una mano all’altra e insiste molto sulla sincope e sugli accenti in
contrattempo. L’“Allemande” invece si distende in una magnifica scrittura a tre
voci, molto densa e di inflessione melanconica, che contrasta in maniera netta
con la vivace “Corrente” successiva, nervosa e ritmica. La “Sarabande” invece
inizia con un canone e prosegue nel segno della scrittura imitativa, con una
melodia ornata di terzine. La “Burlesca”, che ha preso il posto con piccole
varianti del vecchio Menuet di Anna Magdalena, sottolinea la natura estrosa
della Partita, ma ancor più il successivo “Scherzo”, unica volta in cui Bach
adotta questo termine nella sua produzione. L’aggiunta di uno Scherzo serve
forse a preparare meglio la sorpresa della complessa “Gigue” conclusiva in 12/8,
capolavoro di scrittura contrappuntistica e di virtuosismo strumentale.
La Partita n. 1 in si bemolle maggiore BWV 825, la prima a essere pubblicata
nel 1726, sembra concepita come una esplorazione armonica della tonalità. Il
“Praeludium”, bellissimo, è stato spesso considerato una pagina che guarda già
in direzione della Sonata. La forte connotazione tematica della voce superiore
può apparire ingannevole al nostro orecchio, abituato a orientarsi seguendo il
filo dei temi. In questo caso l’invenzione di Bach sviluppa un’idea melodica
sgorgata da una semplice cadenza. Il passaggio della figura, nel quieto dialogo
tra le varie voci, non fa che rendere più evidente e ammirevole il nitore del
percorso armonico, che compie le sue evoluzioni con semplicità e fantasia
apollinea. Sia nell’“Allemande” sia nel “Corrente” le varie voci, disegnate con la
leggerezza di un acquerello, sembrano volteggiare felici nei loro arpeggi, come
se la semplice esposizione della loro armonia fosse già il premio del loro moto
puntiglioso. Le Sarabande sono sempre meravigliose oasi liriche, nelle Suites e
nelle Partite. Nella superba “Sarabande” della Partita I la musica di Bach
inventa un “dolce stil novo”, grazie a un linguaggio semplice e luminoso. Su un
basso puro ed essenziale, la mano destra ricama un perpetuo ricercare melodico
per collegare un accordo all’altro, una cadenza all’altra. Dopo gli eleganti
“Menuet I & II”, miniature preziose, la “Gigue” conclude con una concessione
alla bravura, con l’incrocio della mano sinistra sul moto perpetuo di crome della
destra.
La Partita n. 2 in do minore BWV 826 è l’unica che non si conclude con una
Giga, bensì con una forma libera come il Capriccio. Non è l’unica caratteristica
eccentrica della Partita, che si apre con un movimento ampio e ben strutturato
intitolato “Sinfonia”. Invece di un’introduzione di stile improvvisatorio, in linea
con la tradizione tastieristica, il lavoro presenta all’inizio una salda forma
architettonica articolata in tre episodi: un Grave adagio in stile enfatico e
sonoro, un Andante semplice ed espressivo e infine una parte più brillante in 3/4
con una scrittura imitativa. Un movimento così robusto e di carattere
orchestrale mette un’ipoteca su tutto il resto della Partita, che si sviluppa con
uno stile cameristico. Nell’“Allemande” sembra di distinguere il timbro di
diversi strumenti nella scrittura a tre voci, mentre la “Courante” ritrova la
sonorità orchestrale dell’inizio. Per contrasto, la “Sarabande” è un dialogo
intimo e raccolto, che prepara il finale virtuosistico del “Rondeaux” e del
“Capriccio”, rispettivamente in tre e in due ma entrambi ricchi di salti d’ottava,
imitazioni, passaggio di voci tra le due mani.
