dott. Francesco Saverio Lopinto IL CAVALLO

Transcript

dott. Francesco Saverio Lopinto IL CAVALLO
Moderatore: dott. Francesco Saverio Lopinto
IL CAVALLO (apoteosi, declino …)
Mercoledì 30 settembre 2009
Interventi
1. Giuseppe CAPPELLI
Comitato Tecnico dell‟Associazione Regionale del Cavallo Murgese, Noci
“ L‟Allevamento del cavallo Murgese: Realtà attuale prospettive future”.
2. Prof. CARLO COSENTINO
Professore di zootecnica Università degli Studi della Basilicata. Dipartimento
produzioni animali
“Conservazione, salvaguardia e valorizzazione della specie asinina”
3. ON. FRANCESCO BIAVA (3/10/65)
Componente XIII Commissione (Agricoltura)
4. ON. Avv. ANTONIO BUONFIGLIO (2/11/68)
Sottosegretario di Stato alle Politiche Agricole e Forestali
5. ON. Avv. VINCENZO VITI (27/3/41)
Assessore regionale Basilicata all‟Agricoltura, Sviluppo Rurale ed Economia Montana
Perché questo convegno?
Abbiamo individuato nelle cavalcature dei Briganti - che fossero cavalli, asini o muli
- un argomento importante del quale parlare e discutere …. Parleremo dell‟APOTEOSI, del
DECLINO, ma vogliamo parlare soprattutto di quei puntini di sospensione, e quindi del
futuro dei nostri allevamenti, dei nostri maneggi o dei nostri ippodromi!
Il CAVALLO: l’unico essere cui i latini resero omaggio.
EQUUS … lo chiamarono,
vale a dire il giusto, l’armonico per antonomasia.
Nel febbraio del 1861, con la capitolazione di Gaeta, il Regno delle Due Sicilie, cessa
definitivamente di esistere. Il destino delle popolazioni locali e dei contadini, a Napoli come
nei centri minori, appare segnato: rassegnarsi o ribellarsi. Contadini senza terra e soldati
senza esercito (per molti infatti, l‟arruolamento nelle truppe borboniche, rappresentava
l‟unica fonte di reddito), null‟altro possono fare che darsi alla macchia.
Nascono così le bande dei briganti che ben conoscono i monti, i boschi e le murge che
presidiano sia a piedi che in sella ai loro cavalli. L‟intento dei briganti, è quello di liberare il
loro territorio e sconfiggere l‟esercito straniero, quello piemontese che, non conoscendo il
territorio, lo percorre a casaccio, cadendo in imboscate messe in atto da un nemico
invisibile: IL BRIGANTE.
In questo periodo storico, è proprio la cavalleria dei Piemontesi che sperimenta, suo
malgrado, la qualità delle cavalcature dei Briganti.
Mauro Aurigi ricorda come nel 1864 i Savoia avevano addirittura istituito una
commissione parlamentare d‟inchiesta per indagare sui motivi per cui l‟esercito
piemontese, uno dei più efficienti d‟Europa, si era dimostrato incapace di domare quello
che, un po‟ ipocritamente, era stato chiamato e ancora si chiama brigantaggio
meridionale: in 5-6 anni, 5.000 furono i briganti uccisi, mentre le perdite dell‟esercito
piemontese, che raggiunse i 160.000 effettivi, non sono mai state rese note (si parla
comunque, di un numero di morti superiore a quello delle tre guerre d‟indipendenza messe
insieme). Comunque fu davanti a quella commissione che il colonnello Chevilly dichiarò:
“la cavalleria piemontese risultava inutilizzabile nei boschi, sui monti e in generale su tutti i
terreni fortemente accidentati dove ugualmente i briganti avventuravano le loro
cavalcature”. E‟ chiaro che si riferisse soprattutto ai nostri monti e boschi lucani e alla
murgia pugliese dove le bande di briganti, a differenza delle altre regioni, erano tutte
montate. In particolare, in queste zone, operò un brigante, il più agguerrito e famoso,
l‟unico rimasto imbattuto, Carmine Donatelli detto Crocco, nato a Rionero in Vulture. La
sua banda arrivò ad arruolare anche 3.000 uomini, tutti armati e tutti montati. “Uomini
discretamente coraggiosi, montati su eccellenti cavalli”, è la frase detta da Gaetano Negri,
testimone al disopra di ogni sospetto, nobile milanese, ex garibaldino ed ufficiale della
cavalleria piemontese, del quale era nota la puzza sotto il naso che aveva nei confronti di
quei cafoni, (così definiva i contadini meridionali), durante la repressione del brigantaggio,
parlando di Crocco e della sua banda.
