aborto selettivo N Clarin

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aborto selettivo N Clarin
“N”, inserto culturale del
“CLARIN”
(quotidiano di Buenos Aires)
1 marzo 2008
DOVE LE DONNE NON
SONO BENVENUTE
La pratica dell’aborto selettivo tra
indiani, cinesi e pakistani elimina
milioni di bambine l’anno, secondo
l’Onu. La tecnologia favorisce crudeli
tradizioni si eliminazione sistematica:
le ecografie sono un mercato
prospero in India. Come si posiziona,
in questo contesto, la libertà di scelta?
Le opinioni di Matha Nussbaum,
Amartya Sen, Remo Bodei e Roberto
Esposito
Il tradizionale modo di dire diffuso in
tutto il mondo “Auguri e figli maschi”, in
India acquista un senso concreto e tragico
che rispecchia uno dei paradossi più
grandi incarnati oggi dal Paese. Lo
sviluppo tecnologico e il miracolo
economico non hanno cancellato valori
culturali e usanze dell’antica tradizione
tra cui quella di desiderare un figlio
maschio, preferenza che rientra nella più
ampia
attitudine
indiana
delle
discriminazioni di genere a danno delle
donne.
Nell’“Incredibile
India”,
nonostante dal 1994 viga una legge che
proibisce la pratica degli aborti selettivi di
feti femminili e consideri illegali le
ecografie prenatali che permettono di
conoscere il sesso del nascituro, si
registra un aumento del fenomeno con
cifre allarmanti che hanno causato uno
squilibrio demografico tra maschi e
femmine quasi superiore a quello cinese
dove vige la “politica del figlio unico”.
Negli ultimi vent’anni “le donne
mancanti”, così definite dall’economista
Amartya Sen, sono state oltre 20 milioni.
Ma se in passato molte bambine morivano
nei primi anni di vita perché la famiglie,
in particolare quelle più povere,
concentravano
lo
scorso
cibo
sull’alimentazione dei figli maschi
lasciando le piccole in denutrizione, in
epoca moderna la causa maggiore della
disuguaglianza di natalità è stata la
diffusione dell’aborto, reso legale nel
1972 e facilitato dall’espansione delle
innovazioni
tecnologiche.
Oggi
addirittura nelle campagne rurali sono
arrivati apparecchi portatili per le
iconografie “fai-da-te” che agevolano le
famiglie nel praticare il “feticidio
femminile” appoggiate spesso da medici
disposti a ignorare la legge, anche perché
raramente viene comminata una pena ai
trasgressori. In una serie di reportage
mandati in onda della televisione indiana
“Sahara Samay” sono stati presentati dati
scioccanti: almeno cento medici, sia del
settore pubblico sia privato, si sono
dichiarati disposti a praticare aborti
selettivi. “La tariffa media è di 44 euro,
ma
può
crescere
a
seconda
dell’avanzamento della gravidanza. Per i
resti? Basta prendere un risciò e farsi
portare al fiume” ha detto uno di loro.
Questa attitudine dei medici indiani è
confermata dai numeri della vendita di
apparecchi ecografici in India. In
un’inchiesta del “Wall Street Journal”, V.
Raja, responsabile del settore sanitario
della General Electric per l’Asia
meridionale, ha dichiarato che “la società
vende 15 modelli diversi il cui costo varia
da 100 mila dollari (70.700 euro) per gli
apparecchi più sofisticati a colori, a 7.500
(5.300 euro) per quelli in bianco e nero, e
che spesso vengono strette intese con le
banche per aiutare i medici a finanziare
l’acquisto di tali apparecchiature,
specificando però non devono essere
utilizzate per la determinazione del sesso
degli embrioni”. I risultati di queste
vendite sono: un giro d’affari di 77
milioni di dollari (54,5 milioni di euro)
nel 2006, con un aumento del 10%
rispetto all’anno precedente, e la
circolazione in India di circa 16 milioni di
apparecchi ecografici illegali venduti
anche a persone prive di formazione
medica. Il tema dell’aborto, dunque,
smaschera le contraddizioni dell’India
globalizzata e permette di aprire un
dibattito sulla coesistenza nella legge
indiana tra legalità dell’aborto in generale
e illegalità di quello di feti femminili.
“L’aborto è praticabile legalmente quando
la donna è gravemente malata e il
proseguimento della gravidanza può
essere pericoloso per lei e per il bambino
e
quando
le
cattive
condizioni
economiche in cui vive la donna le
impediscono il regolare svolgimento della
gravidanza e il mantenimento del figlio”
spiega l’avvocato Prem Murti Shandiyla.
