Il documento del PD sulla politica per l`abitare

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Il documento del PD sulla politica per l`abitare
DOCUMENTO PD SULLE POLITICHE PER L’ABITARE
PREMESSA
La casa è un diritto essenziale della persona, è il luogo nel quale si concentrano le relazioni familiari, è un
elemento fondamentale di tranquillità e sicurezza. Efficaci politiche per l’abitare sono una parte irrinunciabile
di un moderno stato sociale.
Ma la casa può anche essere un problema per molte famiglie. Chi non ce l’ha, chi vorrebbe averla, chi l'ha
persa, chi per averla è stato costretto ad impegnare una quota sproporzionata del proprio reddito (presente e
futuro), chi sacrifica gran parte dello stipendio per l’affitto, chi vive in case pubbliche all’interno di quartieri
interamente pubblici, chi rimanda scelte di vita e viene condizionato nella propria autonomia perché “come
faccio con la casa?”.
In questi anni il “fattore casa” è stato un elemento che ha fatto slittare molte famiglie sotto la soglia di
povertà, facendole piombare nell’area dell’esclusione sociale. Un partito popolare è chiamato ad occuparsene
e noi intendiamo continuare a farlo.
Il bisogno abitativo ed il suo soddisfacimento deve perciò rappresentare una parte decisiva dell’azione politica
di un partito moderno che abbia l’obiettivo, soprattutto in un periodo di profonda crisi economica, di garantire
la tenuta complessiva della coesione sociale. Il passaggio radicale che si intende promuovere è quello dalle
politiche per la casa alle politiche per l'abitare.
Vengono qui proposte politiche che non si limitano all’obiettivo primario di dare una casa a chi ne è privo, ma
puntano su misure di più ampio raggio, che affrontino il problema della qualità dell’abitare, della sostenibilità
ambientale, dell’esigenza di non creare ghetti e di recuperare il degrado. In una fase di crisi economica e di
recessione come l’attuale, un rilancio del settore edilizio può rappresentare un importante volano di sviluppo
economico per il nostro Paese.
LA SITUAZIONE1
Nel nostro Paese trovare una abitazione dignitosa a prezzi accessibili è per molti cittadini una sfida quasi
impossibile.
Questa è una situazione che riguarda le fasce più disagiate, che avrebbero le caratteristiche per accedere
all’edilizia residenziale pubblica (ERP) a cui le lunghissime e statiche liste d’attesa e le limitate previsioni di
nuovi alloggi non danno alcuna speranza2. Ma la casa è un problema anche per una crescente fascia di ceto
medio, sempre più in difficoltà, che non ha i requisiti per la classica “casa popolare” e che si confronta con
prezzi di mercato ampiamente al di fuori delle proprie possibilità.
C’è poi chi oggi è inquilino in stabili ERP e che, troppo spesso, si trova a vivere in condizioni non adeguate, per
il contesto di degrado urbano, per le carenze manutentive, o per la scadente qualità degli immobili.
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Dati da Osservatorio sull'abitare sociale in Italia (OAST), Rapporto sull'abitare sociale in Italia, novembre 2011 e
Nomisma (2010), il mercato immobiliare in Italia.
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Attualmente ci sono in Italia almeno 650.000 famiglie in attesa di ottenere un alloggio di edilizia residenziale
pubblica. Le nuove realizzazioni di Edilizia Residenziale Pubblica sono ridotte e la mobilità all’interno del sistema delle
case popolari è praticamente inesistente.
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Tutti questi problemi non possono essere ignorati.
Tutte queste persone non devono essere lasciate sole.
Il peso percentuale che le spese per la casa hanno sul reddito familiare è rilevantissimo ed è molto cresciuto
negli ultimi anni. Ad esempio su una famiglia a medio reddito la spesa per l’affitto spesso erode oltre la metà
del reddito familiare.
L’incidenza del canone tende ad aggravarsi sulle fasce che hanno redditi bassi, arrivando ad impattare sul
reddito annuo per un importo che oscilla addirittura tra il 60% e il 80%.
Il mercato immobiliare è rigido e ingessato e perciò inadeguato, soprattutto se si pensa alla flessibilità (anche
territoriale) richiesta nel mercato del lavoro o nei sistemi di formazione.
Le politiche abitative attuate nel nostro Paese hanno gradualmente portato a un aumento della quota di
abitazioni in regime di proprietà e a una corrispondente diminuzione di quelle in affitto (e in affitto sociale).
1961
1971
1981
1991
2001
2008
Proprietà
45,8
50,8
58,9
68
71,4
75
Affitto
46,6
44,2
35,5
25,3
20
18,9
Altro titolo
7,6
5
5,6
6,7
8,6
6,1
Le spese totali per l'abitazione (affitto+spese gesionali oppure rata mutuo+spese gestionali) sono pari al 36,7%
del reddito per le famiglie in affitto e al 28,3% per le famiglie in proprietà.