Anche l’“Ouverture” che apre la Partita n. 4 in re maggiore BWV 828 ha uno
stile sinfonico, conforme al carattere introduttivo assegnato al primo movimento
della seconda parte. Anche la forma ha una solennità architettonica, con una
prima sezione in tempo tagliato e di gusto francese seguita da una parte ritmica
in 9/8 in stile libero e imitativo che forma il corpo principale del movimento. La
successiva “Allemande” è altrettanto nobile e consistente, ma sviluppa il suo
carattere espressivo in maniera serena e controllata. L’accostamento con la
lieve e spiritosa “Courante” non potrebbe essere più piccante, tanto più che
l’“Aria” seguente non ha affatto un profilo lirico e melodico, come farebbe
supporre il nome, ma piuttosto un carattere rustico in contrasto con l’eleganza
generale della scrittura. Il valore lirico predomina invece nella “Sarabande”,
con un’espressione personale che adombra il presentimento della soggettività
romantica. È curiosa la presenza di un gracile ma solare “Menuet”, che fa da
cuscinetto tra la “Sarabande” e la muscolare “Gigue” conclusiva, laboriosa e
ottimista nel suo contrappunto roccioso e incrollabile.
L’ultima Partita BWV 830, nella tonalità di mi minore, è di gran lunga la più
profonda e complessa del gruppo, a cominciare dalla impressionante “Toccata”
iniziale. Qui la scrittura è pienamente integrata nella natura dello strumento e
la struttura riecheggia i grandi lavori organistici. Il movimento si apre con un
ampio ed espressivo gesto drammatico, che racchiude al centro un fugato di
splendida fattura, per poi tornare al dolente linguaggio retorico dell’inizio. Le
due parti sono strettamente connesse, dal momento che l’appoggiatura iniziale
rappresenta il tema germinale dell’intero movimento. La scrittura
contrappuntistica di Bach scandaglia le profondità del cuore umano, toccando
sia i lati oscuri, sia le zone più serene, con uno spirito contemplativo che
distingue questa “Toccata” da tutto il resto del ciclo. La forza espressiva di
questo inizio si ripercuote in varie forme nelle successive danze, dalla
malinconica “Allemande” alla nevrotica “Corrente”, alla cupa e disperata
“Sarabande” e soprattutto alla furiosa “Gigue” finale. Le Galanterien di questa
partita si limitano a una semplice “Air” e una gustosa forma di astrazione della
gavotta (“Tempo di gavotta” è indicato nel testo), due episodi di alleggerimento
in un lavoro che getta una luce nuova sulla musica per tastiera dopo un lungo
periodo di assenza di Bach da questo repertorio.
Oreste Bossini
Clavicembalo o pianoforte? La questione dello strumento
nell’opera per tastiera di Johann Sebastian Bach
Il dibattito tuttora aperto su quale sia lo strumento più idoneo per eseguire l’opera per tastiera di Johann Sebastian Bach si svolge su due binari apparentemente inconciliabili. Da un lato vi sono i portavoce della cosiddetta historically
informed performance, un approccio che non può prescindere dall’utilizzo di
strumenti originali. Nonostante conquiste oramai inconfutabili in questa direzione, una gran fetta di pubblico e di musicisti considera l’esecuzione al pianoforte del repertorio barocco plausibile, se non addirittura auspicabile.
Due filosofie profondamente diverse che nel tempo hanno dato origine a riflessioni interessanti, prese di posizione o semplificazioni inaccettabili. Eppure da
un punto di vista prettamente logico la discussione potrebbe essere troncata
con un paradosso: perorare la causa di un Bach meglio espresso al pianoforte
aprirebbe all’ipotesi di uno Chopin più cantabile all’Hammond. I luoghi comuni
si sono ben radicati e vale la pena scorrere i più frequenti.
“Il Pianoforte è uno strumento con più possibilità espressive del clavicembalo,
più bello. Se Bach avesse provato uno Steinway…”.
