Capitolo nono Oslo e Utøya, un anno dopo

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Capitolo nono Oslo e Utøya, un anno dopo
Capitolo nono
Oslo e Utøya, un anno dopo
«L’articolo di Feltri? Chi scrive queste cose vuole mostrarsi un duro, ma
in realtà non è molto forte dentro».
Truls Wickholm, giovane deputato del Partito Laburista norvegese, 27 luglio 2012.
Un tubetto cilindrico di plastica verde: al suo interno acqua saponata e uno stick bianco per soffiarci dentro e creare bolle di sapone. Nulla più di questo tubetto, trovato nell’erba di Utøya sotto la
targa che commemora i volontari norvegesi caduti nella guerra di
Spagna fra il 1936 e il 1939, dà l’idea di cosa sia un campeggio estivo di giovani socialisti o comunque un campeggio estivo di giovani
appartenenti a qualsiasi area politica. A Utøya è possibile parlare a
tu per tu con Gro Harlem Brundtland, che riuscì a far firmare la
pace a israeliani e palestinesi e, allo stesso tempo, giocare con le
bolle di sapone. Si può suonare la chitarra e parlare di pace nel
mondo. Si può pensare agli Stati Uniti d’Europa e, allo stesso tempo, affiggere un cartello con su scritto ‘Quartier Generale NATO’
per indicare la via verso le latrine. Si può incollare alle finestre un
adesivo che invita a boicottare Israele e, allo stesso tempo, sognare
la fratellanza universale, giocando a calcio e a pallavolo. Non si è
ancora adulti, ma ci si affaccia per la prima volta sul grande palcoscenico della politica e della vita.
Utøya è tutto questo e Anders Behring Breivik è riuscito in un miracolo: ha trasformato questa meravigliosa isola nel lago Tyrifjorden
in un tempio, nel santuario dei socialisti di tutta Europa e di tutto il
mondo. I giovani laburisti norvegesi non hanno ancora riconquistato
l’isola profanata: nel 2012 si è tenuta una partecipata commemorazione, ma non il tradizionale campeggio estivo che si svolge lì da 60
anni. Åsmund Aukrust, vice capo dell’AUF, che a Utøya sfuggì alla
mattanza nascondendosi, spera di poter ‘riconquistare’ l’isola nel
2013, ma non è così facile. I familiari delle 69 vittime, trucidate nel
‘Nordic paradise’ (come scritto su un poster nella mensa-caffetteria),
piangono i loro cari e per ora non se la sentono di dare il via libera
alla ripresa dei summer camp. Di fronte al piccolo molo, unico attracco
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per le barche, sventola orgogliosa la bandiera rossa dell’AUF con il
simbolo a metà fra il bocciolo di una rosa e la fiamma: la rosa è il
simbolo del Partito Laburista, i giovani hanno l’ardore della fiamma
ma non sono ancora una rosa del tutto aperta.
Il simbolo dell’organizzazione dei
giovani laburisti norvegesi (AUF)
Truls Wickholm, 33 anni, deputato alla Stortinget, vicino al ministro degli Esteri Støre, confida che la ripresa del campeggio estivo
avverrà nel 2014, dopo che i locali della mensa-caffetteria al centro
dell’isola saranno prima demoliti e poi ricostruiti. Solo in quelle sale
e dintorni, Breivik uccise diciassette giovani. Ma è veramente una
buona idea demolire e ricostruire una parte del tempio? Forse ad
Auschwitz hanno tolto la scritta ‘Arbeit macht frei’, hanno eliminato
le camere a gas? È ovvio che, dopo Breivik, Utøya non sarà più la
stessa. Ma non bisogna dimenticare. Al contrario, il sangue delle 69
vittime renderà ancora più forti e consapevoli i giovani laburisti e
socialisti del futuro. Nella targa che ricorda i volontari norvegesi,
caduti nella guerra di Spagna, ci sono alcuni passaggi di una poesia
di Nordahl Grieg, anche lui morto a Berlino nel 1943 per combattere i nazisti. I versi, immortalati nell’isola quattro giorni prima della
strage, sono premonitori: «La guerra è disprezzo per la vita. La pace è creazione. Aggiungi le tue forze alla lotta: la morte deve essere
sconfitta». Grieg illumina, i giovani laburisti hanno questa possibilità ed è sempre il poeta a indicare la strada nello stesso scritto dedicato alla gioventù. Bisogna «combattere», ma qual è la «tua arma?