I Savoia, con il loro complesso di inferiorità nei confronti delle maggiori case
regnanti d‟Europa, mi riferisco a quella inglese, austriaca o prussiana, determinarono la
scomparsa di tutte le razze equine italiane. Le razze inglesi o il celeberrimo Lipizzano,
hanno nel loro corredo cromosomico, geni derivanti dai cavalli italiani, soprattutto quelli
meridionali. Basta ciò a far comprendere sia la qualità delle nostre razze equine preunitarie e sia il livello culturale di quella casa regnante.
Che succede nell’ippica e nell’equitazione OGGI?
L‟ippica italiana ha perso negli ultimi anni il 94% degli spettatori negli ippodromi e il
33% dei volumi di gioco. L‟ippica italiana non è stata in grado di produrre spettacoli
sportivi in linea con le aspettative dei suoi “clienti finali”: appassionati e scommettitori.
Ciò ha determinato: 1 – il crollo numerico e dimensionale dei proprietari amatoriali;
2 – il crollo nei confronti di investitori, sponsor, operatori mediatici, organizzatori di eventi,
ecc. ecc.!
E tutto questo ha un effetto a catena su tutto il settore, a partire dagli allevatori che
hanno riempito le loro scuderie poiché non vendono più i loro puledri e non incassano più i
premi delle precedenti produzioni.
Cosa fare per fare uscire l‟ippica italiana dalla situazione critica in cui si trova?
L‟Ippica dovrebbe essere in grado di: 1 – attualizzare e rendere emozionante lo
spettacolo ippico; 2 – applicare rigorosamente le sanzioni per le irregolarità delle corse; 3
– diffondere tra gli operatori la cultura della legalità; 4 – poter contare di un portafoglio di
scommesse più remunerative, sia sul piano economico che emozionale.
Contemporaneamente è indispensabile far acquisire nuovamente un riconoscimento
sociale positivo per i proprietari e gli altri operatori ippici e per promuovere i valori
dell‟ippica: sportivi, sociali, culturali, ambientali, naturalistici, rendendoli in linea con i
tempi soprattutto agli occhi dei giovani.
Il SALTO OSTACOLI in quale condizioni è oggi?
Quando nell‟800 cambiarono le condizioni del combattimento e della battaglia a
seguito dell'invenzione della polvere da sparo e delle armi a ripetizione e a tiro rapido,
scomparse le armature, l'ordine chiuso, il reparto di cavalleria che fa massa e serve per
sfondare e travolgere, furono la velocità e la maneggevolezza che presero il sopravvento.
I cavalieri con i loro cavalli devono percorrere la campagna velocemente, superare
agevolmente le asperità del terreno, riunirsi in frotta e separarsi rapidamente per sfuggire
all'osservazione nemica e per sottrarsi al fuoco nemico. Le regole dell'equitazione di
scuola, che vogliono soprattutto il cavallo riunito e in un equilibrio sulle anche, non
servono più. L'equitazione istintiva, prerogativa un tempo dei popoli nomadi, definiti
barbari, dimostra tutta la sua efficacia nei confronti di una equitazione fatta di rigide
regole e di formalismi. Un giovane ufficiale di cavalleria, il primo al mondo, riesce, in circa
vent'anni di attività, a notare con un acuto spirito di osservazione il grande contrasto
esistente tra la teoria dei maestri e la pratica dell'equitazione in campagna, all'aperto, in
grandi spazi, dove il cavallo è tenuto a produrre il massimo sforzo. Riesce ad adeguare
l'insegnamento alla pratica quotidiana sul terreno. Inizia una battaglia, nel rispetto della
disciplina militare e della gerarchia, con l'autorità che vede di malocchio ogni innovazione
che arrivi dal basso. Riesce a dimostrare l'efficacia delle sue idee e realizza il miracolo,
questo il segreto del suo successo, di far accettare e regolamentare per tutto un esercito
la sua innovazione. Quando Caprilli nasce, l'Italia è unificata nel Regno d'Italia da sette
anni soltanto. Torino è la capitale del Regno. La capitale verrà spostata prima a Firenze,
poi definitivamente a Roma nel 1870, quando finirà il potere temporale della Chiesa.
Aver ridotto all'essenziale il ruolo del cavaliere, che deve limitarsi a dirigere le forze
del cavallo, senza intervenire direttamente sulla loro natura e sulla loro entità, dà la
massima autonomia all'istinto del cavallo e lo sollecita al massimo grado. Il cavaliere deve
affidarsi all'istinto del cavallo, facendo il possibile per responsabilizzarlo.
