Lo zio d`America è fra noi
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Lo zio d`America è fra noi
20E EPolis Bari Martedì 3 novembre 2015 Waldemaro Morgese – “L’Acquedotto Felice” – romanzo a puntate. 6 – Sergio a Manhattan Lo zio d’America è fra noi Cosa è accaduto nella quinta puntata “Fra le musiche del Buddha-Bar” Cosa è accaduto nella quinta puntata: Sergio possedeva una vecchia mappa turistica dell’Albania in lingua inglese, datata 1968: testimoniava l’interesse del dittatore Enver Hoxha per il turismo di élite. Ma i colleghi albanesi raccontano a Sergio le nefandezze della dittatura, le torture e gli impigionamenti, il sequestro di libri. Viaggia nel Paese delle aquile e ha modo di ammirarne le bellezze. A Tirana incontra un famoso romanziere albanese con cui fa amicizia passando le notti nella movida del Block, un tempo quartiere riservato ai burocrati del partito comunista. CULTUR A & A mico mio, i racconti del Nord sono ormai acqua passata, pur se meravigliosa. Tu hai cantato, è il caso di dire, le leggende dei puledri bianchi e la nostalgia del mare, ma oggi Tirana e l’Albania sono ciò che vedi qui, non debbo insegnartelo io! - Tutto questo è lontano dalla mia Shkodra…Quando ho scritto La strada per Bordolec ho ritratto figli snobbati dai padri ma che poi li soccorrono quando i genitori si trovano negli impicci. Eppure allora non erano facili questi argomenti. Ma qui è diverso, qui…non ci capisco niente! Sergio sorrise, era almeno dieci anni più giovane di lui e ciò contava. Però l’amico scrittore gli ispirava nel medesimo tempo rispetto e affetto. Era pur sempre l’artista che aveva saputo trasfigurare in immagini di quotidianità le leggi inesorabili della vita: «La porta della torre viene aperta con irruenza. Il ferro arrugginito rivela la rabbia degli anni, la porta stessa mostra la rabbia degli anni, anche le persone che escono rivelano la rabbia degli anni». Tornato in Italia lo invitò a incontrare gli studenti. Gli eventi si svolsero con platee di centinaia e centinaia di ragazzi. Lui si trovava pienamente a suo agio con loro avendo scritto molto, per più di un decennio, per l’infanzia e la gioventù. Naturalmente le domande più insistenti riguardavano la vita in Albania al tempo del dittatore e lui non si sottraeva, forte della sua enorme e disinteressata esperienza di insegnante, scrittore professionista, diplomatico, direttore di reti televisive e intellettuale in grado di padroneggiare più lingue. Così gira il mondo, venne a Sergio di riflettere fra sé e sé. Questo paese che durante il primo conflitto mondiale fu solcato da sette eserciti stranieri, alla fine della guerra è stato risarcito con grandi manifestazioni di solidarietà proprio in Italia. Dopo la ferita del secondo conflitto, oggi quella solidarietà sembra ripetersi. - Io stesso con questa mia attività ne sono l’esempio tangibile (pensava Sergio non poco soddisfatto, anzi orgoglioso). La sua amica albanese del resto non smetteva di essergli grata per aver reso possibile la risalita alla luce di masse di documenti utili a scavare nell’identità skipetara. I medesimi sensi di riconoscenza gli giunsero dalla comunità dei bibliotecari, molti dei quali svolgevano la loro preziosa opera in biblioteche sperdute, difficili a raggiungersi per causa della cattiva viabilità. Sergio si congedò dall’Albania organizzando un grande concerto che intrecciò le due anime nazionali auspice la musica di Giuseppe Verdi, Nikolla Zoraqi, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni e Thoma Gaqi. Il teatro di stato stracolmo e le importanti personalità che vi assistettero suggellarono un possibile sogno. Ma i viaggi di Sergio furono anche oltreoceano. La limousine bianca era ferma nel John Fitzgerald Kennedy