ADDIO A ZIA MARIETTA Carissima zia Marietta
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ADDIO A ZIA MARIETTA Carissima zia Marietta
ADDIO A ZIA MARIETTA Carissima zia Marietta, è il tuo nipote Michele o, come dicevi tu, M’ch’lìn, che ti parla. Quando mi chiamavi M’ch’lí, mi pareva di essere ancora bambino e di scorazzare per le strade polverose di Banzi a piedi scalzi. Oggi sono invecchiato anch’io e voglio darti l’ultimo saluto davanti alla casa che fu tua e ora, per i giochi della sorte, è mia. In questa casa sul mignale nascesti 92 anni fa e in questa casa sei vissuta fino al matrimonio. In questa casa sono nato anch’io, 22 anni dopo di te. Allora questo luogo, che largo non è, ma la corte interna di un castello fortificato, era abitato da un fitto popolo di povera gente, che si era per necessità impossessata nei secoli dell’antica abbazia in decadimento e ci viveva stretta stretta coi suoi animali. In questo meraviglioso spazio teatrale si sentivano risa e pianti di bambini, preghiere e bestemmie, un cicaleccio nelle sere d’estate. Ma nessuno sapeva di vivere dentro un monumento storico. Ora che queste mura sono state restaurate, c’è un silenzio che fa quasi paura. Ma l’assenza delle voci vive ci aiuta ad auscultare la voce tacita del tempo e delle età passate. Da questa casa sul mignale ti accompgneremo alla tua ultima dimora, passando davanti a un’altra casa, quella dove hai trascorso mezzo secolo di vita: una casa di due povere stanzette con semplici arredi, con le vetrinette ravvivate dall’esposizione delle fotografie di tutte le persone a cui hai voluto bene e che ti hanno voluto bene. Sono qui con me a dirti addio parenti e amici, la tua adorata figlia unica Rosa, i tanti nipoti con le loro mogli e mariti, coi loro figli, tutta Banzi, commossa e quasi meravigliata della tua scomparsa: perché la tua vitalità e lucidità, la tua forte memoria ti facevano apparire immortale. Ci sono qui i vivi a salutarti, ma ci sono anche i nostri morti, che oggi sono tornati a portarci la loro dolce compagnia e il loro forte silenzio. Ci sono sì i nostri morti, per rinsaldare l’alleanza fra loro e noi, per ricordarci di non smarrire la lezione di vita che hanno lasciato. C’è il tuo genero Nicola, che ti ha preceduto solo qualche giorno fa; ci sono tua sorella Donatella e i tuoi amati fratelli Matteo e Rocco, Rocco, che trascorse l’adolescenza sotto rozzi padroni per adornare l’onore delle sorelle, c’è la grande e bellissima Giudittella a te madre e a me nonna, la cui immagine accarezzava i miei occhi di bambino e ancora riempie la mia fantasia di adulto. E c’è, in prima fila, davanti a tutti, la figura alta e fiera di tuo marito Luigi. A chi non lo sa o non lo ricorda, voglio dire oggi che il tuo Luigi fu un gran lavoratore, quando la laboriosità era una virtù. Lo ricordo, io bambino di sette o otto anni, seduto vicino al focolare, dire parole di ammirazione – lui analfabeta - per noi nipoti che andavamo a scuola, e sostenere che se lui avesse saputo leggere e scrivere si sarebbe sentito padrone del mondo. Caro zio Luigi, abbiamo imparato a leggere e scrivere, ma abbiamo perso per strada l’umanità e stiamo ancora sotto rozzi padroni. Luigi fu ateo e comunista: in un’Italia miserabile e crudele, si batté con coraggio per la dignità sua e degli altri. A chi oggi è soddisfatto e docile a chinare il capo, voglio far sapere che quei simboli tramontati che armonizzavano il lavoro manuale e quello intellettuale hanno insegnato ai dannati della terra come Luigi e come ‘tatto’ Francesco (mio nonno materno) a non chinarsi più col cappello in mano davanti a gente che viveva del loro sudore. Luigi partecipò di una jacquerie contadina - incruenta e godette le gioie delle patrie prigioni. Anche attraverso quel sacrificio l’Italia è cresciuta democraticamente e i nostri ragazzi posssono usare telefonini e vestire decorosamente. Mi