Nel 2010 le famiglie considerate a rischio sulla spesa totale dell'abitazione sono pari al 45,6% delle famiglie
che stanno pagando il mutuo per la prima casa e al 66,2% delle famiglie in affitto. Le proiezioni al 2011
indicano un peggioramento soprattutto per le famiglie in affitto.
In Italia oggi gli alloggi in affitto sono troppo pochi in rapporto alla domanda e, pertanto, troppo costosi.
A partire dalla fine degli anni ’80, la domanda di casa e in particolare di affitti sostenibili è infatti aumentata
molto (e con essa i canoni di locazione):
1) per l’avvento di nuove tipologie di domanda (accentuate oggi dalla crisi) come quelle dei lavoratori
precari e atipici, dei giovani universitari fuori sede, degli immigrati stranieri, degli anziani soli (1 su 4
vive sotto la soglia di povertà), dei nuclei monoparentali con figli (1 su 3 sotto la soglia), dei padri
separati in difficoltà.
2) per la difficoltà di individuare percorsi più graduali ed economici, di accesso alla prima casa per le
famiglie di nuova costituzione o per i giovani single,rispetto all’acquisto tout court. Per queste
categorie è necessario garantire percorsi abitativi meno rigidi e più graduali del mutuo, come per
esempio l’affitto calmierato o la casa a riscatto.
Tra le famiglie che vivono in case di proprietà ve ne sono 3,3 milioni,(il 13,4% sul totale),che non si può dire
abbiano ancora risolto il loro problema abitativo, poichè stanno pagando un mutuo. Tra gli acquirenti di
immobili che hanno acceso un mutuo è infatti in crescita il rischio di insolvenza, (si è passati dal 18% del 2006
al 25,4% del 2009).
I mutui accesi nel primo semestre 2010 hanno le seguenti caratteristiche:
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



Importo medio: 133.575 euro
Tasso variabile per il 79,6% dei mutui
Durata tra i 30 e i 40 anni per il 27,6% e durata inferiore ai 10 anni per il 10,3%.
Il 32,2% dei mutui ha una copertura superiore al 70% del valore dell’abitazione.
LA LEGGE 431/98
E’ necessario innanzitutto fare una seria e onesta valutazione sui risultati applicativi della legge 431/98 che da
oltre 14 anni governa il mercato della locazione, da tale analisi emergono luci e ombre.
I meccanismi che la legge ha introdotto rimangono, in parte, validi ma alcuni importanti risultati attesi sono
stati ampiamente inferiori alle aspettative. I contratti a canone concordato, che rappresentavano un
importante elemento calmieratore del mercato libero, sono stati in numero limitato a causa
dell’inadeguatezza dei vantaggi fiscali e normativi a favore dei proprietari, (la cedolare secca, così come è stata
introdotta dal governo Berlusconi, non incentiva il canale concordato), nonché a causa delle farraginose e
disomogenee modalità di determinazione degli stessi, attraverso patti territoriali su scala territoriale.
Inoltre ormai da anni si attende il rinnovo tra le parti (Ministero e organizzazioni della proprietà edilizia e dei
conduttori) della convenzione nazionale per la definizione dei criteri utili alla determinazione dei canoni
concordati a livello locale. L'iter, riavviato solo recentemente dal Governo, è più che mai urgente anche alla
luce delle modifiche introdotte al comparto delle locazioni che finiscono per penalizzare, anziché rafforzare, il
canale concordato.
CASE SFITTE
Il paradosso è che a fronte dell’esistenza di questa forte e inevasa domanda ci sono case sfitte che i proprietari
(per lo più piccoli3) preferiscono non mettere sul mercato della locazione. Patrimoni immobiliari che
potrebbero essere immediatamente disponibili (senza altro consumo di suolo) producendo risposte
immediate
Il fenomeno delle case sfitte è un fenomeno in forte crescita soprattutto in alcune aree del Paese. E’ difficile
stimarne il numero. ANCI nel 2010 ne ha stimate 4 milioni (tra sfitte e affittate in nero). Naturalmente una
parte di questo patrimonio immobiliare sarà inutilizzabile, da ristrutturare. Una parte però potrebbe essere
messo sul mercato dell’affitto ma i proprietari, evidentemente, non hanno interesse a farlo.
Le motivazioni che hanno spinto spesso i proprietari a non mettere sul mercato gli appartamenti sono stati la
previsione di aver necessità, anche in un futuro non prossimo, di disporre dell’alloggio ( per i figli, per sé stessi,
per un’eventuale alienazione), una tassazione non abbastanza premiante (in parte superata dall’introduzione
della cedolare secca, almeno per chi ha un reddito medio-alto), le pratiche di rilascio per fine locazione o
morosità troppo complicate e dai tempi troppo lunghi, oppure ancora, nel caso di immobili fatiscenti,
l’indisponibilità, da parte del proprietario, delle risorse necessarie per la ristrutturazione dello stesso.
