Vantaggi e strategie per l`integrazione transfrontaliera italo

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Vantaggi e strategie per l`integrazione transfrontaliera italo
Vantaggi e strategie per l’integrazione transfrontaliera italo-francese
di Valentino Piana (Direttore dell’Economics Web Institute)1
Presentazione
Come rappresentare l’Italia in una fase di crisi globale, di difficoltà istituzionale e di dilemmi aperti
sulle strategie di integrazione e di sviluppo dell’Europa? L’Italia deve ritornare sulla scena europea,
profondamente modificata dalle crisi dei debiti sovrani, incluso il nostro, offrendo il meglio di sé,
per contribuire ad una costruzione sempre più stringente dell’unione continentale che sia il portato
dell’esperienza e non solo una imposizione ideologica. Il caso, qui discusso in particolare,
dell’integrazione transfrontaliera italo-francese permette di articolare una prospettiva di sviluppo
sostenibile, orientato alla qualità più che alla quantità, inclusivo sul piano territoriale,
imprenditoriale ed occupazionale. Si valutano tre opzioni di strategie tese a cogliere tali
opportunità: un grande Piano strategico transfrontaliero oppure tanti piccoli passi disgiunti o invece
capaci di costruire una rete verso una macro-regione. Quale che sia la strategia adottata,
l’innovazione delle policy e degli strumenti di coordinamento della governance multilivello
rappresenta un orizzonte culturale da costruire perché le opportunità non lascino il campo ad una
crisi economica, sociale ed ambientale sempre più profonda.
1. L’integrazione europea nella svolta del Fiscal Compact
Nel 2012 la prospettiva europeista è assia meno scontata di prima: al di là dell’offerta di
ancoraggio ad una valuta, l’euro, e dei fondi europei (ampi ma spesso largamente sottoutilizzati),
l’Unione Europa sta mostrando un volto arcigno, in cui viene “costituzionalizzata” una politica di
“consolidamento fiscale espansivo” assai dubbia sul piano dell’efficacia empirica dimostrata al di
fuori di circostanze esterne favorevoli eccezionali, e noi europeisti dobbiamo giustificare
nuovamente perché abbiamo bisogno dell’Europa e indicare quale Europa vogliamo.
Occorre ripartire dal fatto che l’Europa è l’unica forza in grado di fare la differenza sulle grandi
crisi globali, che sono nate in tempi diversi ma che hanno bisogno di una risposta congiunta. La
crisi economica, strisciante, dovuta alla perdita di potere d’acquisto tra salari fermi e materie prime
in impennata (innanzitutto il petrolio) ha eroso i risparmi, nel quadro di una politica orientata a
sostenere i consumi. La caduta dei risparmi ha reso più difficile il finanziamento del debito sovrano
da parte dei propri cittadini ed il suo trasferimento sui volatili mercati internazionali, nonché la crisi
dell’edilizia, a lungo un volano importante a causa dei bassi tassi d’interesse. La percepita
incapacità dei governo di dare risposte credibili e di lungo periodo sulla sostenibilità del debito ha
provocato una crisi finanziaria, che abbraccia febbrilmente vari Paesi, in modo ondivago ed
estremamente pericoloso.
In questo scenario, è forte la tentazione di risolvere la crisi economico-finanziaria attraverso pesanti
tagli agli investimenti sociali (scuola, università, salute, sistema dell’innovazione, politiche urbane),
mettendo a rischio la sostenibilità sociale (e quindi anche la coesione ed il consenso). Non si può
escludere un loop nel quale politiche demagogiche cavalcano la critica all’Europa, contribuendo ad
approfondire il feedback tra crisi sociale e crisi economica.
L’ambiente e la green economy potrebbero viceversa rappresentare una via d’uscita che, facendo
leva sulla trasformazione radicale verso l’economia a basse emissioni (resa necessaria dall’impatto
devastante che sta avendo il cambiamento climatico), rimette in corsa la crescita, generando posti di
1
Il testo lascerà trasparire più volte il nesso tra articolazione culturale ed attività consulenziale che l’autore porta avanti
da anni. Contatti: [email protected].
lavoro, investimenti e profitti, trasformando internamente la composizione del PIL2 e rendendo
effettivamente sostenibili debito ed istituzioni.
