Lavoro Atipico: Una Minaccia per la Salute?
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Lavoro Atipico: Una Minaccia per la Salute?
Lavoro Atipico: Una Minaccia per la Salute? Cinzia Di Novi* Nell’ultimo ventennio i Paesi Occidentali hanno sperimentato un processo di graduale liberalizzazione che ha trasformato i rapporti di lavoro e le dinamiche che ne regolano il mercato. Si sono diffuse forme di lavoro “atipico” diverse dalle forme abituali di lavoro a tempo indeterminato e dal lavoro autonomo. I contratti a tempo determinato nel panorama italiano non sono una novità del tutto recente. La prima norma che ha regolato i contratti a tempo determinato risale al 1962. La legge 230/1962 era particolarmente restrittiva e prevedeva che i casi di lavoro a tempo determinato fossero tassativamente individuati e che i rapporti di lavoro a tempo determinato potessero essere solo “eccezionalmente prorogati non più di una volta e per una durata non superiore a quella del contratto iniziale”. La proroga poteva essere ammessa solo per “esigenze contingenti e imprevedibili”. La legge 14 febbraio 2003, n.30 “Delega del Governo in Materia di Occupazione e Mercato del Lavoro” comunemente nota come Riforma Biagi, ha innovato profondamente il mercato del lavoro inserendosi nel processo di liberalizzazione già iniziato in precedenza. La riforma Biagi ha ridotto i vincoli fissati dalla precedente legislazione e imposti sui contratti di lavoro a tempo determinato introducendo nuove forme di contratto: job sharing (caratterizzato dalla condivisione dell'attività lavorativa tra due o più soggetti che si suddividono le fasce lavorative di un impiego full time), job on call (che autorizza il lavoro su chiamata per persone al di sotto dei 25 e al di sopra dei 45 anni di età), staff leasing (quella tipologia di contratto di lavoro legata all'assunzione tramite agenzia interinale). Condizioni di lavoro flessibile sono stata adottate in tutta l’Europa, ma in Italia le riforme hanno cambiato in modo sostanziale il mercato del lavoro creando una sorta di mercato parallelo dove il passaggio dal lavoro temporaneo a quello permanente resta incerto e senza un percorso * Università Ca’ Foscari Venezia, Dipartimento di Economia. e-mail: [email protected]. 1 stabilito (P. Ichino, Lavoce, 2006). Prima della riforma Biagi l’Italia aveva sostanzialmente bassi livelli di job-insecurity: i contratti di lavoro erano essenzialmente a tempo indeterminato con flessibilità quasi del tutto assente. Questo scenario è mutato rapidamente a partire dalla legge 196/97 nota come pacchetto Treu che ha introdotto il lavoro interinale, precedentemente vietato dalla Legge n. 1369 del 1960 (Divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro). Queste tendenze sono proseguite negli anni 2000. Tra il 1990 e il 2008 l’Italia è stata il paese europeo con il più elevato tasso di crescita di contratti a tempo determinato. Secondo le rilevazioni ISTAT gli occupati “standard” (a tempo pieno e indeterminato) nel 2008 erano circa 18 milioni. Quelli a tempo parziale pari a circa 2,6 milioni. Gli atipici (dipendenti a termine, co.co.pro.) pari a 2,8 milioni. Il principale motivo della perdita del lavoro, nel 2008, era in termini assoluti, il mancato rinnovo di un contratto a termine, anche se la perdita del lavoro per licenziamento era in aumento in modo significativo. Il lavoro atipico nato in risposta all’esigenza di assicurare una parziale flessibilità al lavoro e presentato come una risposta alla disoccupazione giovanile ha apportato benefici alle imprese ma d’altro canto ha introdotto il concetto di precarietà nella nostra società. Negli ultimi anni il sentimento di fiducia dei lavoratori a mantenere il proprio posto di lavoro ha subito un