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5 Dicembre 2011
InsiderAcciaio
Gianclaudio Torlizzi
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Il calo del consumo apparente continua a pesare sui prezzi dei laminati sul mercato italiano. Sebbene negli
ultimi giorni si sia registrato un leggero rimbalzo di circa 10 EUR/t, in base alle mie rilevazioni il prezzi del coils a
caldo veleggia attualmente intorno ai 460-470 EUR/t ex works.
Come ho scritto negli InsiderAcciaio passati, mi attendo che la ripresa del ristoccaggio tra i centri di servizio
infonda dal mese di gennaio una spinta al rialzo dei prezzi. Tuttavia, la nuova manovra che verrà varata dal
governo di Mario Monti, incentrata sostanzialmente sulla riduzione del debito pubblico e quindi su un approccio
recessivo per l’economia italiana (previsione del pil a -0,2/-0,4% nel 2012) , manterrà i consumi finale alla
porta, impedendo ai prezzi di prodursi in rialzi strutturali e regolari.
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Pertanto, se da un lato la mia indicazione secondo cui il prezzo del coils a caldo avrebbe trovato un
supporto importante a 450 EUR/t si sta rivelando corretta, ritengo che i prezzi difficilmente
romperanno la resistenza a 470-480 EUR/t entro la fine dell’anno e quella dei 500 EUR/t entro nel
primo trimestre 2012.
Oltre alla prevista fase di ristoccaggio, un aiuto ai prezzi giungerà tuttavia dalle dinamiche
dell’euro che nei primi mesi dell’anno dovrebbe assistere a un consolidamento in area 1,30-1,25 a
causa delle lentezza di reazione da parte dei policymakers europei nei confronti della crisi del
debito sovrano. Un fenomeno, questo, che disincentiverà le importazioni extra-Ue. Un terzo fronte
di supporto giungerà anche dal prezzo della materia prima. Per quanto riguarda il minerale di ferro
il prezzo non dovrebbe rompere il supporto dei 120 USD/t. Mentre per quanto riguarda il rottame
HMS cfr Turchia piuttosto solido appare il supporto dei 400 USD/t.
In assenza di un miglioramento sensibile del consumo reale tuttavia è chiaro che solo un taglio deciso della
produzione può impedire che l’attuale fase di rimbalzo dei prezzi possa rivelarsi maggiormente
sostenibile. Fenomeno questo che non sta ancora prendendo piede in maniera strutturale. Insomma
nell’attuale fase di debolezza congiunturale stupisce la resistenza dei produttori di non voler tagliare l’output.
Una logica, questa, che, come ho spiegato negli InsiderAcciaio passati, rientra nella strategia commerciale di
mantenere quote di mercato soprattutto nei confronti dei fornitori extra-Ue che oggi bisogna ammettere non più
competitivi rispetto ai fornitori europei.
Tale risultato è stato pagato dai produttori in termini di marginalità nel terzo e quarto trimestre di quest’anno.
Certamente lo scenario migliorerà nel primo trimestre 2012: i contratti di fornitura di minerale di ferro del primo
trimestre del 2012 dovrebbero infatti rivelarsi in calo del 13-14% rispetto a quello dell’ultimo trimestre del 2011
pari a 115,79 USD/t.
Stesso trend per il prezzo del rottame con l’HMS cfr Turchia crollato poco sopra i 410 USD/t ma prossimo al
rimbalzo come già evidenziato dall’andamento del prezzo del contratto finanziario sulla billetta scambiata sul
London Metal Exchange con cui il prezzo del rottame ha una correlazione del 90%.
Nel mese di ottobre l’indice aggregato Eurofer relativo al lamierino ha registrato la flessione più importante su
base storica a 312 punti dai 327 punti di settembre e dal record di 340 punti di giugno. In calo anche il rottame
frantumato e da demolizione scesi di 11 punti rispettivamente a 302 e 306 punti dopo i massimi di giugno a 327
e 332 punti. Una situazione questa decisamente diversa da quella del 2008 quando gli indici Eurofer crollarono
tra il mese di settembre e quello di ottobre del 21-23%. Rispetto al 2008 poi lo stato generale delle scorte dei
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produttori di acciaio oggi risulta più basso.