Senso del bello e di espressività cambiano nei secoli: il clavicembalo ha le sue potenzialità espressive che si basano su elementi differenti rispetto al pianoforte.
Il fatto che il nostro orecchio abbia più familiarità col suono di quest’ultimo non
dovrebbe condurre a discorsi di superiorità. La teoria pseudo-evoluzionistica
per cui il pianoforte sia uno strumento più avanzato del clavicembalo è degna del
peggior relativismo culturale.
“Bach appartiene a quella categoria di compositori che si interessa poco allo
strumento in sé: la sua musica ha un contenuto talmente profondo da trascendere i limiti materiali”.
L’obiezione ha un fondo indiscutibile di verità, ma non può essere assolutizzata.
È indubbio che la musica di Bach si fondi su presupposti diversi rispetto a quella
di un Couperin o di uno Scarlatti, ma siamo così sicuri che ciò basti a renderla
un’entità astratta? Eppure nella storia della musica è raro trovare un compositore così immerso nella letteratura per tastiera coeva e del passato. Non solo i
maestri tedeschi: Francia e Italia entrano cospicuamente negli studi del giovane
Bach e di conseguenza nel suo stile. Un approccio storicamente informato necessita quindi anche la conoscenza della musica di Couperin, D’Anglebert o Frescobaldi (per citarne alcuni): scritture talmente idiomatiche per cui il passaggio
dal clavicembalo è obbligato. Il rischio è di incappare in una visione metafisica
riduttiva. Bach non ha scritto solo l’Arte della Fuga: dietro ad una veste geometrica spesso si nasconde una danza, una figura retorica, un modello strumentale
che ai contemporanei non passava certo inosservato.
“Nel Settecento era prassi frequente riadattare la stessa musica per diversi
strumenti e organici, quindi il discorso può essere esteso al pianoforte”.
A logica funziona, ma non si tiene conto che a prescindere dallo strumento vi era
un’estetica condivisa del fraseggio, dell’articolazione e della dizione. Un’estetica
che cercava l’espressività nel dettaglio, nelle ineguaglianze, nelle micro-articolazioni. Basta dare uno sguardo alle revisioni pianistiche dell’Ottocento e del
Novecento per accorgersi invece come nel tempo “evoluzione” del pianoforte e
tecnica del legato siano andati di pari passo, con conseguente livellamento delle
micro-articolazioni. Riadattare il vocabolario barocco alle tastiere moderne è
compito assai arduo e conduce inevitabilmente a compromessi.
Si potrebbe parlare poi di ornamentazione, di temperamenti, dei luoghi a cui
erano destinate le opere per tastiera, ma la trattazione supererebbe i limiti imposti dalle circostanze.
Se c’è una ragione storica, coerente e plausibile, per cui la musica di Bach venga
eseguita comunemente al pianoforte, essa va ricercata nella storia della tradizione. Ancora prima della Bach-Renaissance, la musica per tastiera non aveva
mai smesso di circolare fra i compositori, i pianisti e i didatti: Clementi, Beethoven, Czerny, e poi Chopin, Schumann, Liszt e Brahms si sono letteralmente
nutriti di queste opere e il loro stile ne è stato indelebilmente condizionato. Ogni
generazione di concertisti si è dovuta e voluta misurare con Il Clavicembalo
ben temperato o con la Clavier-Übung, ognuna trovando una propria originale
soluzione estetica. È indubbio che il pianoforte abbia poi contribuito ad una diffusione della musica di Bach fra il “grande pubblico”, grazie soprattutto a quei
musicisti che hanno trovato nel pianoforte il miglior mezzo per esprimersi e in
Bach il compositore a cui dedicare una vita. Le nuove generazioni dovranno
però necessariamente confrontarsi sempre di più con le conquiste di decenni di
ricerca nell’ambito della prassi esecutiva, così come hanno fatto o continuano a
fare figure come Paul Badura-Skoda e András Schiff.
