Lettere_Manicomio
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Lettere_Manicomio
Il primo, indicato come “...i’ mi son un che quando \ amor mi spira noto…..” è un ex marinaio innamorato del socialismo ( rimase orfano ancora lattante della madre, poi arruolatosi in marina, poi dopo essere stato in un lager tedesco, si era appassionato all’idee socialiste; scriveva a tanti, al Papa a Nenni, a Berlinguer, ai parenti, leggeva la Divina Commedia di Dante Alighieri. Ne trascrivo qualcuna fra le tante . A Papa Montini: “Reverendo Padre. Avere. Quanto duro fu, ormai da sempre, questo verbo il quale, querulando come faccio da tempo, mi accompagna e guida e su e giù per delle scale e qua e là per le insidiose vie, come quelle della mia città, città che sta ancora testimone del libertinaggio notturno e diurno del Lorenzino dei Medici, detto dai fiorentini di quei tempi: il Lorenzaccio. Reverendo Padre , io non ho. Ma come già dissi mi sto preparando a inviare a voi tutti i grandi dell’emisfero un fresco augurio pasquale il quale suonerà ad esempio così: Ai!, come seppe a me di sale e come duro fu per questo calle, lo scendere e salir per altrui scale. Gloria Christi. Impetus Mary. Impetus mari Gloriae Christus. Grata est marictimas gloria. Mea, Grata Christum et magnanimitas duxiorum et nihil mei marictimas gloria sine duxorum. Mi sperdo di fronte alla grandezza dell’esame che mi trova digiuno di latino. Quanto soffro, ah! Quanto! Come vorrei essere tradotto alle galere al posto di tutti i brigatisti rossi di questo mondo. Come vorrei sentirmi innocente ed anche vicino al Santo Padre. Io vorrei farle scudo col mio corpo, vorrei che il Santo Padre benedicesse la purezza di questa unione di intenti fra me e la Franca. Come va questo, come si spiega che la Santa Sede non vede nella unione il riconoscimento della ricongiunzione delle due comunità cristiane che, o le quali, formano il mondo. Ormai è giunto il momento di sfilare in parata, non bastano più le processioni. Il cristianesimo annunzia che il Cristo è risorto, il suo corpo crivellatp è vivo ed i Masacci possono palpare le ferite. Mi vengono a mente tutti i paragoni che potrebbero invitare il Santo Padre a punirmi e per ogni paragone una frustata. Ma aimé le frustate sono utili soltanto quando devono spengere le fiamme della passione. Attendo un consiglio. Posso procedere per questi auguri pasquali, oppure è cosa inutile ?????? Tonino” Mescola tante cose! Dante, e l’offerta di Paolo 6° di offrirsi in cambio di Moro, e l’amore per la Franca che ritroveremo, e l’esortazione pasquale di risorgere nella fede, ed il suo dubbio di essere all’altezza della situazione. A Nenni “Siete assolutamente in errore. Io non ho trascurato nessuno. La notte che io rappresento è il simbolo della mia delinquenza, Il mio delinquere puole sembrare impossibile, ma non è che amore per l’Umanità. Dite piuttosto Voi Sig. Pietro come è che fate del bene a chicchessia e non a me. Io sono 76 anni che vivo quì e si sperde così il mio simbolo nella notte dei tempi. Fate Sig. Pietro che riusciate a compiere questo miracolo per me. La Umanità sarà salva solo quando sposerò in seconde nozze la Franca. Operate ed io vi aprirò il mio cuore. Tonino” Splendido a mio parere il periodo “La notte che io rappresento è il simbolo della mia delinquenza”, c’è il suo non essere capito ed il suo non sapere farsi intendere, i suoi aneliti che sembrano folli sono stati presi per delinquenza compreso la sua inclinazione rivoluzionaria. La Franca, l’abbiamo già incontrata, è una povera giovane donna schizofrenica con alle spalle un matrimonio fallito che Tonino vorrebbe redimere e salvare sposandola perché la Franca è il simbolo dell’Umanità. Ed il cerchio così si chiude. “La mia vita” mi ha confidato, “è cominciata dall’ingenuità e lentamente mi sono emancipato, piano piano, e mi sono sentito grande a quarantotto anni; allora mi venne l’idea di essere un dio con la “di” minuscola e gli dei, anche quelli