Su questa intersezione, l’Unione Europea ha già impostato una strategia di risposta integrata
(Europa 2020), che attende di essere portata alla medesima attenzione ed urgenza dimostrata col
Fiscal Compact. In essa lo sviluppo sostenibile, la riduzione (almeno) dell’80% delle emissioni
climalteranti entro il 2050 e la riduzione di povertà, privazione materiale e disoccupazione
strutturale sono obiettivi cardine. L’Europa non può essere solo quella espressa dalla DG
Competition e DG Economic and Financial Affairs ma anche quella della DG Employment, DG
Regional Policy, DG Climate, DG Environment e DG Enterprise and Industry.
Ma perché l’Europa possa efficacemente trasformare i vari suoi obiettivi in politiche e risultati, sia
nell’economia domestica continentale, sia in un sistema-mondo in profonda modificazione
strutturale3, c’è bisogno di trarre lezioni dai territori, trasformare le best practices in nuovi standard
dinamici.
Si pensi anche solo alle emissioni di CO2, che sono un problema globale, ed al ruolo propulsivo che
anche a Durban ha dimostrato l’Europa4 per rendersi conto di quanto sia importante per l’Europa
avere una sponda nelle città del Patto dei Sindaci coi loro obiettivi ambiziosi, con le loro strategie,
coi loro ecoquartieri.
In questa direzione, di recente l’Economics Web Institute ha sottoposto all’attenzione della DG
Employment un set di Smart policies per una risposta congiunta alle crisi5, dopo aver presentato ad
Atene una modalità operativa con cui, proprio in un paese sull’orlo del baratro, possono essere
messe in campo policy e piani d’azione6. Ecco perché l’EWI ha contribuito alla nascita di
“Ecoquartieri per l’Italia”, attivo tra l’altro a Torino, ed al relativo dibattito nazionale
(ecoquartieri.org)7, convinti che la dimensione ultra-locale dell’ecoquartiere possa essere in piena
sintonia con l’applicazione pilota e radicale delle indicazioni dell’Unione Europea. In precedenza
avevamo elaborato in un libro “Innovative Economic Policies for Climate Change Mitigation”8 tese
a facilitare, velocizzare e garantire la transizione verso l’economia a basse emissioni.
Tutto questo avviene dopo un anno, il 2011, in cui i governi di tre Paesi sono stati cambiati
sostanzialmente a causa della pressione dei partner europei – e qualcosa potrebbe ancora succedere
in altre nazioni.
2
Si veda il PIQ – Prodotto Interno Qualità della Fondazione Symbola – Unioncamere, del cui Comitato Scientifico ho
avuto l’onore di far parte nel 2007.
3
Si veda ad esempio Piana V., 2006a, The “pattern approach” to world trade structures and their dynamics, Princeton
University Conference on Observing Trade: Revealing International Trade Networks.
4
Si veda ad esempio Piana, Caserini, Castellari, Coyaud, 2012, Cos’è successo nella notte insonne di Durban?,
Climalteranti, www.climalteranti.it/2011/12/11/cos-e-successo-nella-notte-insonne-di-durban .
5
“Smart Policies for Social Inclusion - 4 new families of integrated policies for Europe: Networks and social
connections, product lifetime and consumption pattern, urban experiments and regeneration, inclusive green policies”,
documento riservato consegnato durante l’Expert Conference del 9 febbraio 2012 sull’Employment and Social
Developments in Europe Review 2011.
6
Piana, V.: “How to Write Action Plans for Mitigation and Adaptation by Implementing the BSEC 2010 Thessaloniki
Declaration on Combating Climate Change”, 4th International Scientific Conference on Energy and Climate Change,
ottobre 2011.
7
In linea con un ruolo propositivo su questi temi di entità sub-nazionali, si ricorda il contributo di EWI allo sviluppo
della posizione espressa dalla Fondazione Lombardia per l’Ambiente, istituita da Regione Lombardia, nei negoziati
globali climatici UNFCCC sui meccanismi di mercato e non.