Qui c’è la tua spada: la fiducia nel genere umano».
A Oslo, la sera del 22 luglio 2012, piove e fa freddo. Definire ottimisti i norvegesi che si avventurano con sandali e spalle scoperte è
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poco. Più che ottimisti, bisogna essere sognatori. Ma evidentemente
c’è qualcosa nell’aria che scalda gli animi: è un qualcosa che porta
60 mila persone nella piazza di fronte al Rådhuset (nelle cui sale
ogni dicembre si consegna il Premio Nobel per la Pace) ad ascoltare
i cantanti e i musicisti che commemorano la strage. Tra loro c’è anche Bruce Springsteen, che canta We shall overcome. Due cose impressionano: l’enorme quantità di rose, soprattutto rosse, che tappezzano ogni angolo della città, e il silenzio sacrale con cui i norvegesi ascoltano Springsteen, che non è esattamente uno qualunque.
Eppure lo stesso ‘Boss’ si limita a cantare una sola canzone perché
«questo non è il mio concerto, questo è il giorno dedicato alle vittime della strage». I norvegesi, anche i più giovani, non urlano la loro
gioia per Springsteen, non ci sono cori da stadio. Ascoltano in silenzio e, alla fine, c’è un lungo, lunghissimo applauso. Molti hanno in
mano una rosa, altri sventolano la bandiera nazionale.
La Norvegia è cambiata dopo il 22 luglio 2011? In parte sì. Breivik poté tranquillamente parcheggiare il furgone imbottito di esplosivo sotto le finestre degli uffici del premier Stoltenberg, perché la
strada era aperta al traffico cittadino senza limitazioni di sorta. Un
anno dopo, l’incontro dell’autore con Aukrust, programmato da
giorni per il 23 luglio 2012 alle ore 13,30, è rimasto indeterminato
per quanto riguarda il luogo fino alle ore 12,52. Chi ha visto i propri amici e compagni morire per mano di un uomo vestito da poliziotto ha il diritto di diffidare di chiunque. L’incontro avviene accanto alla fontana di piazza Youngstorget, antistante il brutto palazzo che ospita le sedi del Partito Laburista e dell’AUF. Aukrust nega
che la decisione di rivelare solo all’ultimo secondo il luogo dell’appuntamento sia una misura di sicurezza.
Come scampasti alla strage di Utøya?
«Mi sono nascosto in posti differenti dell’isola per tre ore – risponde Aukrust – finché non è arrivata la polizia».
Molti giovani laburisti, anche dopo l’arresto di Breivik, non riuscirono immediatamente a capire il cessato pericolo. Come riconoscesti i veri poliziotti?
«Io capii quasi subito che era arrivata la vera polizia e mi sentii
molto sollevato».
Vedesti Breivik?
«No, mai. L’ho visto nei mesi successivi, al processo».
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In Norvegia ci sono state polemiche perché il leader dell’AUF,
Eskil Pedersen, lasciò l’isola con la barca, senza aiutare i propri
compagni…
«Eskil – risponde Aukrust – fu fortunato a trovarsi vicino alla barca».
Vittorio Feltri, prima firma de Il Giornale, un quotidiano italiano
di proprietà della famiglia Berlusconi, vi accusa di non essere stati
capaci di reagire…
«È impossibile per dei teen-ager attaccare un uomo armato. Tutti
sarebbero stati uccisi».
Lui sostiene che i primi dieci-venti sarebbero stati uccisi, ma gli
altri avrebbero distrutto la belva sanguinaria…
«Non ho parole per questa opinione. La sua tesi è ovviamente
impossibile da realizzare».
Cosa facesti quando cominciarono gli spari?
«Ho fatto quello che avrebbero fatto tutti – afferma Aukrust – mi
sono allontanato e mi sono nascosto».