con la “di” minuscola, hanno il dovere di consigliare i loro figli”. Il suo peregrinare, portandolo a contatto con popoli di lingua diversa, l’ha spinto a studiare le lingue straniere: il francese (“cominciai a studiare il francese in Albania”), cercò di imparare il tedesco mentre era in un campo di concentramento in Germania, L’inglese a Vienna e si rammarica di aver studiato poco il russo; sa anche qualche parola di polacco che usa per scrivere a personalità polacche, nel suo incomprensibile tedesco scrive alla ex regina Maria José ed al Cancelliere Schmidt; al sindaco Gabbuggiani ne manda tre insieme, una in tedesco, una in francese, una in italiano; al Papa in una lettera tenta di esprimersi con il latino in empito di commossa esaltazione, lingua che desidererebbe tanto conoscere ma che non conosce, purtroppo. Ed a Leone mentre era Presidente della Repubblica? solo il Brogiotti poteva riuscire a pensare di scrivergli in napoletano! La lettera a Berlinguer (“Vostra Onorevole Eccellenza” così comincia e non si capisce se è un atto di doveroso ossequio od una presa in giro) è una lettera di rimprovero per come è stata portata avanti la crisi di governo del ‘78: l’essersi messo d’accordo con la D.C. invece di aiutare i socialisti al governo (fu più coerente nella sua azione Mussolini, ed è tutto dire). Anche Tonino però si sente in colpa ché in una precedente lettera , per eccessiva speranza, aveva parlato di sicura vittoria; purtuttavia non si doveva arrivare a quel cedimento e per questo si sente confuso ed avvilito. Guardando bene però, ne vien fuori una vera critica politica: “A Vostra Onorevole Ecc../nza. Perché, perché, io mi domando, come è stato possibile errare?La colpa mia è di avervi, in una mia, parlato di una certa Sicura Vittoria. Io l’ho fatto in un momento di eccessiva fede. Ma ella, On.le come ha potuto obliare ciò che fu e non fu che solo bestiale incoerenza. Sua Ecc.nza il Duce restò fedele all’Avanti in quanto ne fu capo redattore. Ciò che avvenne dopo dipoi non ha importanza, era che i socialisti, pugnal fra i denti, corressero alla avanzata protetti alle spalle dal caro e generoso P.C.I. Abbiamo fallito il colpo; ma io non mi tolgo la giacca per stenderla sul fuoco sacro. Vi scriverò ancora quando sarò più lucido. Tonino”. Quel “quando sarò più lucido” è una vera perla Al fratellastro “Caro Adolfo. Avrei potuto scrivere: caro fratello. ma io non oserò mai trattarti diversamente da come tratto Adriano. Ti ricordi quando tu mi scrivevi lettere dalla Sicilia, la lucente trinacria. Chi sa mai perché noi tre non siamo siculi. Adriano è nato comunista e si è iscritto al P.S.I. io che ero nato socialista mi sono iscritto al P.C.I. Solo tu Adolfo potresti metterci tutti e due sul chi vive, dimmi cosa ne pensi di questo mondo arrembato, come appunto diceva la mamma Zita. Lunedì di Pasqua sarò a pranzo da Adriano, spero di incontrarti. Tonino.” Potevano essere gli angoli di un triangolo, distinti ma uniti, tre anime in un nocciolo, ma così non è, non si intendono fra loro. Adolfo potrebbe far capire lo sbaglio a lui ed a Adriano. E nella breve ma commovente lettera affiora il rispetto ed il rimpianto per “mamma Zita”. E fra le lettere un sapiente aforisma: “Si è lieti quando siamo veramente felici ma non siamo felici quando si vuole essere lieti”. E tante ingenue poesie, talora commoventi. Il secondo designato con “libertà vo cercando, ch’è sì cara” è un povero cristo rinchiuso da una vita in manicomio che, nel suo delirio, crede di essere un antico generale unno, morto e redivivo cui spettino gli arretrati della pensione maturati nei millenni e che chiede aiuto a tutti, in tutti imodi, di essere liberato dal lager in cui è rinchiuso senza colpa (arriva a dire : non sono neanche ebreo). Una sua lettera per tutte, una fra le più “esilaranti”, (eroica, magniloquente, ossessiva), se non si pensa alla sua tragedia. A sua Eccellenza il Ministro delle Finanze attualmente in carica in tale