E’ urgente perciò riflettere sui meccanismi che possono facilitare l’incontro tra domanda e offerta perchè è
necessario dare risposte al problema abitativo in tempi brevi: è evidente che costruire alloggi richiede più
tempo che favorire l’utilizzo di quelli esistenti. Intervenire sul patrimonio immobiliare esistente, inoltre,
risponde alla necessità di limitare il consumo di suolo. In questa logica potrebbe avere un senso normare
possibili convenzionamenti tra comuni e proprietari privati, ove il pubblico concorra nel cofinanziare la
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A Milano e provincia, per esempio, ben il 57% dei proprietari ha un solo immobile oltre al proprio, il 28% ha più
immobili, il 14% sono posseduti da società
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ristrutturazione di immobili fatiscenti, ricevendoli poi, ad esempio, in comodato d’uso ventennale, quale
risorsa per l’emergenza abitativa.
ERP
Contemporaneamente i quartieri di Edilizia Residenziale Pubblica, per molti anni oggetto di interventi di
riqualificazione, oggi rischiano di ritornare ad essere in più di un caso luogo di degrado edilizio e sociale. Gli exIACP sono in difficoltà (nella gestione) anche perché sono progressivamente ma inesorabilmente venuti meno
gli investimenti, perché si sono perseguite politiche di alienazione degli alloggi che hanno aggravato i problemi
gestionali (spesso gli enti si trovano ad essere condomini, spesso in minoranza), e perché sono sottoposti ad
una tassazione irragionevole vista la loro finalità sociale. Il risultato è che essi non riescono a programmare
nuovi interventi edilizi, faticano a manutenere il patrimonio di loro proprietà4, non sono in grado di dare
risposte ad una sempre crescente domanda sociale (circa 650.000).
Se fino agli anni ’70 è stato decisivo il ruolo dello Stato, in particolare attraverso l’edilizia residenziale pubblica,
nel corso degli ultimi 20 anni c’è stata una graduale ma stabile flessione dello stock di case popolari realizzate.
Anche il confronto con molti Paesi europei segna un ritardo molto significativo del nostro Paese, dove la
produzione di nuova edilizia sociale è ai minimi termini.
A oggi è irrealistico pensare che la risposta possa provenire semplicemente da un nuovo piano di edificazione
delle classiche case popolari. Ma non si può pensare di non dare una risposta a ai settori più in difficoltà.
HOUSING SOCIALE
In questi anni ha conquistato il primo piano nel dibattito il tema dell’HOUSING SOCIALE.
L’obiettivo dell’housing è quello di creare le condizioni per aiutare il ceto medio in difficoltà e consentire ai
nuovi ceti emergenti con un livello di reddito discreto ma insufficiente rispetto ai prezzi del libero mercato,
(giovani famiglie, immigrati regolari, giovani liberi professionisti) di raggiungere una propria autonomia.
Per farlo si conta di incrementare il patrimonio immobiliare a uso abitativo a prezzi sostenibili attraverso
l'offerta di alloggi di edilizia residenziale da realizzare con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati,
destinati alle categorie sociali svantaggiate nell'accesso al libero mercato degli alloggi in locazione nell’ottica
di realizzare un mix sociale.
Dal mix tra investimenti pubblici e privati potrebbe arrivare una parte della soluzione agli antichi e gravi
problemi dell’accesso alla casa.
Si tratta da questo punto di vista di reinterpretare il ruolo del pubblico come elemento facilitatore nel
percorso di autonomia abitativa, utilizzando gli strumenti che possono essere messi a disposizione dal mercato
e dai privati a vocazione sociale. In questo quadro un ruolo centrale e decisivo potrà essere giocato dal mondo
cooperativo che rappresenta allo stesso momento un “mezzo” per aprire le porte di una casa a migliaia di
famiglie e un “modo” di concepire la comunità come bene comune.
L’idea di fondo è da condividere: oggi più che mai è necessario il ruolo del pubblico per favorire meccanismi
virtuosi tra pubblico e privato nelle sue varie forme.
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Il canone medio di un alloggio di Edilizia residenziale pubblica è pari a 78 euro al mese. Su di esso insiste una
tassazione pari a circa il 41%. Il canone netto incassato dagli IACP è pari a 46 euro al mese. Inoltre, l’ERP è esclusa dal
recupero dei costi riguardanti gli interventi di manutenzione straordinaria (36%) o di risparmio energetico (55%)
4
Con la partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti è stato lanciato il Sistema Integrato di Fondi Immobiliari
per l’housing sociale. Il meccanismo è interessante anche se fino ad ora il processo è stato assai lento,
farraginoso (tre anni senza nemmeno un mattone posato).
In questo sistema è necessaria la fattiva partecipazione di soggetti pubblici e privati, a partire dagli Enti locali,
dai soggetti imprenditoriali di ogni natura e da soggetti con disponibilità a finanziare iniziative con finalità
sociali come le Fondazioni.
QUALCHE DATO
Chi è in affitto
Nel 2008, 2,4 milioni di famiglie (9,7%) spendevano per l’abitazione oltre il 40% del proprio reddito. Di queste
1,4 milioni sono in affitto. L’affitto è molto più diffuso nelle fasce di reddito più basse. L'affitto è vissuto come
una “non scelta”, una esclusione dal mercato della proprietà. Va segnalato che la proprietà della casa è
un’aspirazione per il 95,2% delle famiglie che vivono in affitto.