Non sono troppi novanta minuti per raggiungere Utøya? I reparti speciali si mossero in ritardo?
«Non lo so. Forse ci furono buoni motivi o forse ci fu errore
umano. Una Commissione ha lavorato per giudicare l’operato dei
soccorsi».
Provi odio per Anders Behring Breivik?
«Non userei questo termine, ma naturalmente odio tutto ciò che
è successo».
Breivik è un pazzo?
«Ho scelto di non perdere il mio tempo su di lui. Preferisco ignorarlo».
E Fjordman che fu il suo maître à penser?
«Non si è scusato e non sono interessato alla sua figura. Io a Utøya ho perso moltissimi amici».
Roberto Fiore, leader di Forza Nuova e citato in positivo nel
Compendium di Brevik, ipotizza un nesso fra la strage e la posizione politica filo palestinese dell’AUF…
«Questa – replica deciso Aukrust – è un’opinione stupida».
Perché la prima reazione dei media è stata quella di puntare sulla
pista islamica?
«Questo è interessante e c’è un dibattito su questo punto».
C’è in Europa un’invasione musulmana?
«Non c’è alcuna invasione musulmana, specialmente in Norvegia».
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Janne Kristiansen e Knut Storberget, ai vertici dei servizi segreti e
del ministero della Giustizia, hanno lasciato i loro incarichi a causa
di ciò che è successo a Utøya?1
«Penso che Storberget sia stato un ministro brillante, sempre vicino ai giovani laburisti».
Organizzerete nuovamente i vostri campeggi estivi a Utøya?
«Sì – conclude il vice capo dell’AUF – forse l’anno prossimo».
Åsmund nega di avere adottato misure di sicurezza per incontrare uno sconosciuto. Ma la Norvegia continua a essere un Paese dove
c’è ampia fiducia nel prossimo. Fonti processuali, che hanno preso
parte anche alle udienze a porte chiuse di Breivik, riferiscono che i
pessimi giudizi che il killer riserva per i propri familiari nel Compendium (madre, patrigno e sorella) siano in realtà una misura cautelativa, adottata preventivamente dallo stesso Breivik, per salvaguardare i propri cari da ipotetiche vendette trasversali2. Ma probabilmente si tratta di una precauzione inutile. A Oslo, nel quartiere
Skøyen, non lontano dal mare e dai traghetti per Kiel, mamma
Wenche Behring Breivik, una bella, curata, gentile signora bionda,
continua tranquillamente a vivere nel suo appartamento, con tanto
di nome messo per esteso sul citofono del portone e sulla cassetta
postale. Per ironia della sorte, nello stesso pianerottolo, vive una
famiglia di origine irachena. Anders Behring Breivik non ha mai incontrato in carcere i suoi familiari. Secondo il suo avvocato, Geir
Lippestad, «Breivik si dichiara prigioniero politico, è completamente solo e vuole esserlo. Sua madre non ha chiesto di vederlo, ma lui
comunque dice: ‘Se parlo con mia madre, mi intenerisco e io non
voglio’». La Norvegia è un Paese dove Lippestad, l’avvocato del
‘mostro’, è molto popolare. La sera del 22 luglio 2012 ha tranquillamente partecipato al concerto-memorial con Springsteen. «Nel
2002 – afferma Lippestad – mi occupai del caso di Kvisler, un neonazista che uccise con il coltello un bel ragazzo norvegese [papà ghanese e mamma norvegese, n.d.a.]. Fu un caso difficile, con migliaia
di persone che scesero in piazza. Quando Breivik mi chiese di difenderlo, pensai che questo caso fosse dieci volte peggiore. Ma fin
1
Nell’agosto 2012, dopo la pubblicazione del rapporto della ‘Commissione 22 luglio’, anche il Capo della Polizia Øystein Maeland ha rassegnato le dimissioni.
2
Vedi nota 3 del capitolo primo.
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dall’inizio non parlai solo il linguaggio dei codici e degli avvocati.
Dissi che per i nostri valori democratici è importante che chiunque
abbia un legale. I norvegesi lo hanno capito e pensano che sia giusto che io faccia il mio lavoro. Senza un avvocato per Breivik, la
Norvegia e la democrazia avrebbero perso».