dicastero. (questa lettera è diretta a S.E. il Ministro di qualsiasi ideale politico esso sia, ma non della Democrazia Cristiana, partito nettamente avverso.) Chiedo che questa lettera non venga respinta per nessun motivo al mittente né nella direzione dl luogo in cui io sono chiuso, ma conservata nel Ministero; e non vada in mano né a medici né a donne. Rivolgo all’Eccellenza vostra questa lettera per spiegare la difficilissima situazione nella quale io sono chiuso da circa diciotto anni di tempo, situazione davvero terribile di reclusione, di mancanza di denaro, di impossibilità di combattere perché privo di armi e di denaro per comprarle. Tale situazione si verifica pur essendo io un nobile, pur non appartenendo a razze inferiori, pur non facendo parte né del clero, né della chiesa, né della razza ebraica, né di correnti sovversive, né di altre situazioni che possono portare in questo luogo, dove mi trovo chiuso contro mia volontà, anzi internato ininterrottamente, da undici anni di tempo. Descriverò nelle righe seguenti la mia situazione. Io che scrivo questa lettera sono il recluso stesso, ossia il Sig., (anzi Eccellenza io stesso nei secoli precedenti) Giachomho Taranthini, nel luogo dove sono chiuso fui internato col nome semplificato senza le h intermedie, ossia come se fossi il Sig. (anzi l’eccellenza, ma qui è ignorato) Giacomo Tarantini; mi rinchiusero senza tener presente né la razza, né la nobiltà, né gli ideali politici, né le cariche che io occupai nella storia dello Stato. Se io chiedo di essere messo in libertà la libertà mi viene negata assolutamente; dai regolamenti politici, Voi Eccellenza, sapete che per passare attraverso la porta di questi luoghi è necessario pagare una certa somma, io vengo tenuto senza denaro dagli agenti che sono vestiti in abiti civili (detti psichiatri) che impediscono, o quasi, che mi venga dato; e vengo tenuto con cifre esigue che vanno dalle 10.000 alle 20.000 mila lire al mese, cosicché io da undici anni consecutivi sono chiuso in un luogo che non è precisamente un carcere, né un campo di concentramento, ma è assai peggio tale luogo di reclusione assoluta è detto dal pubblico: Manicomio Provinciale di San Salvi è situato all’estrema periferia di Firenze; luogo che all’interno ipocritamente è chiamato o detto: Ospedale Psichiatrico “Vincienzio Chiarugi”, il cui canciello principale è situato in via San Salvi N. 12 che è di estensione grandissima (vari chilometri quadrati) composto tra reparti e servizi di oltre venti edifici, in questo luogo io mi trovo chiuso nel sesto reparto uomini, e, complessivamente, da undici anni di tempo in tutti i reparti come ricoverato, come recluso, come prigioniero. Non chiedo di venire trasferito in altri reparti di questo stesso Manicomio; ma di venire liberato. Posso aggiungere affinché Voi lo comunichiate al Tribunale supremo come pervenni in questi luoghi. Fui portato “in clinica chiusa” nell’anno 1951 e nel 1952 in Roma, luoghi terribili nei quali le “terapie” erano torture in forma di terapie, come il veleno “insulino”. trattamento atroce e le torture elettriche alla testa. Abitai in Roma da quando fui generato (nei pressi di Montefiascone) il 14 novembre 1931, fino all’anno 1968, poi fui condotto nel Manicomio di Firenze dove sono chiuso tuttora da circa dodici anni di tempo, attualmente ho circa trentotto anni di età, sono celibe e quindi al sicuro di congiure familiari. Nel periodo precedente alla mia reclusione in Manicomio, ossia ventidue anni prima di ora, frequentai il liceo classico parificato “G. Carducci” situato in Via del Corso Trieste N. 99 Roma, allora (ora mi pare che tale istituto sia altrove); circa venti anni fa tentai in Roma studi di Fisica, Chimica, Mineralogia, poi, molto tempo dopo, mi iscrissi alla Facoltà di Scienze Politiche “C. Alfieri” di Firenze (N. 2128 di scheda), non frequentai mai tale facoltà perché fui portato a forza in manicomio dai nemici che mi trovarono privo di armi. Sono in questo