Airport. Attendeva Sergio e i suoi collaboratori ad appena trenta chilometri da Manhattan, luogo di destinazione. - Io sono di seconda generazione e gestisco una catena di shop di prodotti alimentari. Vendo italian food che però, scusate se ve lo dico in confidenza, in buona parte produco nel Delaware e nel New Jersey. Quello autentico solo per pochi, persone come voi ad esempio. L’imprenditore del sud Italia si compiaceva della sua furbizia e subito informò gli ospiti che aveva noleggiato la limousine per riguardo e per far provare l’ebbrezza di una visita alla città di New York guardando senza essere guardati. Infatti nella lunga auto con i vetri fumé c’era una giovane guida, lo faceva per mestiere. Sergio e gli altri si accomodarono gli uni di fronte agli altri, accanto al bar fornito di liquori e champagne. La visita turistica fu abbastanza scontata e alla sua conclusione l’auto accostò all’imbocco di Little Italy che peraltro cominciava ad essere invasa dai cinesi. - Voglio farvi conoscere un’anziana signora che è emigrata qui da ragazza. Ora ha ottant’anni e continua a gestire da sola un ristorante. Ha fatto tanti figli tutti attivi negli affari. Sergio e gli altri si guardarono negli occhi chiedendosi muti la ragione. Ma ragioni particolari non vi erano, capirono dopo, solo il desiderio del loro anfitrione di sottolineare che gli italiani in America sapevano darsi da fare e affermarsi, perfino le donne. Volle anche offrire ai suoi ospiti lo spettacolo di off-Broadway: una commedia di un drammaturgo italiano con regia di un italiano all’Abingdon Theatre, nella trentaseiesima strada. Sergio, nel godere la pièce, ripensò commovendosi al suo nonno materno che il 30 marzo 1924 diresse al National Theatre nella quarantunesima strada la Sonnambula, con sua nonna mezzo soprano nel ruolo di Amina. Nello staff c’era un signore che già conosceva l’America perché era stato protagonista di una vera e propria storia come quelle che si leggono nei libri: la storia dello zio d’America. Se qualcuno pensa che siano fantasie per esaltare la bontà dell’animo umano e la fortuna del destino, questo caso era fatto apposta per smentirlo e Antonio lo diceva a tutti: - Lo zio d’America è stato esaltato in tutte le salse: film, telefilm, fiction, ristoranti e caffetterie chiamati così, opere teatrali, perfino giochi da tavolo. Ma lo zio d’America per me è una realtà. Mio zio era emigrato in una città ai confini con il Canada di fronte a maestose cascate, Buffalo. E’ morto lasciandomi per testamento una casa, un villino da cui si sente il fragore dell’acqua e una scintillante Buick Centurion cabriolet che ho anche guidato! Ma c’era dell’altro. Dalla viva voce del console onorario, mentre sbrigava le pratiche testamentarie, Antonio aveva appreso la storia di un italiano emigrato in America proprio a Buffalo e poi nella nuova Urss, a Mosca, internato nel gulag, sopravvissuto miracolosamente e autore di un memoriale in cui aveva narrato la sua odissea. La comitiva era diretta appunto in quella città, per attivare un progetto culturale sull’odissea di quell’italiano emigrato lì con il padre e poi perso nelle nebbie sovietiche. Sergio aveva già stipulato un accordo con la locale biblioteca, la locale università, il console onorario e un prete molto attivo con gli emigrati. La tappa di New York era solo di cortesia, programmata per la forte insistenza dell’imprenditore del cibo che di italiano aveva solo il sound. L’ACQUEDOTTO FELICE 6 SERGIO A MANHATTAN La sesta puntata del libro di Waldemaro Morgese Sergio si congedò dall’Albania organizzando un grande concerto che intrecciò le due anime nazionali La limousine era ferma nel John F. Kennedy Airport. Attendeva Sergio e i suoi collaboratori a 30 km da Manhattan