Il 63% delle famiglie in affitto ha un contratto “libero”, il 12,7% è a canone sociale (ERP), l’8,4% è a canone
calmierato e il 12,7% è in affitto temporaneo.
Il 69,8% delle famiglie in affitto (3,2 milioni di famiglie) ha un reddito annuo inferiore a 24.000 euro.
In media due terzi del reddito di chi guadagna meno di 10.000 euro se ne va in affitto (solo tre anni fa era pari
al 47%).
Tra il 1977 e il 1983 l’incidenza dell’affitto sul reddito era inferiore al 10%. Nel 2008 essa era pari al 26%.
Oltre il 25% (più di 1,2 milioni) delle famiglie in affitto impegnano in esso più del 30% del proprio reddito.
D’altronde, se nel periodo 1992-2009 le disponibilità familiari sono aumentate del 18%, i canoni di mercato
nelle aree urbane sono aumentati del 105%.
Nel 2010 sono state emesse 65.500 nuove sentenze di sfratto (+ 6,51% rispetto al 2009), di cui 56.150 (+ 10%)
per morosità. Ormai, la morosità copre oltre l’86% delle sentenze di sfratto. Le richieste di esecuzione con la
forza pubblica (che si riferiscono a sentenze già emesse negli anni precedenti) sono state solo nel 2010 ben
110.000.
In Italia solo il 5,3% (1,3 milioni di famiglie) degli individui vive in alloggi di edilizia sociale. Attualmente ci sono
ben 650.000 famiglie in attesa di ottenere un alloggio di edilizia residenziale pubblica. Inoltre, se nel 1984 si
producevano 34.000 alloggi pubblici l’anno nel 2004 se ne sono prodotti 1.900. Discorso simile per l’edilizia
agevolata o convenzionata: si è passati dai 56.000 alloggi l’anno del 1984 agli 11.000 del 2004. Questo trend
accompagnato dalle politiche di dismissione del patrimonio pubblico ha fatto sì che le case popolari
passassero dal milione del 1991 alle circa 900.000 del 2001 fino alle 800.000 del 2007.
Chi compra casa
3,3 milioni di famiglie italiane (il 13,4%) sta pagando un mutuo per l’acquisto della prima casa. Si tratta
principalmente di famiglie di recente costituzione (giovani coppie senza figli 36,6%, coppie con figli minori
24,3%, persone sole con meno di 35 anni 19%). Nel 2009 le famiglie a rischio insolvenza (rate del mutuo
superiore al 30% del reddito famigliare) sono il 25,4% delle famiglie indebitate (pari a 838.000 famiglie), nel
2006 erano il 18%. Nel 2008 il 7,1% delle famiglie indebitate è rimasto in arretrato con il pagamento del
mutuo, nel 2007 erano il 5%. Nel 2009, il 7% delle famiglie con un mutuo (230 mila famiglie) ha il capofamiglia
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con un lavoro precario o in cassa integrazione. Il 9,1% ha rinegoziato il mutuo (300.000 famiglie). Da febbraio a
settembre 2010 le banche hanno sospeso il pagamento del mutuo a 31.000 famiglie a causa della perdita del
lavoro.
Chi non riesce a “farsi” una casa
Nel 2006 il 73% dei giovani tra i 20 e i 30 anni viveva con i genitori, nel 1977 la proporzione era del 54%. Molte
convivenze sono forzate e non frutto di una libera scelta da parte dei giovani. Il fenomeno è in crescita e non
riguarda solo studenti o disoccupati ma anche occupati. Le percentuali più consistenti di questo fenomeno si
registrano nel nord del paese. Nel 2005 erano 4 milioni i giovani tra i 26 e i 35 anni che pur lavorando non
potevano contare su un’abitazione propria. Il 56,7% viveva con i genitori, il 33,9% in affitto e il 9,4% in
coabitazione.
Nel 2009 il 38,1% dei giovani tra i 18 e i 34 anni che vivevano in famiglia dichiaravano che la permanenza nella
famiglia di origine era dettata da motivi economici, il 32,3% stavano ancora studiando, il 29,7% “stavano bene
dove sono”.
Iniziare percorsi abitativi autonomi è l’aspirazione di una parte consistente dei giovani che ad oggi vivono
ancora con i genitori.
COSA (NON) HA FATTO IL GOVERNO DI CENTRO DESTRA IN
QUESTI ANNI
Il centrodestra durante i tre anni di governo Berlusconi, di fronte alle crescenti difficoltà della famiglie, non ha
fatto nulla o peggio ancora si è mosso esclusivamente con azioni di propaganda che si sono rivelate poco
incisive dal punto di vista sostanziale. La situazione è peggiorata.