Il pianoforte, verosimilmente, non potrà mai fare a meno di Bach; e viceversa?
Marco Gaggini
Ex allievo del Conservatorio G. Verdi di Milano
Sir András Schiff pianoforte
Nato a Budapest, András Schiff ha iniziato a studiare pianoforte a cinque
anni. Ha poi proseguito gli studi all’Accademia Liszt con Pál Kadosa,
György Kurtág e Ferenc Rados e infine a Londra con George Malcolm.
Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti
internazionali tra i quali la nomina a membro onorario del BeethovenHaus di Bonn (2006), il Premio Abbiati (2007) e la medaglia della
Wigmore Hall di Londra (2008). Nel 2011 ha meritato il Premio “Robert
Schumann” e, nel 2012, la medaglia d’oro della Internationale Stiftung
Mozarteum e la nomina a membro onorario del Wiener Konzerthaus e
membro speciale del Balliol College di Oxford. È stato inoltre insignito
della Croce al merito della Repubblica federale tedesca. Nel dicembre 2013
ha ricevuto la medaglia d’oro alla carriera della Royal Philharmonic
Society; nel 2014 è stato insignito dalla Regina Elisabetta della onorificenza
di KBE (Cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico) e ha ricevuto la
laurea honoris causa dell’Università di Leeds.
Ospite delle maggiori orchestre in tutto il mondo e dei maggiori festival,
nel 1999 ha fondato la “Cappella Andrea Barca” con la quale lavora, come
con la Philharmonia Orchestra di Londra e la Chamber Orchestra of
Europe, nel duplice ruolo di direttore e solista. Nel 1989 ha fondato il
festival “Musiktage Mondsee”, nel 1995 i “Concerti di Pentecoste” di
Ittingen in Svizzera, nel 1998 la serie di concerti “Omaggio a Palladio” a
Vicenza.
Tra le sue incisioni ricordiamo l’integrale dei concerti di Beethoven con la
Staatskapelle di Dresda e Bernhard Haitink e quella dei concerti di
Bartók con la Budapest Festival Orchestra e Ivan Fisher. Nel 2012 ha
meritato l’International Classic Music Award per l’incisione delle
Geistervariationen di Schumann. Dal 2006 collabora con la casa editrice
Henle al progetto di pubblicazione di tutti i Concerti per pianoforte di
Mozart nella versione originale. Nel 2007 ha inoltre pubblicato un’edizione
del Clavicembalo ben temperato di Bach.
È professore onorario alle Musikhochschulen di Budapest, Detmold e
Monaco di Baviera. È stato ospite della nostra Società nel 1988, 1993, 1998,
2000, 2006, 2007, 2008, 2009, due volte nel 2010, nel 2011, e nelle stagioni
2012/2013 e 2013/2014 in residence per i sei concerti dell’integrale
beethoveniana.
Prossimo concerto:
Martedì 19 aprile 2016, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Yuuko Shiokawa violino
Sir András Schiff pianoforte
La presenza di Schiff in questa stagione si estende anche al regno della musica da
camera, un repertorio che il pianista ungherese ha sempre coltivato con la stessa
passione e intelligenza di quello solistico. Il duo formato con la moglie, la violinista
Yuuko Shiokawa, presenta un programma imperniato sulle tre B della storia della
musica, dove la terza B questa volta rappresenta il nome di Ferruccio Busoni, una
figura cruciale della rivoluzione modernista del Novecento musicale. La sua
Seconda Sonata per violino e pianoforte in si minore, scritta proprio agli albori del
Novecento, è un grande lavoro, scelto per incunearsi in maniera interessante tra
due contrastanti modi di interpretare la tonalità di sol maggiore, la primaverile
Sonata op. 78 di Brahms e la sperimentale Sonata op. 96 di Beethoven.
Società del Quartetto di Milano - via Durini 24
20122 Milano - tel. 02.795.393
www.quartettomilano.it - [email protected]