8
Piana et al., 2009, Innovative Economic Policies for Climate Change Mitigation, Lulu Publisher, Londra.
Non era mai successo prima. Questo regime change era avvenuto solo in Paesi terzi, sotto il nome
di “ingerenza umanitaria” - un eufemismo come i molti eufemismi che ama l’Europa: la chiamano
Commissione ed è un governo, la chiamano Annual Growth Survey ed è un programma di governo
minuzioso, preciso, incisivo, sistematico, organico e tempificato9.
Ma allora influenzare l’Europa diventa decisivo perché tutte le questioni, perfino le più minute (per
non parlare delle grandi riforme10), saranno d’ora in poi concordate (o dettate) a quel livello
Questa è una situazione che oltre ai vantaggi presenta non pochi rischi. Politiche comuni possono
ignorare le specificità dei fattori di forza dei paesi (si pensi ad esempio ai sistemi di PMI espressi
nei distretti industriali italiani). Ma l’Italia avrebbe molto da guadagnare da una analisi voce per
voce del bilancio statale, poiché vi sono sprechi, inefficienze e sotto-investimenti, come ha
sottolineato nel presente lavoro l’intervento di Patrizio Bianchi ricordando la spesa per l’educazione
nei paesi OCSE.
9
http://ec.europa.eu/europe2020/reaching-the-goals/monitoring-progress/annual-growth-surveys/index_en.htm
–
similmente per quanto riguarda i National Reform Programmes http://ec.europa.eu/europe2020/documents/relateddocument-type/index_en.htm
e
le
raccomandazioni
country-specific,
nonché,
per
l’Italia,
http://www.lavoce.info/binary/la_voce/il_punto/Rapporto_Rehn_su_Italia_2011_11_28_final_version.doc_ARES_1.13
22822139.pdf.
10
“[L]e parti contraenti assicurano di discutere ex ante e, ove appropriato, coordinare tra loro tutte le grandi riforme di
politica economica che intendono intraprendere” - Art. 11 del Fiscal Compact - http://europeancouncil.europa.eu/media/639226/10_-_tscg.it.12.pdf.
2. L’integrazione trasfrontaliera come ricucitura della struttura europea
In questo quadro è assolutamente fondamentale che l’Italia alzi la voce e tiri fuori il meglio di sé,
interpretando vigorosamente e creativamente le nuove regole di governance multilivello. Cruciali
diverranno il Parlamento europeo ed il dialogo entro le grandi famiglie politiche dell’Europa. È
però inevitabile che un dialogo “verticale” tra la Commissione europea ed i singoli paesi finisca per
essere a-simmetrico, con il coltello dalla parte della prima, specie nei confronti di quei Paesi che
hanno un alto debito pubblico e contano sui fondi europei, distribuiti sempre più secondo nuove
condizionalità.
In esso il nostro Paese deve far valere esempi specifici di “politiche che funzionano”, capaci ad
esempio di assecondare le eco-innovazioni, diffondere la qualità nei servizi sociali, produrre
resilienza.
Ma ancor più occorre lavorare pe il dialogo “orizzontale” con singoli altri Paesi, che condividono
col nostro almeno parziali convergenze. Questo può avvenire, su politiche settoriali e temi specifici,
anche con Paesi lontani da noi, interpretando bisogni diffusi e “finestre d’opportunità” particolari,
ma evidentemente può avvenire in forma molto più sistematica con i Paesi confinanti.
Alle cartine d’Italia che marcano i nostri limiti lasciando un anti-storico “hic sunt leones” al di là
del confine dovremmo sostituire non solo grafi di connessione con micro-luoghi a forte risonanza
reciproca11 ma anche mappe transfrontaliere che si estendono ai terreni limitrofi, incentrate sugli
asset territoriali, come - a mera esemplificazione parziale e imperfetta - questa:
Non si vuole qui prefigurare - o tanto meno negare - specifici snodi o corridoi: si vuole invece
sottolineare l’importanza di un tessuto europeo coeso per prossimità, rispettoso delle piccole
dimensioni locali, poroso, in espansione inclusiva, meno gerarchico, basato sulle competenze,
l’apprendimento reciproco, il contatto culturale profondo.