manicomio, nei vari reparti come recluso ininterrottamente da anni undici di tempo, sono assolutamente senza denaro, senza abiti civili né divisa militare, ma vestito con i soliti vestiti tipo Manicomio; poiché temo di morire nella congiura interna (cosiddetta della “medicina a tortura”) ossia sotto iniezioni, pasticche, gocce, e “rimedi” vari (elettrici), (mortali), uno più nocivo dell’altro, e poiché l’uscire da questo luogo è cosa ultra-ultra-ultra difficile perché la porta a mia richiesta non viene aperta (negazione dell’apertura della porta), per uscire io chiedo all’Eccellenza Vostra di farmi estrarre dal luogo dove io sono chiuso dai Vostri Ufficiali e dai Vostri soldati ai quali Voi, Eccellenza, dovete ordinare di invadere il Manicomio dove sono chiuso e di portarmi almeno parte del denaro che lo Stato mi deve e una rivoltella “composta”, una divisa, incaricandoli di accompagniarmi in una abitazione che Voi mi farete assegnare affinché io ci possa abitare da solo o in compagnia di guardie del corpo e non essere più prelevato e portato in questi luoghi. Potresti provare a farmi spedire, in una lettera di formato non maggiore di questa che io indirizzo all’Eccellenza Vostra, tre biglietti di 10.000 lire (diecimila) detraibili dagli assegni nobiliari ed individuali mensili (perché penso che maggiore somma verrebbe fermata dal nemico, ossia da chi mi tiene prigioniero) e in una busta successiva della stessa dimensione una banconota di lire 1.000.000.000; e una successiva con la stessa cifra col segno di fattoriale vicino (angolo o punto ! esclamativo). Eccellenza poiché questa pagliacciata del nemico deve finire, Vi chiedo, essendo Voi un abile generale, di armare una squadriglia di aeroplani da bombardamento pesante e di lanciare bombe ad altissimo potenziale sul luogo dove io sono chiuso, ossia nel Manicomio di Firenze o di San Salvi o V.Chiarugi dove io mi trovo chiuso così da distruggerlo completamente e mettendo nella cientrale-ordini degli aerei (a onde elettromagnietiche di guerra) l’ordine di lasciarmi vivo e armato e di distruggere tutti gli edifici del manicomio, anche tutti gli altri reparti diversi da quello dove io sono chiuso che forse è meno peggiore di essi. Quello che io chiedo che venga fatto è un imponente bombardamento dagli aeroplani che mi liberi dalla prigionia del Manicomio. Questa lettera ha significato letterale, è scritta in fretta e di stile italiano approssimato, ma descrive bene la situazione nella quale io sono chiuso. Il reparto dove sono internato ha un cortile caratterizzato da panche metalliche verniciate a colori strani, giallo, verde, azzurro, rosso, bleu; dovete domandare, Eccellenza, alle centrali ad onde elettromagnetiche da guerra o d’artiglieria che significato hanno quei colori e quale è il progetto per farmi uscire dal Manicomio e attuarlo,estrarmi, effettuare l’iscrizione alla scuola di Guerra Aerea per Generali d’Armata e per Comandanti di Squadre di Bombardamento Pesante e Membri del Governo che dovrebbe essere laterale al Ministero dell’Aereonautica Militare da Guerra, mi pare in Viale dell’ Università degli Studi N.4 Roma (in Italia). Seguiterò la presente lettera raccontando, affinché voi lo riferiate al Tribunale Supremo, che negli undici anni di degenza in questo Manicomio Civile sono venute diverse persone a trovarmi, ma tutte hanno rifiutato di farmi uscire; una donna, una certa Maria Rosa Tarantini (nella parentela è detta sorellastra ma è clericale e nemica atroce, sparatele) è venuta dieci o quindici volte deformata in modo caratteristico, tale donna si è rifiutata di farmi uscire ed è certo che ha adoperato armi insidiose invisibili del tipo esploditori per eliminazione ritardata con torture mediche (elettriche o veleno insulino) torture che sono riuscito fino ad ora a evitare (questo dovete raccontarlo al Comandante della Polizia Segreta del Capo dello Stato e di S.M. il Re incaricandoli di fare indagini profonde sul perché io vengo tenuto