drastico crollo. La mancanza di una stabilità lavorativa impedisce la progettualità in particolare tra i giovani lavoratori che hanno concluso l’iter formativo e per cui il lavoro rappresenta un fattore centrale dello spazio di vita. Ciò può avere conseguenze negative sulle relazioni sociali e familiari. Il lavoro atipico comporta un costo piuttosto alto da pagare legato alla mancanza di sicurezza che un lavoro a tempo indeterminato garantisce, all’esigenza di adattamento continuo a differenti contesti organizzativi, alla frustrazione per i periodi di discontinuità occupazionale. La strada dal lavoro atipico verso un lavoro stabile si presenta sempre più spesso come un imbuto dai fianchi larghi e dal collo sempre più stretto: tanti giovani e poche opportunità di un lavoro permanente a causa delle congiunture economiche sfavorevoli. A pochi anni dall’entrata in vigore della legge Biagi il panorama italiano comincia ad essere arricchito dalle prime verifiche empiriche sulla possibilità che il lavoro temporaneo rappresenti un canale di ingresso nel mercato del lavoro a tempo interminato, o se, possa essere invece una trappola che conduce ad una situazione di precariato permanente (Ichino et al. 2004). Sono quasi del tutto assenti invece, a livello nazionale, lavori che mettono in relazione lavoro atipico e salute dei lavoratori, di cui contributi è ricco il panorama 2 internazionale. La letteratura empirica sull’influenza delle condizioni contrattuali che considera il lavoro temporaneo e quello permanente mette in rilievo soprattutto uno svantaggio dal punto di vista psicologico (Robone et al. 2010): la riduzione del benessere psicologico dei lavoratori sembra essere molto simile a quella causata dalla disoccupazione con cui il precariato condivide molte caratteristiche ( tra cui basse credenziali, basso reddito.) ( Ferrie et al., 1995; Lasfargues et al. 1999; Martens et al. 1999). L’effetto sulla salute dei lavoratori varia in riferimento al genere (le donne mostrerebbero un minor grado di stress) ma anche in relazione al background familiare. Gli atipici più giovani con alle spalle una famiglia economicamente solida presentano uno stato di salute psicologica migliore mentre la presenza di bambini peggiora lo stato psicologico dei lavoratori a tempo determinato. Inoltre, a presentare un peggiore profilo di salute sarebbero i lavoratori con un basso livello di istruzione non solo rispetto ai più istruiti, rispetto ai quali presentano una bassa probabilità di essere riallocati in caso di perdita del lavoro, ma anche in confronto ai dipendenti e agli autonomi con lo stesso livello di istruzione(Robone et al, 2010; Vannoni, 2011). Bibliografia 1. Ferrie, J. E., Shipley, M. J., Marmot, M. G., Stansfeld, S. and Smith, G. D. (1995) ‘Health effects of anticipation of job change and nonemployment: longitudinal data from Whitehall II study’, British Medical Journal 311: 1264_/9. 2. Lasfargues, G., Doniol-Shaw, G., Deriennic, F., Bardo, F., Huez, D., Rondeau du Noyer, C., 1999. Précaritié de l’emploi et santé: differences hommes-femmes. Archieves des Maladies Professionnelles et de Médecine du Travail, 8, 273-293. 3. Martens, M.F.J., Nijhuis, F.J.N., Van Boxtel, M.P.J, Knotterus, J.A., 1999. Flexible work schedules and mental and physical health. A study of a working population with non-traditional working hours. Journal of Organizational Behaviour, 20, p.35-46. 4. Robone S. , Jones A.M., Rice N. Contractual conditions, working conditions, health and well-being in the British Household Panel Survey. The European Journal of Health Economics 2011;12(5):429-44. 5. Vannoni F. (2011) “ Disuguaglianze Socio-Economiche e Condizioni di Salute attraverso l’Indagine Multiscopo sulla Salute”, Fondazione Gorrieri. 3