A cavallo delle nazioni vi sono aree che possono fondersi, mescolarsi, confrontarsi pervicacemente,
“punzecchiarsi” a vicenda, dimostrando coi fatti che alcune intuizioni dell’Unione possono essere
11
Si pensi ad esempio alla mappa europea che emerge dalle connessioni instaurate coi progetti URBACT
(http://urbact.eu/en/header-main/our-projects/map-of-the-projects).
realizzate in concreto e che, viceversa, alcune lezioni devono essere tratte anche dai fallimenti,
affinché la costruzione europea non nasca dal corsetto ma dal cuore e dalle mani dell’homo faber.
Non si pensi che si tratti solo di metafore. Si potrebbe infatti mostrare un lavoro analiticamente
assai complesso, che ho avuto modo di presentare all’Università di Princeton, sulla struttura del
sistema-mondo, che distingue in modo rigoroso ed fondato empiricamente 16 tipologie di relazioni
bilaterali tra le nazioni (dalla dominanza forte o debole all’integrazione all’assenza di relazioni)12,
rispetto al quale la prossimità territoriale dimostra una notevole forza trasformativa. Se nel sistema
mondo nel suo complesso l’assenza di relazioni caratterizza ben l’87% delle relazioni bilaterali, tale
percentuale si contrae al 22% tra i paesi confinanti13. E tra le relazioni non vuote, l’integrazione,
che caratterizza solo il 2% a livello di sistema-mondo, abbraccia ben l’11,6% delle relazioni
transfrontaliere.
L’Europa è uno dei luoghi principali dove si sono raggiunte relazioni simmetriche di integrazione14:
Quasi tutte relative a paesi confinanti, delle 21 relazioni d’integrazione ben 9 sono in Europa. Solo
nel nostro continente vi sono relazioni triangolari dove un paese è integrato con altri due, che sono
tra loro integrati. Le due uniche relazioni triangolari mondiali sono, da un lato, Germania, Olanda e
Regno Unito e, dall’altro, Italia, Francia e Germania. Come si vede, la relazione tra questi ultimi tre
paesi assume una eccezionalità straordinaria a livello globale.
Occorre quindi far leva sugli elementi coesivi, basati sulla soggiacente struttura economica del
sistema-mondo, per raggiungere intenzionalmente (e quindi discrezionalmente) un più forte ruolo
dell’Italia in Europa.
12
Piana V., 2004, Hierarchy Structures in World Trade, Essays Series, Economics Web Institute e Piana V., 2006a, op.
cit.
13
In un esercizio che considera la matrice quadrata delle relazioni bilaterali tra 99 paesi del mondo. Per queste ed altre
considerazioni nel seguito si veda Piana V., 2006b, Trade with thy neighbour, Essay Series, Economics Web Institute.
14
I dati utilizzati sono relativi al 1998 su un più ridotto numero di paesi; un aggiornamento al 2003 è presente in Piana
V., 2006a., op. cit.
In questo, la relazione con la Francia, soprattutto tramite l’estensione regionale di prossimità che si
diparte dai confini, acquista un valore elevatissimo, superiore o quantomeno pari alle tensioni e
relazioni che abbracciano altre parti d’Italia, protese verso ad esempio la Germania, la Svizzera, la
Slovenia, la Grecia, la Tunisia, ecc15.
3. I principali ambiti di integrazione transfrontaliera italo-francese
Un primo ambito ovvio di cooperazione, già oggi assecondato da policy e strumenti specifici, sono
gli asset comuni condivisi come la montagna, le alte valli, l’aria, il mare e le rispettive qualità
ambientali. Questi asset sono fragili e rischiano di essere marginalizzati se rimanessero all’interno
di una logica meramente nazionale o di politica estera ma risultano viceversa centrali nella logica
della politica territoriale coesa cui accennavamo prima, di fronte alla sfida dei cambiamenti
climatici, dell’adattamento, ai rischi idro-geologici, alla scarsità ed erraticità della risorsa acqua,
ecc.