Se dunque si considera il mantenimento della produzione di cui abbiamo dato conto, il basso livello delle scorte,
la prevista chiusura generale degli impianti di 3 settimane in linea con la media, mi attendo un rimbalzo dei
prezzi nelle prossime settimane aiutato anche dagli acquisti da parte dei turchi con sfrutteranno il recente e
insostenibile rimbalzo dell’EUR/USD a 1,34-1,35 dei giorni scorsi. Attualmente in Italia il lamierino magnetico si
attesta a 315 EUR/t, il frantumato a 315 e il demolizione a 290 EUR/t. A prefigurare il rimbalzo giunge anche
l’andamento del contratto finanziario sulla billetta (correlata al prezzo del rottame per il 90%) salita a 540 USD/t
da 520 USD/t.
A prescindere dal recupero della marginalità dei produttori finita ai minimi termini è un fatto però
che la condizione attuale del mercato rimanga quella di un eccesso di offerta. Lo confermano le
ultime rilevazioni della World Steel Association secondo cui nel mese di ottobre la produzione globale di acciaio
si è attestata a 124 milioni di tonnellate, in calo del 2,4% rispetto ai livelli di settembre su base giornaliera. A
1,460 miliardi di tonnellate nell’anno, il livello è stato il più basso dal dicembre del 2010, oltre a essere al di
sotto della soglia di 1,5 miliardi di tonnellate nell’anno, per il quarto mese consecutivo. E’ vero comunque che
l’output ha segnato un rialzo del 6,2% su base annua, il che porta a concludere - anche se il tasso di crescita
della produzione continua a decelerare - che il risultato è in controtendenza se si considera il contesto globale di
incertezza.
Esaminando il dato, a mettersi sotto i riflettori sono soprattutto i numeri provenienti dalla Cina:
nel paese, la produzione è scesa del 6,7% su base mensile, attestandosi a 46 milioni di tonnellate
per anno; la ragione è nei tagli all’output, che sono stati mesi in atto dalle aziende per contrastare
il calo dei prezzi dell’acciaio. Le aree ex-China, invece, hanno registrato performance quasi
esattamente in linea con il trend stagionale, che prevede di norma per ottobre lievi recuperi
dell’offerta, e hanno così visto i livelli di produzione salire dell’1,3%. Riguardo all’Europa, la
produzione dell’Ue15 è stata piatta su base mensile e su base annua (calo pari allo 0,1%), per la prima volta
dall’ottobre del 2009.
Guardando ancora più nel dettaglio, c’è un risultato che ha davvero sorpreso: si tratta della produzione degli
Stati Uniti, che nel mese di ottobre, ha segnato un balzo dell’11,5% su base annua, tornando a superare il ritmo
di crescita della Cina. L’offerta americana è stata in linea con la domanda apparente di acciaio, che è cresciuta
dell’11% su base annua. E’ la Corea del Sud che continua comunque a segnare i tassi di crescita più elevati tra i
maggiori produttori di acciaio: in questo caso l’incremento è stato del 17,8% su base annua grazie anche alla
produzione aggiuntiva di Hyundai. Tuttavia, i dati iniziali relativi al commercio indicano che nel mese di
settembre la domanda per i prodotti finiti è stata piatta: dunque, si teme che la produzione di acciaio stia
salendo in modo troppo repentino.
In Europa, l’output italiano rimane in crescita, nonostante le preoccupazioni per il futuro del paese
anche se sto raccogliendo rumor relativi alla possibile chiusura dell’altoforno 1 di Taranto da parte
di Riva. A mettersi in evidenza è anche la Turchia, che ha registrato una performance decisamente migliore
rispetto alle altre economie dell’Europa dell’est, sia nel mese di ottobre che nell’anno intero.