chiuso, trovare i colpevoli e le colpevoli ed eliminarli con la fucilazione e con l’arsione dei forni per torture; essi ed esse sono colpevoli di associazione a delinquere anti -Stato, di sequestro di persona, ed infine del reato di eliminazione di persona con metodi insidiosi, si pensa che le persone (uomini) chiusi in questi luoghi siano infiniti (ossia τ ο π ο σ ) e che in questi luoghi ogni giorno vengano uccisi un numero enorme di uomini; potete considerare Eccellenza che ogni “clinica chiusa” sia un luogo di orribili torture non autorizzate dalla giustizia; in questa istanza chiedo all’Eccellenza Vostra che tali centri vengano distrutti con azioni di lancio di bombe ad alto esplosivo dagli aereoplani, e azioni di fanteria e che voi facciate eseguire questo dall’Esercito e dai Servizi Segreti SS; io non posso partecipare perché chiuso in ”Manicomio” perché assolutamente privo di denaro e di armi. Chiedo all’Eccellenza Vostra di venire liberato ed estratto assolutamente dal “Manicomio” dalle Forze armate, riarmato e condotto in una abitazione che voglio Voi mi facciate assegnare, bene inteso, con il denaro che lo Stato mi deve come assegni personali individuali mensili e nobiliari; la mia carica nei secoli precedenti era di Generale di Armata, di Primo Console, di Capo di Stato, ho diritto dunque agli assegni nobiliari (da nobile) e agli assegni personali mensili (come se fossi considerato un uomo non nobile, questi ultimi, perché se mal vestito e se scambiato per persona diversa non possono venire rivolte accuse né a me né agli Uffici Finanziari dello Stato.) Mi sono rivolto a Voi Signor Ministro delle Finanze analogamente a come feci in situazioni disastrose in epoche molto antiche (secoli prima d’ora). Prima di chiudere questa lettera io Vi consiglio di liberarmi da qui e di far sparare sui colpevoli che a Voi risulteranno dalle indagini che Voi farete con le macchine da guerra a radioonde da indagine e preparazione dei piani di guerra. Questa mia reclusione in diversi luoghi, comunemente detti “Manicomi” che dura quasi da venti anni, chiedo che abbia fine e di venire liberato dall’Esercito e che mi venga assegnato una abitazione. Salutandovi sommamente Vi ossequio e sono Giachomho Taranthinhi ossia qui Giacomo Tarantini attualmente recluso nel luogo che è detto nelle righe precedenti, ma nei secoli della Storia Antica Primo Console e Condottiero e Generale Nobile e sommo nella politica e nella guerra e nell’industria pesantissima di guerra. Data della presente lettera: La data del timbro postale; data locale interna settembre 1969 (oppure 1970 in città) Lo stile è ampolloso, curiale. Ma, a guardare bene, racconta la sua vita, compreso il suo delirio. Parla per iperboli e per metafore, il nostro Giacomo, parla per allusioni. Ed infine il terzo indicato da: “ma per tuguri ancora e per fenili spesso si trovan gli uomini gentili.” (Orlando Furioso, canto quartodecimo, stanza LXII) è un giovane che ha cercato far vedere di essere diverso dagli altri (pur iscritto ad una scuola tecnica studiava filosofia, dipingeva, aveva interessi culturali) ma per tale ragione era considerato pazzo dai familiari, dagli amici, dalla gente del posto. Di lui ho la precisa descrizione-denunzia- analisi degli avvenimenti riguardo al suo primo ricovero: “18.2.1965. Ore 1,30. Aspetto mio padre in preda ad una crisi depressiva collo scopo di ucciderlo. Ore 2. Appena tornato, subito preso da raptus omicida tento di aggredirlo, senza peraltro essere privo o totalmente privo di coscienza, la tragedia si svolge in pochi minuti, subito avvertita l’autoambulanza vengono a prendermi due infermieri vestiti di bianco. Ore 2,30. Mi trovo all’ospedale di S. Maria Nova per essere portato nel reparto osservazione, per esservi trattenuto, in attesa di decidere della situazione, mi rendo conto della gravità del caso, ed in un momento di drammatica lucidità penso dentro al mio pensiero, già consapevole del destino che mi attende. L’unione fra l’anima ed il corpo e la verità, come se intuissi improvvisamente la ragione della mia follia. 