Secondo un rapporto pubblicato l’anno
scorso dall’Uniceff su “La condizione
dell’infanzia nel mondo” in India si
registrano ogni giorno 7 mila nascite
femminili in meno rispetto alla media
mondiale e le cause sono socioeconomiche. Un figlio maschio è preferito
perché perpetua il nome della famiglia ed
è considerato “forza-lavoro”, soprattutto
nelle campagne, mentre una donna con il
matrimonio deve abbandonare la propria
casa per diventare “proprietà” di un’altra
famiglia ed considerata “un cattivo
investimento” perchè richiede una dote
elevata per conseguire un buon
matrimonio. “E’ ormai evidente che il
modello della disuguaglianza di genere in
India si è spostata da quella nella
mortalità a quella nella natalità – spiega
Amartya Sen, Premio Nobel per
l’Economia nel 1998 – ma peggio ancora,
esistono prove evidenti che i sistemi
tradizionali
per
combattere
la
disuguaglianza di genere come l’adozione
di politiche per aumentare l’istruzione
femminile e la partecipazione economica
delle donne, non sono sufficienti a
sradicare questa tendenza”. “L’incidenza
degli aborti basati sul sesso inoltre –
aggiunge Sen - non si può spiegare solo
con la maggiore disponibilità di strumenti
medici per accertare il sesso del feto: il
Kerala e il Bengala Occidentale, che non
sono stati deficitari, possono contare
almeno sulle stesse strutture mediche di
Stati deficitari come il Madhaya Pradesh,
l’Haryana o il Rajastahan. Se in Kerala e
in Bengala Occidentale il ricorso agli
aborti basati sul sesso non è frequente,
vuol dire che la domanda è bassa, non che
esistono gravi ostacoli nell’offerta di
questo particolare servizio. Il fenomeno,
quindi, va al di là delle risorse
economiche, della prosperità materiale e
della crescita del Pil, ma affonda le radici
nelle influenze culturali e sociali”. Il
Premio Nobel che lega l’Economia
all’Etica, per il quale lo sviluppo di un
Paese si misura con il benessere delle
persone e la giustizia sociale e non con il
Pil, sottolinea che in India “prevalgono
ancora valori maschilisti da cui le stesse
madri possono non essere immuni. Per
loro occorre, quindi, non solo la libertà di
azione, ma anche quella di pensiero:
libertà di mettere in discussione e
analizzare le convinzioni ereditate e le
priorità tradizionali”. La filosofa Martha
Nussbaum, docente di Legge ed Etica
all’Università di Chicago, fa sua l’idea di
Sen per il quale la libertà non è solo
mancanza di coercizioni, ma anche messa
in opera di risorse e apporti istituzionali
tali da dare a tutti le stesse “capacità”
(“quel che ciascuna persona può davvero
essere e fare”), peculiarità che per
Nussbaum corrisponde ai diritti. Nel suo
libro “Giustizia sociale e dignità umana”
la filosofa cita lo Human Development
Report del 1999 redatto dal Programma di
Sviluppo delle Nazioni Unite che dichiara
che nessun Paese tratta le donne bene
quanto gli uomini e punta l’accento su
come le minori opportunità date alle
donne di vivere libere e godere dei propri
diritti influisca sul loro benessere
emotivo. Per Nussbaum, quindi, è
“accettabile la posizione di essere contro
l’aborto selettivo e a favore di quello in
generale perché bisogna tener presente
che il feticidio femminile è una
conseguenza della discriminazione di
genere ed è quindi l’espressione di una
disuguaglianza. Scegliere di abortire in
generale, invece, ha a che fare con la
libertà della donna di pianificare il corso
della sua vita e di conseguenza è un
aspetto legato all’uguaglianza di genere.
Se si considera che la tutela della libertà
di scelta non richiede soltanto la difesa
formale delle libertà fondamentali, ma
anche dei presupposti materiali per
metterle in pratica, è naturale che se una
donna scopre di essere incinta di una
femmina e sa che vivrebbe male o
potrebbe morire di fame perché non ha i
soldi per prendesi cura della figlia e darle
una dote, potrà provare il desiderio di non
trovarsi in questa situazione e sceglierà di
abortire”. Il filosofo italiano Remo Bodei
analizza, invece, il fenomeno dell’aborto
selettivo all’interno del più ampio tema
dello sviluppo delle biotecnologie e del
mutamento dei parametri tradizionali
dell’esistenza. “Quel che appariva legato
alle dure e imperscrutabili necessità del
mondo si trasforma in oggetto di scelta, in
un “antidestino” scrive in “Una scintilla
di fuoco”. Sul tema delle “donne
mancanti” concorda con Nussbaum: “si
può essere in favore dell’aborto per gravi
ragioni ed essere contro la selezione
basata sul sesso, sia perchè tale
discriminazione è semplicemente odiosa,
sia perchè altera la cosiddetta “sex ratio”,
per cui nascono 105 maschi su 100
femmine in modo che a venticinque anni
d’età siano 100 a 100, poi il numero dei
maschi diminuisce e muoiono in media
circa sei anni prima delle donne, e
provoca squilibri nella popolazione”.