Non ha messo a disposizione risorse per la realizzazione di nuova edilizia residenziale pubblica o per il
mantenimento di quella esistente. Inoltre ha congelato i 550 milioni già stanziati nel 2007 dal governo Prodi,
sbloccati, ma per un importo notevolmente inferiore, solo nel novembre del 2009.
Ha ridotto, praticamente annullato, il contributo Fondo Sostegno Affitti per coloro che si trovano in difficoltà
nel sostenere i canoni di locazione. Il risultato è che sono aumentati (e aumenteranno sempre di più) gli sfratti
per morosità incolpevole.
Con la manovra di luglio 2011 è stato previsto il taglio la detraibilità del canone di locazione a fini irpef. Allo
stato attuale il rischio che tale misura possa essere applicata rimane. Sarebbe una misura che crea utleriori
difficoltà alle famiglie in affitto.
Ha tagliato a più riprese e in modo drastico le risorse agli Enti Locali e quindi impedito anche a questi di
continuare a fornire una serie di servizi di sostegno all'abitazione, fondi per la locazione, integrazione
contributo affitto, iniziative per l'incontro di domanda e offerta con garanzia pubblica…)
Ha introdotto la cedolare secca in una forma poco efficace: la convenienza è limitata ai grandi proprietari con
redditi elevati e non è previsto alcun contrasto di interesse a vantaggio degli inquilini. La scarsa
differenziazione tra le aliquote fissate per il canale libero (21%) ed il canale concordato (19%) penalizza
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ulteriormente quest'ultima tipologia, riducendo la convenienza alla stipula di contratti di locazione a costo
contenuto.
Per la così detta fascia grigia, il governo ha lanciato, ormai nel 2008, il Fondo per l'housing sociale all'interno
del piano casa. Va evidenziato che esso riguarda solo la cosiddetta fascia grigia e non quella più debole della
popolazione e i risultati, quali saranno, si vedranno solo nel medio lungo termine. L'impressione è che il
Sistema Integrato di Fondi immobiliari per l'housing sociale fatica a concretizzare interventi.
GLI OBIETTIVI
Mettere in campo politiche per la casa capaci di garantire una risposta rapida sia alla forte domanda
sociale che a quella del ceto medio in difficoltà.
Risposte che devono essere sostenibili sia dal punto di vista economico che sociale.
Risposte che consentano ai giovani di emanciparsi e seguire i propri percorsi di studio, professionali e
sentimentali.
Risposte che favoriscano la mobilità sociale e che riducano il più possibile i rischi di esclusione sociale
e ghettizzazione.
Risposte per tutti coloro che oggi alloggiano in case popolari e meritano di abitare in un contesto
sicuro e decoroso.
Risposte che interpretino le esigenze di una società dinamica che richiede flessibilità.
Risposte che sposino anche i principi dell’efficienza energetica e del risparmio economico per gli
inquilini.
Risposte che limitino il più possibile il consumo del suolo.
Per fare questo è necessario:
1. aumentare la quota di case in affitto, a partire da quelle sfitte, recuperando il gap con
l’Europa;
2. abbassare il costo medio degli affitti;
3. far emergere gli immobili locati (completamente o parzialmente) “in nero”;
4. aumentare la quota di abitazioni a canone moderato per dare risposta alla domanda sempre
crescente di affitti a prezzi sostenibili;
5. sviluppare forme graduali di accesso alla casa soprattutto per le giovani coppie, come il patto
di futura vendita.
6. rilanciare un nuovo modello di edilizia residenziale pubblica ed efficientare il patrimonio
esistente.
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LE PROPOSTE DEL PD
Le proposte qui di seguito presentate sono proposte sostenibili dal punto di vista finanziario.
Si tratta sia di azioni a costo zero che di strumenti che possono essere realizzati anche usando il
volano delle risorse regionali ancora disponibili.
Esistono infatti risorse ingenti che avrebbero dovuto essere destinate alle politiche abitative ma che,
per motivi diversi, sono rimasti inutilizzati da parte di alcune Regioni.
La logica che ha generato queste proposte muove anche dalla volontà di lanciare un nuovo patto
tra le generazioni di questo Paese, un patto che agisca anche sulle dimensione abitativa. L’obiettivo
è quello di creare condizioni di vita migliori per le giovani generazioni (un lascito ulteriore e positivo,
oltre al debito pubblico) e risposte ai nuovi bisogni.
Tali risposte si fondano su alcune parole d'ordine:
 Giustizia sociale. Va aiutato chi è veramente in difficoltà, non chi fa il furbo;
 Massimo contenimento del consumo di suolo;
 Finanziamenti solo ai soggetti (Comuni, ex-IACP, Regioni) più virtuosi e che dimostrano di
avere una struttura efficiente.
1) Rivedere l’applicazione dell’IMU.
Il D.L. n. 201/2011 (decreto “Salva Italia”), convertito nella legge 22/12/2011, n. 214, all’art. 13 ha previsto
l’istituzione dell’imposta municipale propria (IMU) ed ha individuato quali soggetti passivi i proprietari degli
immobili, stabilendo un’aliquota base che può variare a seconda della destinazione d’uso. Tale provvedimento
non ha escluso dall’imposta i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che
permanga tale destinazione e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori.