E‟ così che nasce il “Sistema Naturale di Equitazione” tutt‟ora utilizzato, anche se
molto modificato e migliorato in molte sue parti.
Molti lustri sono passati da quando i fratelli D‟Inzeo, che tutti noi ricordiamo,
padroneggiavano nei concorsi ippici internazionali.
E‟ difficilmente ipotizzabile che un cavallo di origini italiane possa oggi competere a
livello internazionale nel salto ostacoli, e quindi si utilizzano solo cavalli esteri. Ma questa
non deve essere una giustificazione: la realtà è che evidentemente non è stata fatta una
buona selezione fino ad oggi; ma dovete sapere che non è stato sempre così: poco più di
un secolo fa, erano i nostri stalloni ad essere utilizzati per rinsanguare cavalli esteri. Dov‟è
finito questo patrimonio genetico? E l‟attuale definizione di Cavallo da sella Italiano, (che
non è altro che il cavallo estero nato in Italia) potrà risolvere questa situazione?
Per quanto riguarda lo sviluppo del turismo equestre, grandi passi ci aspettano
per il futuro, perché lo sviluppo rurale legato al turismo, rappresenterà per il domani, un
modo sempre più aperto per accogliere turisti che vogliono cimentarsi nell'equitazione di
campagna.
(Il mercato del TE e il suo sviluppo)
In Italia il mercato del Turismo Equestre è in forte crescita, grazie anche al fatto
che le Istituzioni e gli enti pubblici ne hanno capito il valore aggiunto rispetto alle varie
forme di Turismo rurale.
La sempre maggiore richiesta di Turismo rurale riversa nel territorio grandi risorse:
oggi "Turismo rurale" è la parole chiave per "crescere".
Un pubblico sempre più desideroso di immergersi nelle realtà locali cerca
"esperienze vere" che possano regalare ricordi autentici e unici. Ma dobbiamo dire che
anche in questo campo, l‟americanismo sfrenato ci sta assediando.
Quando parliamo di EQUITAZIONE DA LAVORO, non parliamo esclusivamente dei
“cow boy”: mica solo loro lavoravano a cavallo!!!
Miglioramento. E‟ così che viene definita l‟operazione dei selezionatori di fine „800. I
pochi stalloni italiani ancora approvati per la monta, non venivano più chiamati con il loro
nome di razza, ma semplicemente indigeni. Tale “miglioramento” ha portato alla
scomparsa di tutte le razze italiane, e all‟impoverimento del loro patrimonio genetico.
Solo alcuni dati riferiti ai giorni nostri: la differenza tra i capi esportati e quelli
importati, è a favore dei secondi. Cioè, noi sottraiamo agli allevatori italiani, circa
cinquanta milioni di euro all‟anno per l‟importazione di cavalli esteri. Dai dati citati, risulta
che la maggior parte di questi cavalli importati, sono da carne; ma questo è ininfluente,
visto che la maggior parte dei cavalli importati da macello, diventano cavalli da sella; e di
ciò abbiamo la prova, quando entriamo nei maneggi o negli agri-turismo che fanno
equitazione: troviamo tutti cavalli americani o dell‟est Europa. Speriamo che l‟ultima legge
sull‟anagrafe equina, nonostante le sue pecche, sani definitivamente questa incresciosa
situazione, e non permetta più che cavalli di scarto di altre nazioni, diventino cavalli da
sella o addirittura da riproduzione, nella nostra patria.
Una proposta che faccio per incentivare l‟allevamento dei cavalli italiani: dare
incentivi con fondi comunitari o regionali, solo a coloro che utilizzano i cavalli per diporto o
turismo equestre, ed esclusivamente per l‟acquisto di cavalli certificati italiani.
I Savoia, una volta sconfitti i briganti, forse a ragion di punizione nei confronti dei
meridionali, declassarono il cavallo usato dai briganti, a cavallo da tiro e da carne, dunque,
cavallo senza valore, almeno per il mercato della sella ma, come vedremo, si tratta invece
di un cavallo di gran pregio, certamente tra i massimi mondiali almeno per quanto
riguarda il diporto.