19.2.1965. Ore 10. Vengo trasferito ancora mezzo intontito alla clinica dell’ospedale psichiatrico di S.Salvi di Firenze. Ore 11. Dopo aver ripreso parzialmente conoscenza mi trovo all’improvviso nella clinica, dentro il manicomio, i miei genitori dopo avermi accompagnato, scoraggiato io li guardo e mi salutano, e rimango solo e mi attengo a studiare la situazione, e mi viene da pensare cosa fossero i matti credendo in buona fede che quello fosse tutto il manicomio, perché per me lo era, e che lì ci fossero tutti i pazzi del mondo, e che fossero riuniti in quell’ambiente fatto come una casa, senza mobili, scambiandolo in apparenza per un padiglione in cui fossero rinchiuse delle persone, come si chiude dei cani in gabbia, era questo che mi opprimeva. Il giorno dopo, dopo aver dormito nel primo letto che mi avevano dato, cominciai ad essere pervaso da un senso di intollerabile oppressione, data la persecuzione degli infermieri, che per renderti il soggiorno più piacevole ti inzuppano di medicinali, allo scopo di disfarti l’equilibrio psichico ed umano di sopportabilità, anzi oltre la condizione psichica in cui mi trovavo e l’ambiente stesso mi causavano questa oppressione, finirono per degenerare, io che ero assolutamente sano di mente, in una vera psicosi, con mania di persecuzione, era l’inizio della schizofrenia, che dai sintomi, di agitazione psicomotoria, preannunziavano il crollo, la completa rottura della mente, anche in relazione al fatto ch’io non ero molto influenzabile, e anche in relazione all’insopportabile senso di claustrofobia, peggiorato dalla situazione di lager nazista od anche peggio, almeno essi avevano il diritto a morire, che mi opprimevano inesorabilmente, da quel momento mi resi conto di cosa voleva dire il manicomio e la repressione organizzata per fare perdere l’equilibrio e la rispettiva coscienza e dei limiti delle inibizioni che tu conosci, da quel momento ero diventato soltanto un pazzo, e forse anche peggio trattandosi della mia persona presa di mira dall’odio di tutti che vedevano in me il capro espiatorio e si organizzavano come belve per trarne vantaggio essi stessi, colla mia vita. Io mi ero creato in me, oltre il senso di colpa, della vigliaccheria umana, che non ha confini, in questo mondo di merde, al fatto di essere rinchiuso io un’anima tanto libera, un’indicibile forza manicomiale di mania di persecuzione. Pagine quanto mai sconvolgenti e crude. E vere. E’ orridamente coerente ed adeguato, è terribile testimonianza della violenza subita coscientemente senza poter fare nulla per opporsi, chiuso come si chiude dei cani in gabbia, non un modo di dire ma reale ed adeguata reazione all’esperienza che gli toccava subire. Precisa è la testimonianza dell’effetto degli psicofarmaci, acute le osservazioni del modo di fare degli infermieri, penetrante il ricordo dei locali “quell’ambiente fatto come una casa senza mobili., commovente il distacco dal padre. Come non pensare di non essere perseguitato se uno è costretto a subire quelle violenze, in quella “situazione da lager nazista o forse peggio”? Ma anche una precisa, ironica auto-diagnosi scritta ad un psichiatra. “Il parere dello psichiatra. Il Conti nel tentativo di definire certi suoi aspetti sembra presentare contenuti masochistici passivi che d’altronde in una personalità dotata come la sua hanno creato una rivalsa pseudo filosofica, per cui il delitto viene concepito come estrema azione di rottura fra il mediocre uomo che subisce tutto dalla vita e viceversa il superuomo nietzchiano, il quale diviene così il simbolo del dissacramento di tutti i valori normali ed etici dell’uomo normale. Distinti saluti Conti Supremo” Scrive anche al direttore del manicomio; alla fine si firma “anticristo” “Illustrissimo Professore, Lei manda fuori gente clinicamente guarita ma dopo aver subito il martirio nel manicomio ne subiscono