Marius Tetlie, giovane giornalista del tabloid Verdens Gang, spiega come sia possibile che la via antistante la sede del premier fosse
aperta al traffico e, addirittura, al parcheggio. «Per otto anni – dice
Tetlie – si è dibattuto se fosse opportuno o no chiudere la strada.
Ma in Norvegia la separazione dei poteri è una questione molto
sentita e alla fine la decisione l’ha presa il comune di Oslo». Tetlie
sottolinea che Kristiansen e Storberget non sono stati gli unici a
perdere il posto dopo Utøya. Anche il potentissimo Morten Ruud,
sottosegretario permanente di Stato alla Giustizia dal 2001 e vero
uomo-amministrazione, ha lasciato il suo incarico nel 20123. Secondo Tetlie i servizi segreti norvegesi furono colti di sorpresa perché
la loro attenzione fu focalizzata sull’estremismo islamico, mentre
quello di destra fu sostanzialmente trascurato.
Che ci sia un ‘brodo di coltura’ attorno a Breivik è dimostrato da
un dato inconfutabile: in un anno di carcere, il killer ha ricevuto oltre 600 lettere dai suoi supporter. Fino al luglio 2012 lo stragista ha
potuto leggerle e rispondere, anche se, in seguito alla pressione dell’opinione pubblica, l’amministrazione carceraria ha promesso un giro di vite su questo diritto. «Naturalmente – spiega Lippestad – la
polizia monitora e investiga su tutti i contatti di Breivik. Che ci siano
più di 600 supporter è spaventoso. Stiamo aspettando i risultati delle
indagini». Breivik, in carcere, può leggere i giornali e vedere la tv.
L’incontro dell’autore con Truls Wickholm, deputato laburista, si
svolge alla Stortinget, il Parlamento norvegese (letteralmente la
Grande Assemblea), vuoto nel luglio 2012 per la pausa estiva. Wickholm, in pantaloncini corti, indossa un abbigliamento talmente informale che a Montecitorio non lo farebbero entrare. Fino a qualche anno fa, fu il vicepresidente dei giovani laburisti di Oslo. «Conoscevo molte delle vittime – afferma – e di alcuni ero amico».
Secondo Lei non ci furono contatti tra Breivik e Fjordman prima
della strage?
3
Vedi nota 1.
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«Non ho dati per commentare – risponde Wickholm – c’è stato
un attacco al nostro Governo e ai giovani del nostro partito, ma vogliamo che il processo abbia il suo corso naturale. Ogni commento
potrebbe influenzare la Corte».
E i contatti tra Breivik e l’English Defence League?
«Conosco l’EDL e non amo i gruppi di estrema destra. È difficile
dire quali contatti ebbe e a che livello. Su Internet c’è la possibilità
di condividere le proprie idee estremiste in maniera sotterranea».
La Norvegia ha fatto sufficienti pressioni sulla Gran Bretagna per
stimolare questo filone di indagine?
«La polizia norvegese – dice sicuro Wickholm – ha fatto del suo
meglio per trovare tutte le informazioni necessarie. C’è una forte
spinta dell’opinione pubblica per scavare fino in fondo su questa
storia».
I viaggi in Liberia, Bielorussia, Malta, Repubblica Ceca? I contatti
con un ‘eroe’ di guerra serbo?
«I pm lo hanno interrogato. Lui ha confermato questi viaggi, ma
sui contatti non abbiamo conferme. Gli inquirenti non sono sicuri
che certe riunioni siano effettivamente avvenute».
Roberto Fiore ipotizza un nesso fra la strage e la posizione filo
palestinese dell’AUF…
«Questo mi sembra folle. Sono teorie cospiratorie. Io ho lavorato
in Palestina per molti anni, ho incontrato anche politici israeliani, e
noi ci limitiamo a coordinare gli aiuti internazionali per il popolo
palestinese. Lì ci sono anche italiani».