Ma qual‟era il cavallo usato da Crocco e dai suoi briganti? Forte, animoso, destro,
capace di amicizia, dal mantello nero corvino, era il Cavallo Murgese. Di tutte le
straordinarie razze italiane, è l‟unica giunta sino a noi in purezza. Cavallo già nobile, in
quanto in antico allevato esclusivamente dall‟aristocrazia – sicuramente da grandi
feudatari come gli Acquaviva conti di Conversano e i Caracciolo duchi di Martina Franca e
prima ancora sicuramente da Federico II di Svevia, forse iniziatore della razza con i suoi
allevamenti di Capitanata (FG) e di Palazzo San Gervasio (PZ), come ci racconta Giordano
Ruffo, responsabile per l‟allevamento dei cavalli per la casa imperiale sveva nel suo
trattato sulla mascalcia. (Molto probabilmente la stessa cavalcatura di Federico II era un
murgese poiché quella da lui più amata era Draco, uno stallone morello).
A proposito del mantello, esiste una testimonianza ufficiale trecentesca della
presenza anche allora dominante di cavalli morelli. Si tratta del testamento della vedova di
Sparano da Bari: due terzi dei suoi 30 cavalli ad Altamura hanno pilum maurellum.
Appartiene alla Famiglia Equidi - Genere Equus - Specie asinus domesticus
È l'asino
Secondo un antichissimo mito connesso al culto di Dionisio, brucando voracemente i
pampini ha insegnato la potatura della vite agli uomini.
E‟ animale sacro e Priapo e al dio del vino, ha una dentatura che ha il modello
naturale della roncola ricurva, strumento per sfoltire e tagliare le foglie dopo la fioritura
per incrementare la formazione delle gemme. (Marcel Detienne).
E' noto come l'asino sia stato oggetto di culto o mezzo di sacrificio nell'antichità
classica dell'oriente ed africana. Un largo posto l'asino occupa anche nel folklore, nell'arte
e nella letteratura di molti paesi europei ed extraeuropei. L'adorazione dell'asino da parte
degli Ebrei nel deserto ed altre manifestazioni d'incerto significato, a Roma antica, nel
tempo cristiano, hanno dato vita ad una letteratura frammentaria e discorde sull'onolatria.
Già a Cartagine l'asino era usato in forma caricaturale. La considerazione spregiativa ed
offensiva è generalmente entrata nell'uso di quasi tutti i paesi, particolarmente quelli
europei.
Ma l‟Asino, residuato di un'agricoltura d'altri tempi ed incarnazione di vizi e valori
della cultura contadina (umiltà, testardaggine, generosità, infaticabilità, allegria, lentezza,
astuzia,
ignoranza,
docilità,
comprensione,
perseveranza,
frugalità
…)
sembra
riconquistare, pian piano com'è sua natura, utilità anche nella società moderna.
Nel nuovo millennio, infatti, l'orecchiuto animale è già salito più volte agli onori della
cronaca, grazie alla sua spiccata multifunzionalità e complice … la sua indubbia capacità di
suscitare
simpatia
negli
uomini
di
ogni
età,
estrazione
e
provenienza.
Rimanendo in ambito agricolo, nel 2003 la Provincia di Treviso fu tra le amministrazioni
pioniere dell'uso dell'asino come tosaerba naturale; scendendo molto più a sud, ed
arrivando in Sicilia, nel 2007 un'altra amministrazione pubblica ha utilizzato efficacemente
il quieto animale, ma in ambito urbano: ovvero impiegandolo nella raccolta differenziata
nelle strette vie del paese, non accessibili ai moderni mezzi meccanici.
L'asino si presta anche a scopi ricreativi (trekking someggiato) e salutistici (uso del
latte d'asina nella prima infanzia ed in cosmesi, attività di pet therapy o Onoterapia).
Da sempre affiancato alla cultura, come incarnazione dell'ignoranza, l'asino ha avuto
anche in questo campo la sua rivincita, grazie all'idea di alcuni appassionati di “veicolare”,
in ogni senso, la cultura … a dorso d'asino.
Come il popolo è l'asino: utile, paziente e bastonato. (Francesco Domenico
Guerrazzi)
Può ben dire la sua un leone, quando a dir la loro ci sono tanti asini in giro.
(William Shakespeare)
Bastonate un Ciuccio quanto volete, non vi darà mai alcun segno di
risentimento; (….); perché conosce l'Asino meglio di noi per quale strada
deve camminare, e sa che non bisogna lasciar mai il certo, per tentar
l'incerto. Gode del presente, e del futuro spera.
'E ciucce s'appiccecano e 'e varile se scassano.
Gli asini litigano ed il barili si rompono.
Lloco te voglio! Ciuccio 'nfaccia a 'sta sagliuta.
Qui casca l'asino.
Chi molto parla e poco intende, per asino si vende.