meraviglio che il Comune di questo paese non senta la necessità di onorare del ricordo quegli uomini generosi che per troppo amore e per senso di giustizia furono puniti dalla legge. Furono tanti quegli uomini e non c’è quasi famiglia di Banzi che non abbia visto un suo membro partecipare a quella giornata memorabile. Cari compatrioti bantini, non dovete vergognarvi di quegli uomini, dovete anzi andarne orgogliosi e tramandarne il ricordo. Propongo qui pubblicamente alle autorità comunali di dedicare loro una strada o una piazza. Cara zia Marietta, parlo di Luigi e trascuro te. Tu fosti sempre fedele alle tue origini, schietta e aspra quando ci voleva, genuina e diretta, affettuosa e passionale. La tua religiosità era naturale e veneravi i santi che fanno bene agli uomini sofferenti. Col tuo uomo fosti solidale, e combattesti insieme con le altre mogli la dura battaglia processuale. So che non hai dimenticato mai il tuo Luigi, morto giovanissimo, solo sotto un albero in un campo lontano da casa. Era sempre presente ai tuoi discorsi e ai tuoi ricordi come fosse ieri. E una volta mi dicesti che, se c’è qualcosa da quell’altra parte, e lo rivedrai, chissà come ti accoglierà, perché lui è rimasto miracolosamente giovane e tu eri diventata vecchia. Cara zia, se c’è qualcosa da quell’altra parte, come tu dici, lo ritroverai e lui ti rivedrà giovane e snella, agile e monella come ti ha lasciato mezzo secolo fa. Noi vogliamo vedervi così: lui che ti bacia ogni mattina prima di andare via, e tu che ti arrampichi come una diavola sui cerrasti, tutti e due belli di una bellezza semplice e quasi selvaggia. E voglio ricordare a tutti che Marietta fu solidale col suo uomo non solo nella battaglia processuale, ma negli ideali più profondi, e con lui sognò la società giusta e perfetta, la società degli uomini uguali che purtroppo nessuno ha ancora visto, ma che è indecoroso oltraggiare in nome del profitto e delle mille furbizie, e che un errore storico colossale pretende di buttare nella spazzatura. Pochi giorni prima di un Natale di due anni fa, portando a Banzi Petrarca, che è con Dante il più grande intelletuuale che abbia dato l’Italia, volli rendere omaggio a Marietta. Volli renderle omaggio come a monumento antropologico di una cultura che rispetto alle altezze di Dante e Petrarca sta in basso, ma che è importante e insostituibile. È insostituibile come sono insostituibili le parole e i primissimi insegnamenti della mamma, che ci porteremo dentro con noi anche quando saremo grandi scienziati. Guai a quelli che non portano con sé la parola della madre. Guai a quelle nazioni che schiacciano la cultura del popolo. Dalla voce della nonna Giuditta, la mamma di Marietta, ho ascoltato i racconti della sera che mi accompagnavano nel regno dei sogni; dalla bocca di Marietta ho ascoltato i canti di Banzi, che ho voluto dedicare alla nascita della mia bambina, affinché la catena non si interrompesse. Cantava Marietta le ninne-nanne per i bambini in un casello ferroviario solitario sotto Irsina e mentre io le registravo il suo nipotino Mimì, ancora in fasce, saltava in braccio alla mamma; cantava Marietta i canti di dispetto e d’amore, la contemplazione delle stelle e il ritmo della danza; cantava la storia di Verde Uliva che insultò per amore il matrimonio combinato col ricco conte di Maggio: Verda Uliva, intrecciati i capelli, ca il tuo papà ti vole ammarità... Erano canti che venivano da lontananze abissali, da mille anni addietro, erano stati tramandati di bocca in bocca senza carte scritte. Anche noi dobbiamo passarli ai nostri figli, perché il buio della notte non li seppellisca. Ne ricordo uno solo e glielo dedico come musica per il suo ultimo viaggio: Vulia sta na notte a lu sereno vulia cuntà li stelle a una a una. Ciao, Marietta! Michele Feo Banzi, 3 ottobre 2008 Discorso detto in largo Urbano II, davanti al feretro di Marietta Di Feo