Tale esclusione avrebbe consentito di intervenire in un settore, oggi in forte crisi, come quello delle costruzioni
attraverso una previsione fiscale di favore, anche se limitata a tre anni, e che il benificio fiscale così ottenuto
avrebbe consentito alle imprese di utilizzare risorse finanziarie, oggi destinate al pagamento dell’imposta, per
effettuare nuovi investimenti con ricadute positive sul sistema produttivo. L'ammontare complessivo di tali
possibili investimenti è stato stimato in 28,3 milioni di euro, di cui 8,4 milioni nelle costruzioni e 19,9 milioni
nei settori collegati (Bozza 19 gennaio 2012 – Misure per Decreto Legge – Infrastrutture e Trasporti). Inoltre
non si sono esclusi dall’imposta gli alloggi regolarmente assegnati dai Comuni e dagli ex Istituti autonomi per
le case popolari comunque denominati, e che tale esclusione avrebbe favorito gli investimenti necessari per la
gestione e la manutenzione del patrimonio esistente, nonché gli investimenti futuri per nuova edificazione, La
stima calcolata per le risorse risparmiate avrebbe consentito di realizzare ogni anno circa 2500 nuove unità
abitative ovvero di ristrutturare circa 6000 unità esistenti (Bozza 19 gennaio 2012 – Misure per Decreto Legge
– Infrastrutture e Trasporti). Per questi motivi si ritiene sbagliata la mancata esenzione dall'IMU degli immobili
locati nell’ambito dei programmi di edilizia sociale, realizzati dai Comuni, Imprese, Cooperative ed ex Istituti di
case popolari e concessi in locazione sia a canone sociale che concordato ai sensi della legge 431/98.
Considerato che tale esenzione avrebbe avuto una grande rilevanza sociale, in un momento così particolare
per l’edilizia residenziale si esorta il Governo a riconsiderare tale decisione o almeno a prevedere misure che
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permettano ai Comuni, anch’essi in gravi difficoltà economiche, nello stabilire le aliquote IMU per gli immobili
sopra citati, di fissare l’aliquota nella misura minima consentita dalla legge.
2) Far emergere il “nero”. Mettere sul mercato gli sfitti. Promuovere il “concordato”.
Cedolare secca al 19% e al 21%? Così il canale concordato muore.
Il decreto attuativo sul federalismo municipale ha introdotto la misura della cedolare secca, ovvero la
possibilità per i proprietari degli immobili affittati di pagare le tasse sui canoni con aliquota fissa, più
conveniente, anziché sommarli agli altri redditi assoggettati ad imposta.
E’ una proposta condivisibile nelle sue finalità perché, unitamente ad altri provvedimenti penalizzanti proposti,
può indurre l’emersione dal nero e perché, incrementando la convenienza economica per i proprietari a locare
il proprio alloggio, si può ottenere l’effetto di immettere sul mercato una parte degli alloggi oggi sfitti
(sostenendo così il gettito e contribuendo a bilanciare - almeno in parte - i minori introiti).
Il problema è che questa misura, così come è stata confezionata dal precedente Governo e alla luce dei primi
parziali ma significativi dati sulla sua sperimentazione, ha di fatto annullato quasi completamente i vantaggi
per chi mette in affitto appartamenti a canone concordato rispetto al libero mercato. La differenza di aliquota
del 2% non è sufficiente a spingere verso questa scelta, quando sono soprattutto gli affitti a basso costo quelli
che servono. Ha inoltre beneficiato soprattutto i multiproprietari a reddito elevato, non ha previsto nessun
contrasto di interesse a vantaggio degli inquilini e non ha comportato l'attesa regolarizzazione di rapporti di
affitto non dichiarati.
Per rilanciare il canale concordato occorre agire, oltre che sulla cedolare secca, anche su altri fronti: occorre
semplificare e ricondurre a criteri oggettivi le modalità di determinazione dei canoni concordati ed occorre
inoltre introdurre incentivi che, sul piano fiscale e normativo, compensino il differenziale economico
esistente tra un canone a mercato libero ed un canone concordato.
Ciò significa procedere celermente al rinnovo della convenzione nazionale per la definizione dei canoni da
utilizzare nella stipula degli accordi locali (legge 431/98) e, ad esempio, rivedere l'applicazione dell'IMU
sperimentale almeno sugli immobili locati a canale concordato, prevedendo ex lege l'applicazione
dell'aliquota ridotta del 4 per mille, come per l'abitazione principale.
Occorre poi rifinanziare il FONDO NAZIONALE PER IL SOSTEGNO ALLA LOCAZIONE previsto dalla legge 431/98,
limitandolo alle famiglie con un’elevata incidenza del canone sul reddito, magari utilizzando una parte del
gettito dell'IMU.