Occore però essere chiari – ed abbiamo provato ad essere chiari nel libro “Cuneo come porta
transfrontaliera verso la Francia meridionale”16 – che abbiamo scritto a Cuneo col Comune, su
visione e finanziamento del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (Dipartimento per la
Programmazione e lo Sviluppo del Territorio, nella sua unità diretta dall’arch. Francesco
Giacobone), col coordinamento di Marzia Kichelmacher di Progetto Europa Group: l’integrazione
richiede una azione intenzionale su alcuni temi strategici chiave, quali le infrastrutture, il mercato
del lavoro, il mercato residenziale e turistico, il modello di sviluppo delle imprese.
Su tutti questi piani è possibile (non inevitabile!) che vi sia una progettualità tesa a cogliere le
opportunità di collaborazione, seguendo il fil rouge della qualità.
Sul piano dell’integrazione del mercato del lavoro, se un tempo l’Italia poteva essere all’origine di flussi di manodopera a bassa qualificazione, rivolta al settore edile e al manifatturiero pesante, oggi anche i disoccupati cercano lavori complessivamente terziari e con maggiore contenuto intellettuale e creativo. Una Francia orgogliosa dei suoi luoghi e delle sue tradizioni guardava all’Italia come competitor a basso costo, dedito al dumping sociale ed ambientale; oggi la centralità delle politiche per la qualità connota la Liguria, il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia-­‐Romagna in un modo tale da poter modificare profondamente tale connotazione. Questa Italia abbraccia con la stessa – o forse ancor più stringente - forza la logica della qualità:
dalla qualità urbana dei piccoli centri al turismo di qualità fino a quel particolare sistema produttivo
in cui le piccole imprese sanno produrre le cose sane, pulite e giuste – come ci ricorda Slow Food.
Non quindi la logica della complementarietà (loro il mare da VIP, noi la montagna a basso costo,
loro l’industria aeronautica, noi le produzioni meccaniche banali), bensì quella della corsa alle
nicchie e dell’integrazione.
In questo scenario, l’integrazione potrebbe avere un perno nel mercato del lavoro, fortemente
squilibrato in entrambe le nazioni. Invece dell’ennesimo calo competitivo dei salari, si dovrebbe
15
Travalica lo spazio di questo testo un’analisi puntuale della qualità delle relazioni che si instaurano tra l’Italia e tali
Paesi, alla luce delle sedici tipologie identificate. Il lettore interessato può scaricare la matrice completa dal sito
dell’EWI (http://www.economicswebinstitute.org/data/pattern.xls).
16
Disponibile in versione integrale (italiano e francese) dal sito del Comune di Cuneo:
http://www.comune.cuneo.gov.it/fileadmin/comune_cuneo/content/amm_organiz/programmazione_territorio/Urbanistic
a/prog_strat_complessa/area_vasta/SISTEMA/Trasfontaliero/Azione%20Trasfontaliera_Rapporto.pdf
puntare ad estendere, di fatto, lo SMIC (il salario minimo francese, oggi intorno ai 1400 euro lordi
mensili) all’Italia, e se così non va bene alle imprese italiane che competono sui costi, che sia
l’emigrazione qualificata verso la Francia a costringerle all’innovazione di prodotto ed ai risparmi
di energia e materie prime che rendono profittevole la nuova economia.
I meccanismi economici che consentono alla Francia una simile situazione del mercato del lavoro
sono i seguenti: dimensioni di imprese normalmente più elevate di quelle italiane, elevati rapporti
capitale investito per addetto, il che produce un’elevata produttività individuale, a sua volta
alimentata da una formazione scolastica non solo di livello elevata (con elementi meritocratici e
selettivi) ma anche piuttosto coerente con i piani aziendali, che a loro volta prevedono significativi
elementi di training formalizzato e meccanismi di riconoscimento delle competenze acquisite.