L’estrema destra cresce in Europa. Le Pen e Alba Dorata hanno
visto aumentare i propri consensi in Francia e in Grecia…
«Questo – risponde il giovane deputato laburista – mi disturba
molto. È qualcosa che abbiamo già visto in passato. Quando c’è la
crisi, quando l’economia va giù, quando cresce la disoccupazione,
c’è sempre qualcuno che cerca un capro espiatorio. Questo è molto
pericoloso ed è ancora più pericoloso vedere alcune organizzazioni
politiche che tentano di cavalcare queste istanze».
Mario Borghezio, eurodeputato della Lega, ha definito ottime le
idee di Breivik…
«È già molto pericoloso che in Europa ci sia un clima tale che
permetta di dire queste cose. Tutte queste idee estremiste, che circolano su Internet, contribuiscono a creare questo clima. Fino al 22
luglio 2011 in Norvegia abbiamo preferito ignorare. Ora penso che
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sia un lavoro per i politici, ma anche per la gente comune, contrastare apertamente queste idee».
Bella o brutta che sia, è sempre meglio affrontare la realtà…
«Sì. Lo penso anch’io».
Riprenderanno i campeggi estivi dei giovani laburisti nell’isola di
Utøya?
«Penso di sì, ma ci sono diversi punti di vista e opinioni. Sono più
di 60 anni che andiamo a Utøya. È molto importante tornare nell’isola, ma lo dobbiamo fare nel modo giusto. Ogni decisione sarà
presa nel rispetto di tutte le parti in causa, genitori delle vittime
compresi».
La Norvegia è cambiata dopo il 22 luglio 2011?
«Sì».
Åsmund Aukrust ha comunicato il luogo del nostro incontro, solo
pochi minuti prima dell’appuntamento…
«Le cose stanno cambiando – risponde Wickholm – in alcuni posti
si fa più attenzione alla sicurezza. Una nazione non può passare attraverso il terrore senza cambiare. È vero che la gente è più preoccupata per il terrorismo, ma Breivik ha prodotto un contro effetto:
rispetto a prima, molti norvegesi sono più amichevoli nei confronti
degli immigrati. Se voleva scatenare una reazione popolare contro i
musulmani, ha ottenuto l’opposto di ciò che cercava».
Vittorio Feltri, giornalista di punta del quotidiano italiano Il Giornale, sostiene che i giovani dell’AUF furono incapaci di reagire…
«Chi scrive queste cose vuole mostrarsi un duro, ma in realtà non
è molto forte dentro. È facile commentare dalla scrivania di un
giornale e dire che avrebbero dovuto fare questo o quell’altro. Ma bisogna che uno immagini se stesso in un’isola da due o tre giorni. Sta
piovendo e all’improvviso giunge la notizia di un attacco terroristico
a Oslo. La polizia arriva nell’isola e il poliziotto comincia a sparare a
dei ragazzi. Molti muoiono, soprattutto i più giovani. Lui, vestito da
poliziotto, rassicura: ‘Venite che vi voglio salvare. Uscite dai nascondigli’. E poi uccide. Chi scrive e pensa questo tipo di cose è
ignorante».
Storberget e Kristiansen hanno perso i loro incarichi a causa dei
ritardi delle forze di sicurezza?4
4
Vedi nota 1.
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«Non vanno messi sullo stesso piano. Janne Kristiansen, due giorni
dopo la strage, disse al Paese: ‘Ho il controllo della situazione. Non
dovete avere paura di nulla’. Questo non contribuì a creare fiducia.
Storberget è stato un ministro competente».
All’inizio i media mondiali hanno imboccato con forza la pista del
terrorismo islamico. C’è chi spinge verso lo ‘scontro di civiltà’?
«Sicuramente – risponde Wickholm – alcuni media spingono per
la clash of civilization e accentuano il confronto tra mondo islamico e
occidentale. Questo è interessante. Ma per il caso Breivik il parallelo più giusto è quello con McVeigh. Il terrorismo interno non è
meno pericoloso di quello estero».
A Utøya c’è un cartello con la scritta ‘Quartier generale NATO’
per indicare le latrine…
«Fu messo lì negli anni settanta – dice il giovane deputato ridendo – la verità è che la Norvegia è un Paese fondatore della NATO. I
giovani non amano le politiche di difesa…».