un altro assai peggiore fuori nel mondo esterno alle mura manicomiali. Le dirò in buona fede, Lei mi conosce, e sa, io credo che io sia, o sia sempre stato, una persona integerrima moralmente, e ne conosce le ragioni, quindi in tutta coscienza, comprende le motivazioni che mi hanno fatto passare anche giorni piacevoli in cui in qualche modo ero ben visto, perché non deve essere più a quel modo. Non mi sono spiegato ma fa lo stesso. Un caso come un altro, ma quanti sono questi casi. Lei è uno psichiatra e se ne sta comodamente nascosto dentro le sue mura e la sua omertà, anche se in buona fede ed in armonia, ma pur sempre carnefice della società che le mette in mano i mezzi della repressione e gli strumenti di tortura per gli errori commessi e per la merda che va tenuta sotto banco perché se no se ne sente il fetore. No, non è patologico tutto questo, Lei mi comprende. Lei in tutta coscienza accetta questa società che si serve dei manicomi per imporre la paura e come strumenti di repressione organizzata come un esorcista al tempo delle streghe. Io credo di NO! Ammetto però che ne permetta la sussistenza e la sopravvivenza ed è anche appagato per questo servizio, per tenere in piedi i manicomi che sono nel complesso uno stato di membra umane distorte dai sofismi di molti, fatti pagare da pochi che la scontano per tutti. Io capisco che si viva in un sistema di cose, in cui anche lei personalmente, io penso, non possiate fare fronte alla mania di persecuzione della società. Ne convengo è un giro chiuso. Gente che viene mandata fuori dopo essere servita da cavia a farsi mangiare vivo sotto il nome di pazzo, nonostante che sia stato riabilitato è una vergogna ancora peggiore di coloro che ne sono gli esecutori. Ma i più, i più furbi sono come i lupi braccati, stanno chiusi in manicomio a vegetare ed a subire ogni umiliazione alla loro dignità, pur di non sortire all’aperto, accettando il loro destino passivamente e rinunziando alla vita come ultima speranza di sopravvivere a sé ed agli altri, trattati con vari sistemi e vari metodi che sono pagliativi e buffonate per non far scoprire la truffa come una caramella ad un bambino; che rispetto alla vera libertà i manicomi non dovrebbero esistere o per lo meno dovrebbero andarci chi manda gli altri per dare il buon esempio perché questa è pazzia, di coloro che dicono di non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te stesso, e predicano bene e razzolano peggio, la vera libertà che dovrebbe essere uguale per tutti gli uomini, e non cogito cartesiano della masturbazione cerebrale. Lei ora conosce il mio pensiero si tenga bene in mente che glielo ho detto. In fede Conti Supremo P.S. Ammesso che non manchi l’acqua alla fontana. Se no l’eterna giovinezza andrebbe a farsi fottere, come la pietra filosofale e tutta quanta la filosofia. Uomo avvisato mezzo salvato. Questo vale per me. Comunque il presagio è di questa natura. Conti Supremo, Anticristo. Voi fate la vostra politica io faccio la mia anche se sono solo e disperato. Ma cosa vorrebbero la gente che i pazzi li curano peggio per mangiarli meglio, giacché io capisco i vostri problemi. Una analisi quanto mai precisa: il manicomio serve alla società , è servitore del potere, il manicomio “uno stato di membra umane, distorte dai sofismi e dagli errori di molti, fatti pagare da pochi che la scontano per tutti”, lapidaria definizione dei manicomi, di tutti i manicomi, anche di quelli aperti, anche di quelli che sono venuti e che verranno magari sotto altro nome dopo che burocraticamente, solo burocraticamente, siano stati aboliti. Ma anche felice intuizione clinica, frutto della propria esperienza, circa la follia intesa come esito dell’essere un “capro espiatorio”od un sopravvivere nella impotenza di reagire. Penetrante poi e sofferta è la disamina della situazione di quelli che “dopo aver subito il martirio nel manicomio ne subiscono successivamente un altro, assai peggiore, fuori, nel mondo esterno