La Francia investe molto più massicciamente e efficacemente in educazione dell'Italia. Vi è meno
precarietà e dissipazione di competenze, che in Italia si esprime con un disallineamento tra studi e
lavoro, bruciando anni di formazione per andare poi a svolgere mestieri per i quali si è impreparati
(e quindi improduttivi).
L’alto livello di tassazione francese è a sua volta un fattore che, per così dire, costringe il sistema ad
elevati livelli di valore aggiunto, senza i quali le produzioni vengono rapidamente espulse dal
tessuto produttivo. Il gettito ottenuto viene tipicamente diretto su priorità nazionali, tra le quali la
ricerca scientifica occupa un ruolo di rilievo.
La storia di Sophia- Antipolis trae alimento da tutto un clima e un insieme di strumenti che sono
fortemente legati a questo quadro di riferimento. E Sophia-Antipolis non è soltanto la sede di
grandissime imprese francesi e internazionali, è anche il luogo di nascita di decine di nuove imprese
all'anno, piccole e dinamiche, basate sulle competenze imprenditoriali e tecnologiche sviluppate in
un sito tanto caratterizzato dal nuovo paradigma dei milieux innovateurs e delle reti d’impresa17.
Non è quindi un caso che oggi vi sia una rilevante presenza di italiani tra gli occupati a SophiaAntipolis, tipicamente laureati e comunque altamente qualificati e ad alto potenziale di crescita, ai
quali l’Italia non offre alternative appetibili.
Questa integrazione potrebbe e dovrebbe coinvolgere il mondo delle imprese anche sul lato dei
prodotti. Infatti, il nuovo modello di competitività complessivo italiano, che vuole fare della qualità il suo asset strategico principale, viene facilitato da una relazione commerciale con la Francia, visto che i consumatori francesi la apprezzano e sono pronti a pagare un adeguato premium price.
La transizione dalla complementarità alla convergenza ha importanti implicazioni sul tipo di commercio internazionale che viene generato. Il commercio internazionale che si instaura tra due territori complementari tende a rafforzare in ciascuno la propria specializzazione macro-­‐
settoriale (inter-­industry trade) mentre un modello di convergenza tende a supportare la micro-­‐specializzazione con offerta da parte di entrambi di prodotti differenziati appartenenti al medesimo settore (intra-­industry trade). Ciò dovrebbe essere favorito da politiche specifiche, tese al commercio internazionale di prossimità, con la rimozione degli ostacoli pratici, burocratici, legislativi, culturali, linguistici ed altri, come abbiamo sostenuto nel paper dedicato alla “promozione bilaterale delle importazioni”18. 17
Per un approfondimento si vedano i lavori del GREMI (Group de Récherche sur le Milieux Innovateurs), in parte
disponibili presso http://www.unine.ch/irer/Gremi/accueil.htm.
18
Piana V., 2006b, op. cit.
Tutto ciò riguarda da vicino l’intera popolazione, specie delle aree montane. Quando la montagna si
depaupera demograficamete ed economicamente, i servizi di rango più elevato diventano
economicamente insostenibili e chiudono, rendendo sempre più difficile la vita a giovani ed anziani.
Viceversa, se si punta a bacini transfrontalieri di domanda qualificata, anche attraverso l’uso
intenzionale delle tecnologie informatiche (quali la telemedicina o i centri polifunzionali offline per
la vendita su catalogo di prodotti acquisiti online dal commerciante, chiudendo il digital divide) e le
energie rinnovabili di fonte locale (acqua, bosco, sole, vento) si può continuare a presidiare il
territorio montano, invertire il processo di depauperamento offrendo infatti condizioni abitative a
basso costo ma ben dotate di servizi.
E mi fa molto piacere che questo libro e alcune di queste ipotesi sperimentali siano poi entrate nel
mainstream della pianificazione territoriale, con la citazione che ne fa ad esempio il Piano
territoriale regionale del Piemonte approvato nel 2011, coordinato da Giovanni Paludi. Ora che il
raddoppio del Col di Tenda entra in una fase molto operativa, le indicazioni che davamo, anche
molto minute, per le strategie di minimizzazione degli impatti negativi e di ottimizzazione di quelli
positivi diventano ancora più rilevanti.