Proponiamo perciò che, senza introdurre ulteriori aliquote differenziate, per il Canone Concordato si
preveda:
 che la cedolare secca del 19% sia applicata sul 50% dell’imponibile;
 di aumentare (o almeno non diminuire) la deducibilità dell'affitto;
 che si possa applicare su tutto il territorio nazionale e non solo nei Comuni ad alta tensione
abitativa;
 rapido rinnovo della convenzione nazionale sul canone condordato;
 che vengano verificati i risultati in termini di “emersione dal nero” del provvedimento e i
proventi vengano destinati, da parte dei comuni (capoluogo), per costruire politiche per
l’abitare sostenibile (ad esempio, istituendo e finanziando agenzie comunali per la casa);
 Una IMU agevolata per chi affitta a canone concordato.
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3) Agenzie comunali e agenzia nazionale per la locazione
Il rilancio del canale concordato dovrà avvenire anche attraverso la messa a sistema delle esperienze delle
agenzie comunali per la locazione. Esse svolgono un efficace ruolo nel favorire l’incontro tra domanda ed
offerta sul mercato privato della locazione, attraverso incentivi e garanzie ai proprietari e contributi agli
inquilini. La costituzione delle stesse, dovrebbe essere resa obbligatoria per i comuni ad alta tensione
abitativa. Sul funzionamento di tali agenzie le regioni dovrebbero svolgere un ruolo di coordinamento e di
supporto.
Dovrebbe inoltre essere costituita una AGENZIA NAZIONALE PER LA LOCAZIONE, le cui competenze
potrebbero semplicemente ed agevolmente fare capo ad una specifica sezione dell’AGENZIA DEL TERRITORIO.
All’AGENZIA NAZIONALE PER LA LOCAZIONE dovrebbero essere attribuite le seguenti competenze:
1) Fissare ed aggiornare periodicamente i parametri per la determinazione dei canoni concordati. In tal
senso l’OSSERVATORIO IMMOBILIARE dell’AGENZIA DEL TERRITORIO, che riporta e costantemente
aggiorna i valori immobiliari e locativi dei comuni italiani,disaggregati per microzone, costituirebbe un
efficace strumento per rendere facilmente applicabili criteri univoci ed oggettivi, anche come
supporto agli attuali patti territoriali comunali, contrattati tra organizzazioni della proprietà e
dell’inquilinato, (in molte località non sono stati sottoscritti o, comunque, non sono stati aggiornati).
2) Gestire un costituendo FONDO NAZIONALE DI GARANZIA a favore dei proprietari che stipulino
contratti concordati. Uno strumento fondamentale di cui , in questi anni, si sono dotate le agenzie
comunali per la locazione, è costituito da un’assicurazione contro il rischio morosità, fornita al
proprietario che stipuli un contratto concordato a favore di un inquilino con un reddito inferiore a
determinati limiti. Di tale misura, ove applicata, si sono ad oggi interamente fatti carico i comuni,
ciascuno con proprie modalità applicative ma con la costante che tale assicurazione , a fronte di un
contratto convenzionato con canone calmierato, copre il proprietario dal rischio morosità con
l’eventuale rimborso del credito indicato nella sentenza esecutiva di sfratto, sino ad una determinata
concorrenza massima. E’ quanto mai opportuno che questa assicurazione, fondamentale insieme agli
sgravi fiscali per incentivare l’applicazione di canoni calmierati, venga normata e finanziata a livello
nazionale, attraverso la costituzione di un FONDO NAZIONALE DI GARANZIA.
4) Dare concretezza e diffondere gli interventi di Housing sociale
E’ necessario che tutto il dibattito che si è sviluppato in questi anni attorno all’housing sociale si trasformi al
più presto in iniziative concrete per aiutare chi oggi è in difficoltà, a partire dal ceto medio.
Iniziative in cui diventino finalmente realtà su larga scala il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, il mix
sociale, quello tra operatori di mercato e di privati a vocazione sociale.
Al pubblico non si chiede in questo caso di fare l’investitore diretto, ma di creare le condizioni migliori per
attrarre gli investitori salvaguardando gli obiettivi collettivi dei progetti e intervenendo attivamente per la
disponibilità delle aree. Le proposte:
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Le Regioni istituiscano fondi di garanzia per la morosità per i progetti di housing sociale.
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Ridimensionamento del tasso di interesse atteso da CDP nel sistema integrato di fondi
immobiliari per l’housing sociale.
Utilizzare le abitazioni realizzate per il mercato privato ma rimaste invendute, a causa del
periodo di crisi, da acquisire a prezzi convenienti e in linea con quelli dell’Housing sociale
costruito ex novo.
Presidiare gli esiti sociali di questi interventi: “quanto sociale è l’housing sociale?” Magari
individuando una quota di alloggi da destinare a finalità strettamente sociali (come
nell’esperienza del Comune di Firenze).
Il tema della gestione delle abitazioni di housing sociale è determinante per il pieno
raggiungimento del risultato, che si misura nell’arco degli anni e dei decenni. Su questo
aspetto è determinante il pieno coinvolgimento del mondo del Mondo Cooperativo, e cioè
di chi ha dimostrato sul campo di avere le migliori caratteristiche e ormai una lunga e testata
esperienza.