alle mura manicomiali”, dopo essere stati dimessi. Resta il marchio d’infamia anche se gli psichiatri hanno certificato il diritto dei pazienti di tornare nella vita civile. Cosa si fa per loro? domanda Supremo, addirittura è inutile darsi da fare per aiutare una persona a ristabilirsi ed a superare le sue difficoltà se con irresponsabile faciloneria si rimanda in quell’ambiente ostile che gran rilievo ha avuto nell’ordinare il ricovero. Supremo ha chiara l’intuizione che il disturbo psichico è un evento relazionale, che chi ne soffre non può essere avulso dal contesto in cui vive. Quante verità dice Supremo! Muore il padre e costringe la madre a vendere una casa lasciata dal padre e con la sua parte viene a Firenze.; fa sosta in un albergo di lusso che chiama”questo piccolo hotel” Venne a Firenze e prese dimora al Savoy Hotel, hotel di gran lusso. Da lì scrive ad un amico ricoverato in manicomio al Brogiotti marinaio che già conosciamo, su carta intestata dell’albergo: “Carissimo compagno, sono a Firenze al piccolo Hotel Savoy, pensa che con me ho, ho solo 5 milioni tutti per me. Anche la pazzia ha il suo pregio, non credi? Conti Supremo”. Come dargli torto? Solo a pochi è dato di permettersi ciò che si è permesso Supremo. C’è una bella differenza fra il manicomio ed il Savoy Hotel, “il piccolo Hotel Savoy” come lo chiama e lui è potuto andarci forte dell’esser pazzo diverso da tutti gli altri pazzi il che gli ha permesso di evadere da ogni regola del cosiddetto buon senso. Come dargli torto al suo affermare che la pazzia ha il suo pregio? ma una pazzia diversa da quella di Tonino i cui pregi consistono soltanto nel fargli sopportare la grama esistenza nel manicomio. Supremo è un pazzo diverso, troppo diverso, e lo tiene a precisare. In pochi giorni dette fine ai cinque milioni ed a quel tempo cinque milioni di lire erano una buona cifra; poi tornò al paese dove nessuno era mai potuto essere cliente del Savoy Hotel. Supremo , chiamiamolo così, è anche poeta A Friedrich Nietzche scrive una poesia intitolata “ Il dominio dell’intelletto”: Del mio modo di vivere ......forse..... nella tua anima! la coscienza non avrai. Della tua delicata ombra, luce splendente per chi sa riconoscere in te uno spazio di luce nel mondo e di luce nel fare tuo, creatura creata dal cielo, in terra. Angelo, dalle ali di ombra, del tuo paradiso pensiero per chi ti conosce, e sogno fuggitivo di chi dalle tue ali, al vento agitate, si perde nell’ombra che risplende come fiammella nel cimitero in compagnia dei morti. Tu sei la Dea della vita, dallo sguardo triste e profondo: Della rimembranza dei miei ricordi sei l’anima mia”. Tutt’intorno alla poesia scrive: “io vorrei vivere questa breve estate senza alcuna intenzione profana”. Ed ancora. “Ultimatum senza pretese” “Abbassa o muro le tue ali e spezza le tue ossa nel tuo sepolcro deserto e muto di un morto vivo che aspetta di risuscitare colla sua schiera, o promesso sposo con la morte congiunto nella sua ora fatale”. Ma anche con un grande desiderio d’amore che gli viene negato, amore che è vivere e morire all’un tempo: “Quando l’amor si struggerà in una dolce passione dimentica il sogno per morir senza mano e senza follia”. Ed infine Per ultimo questo anelito, pregno di delusione, in una sua poesia: “Cieli chiusi in una stanza pensieri al dilà del tempo; nel mondo iniquo il riflesso della perduta speranza. Ma in chi e per chi canzone mia canti questa poesia della perduta gente?” Con tutto il cuore vorrei che il desiderio di Supremo, di far sentire il proprio canto, non fosse una perduta speranza bensì una speranza avverata, vorrei che fosse soddisfatto di aver cantato almeno per noi la sua canzone, lui nella sua triste esperienza di vita. E così finivo il mio scritto: Un ciottolo raccattato per un viottolo, che magari una pedata l’aveva buttato ai margini. Ma carezzandolo per levargli di dosso la polvere ci si accorge di aver davanti una pietra preziosa. Mi è capitato con Supremo.