4. Tre approcchi strategici all’integrazione
A seconda dei policymakers e delle rispettive culture istituzionali-politiche, l’integrazione
transfrontaliera può essere declinata secondo molte diverse angolature. Forzando un po’ questa
pluralità, riteniamo che possiamo enucleare tre grandi approcci:
Il grande balzo: un Piano strategico transfrontaliero
In questa prospettiva, occorrerebbe tradurre e confrontare tutti gli strumenti di pianificazione
strategica, specie quelli orientati al medio-lungo periodo, che città e territori di qua e di là dal
confine hanno messo in campo in questi anni, per vedere quali ambiti vi siano di convergenza,
comunanza, sovrapposizione, complementarietà e, perché no, di competizione.
Alla luce di tale analisi, si potrebbe giungere ad un mutuo riconoscimento di ruoli (urbani e non),
evitando l’auto-referenzialità delle pianificazioni strategiche e rendendole credibili strumenti di
interazione con l’esterno, dando loro ulteriore stabilità nel tempo.
Non è un caso sottolineare questa linea, di produzione discrezionale, proprio nell’ambito di un
convegno organizzato dalla Rete delle Città strategiche (ReCS). È dal successo dei Piani strategici,
mai semplice o automatico, che può sorgere una risposta comprensibile per l’Europa sui grandi temi
del futuro. Lo sforzo sarebbe di redigere un Piano strategico di raccordo, che abbracci aree
transfrontaliere, valorizzando e non negando le pianificazioni strategiche finora prodotte, tenendo
anche conto delle programmazioni regionali dei fondi strutturali.
In questo aiutano i Progetti strategici, come quelli proposti nell’ambito di ALCOTRA, che servono
da collante immediato e forte da rendere, in questa prospettiva, ancora più inclusivo ed ambizioso.
I piccoli passi
La prima strada può però essere considerata troppo ambiziosa e macchinosa da parte di chi ama
procedere per piccoli passi. In questa seconda prospettiva si punta ad ottenere più che a promettere,
a concentrarsi su questioni specifiche decisive per sviluppi macro ma che possono essere portate a
termine da un gruppo di lavoro anche relativamente tecnico. In questo aiuta la costituzione di gruppi
informali e formali comuni, cercando di far investire le istituzioni in periodi temporanei di
trasferimento oltre confine, radicando quindi la cooperazione transfrontaliera in una sedimentazione
organizzativa.
La logica è quella di lanciare esperimenti il cui successo, relativamente sicuro, diventi un fattore di
credibilità e consenso per il proseguio. Circoscrivendo l’obiettivo, lavorando su aspetti conoscitivi
ed informativi ancor prima che modificativi, si ottiene la visibilità presso gli stakeholders, cui
fornire vantaggi anche semplici, in modo da essere riconoscibili per il futuro.
Data la limitatezza dell’azione, occorre curare con particolare attenzione la comunicazione, facendo
conoscere ciò che si è fatto e predisponendo “kit di replicabilità”. In sintesi occorre lavorare per
costruire una rete sostenibile di relazioni, azioni e flussi.
Questo è - in buona approssimazione - ciò che ho condotto, di nuovo nell’ambito dei programmi
ministeriali per le azioni innovative integrate, nell’attrazione di investitori italiani e stranieri intorno
ad uno specifico asset territoriale, oggetto privilegiato di rigenerazione urbana, attraverso un
partenariato pubblico privato lanciato da un percorso istituzionalizzato di manifestazioni d’interesse
al Master plan d’area19. Nell’area italo-francese vi sono peraltro moltissimi esempi di simili attività,
ad esempio nei Progetti di cooperazione singoli dell’ALCOTRA.