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Sul fronte opposto il rallentamento dell’output cinese si è riversato su Taiwan, dove l’offerta di acciaio è scesa su
base annua per la prima volta dal settembre del 2009. Inoltre, nonostante il ritmo di crescita che continua a
perdurare, la produzione di acciaio indiana è salita soltanto del 4,5% su base annua (e del 5,2% dagli inizi
dell’anno). Il Brasile ha poi sofferto un calo del 2,7% della produzione di acciaio, mentre nel caso delle
economie dell’Africa la flessione è stata di ben il 12,8% (sebbene la situazione politica attuale abbia certamente
inciso molto su questo calo).
Tali dati mettono in luce la performance a “saliscendi” che il settore dell’acciaio sta riportando nel corso del
2011, con il mercato Usa che assiste a un aumento dei consumi di acciaio, complici anche i bassi tassi di
interesse, e le economie emergenti – che dovrebbero alimentare, a parte la Cina, la crescita dei consumi – che
si stanno imbattendo in non poche difficoltà. Una dinamica questa che a mio avviso si riequilibrerà nel 2012.
Focalizzandoci per esempio sulla produzione cinese, la flessione riflette la debolezza sia della domanda sia del
sentiment di mercato. A ciò si aggiunge che i dati frequentemente resi noti dalla Cisa che lasciano pensare che
ci siano stati ulteriori tagli significativi all’output cinese agli inizi di novembre: tagli che quasi sicuramente si
tradurranno in un ulteriore ribasso dei dati complessivi di novembre. Allo stesso tempo, l’incremento delle scorte
di acciaio avviato fino al mese di settembre –inizialmente l’elemento catalizzatore che ha condizionato la
flessione recente della produzione – si è ora fermato, tanto che gli stock stanno scendendo: e tale scenario è
indicativo di come i tagli all’offerta siano stati eccessivi.
Certamente, la domanda reale non è stata spettacolare, ma i margini sono rimbalzati: dunque, ritengo che la
produzione di acciaio cinese tornerà verso un trend al rialzo a partire da dicembre, visto che le
aziende saranno più incentivate a produrre. A ciò si aggiungerà il nuovo corso di politica monetaria da
parte della banca centrale cinese che la scorsa settimana ha abbassato il coefficiente di riserva obbligatoria
delle banche di 50 punti base al fine di ridare vigore ai prestiti alle imprese. A riportare in crescita la produzione
di acciaio interverrà anche la probabile nuova fase di svalutazione dello yuan nei confronti del dollaro,
necessario per impedire alla locomotiva rossa di finire contagiata dalla crisi del debito sovrano europea.
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Diversa la situazione in Europa, dove i tagli alla produzione sono iniziati solo a ottobre, sebbene a un ritmo
rapido. (vedi allegato pdf sui tagli varati dai produttori europei). I dati a disposizione mettono in evidenza che
una capacità di produzione europea di quasi 27 milioni di tonnellate è stata, o sta per essere ridotta tra i diversi
paesi del Vecchio Continente. E non c’è alcun dubbio, con le misure di austerity promosse, che la domanda di
acciaio sia destinata a scendere. La storia insegna che, a meno di un rialzo dell’economia a un ritmo del 2% su
base annua, è improbabile che i consumi di acciaio crescano. Di conseguenza, con una crescita del pil reale che,
secondo le stime dell’OCSE, sarà piatta, la banca Macquarie stima una flessione del 6% su base annua
nella domanda della regione. In un contesto del genere, l’interrogativo è su quanto della capacità produttiva
fermata sarà interrotta in modo permanente, soprattutto se si considera che la situazione degli anni ’80 quando i consumi di acciaio Ue erano di 350 Kg per persona -, è forse un riferimento più credibile rispetto
all’anomalia dei consumi che si è registrata nel 2000, in una economia alimentata dal credito.
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