Fare del cavallo MURGESE il Cavallo nazionale italiano
Eppure il Cavallo della Murgia, proprio perché unica razza italiana sopravvissuta in
purezza, merita di essere elevato alla dignità di Cavallo Nazionale Italiano. Lo ha fatto il
governo spagnolo col Cavallo dell‟Andalusia, che ha certamente origini rinascimentali, che
oggi si chiama ufficialmente Cavallo di Pura Razza Spagnola e che, sostenuto anche da
una forte azione promozionale, si è conquistato un importante mercato internazionale (è
tra i cavalli da diporto più importati in Italia) diventando uno dei cavalli più famosi del
mondo.
Ma più o meno la stessa cosa è avvenuta in tutti i Paesi dove forte è il senso
nazionale: in Francia come in Spagna, in Inghilterra, negli USA, in Portogallo, in Brasile, in
Argentina, in Irlanda, in Germania ecc.
In Spagna o negli USA, come negli altri paesi, i corpi armati montati cavalcano
esclusivamente il cavallo nazionale, menandone gran vanto. In Italia invece succede, udite
udite, che i Granatieri vadano fieri dei loro irlandesi, la Polizia dei polacchi, i Carabinieri dei
portoghesi (montano anche i lipizzani, cavalli austriaci finiti in Italia per il trattato di pace
dell‟ultima guerra). Unica e modesta eccezione sono le Guardie Forestali che in qualche
caso usano i murgesi. E non c‟è paese al mondo dove il turismo equestre si faccia con
cavalli di altri paesi, tranne in Italia dove si fa esattamente l‟opposto, montando solo
cavalli di tutte le origini, tranne che italiani.
Non bisogna spendere troppe parole per spiegare cosa ciò comporterebbe: l‟uso
ufficiale del murgese da parte dei nostri corpi montati provocherebbe un eccezionale
rilancio della sua immagine non solo nazionale (si pensi ad un intero squadrone di
carabinieri in alta uniforme su stalloni morelli) con immediate ripercussioni sul mercato. E
un mercato vivace è la sola speranza di sopravvivenza per qualsiasi produzione, senza
contare cosa comporterebbe un allargamento della base produttiva in termini di ripresa
della selezione sia di modello che funzionale.
Sembrerebbe, e in effetti è, un‟impresa di facile realizzazione. Succede però che
Istituti di incremento ippico, l‟IRIIP nella sua prestigiosa sede di Foggia (anche se oggi
ridotta nella sua estensione e declassata dalla miopia di alcuni) o l‟Istituto Incremento
Ippico della Campania di S. Maria Capua Vetere, hanno ridotto, e di molto, la presenza di
prestigiosi stalloni (a Foggia del Murgese e a S. Maria Capua Vetere, del Salernitano e del
Persano). Le rispettive Regioni non sembrano rendersi conto che l‟esistenza di una
specialissima razza di cavalli non può che portare prestigio e visibilità alla cultura e al
colore locali. Si pensi ai bianchi cavalli di Vienna, a quelli del west, agli arabi, agli andalusi.
Si pensi che da noi, invece di valorizzare le nostre pregiatissime razze tipiche autoctone, si
è fatto e si fa il possibile per eliminarle.
Se quel progetto non viene bloccato Foggia subirà un danno irreversibile sul piano
urbanistico (cosa di cui Foggia non aveva assolutamente bisogno: chi conosce le
caratteristiche architettoniche e urbanistiche dell‟IRIIP sa di cosa parlo), ma ancor peggio
sarà il danno inferto alla razza. E‟ il cuore stesso del patrimonio genetico del Cavallo della
Murgia che viene emarginato, quei cinquanta stalloni murgesi dell‟IRIIP che rappresentano
il vertice della selezione e che sono autorizzati a fecondare le circa mille fattrici in razza e
dai quali dovrebbe discendere (il condizionale è ormai d‟obbligo) tutta la futura progenie.
Anche se non ci fossero contraccolpi sul piano tecnico (ma ci saranno: non esistono altri
siti in Puglia adatti ad accoglierli decentemente, perché 50 stalloni hanno esigenze che
possono essere soddisfatte solo in un ambiente che abbia il fascino, le superfici e le
attrezzature che ci sono solo a Foggia), ce ne saranno sicuramente in termini d‟immagine.
E l‟immagine è tutto soprattutto per un prodotto come il cavallo: senza immagine non si
ha mercato e senza mercato non rimane che una destinazione, il macello. Oppure
l‟estinzione, ma non vedo la differenza. E così la Puglia, e con essa il Paese, rischia di
perdere un patrimonio unico nella sua specie che non è solo materiale ma anche e
soprattutto culturale.