La rete verso la macro-regione
Questa terza prospettiva ragiona a partire dai progetti e dai soggetti che sono già stati posti in
essere, cercando di rifarsi a tali esperienze per tirare i fili, fare interagire chi si è già proposto, tra
politici, tecnici e rappresentanti d’interessi collettivi, per giungere ad una vera e propria rete. Questo
permette di affrontare temi e questioni a diversi livelli territoriali, alti, intermedi e bassi, saltando i
confini classici tra pubblico e privato, italiani e francesi, operatori e pianificatori. La rete, la cui
attivazione concreta può essere parziale ma la cui forza è la pluralità di risposte che può offrire nel
tempo, dovrebbe coltivare la logica della qualità, cui si faceva riferimento in precedenza, perché
questo consente di affrontare gli inevitabili conflitti in un modo vincente. È possibile infatti far
dialogare soggetti diversi solo su un piano pubblico di alta qualità, che convinca al di là degli
steccati.
In secondo luogo, occorre fondarsi sul. tema della sostenibilità, intesa non come l’imbellettamento
di operazioni di parte ma come una rigorosa progettazione ed esecuzione di cose “che stanno in
piedi da sole”, capaci di durare oltre i proponenti, grazie a quelle tre gambe (economia, ambiente e
società) che le àncorano al di là delle emergenze e dei sussulti di quell’eterno presente, la “tirannia
dell’effimero”, che sembra dominare la contemporaneità, come acutamente sostiene Zygmunt
Bauman.
Qualità e sostenibilità sono gli elementi che portano la rete a durare e portare avanti una pluralità di
obiettivi. Ma quale orizzonte culturale e territoriale per la rete transfrontaliera? Nell’Unione
Europea la concezione che meglio si presta a fornire tale orizzonte è quella della macro-regione.
Essa infatti combina elasticamente gli aspetti territoriali con quelli tematici per far emergere una
crescente integrazione plurinazionale.
Riunendo insiemi coerenti di territori con asset da difendere e valorizzare di comune concerto, la
macroregione si dota di una strategia macroregionale, fatta di pilastri e piani d’azione che
abbracciano una pluralità di progetti concreti, sviluppati nel tempo, rinnovando una storia comune
per dei fini proiettati al XXI secolo. In ciò si è andata consolidando la “regola dei tre no”: no a
nuovi fondi finanziari dedicati, no a un nuovo strumento istituzionale, no ad una nuova
regolamentazione - a cui ha fatto seguito una sorta di “regola dei tre sì”: sì alla complementarietà
19
Convenzione n. 10424 del 30 settembre 2010 tra il Comune di Brindisi ed il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti
relativa dell’implementazione in città del programma “Supporti strumentali all’incentivazione delle forme innovative di
partenariato pubblico-privato nei processi di trasformazione urbana sostenibile” con particolare riguardo all’area della
Sciaia e della Stazione Ferroviaria.
degli investimenti, sì al coordinamento degli strumenti istituzionali e sì alla definizione di nuovi
progetti.
Come si vede, la logica della rete tende a prevalere rispetto ad un qualunque nuovo “centralismo
decisionale”, in quanto il coordinamento della macroregione deve – non banalmente – far leva su
tutti i soggetti compresenti per moltiplicare le connessioni e le attività.
Questo diventerebbe comunque più semplice se tra le molteplici attività progettuali di base vi
fossero anche degli investimenti capaci di generare reddito destinato alla macro-regione, rendendo
possibili migliori forme di co-finanziamento ed attivazione moltiplicativa, nonché strumenti di
resource-pooling con redistribuzione a chi dimostra coi fatti di saper rispettare tempi e qualità per
costruire incentivi positivi alla cooperazione.
5. Conclusioni
La costruzione dell’Europa – di una Europa capace di fare la differenza sulle grandi crisi globali –
non può in sostanza procedere solo dall’alto o dal basso: ha bisogno di livelli intermedi, di
protagonismo diffuso, di collaborazione sistematica tra soggetti capaci di espandere la portata delle
loro azioni verso l’alto e verso il basso. Ha bisogno di nodi urbani dinamici e proattivi, di territori
che esprimono qualità e sostenibilità come valori fondanti, e di attività che nel tempo trasformano
casi di successo in nuovi standard dinamici continentali.