5) Migliorare e rafforzare il sistema di Edilizia Residenziale Pubblica
Il disagio abitativo grave non può restare senza risposte. Tutti coloro che oggi alloggiano in case popolari
meritano di abitare in un contesto degno e decoroso. Per fare ciò si deve migliorare il funzionamento del
sistema di Edilizia Residenziale Pubblica:
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Utilizzare l’IRES versata dagli IACP per finanziare nuovi interventi di edilizia sociale;
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Avvicinare la tassazione che grava sui canoni riscossi dagli IACP a quella che grava sui
Comuni, garantendo che le risorse aggiuntive per gli IACP vengano utilizzate per la
manutenzione del proprio patrimonio;
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Prevedere un'IMU agevolata per l'ERP;
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Estendere le agevolazioni sui lavori di risparmio energetico e ristrutturazione edilizie anche
agli interventi sul patrimonio degli ex-IACP e sul patrimonio del mondo cooperativo a
proprietà indivisa. La riqualificazione energetica degli alloggi può diventare la leva che
permette di ridurre le risorse pubbliche necessarie per riqualificare i quartieri 5.
6) Federalismo demaniale e militare. Case per chi ne ha bisogno.
Uno dei decreti attuativi è attinente al federalismo demaniale, ossia la cessione di diversi immobili del
Demanio ai Comuni.
La proposta è semplice: prevedere, per i comuni che hanno una tensione abitativa acuta, che una
quota degli immobili venga utilizzata per dare una risposta a chi ne ha bisogno.
I beni del “demanio militare” in dismissione non devono essere alienati solo per fare cassa. Una parte di quel
patrimonio dovrebbe essere invece trasferito ai Comuni con vincolo alla realizzazione di una quota significativa
di edilizia che allenti la forte pressione di domanda abitativa.
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Una sperimentazione significativa si è svolta a Biella. Il risparmio energetico impatta da subito sul bilancio
familiare degli inquilini. Per questo motivo è possibile chiedere loro di contribuire economicamente, con una
maggiorazione del canone, alle opere di risparmio energetico generando comunque un risparmio per le famiglie.
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7) Abitare low cost. Un pacchetto di misure per i giovani.
Per favorire l’autonomia abitativa dei giovani (studenti e non) che lo desiderano:
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voucher da spendere per prendere in affitto un alloggio o una stanza a canone concordato;
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tassazione agevolata per gli operatori che promuovono interventi di affitto a riscatto per
giovani coppie;
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misure che sostengano i giovani che, responsabilmente, avviano percorsi di risparmio casa.
8) I nuovi bisogni d’abitare degli anziani
L’allungamento della speranza di vita media fa si che emergano bisogni nuovi legati alla qualità dell’abitare per
queste categorie di persone. Le proposte:
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portierato sociale per anziani autosufficienti ma comunque bisognosi. Il portiere (sociale) di
quartiere;
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incentivi per la realizzazione di servizi e alloggi protetti dedicati ad anziani autosufficienti.
9) Incentivare la riqualificazione (anche energetica) del patrimonio edilizio esistente.
Il tema della riqualificazione (anche energetica) del patrimonio esistente è una delle direttrici
strategiche per lo sviluppo delle attività della filiera edilizia nei prossimi anni. L’elevato consumo di
suolo, così come le difficoltà nell’intraprendere nuove costruzioni impongono una seria riflessione sul
futuro dell’intero settore. La riqualificazione del patrimonio ed in particolare la riqualificazione
energetica dello stesso, sono due temi strategici non solo per le imprese e per lo sviluppo ma anche
per tutta la collettività. Per questo sono attività che vanno incentivate.
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Rendere certe e stabili le detrazioni del 55% per gli interventi di riqualificazione energetica
del patrimonio residenziale e le detrazioni del 36% per le ristrutturazione edilizie,
estendendole anche al patrimonio dell’edilizia pubblica e cooperativa;
10) Le buone pratiche
Faremo conoscere, promuovere e diffondere le buone pratiche ideate, sperimentate e utilizzate in molti Enti
Locali, una risorsa straordinaria di intelligenze e di passione civica. Alcuni esempi sono quelli del Comune di
Torino, con il progetto LoCaRe, e di Firenze con l’Agenzia per la casa, innovative sperimentazioni che hanno
saputo creare le condizioni per fare decollare il canale concordato. Nel campo strategico dell’housing sociale è
molto interessante l’esperienza che il Comune di Venezia ha messo in campo in interventi che si
caratterizzano per un coinvolgimento di capitali pubblici e privati, un intelligente mix sociale e un'avanzata
sostenibilità ambientale. Va anche segnalato il bando del Comune di Milano che ha messo a gara 8 aree di
proprietà pubblica per la realizzazione di interventi di housing sociale. In questo caso il meccanismo usato è
stato condivisibile ma alcuni degli esiti (soprattutto relativi ai tempi di realizzazione) vanno sicuramente
migliorati.
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