paleofrane ed antichi laghi

Transcript

paleofrane ed antichi laghi
[dal volume “Il Tagliamento”, CiErre edizioni, 2006] PALEOFRANE ED ANTICHI LAGHI Giovanni Monegato (Dipartimento di Georisorse e Territorio, Università di Udine) Attorno alla mezzanotte del ferragosto dell’anno 1692, un’enorme porzione di montagna si staccò dalle pendici settentrionali del Monte Auda; circa 30 milioni di m 3 di roccia e fango scivolarono ad alta velocità su un unico piano di strato argilloso, fradicio per le abbondanti piogge di quell’anno. La frana travolse ogni cosa nella discesa verso il fondovalle: anche il paesino di Borta, pur costruito nel versante contrapposto, fu ugualmente spazzato via dalla violenza della frana, che risalì il pendio opposto. Un meccanismo analogo avrebbe caratterizzato quasi 300 anni più tardi la frana del Vajont. La valle del Tagliamento venne sbarrata da questa colossale diga naturale, che raggiunse l’altezza massima di 140 metri. Le acque del fiume così arginate riempirono la conca formando un grande lago, che si spinse a monte per quasi sette chilometri e raggiunse la profondità di circa 90 metri. L’invaso fu chiamato lago di Caprizzi e sopravvisse per soli cento anni; l’erosione dello sbarramento e il progressivo interrimento a monte per opera del fiume ne determinarono la rapida morte. Esso peraltro esisteva ancora quando le valli friulane furono scosse da due terremoti di una certa intensità, nel 1788, con epicentro a Tolmezzo, e nel 1794, con epicentro a Tramonti. I soffici depositi limoso­argillosi di fondo lago registrarono le onde sismiche in particolari strutture sedimentarie chiamate “sismiti” (Cavallin e Martinis, 1974). Se questo recente invaso visse solo un secolo, in un passato più remoto nelle valli carniche furono presenti laghi, nati dallo sbarramento vallivo dovuto a frane, che persistettero per alcune migliaia di anni prima di scomparire. Le dighe naturali generatesi dalle frane possono infatti resistere a lungo, ma sono inesorabilmente destinate a venire erose dai torrenti emissari ed i loro laghi sono generalmente interrati con i detriti trasportati dai torrenti immissari. La fragilità delle rocce che compongono le montagne carniche, l’elevata piovosità e la sismicità dell’area sono stati i fattori scatenanti di numerosi dissesti, che flagellano tuttora la montagna friulana. In alcuni casi tali episodi hanno portato all’ostruzione delle valli principali con la conseguente formazione di ampi bacini lacustri. Questi eventi sono stati particolarmente frequenti ed importanti circa diecimila anni fa, quando la valle del Tagliamento era da poco uscita dall’ultima era glaciale e sui versanti le foreste non erano ancora ricresciute completamente. Sono stati però i resti vegetali, costituiti
da frammenti di rami, aghi, pigne e foglie e rinvenuti all’interno dei sedimenti lacustri, a permettere la loro datazione con il metodo del radiocarbonio. Per avere una panoramica sulla distribuzione di questi bacini, immaginiamo di aver potuto sorvolare la Carnia da ovest verso est partendo dal Passo della Mauria, tra diecimila e cinquemila anni fa. Avremmo potuto osservare numerosi specchi d’acqua, a partire da Forni di Sotto, dove era presente un lago ampio più di sei chilometri quadrati, formato dallo sbarramento della valle del Tagliamento da parte di una frana scesa dal versante nord del Monte Tinisa (Pisa, 1972). Proseguendo verso nord­est, risalendo completamente il Canale di Gorto avremmo osservato un altro piccolo lago presso Forni Avoltri (Venturini, 2003). Passato poi nel Canale di San Pietro, presso la conca tra Sutrio e Paluzza ci saremmo trovati di fronte ad un altro lago grandi dimensioni, circa sei chilometri quadrati. I torrenti Bût, Gladegna e Pontaiba si riversavano al suo interno, depositando piccoli ventagli deltizi. Scendendo lungo il bacino lacustre avremmo notato che due enormi frane erano state la causa della sua formazione. Queste erano scese in due distinti eventi dalle pendici occidentali del Monte Cucco e del Monte di Rivo (Martinis, 1979) sbarrando la valle poco a monte di Arta Terme. Scesi fino alla confluenza con il torrente Chiarsò e risalito il Canal d’Incaroio, nel nostro sorvolo ci saremmo imbattuti in una frana scesa dal versante nord della Creta di Mezzodì, la quale sbarrava il torrente formando un altro specchio d’acqua che si estendeva verso nord fino a Paularo, dove i torrenti vi si gettavano formando anche qui dei delta ghiaiosi (Venturini, 2003). Non avremmo visto invece il lago presente in Val Aupa, giacché questo si sarebbe formato poco più tardi, circa quattromila anni fa, da parte di una frana scesa dal Monte Masareit che avrebbe sbarrato il torrente Aupa. Anche la Val Resia era occupata da un altro grande lago che riempiva il tratto superiore della valle. Nei suoi depositi sono state trovate delle “sismiti” analoghe a quelle di Caprizzi (Cavallin e Martinis, 1985). Alla conclusione del nostro viaggio, tornando verso ovest, avremmo visto l’unico grande lago naturale rimasto ancora oggi nella valle del Tagliamento, quello di Cavazzo Carnico. Va evidenziato che questo specchio d’acqua non si è formato per lo sbarramento della valle ad opera di frane, ma è il riempimento di una conca di sovraescavazione glaciale, abbandonata dal ritiro del ghiacciaio del Tagliamento circa diciottomila anni fa. Come si è potuto vedere, in un passato anche recente la valle del Tagliamento è stata soggetta a frequenti eventi catastrofici, che hanno portato allo sbarramento delle valli con la formazione di invasi. Non si può escludere che, in un ambiente così sensibile a dissesti idrogeologici, non avvengano in un futuro anche prossimo degli eventi che permettano la nascita di nuovi laghi all’interno delle valli friulane.