“Ricordo – aggiunge Bodei - che anni fa,
in Inghilterra, si concesse alle donne
indiane e pachistane di abortire oltre il
terzo mese. I risultati furono che su
seimila feti, la quasi totalità erano di sesso
femminile e gli altri, si potrebbe
malignamente aggiungere, erano il
risultato
di
una
cattiva
lettura
dell’ecografia”. Della stessa opinione è
Rita Bernardini, segretaria del Partito
Radicale in Italia, fazione politica che
dagli Anni 70 ha combattuto l’aborto
clandestino ed è stata fautrice dell’attuale
regolamentazione della cessazione di
gravidanza. “E’ vero che l’India è una
democrazia e vive un periodo di grande
vitalità, ma fin quando la donna sarà
sottomessa e vittima di disuguaglianze,
fenomeni come l’aborto
selettivo
continueranno a verificarsi, ed è atroce.
La strada per superare il problema può
essere quella di dare voce a queste donne.
L’aborto è sempre un dramma, ma se
molte lo scelgono sono da comprendere
per le forti discriminazioni che subiscono,
la presenza di una cultura tradizionalista
ancora forte e le difficili condizioni in cui
spesso sono costrette a vivere. Basta
pensare che in India 700 milioni di
persone non hanno neanche accesso ai
servizi igienici”.Per il filosofo italiano
Roberto Esposito “il feticidio femminile
rientra nella pratica “tanatopolitica”, di
politica della morte, che ha toccato il suo
apice mortifero nel nazismo, ma che si
riproduce in tutti i casi in cui l’aborto
diventa collettivo, ossia viene esteso a
gruppi umani in base a questioni di razza,
di genere, o a convenienze economiche e
demografiche”. “L’aborto (tema che ha
trattato nel libro “Bios. Biopolitica e
filosofia”, Einaudi, tradotto in Argentina
da Amorrortu) – aggiunge - è sempre un
atto doloroso, ma quando assume un
carattere di massa diventa una forma di
steriminio legalizzato da parte dello Stato.
Che ciò sia stato vietato in India
costituisce un indice importante della
svolta democratica di questo Paese e
un’indicazione positiva per tutta l’area
geopolitica asiatica”. “Per una donna
indiana non è facile scegliere di abortire:
è come rifiutare un dono prezioso”. Lo
sottolinea la dottoressa indiana Nancy
Myladoor. “Per cultura – dice - In India
ogni donna sogna una famiglia e dei
bambini. Molte di loro, infatti, per
sfuggire all’ignoranza e al maschilismo
decidono di tenere il loro bambino anche
senza il supporto della famiglia e del
marito. Per aiutarle nel momento in cui
vengono rifiutate dalla famiglia e dalla
società sono nati nel Paese molti
orfanotrofi e centri di accoglienza. Dal
’97 io, insieme a mio marito Thomas, ne
gestiamo uno a Thodupuzha in Kerala
dove attualmente ospitiamo 50 mamme e
180 bambini, dando loro un tetto dove
vivere e la possibilità di imparare un
mestiere che le rende autosufficienti nel
momento in cui decideranno di andar
via”. Sono tante anche le iniziative nel
Paese per reagire al problema dello
squilibrio
delle
nascite
e
per
sensibilizzare e incentivare le donne a non
scegliere la strada del feticidio femminile.
La città di New Delhi ha lanciato il “Girl
Child Protection Scheme”, un piano per la
protezione delle bambine che consiste
nell’offerta di 5 mila rupie (100 euro) per
ogni bambina che nasce. La somma viene
depositata su un libretto di risparmio,
vincolato in banca fino al compimento del
18esimo anno. La ragazza potrà rilevare
la sua dote, compresa di interessi maturati
nel tempo, a patto che abbia frequentato
la scuola fino alla maggiore età. Lo Stato
settentrionale del Punjab, invece, offre
ogni anno un premio di 5 mila euro al
villaggio agricolo che avrà la più alta
percentuale di bambine fra i neonati. Il
Governo indiano, insieme al Plan
International, ha addirittura prodotto una
soap-opera sul tema. Si intitola “Nata
dall’anima” e narra la storia di una madre
impossibilitata a scegliere per se, costretta
dalla famiglia del marito a un parto
cesareo prematuro per liberarsi del feto
indesiderato. Situazione ancora troppo
ricorrente in India nonostante la legge lo
vieti!
Francesca Bellino