C’è anche un adesivo della SU (Gioventù Socialista) che invita a
boicottare Israele…
«La SU è l’organizzazione giovanile del partito alla nostra sinistra».
È vostro alleato di governo in Norvegia?
«Sì. Siamo alleati».
Anche Geir Lippestad, avvocato di Anders Behring Breivik, non
crede all’ipotesi di Roberto Fiore su un nesso fra la strage del 22
luglio e la linea politica dell’AUF in Medio Oriente. «Non ho mai
parlato con Breivik specificamente di Roberto Fiore né dei palestinesi – afferma Lippestad in un lungo colloquio con l’autore nel
suo bellissimo studio legale con vista sulla Cattedrale di Oslo – lui
è dichiaratamente pro Israele e contro i musulmani. Questo è il
quadro geopolitico. Breivik sostiene che Israele sia la prima linea
di difesa contro i musulmani, ma questo è un normale pensiero di
destra».
Perché Breivik ha scelto proprio Lei, un laburista, come suo legale?
«Questa – risponde Lippestad – è la domanda che mi sono fatto.
E questa è la prima domanda che gli ho rivolto il 23 luglio 2011. Mi
ha risposto che seguì il caso Kvisler nel 2002 e in quel periodo Breivik cominciò a diventare un estremista di destra. La seconda ragione è che i suoi uffici commerciali furono, per un certo periodo,
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nello stesso palazzo dove noi avemmo uno studio legale. Queste sono le due ragioni che lui ha addotto. Penso sia la verità».
Ha detto al suo assistito di essere laburista?
«Quel giorno – afferma l’avvocato – abbiamo fatto un accordo: io
mi occuperò solo dei tuoi guai giudiziari e non parlerò di politica.
Gli ho detto che sono laburista. Mi ha risposto: ‘Io mi occupo di politica, tu di giustizia’».
La mamma del killer continua a vivere tranquillamente nel suo
appartamento di Oslo senza misure di sicurezza e con il nome sul citofono…
«In Norvegia – afferma sicuro Lippestad – non c’è odio nei confronti della famiglia di Breivik. Sono persone assolutamente normali».
È triste che non ci sia alcun incontro di Breivik con i familiari...
«Io sperai che lui parlasse almeno con la madre, ma fu inutile.
Non sono sicuro che sua madre voglia parlargli, ma il punto principale è che lui non vuole».
La famiglia irachena che vive nel pianerottolo di sua madre può
avere influenzato il suo odio contro i musulmani? Forse un amore
negato o banali liti di condominio…
«Non penso – risponde Lippestad – credo che Anders Behring
Breivik, come altri estremisti di destra, divida le persone per categorie: i musulmani sono così, gli italiani sono così, i norvegesi sono
così, gli iracheni sono così… Poi ci possono anche essere le eccezioni. Se lui incontra un musulmano che gli è simpatico, può anche essergli amico. Lui ha buone relazioni con alcuni iracheni, pensando
che essi non siano come gli altri musulmani. Ad esempio, lui pensa
sostanzialmente che le donne debbano tornare in cucina. Nel mio
studio c’è un avvocato donna. Gli abbiamo chiesto se un avvocato
donna lo disturbasse. Lui l’ha conosciuta e le ha detto: ‘Tu sei ok,
mi piaci, non sei come le altre donne’. Se incontra una persona che
gli piace, la considera una eccezione rispetto alla teorica categoria
di appartenenza. Kvisler ebbe scontri fisici, che motivarono la sue
scelte terribili. Breivik non ha motivi evidenti per essere contro i
musulmani, le sue sono solo ragioni teoriche».
«Guarda il mondo – prosegue il suo avvocato – in un modo particolare. Non ha informazioni storiche corrette e prende da Internet
tutto quello che è a sostegno del suo punto di vista precostituito.
Non approfondisce i fatti, non li mette a confronto. Per lui le donne
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sono così, i musulmani sono così. È intelligente, è riuscito a costruire una bomba molto complicata, ma non capisce che ciascun essere
umano è differente».
Per avere un’idea di cosa successe a Utøya, basta ascoltare la registrazione di una breve telefonata al 112 durante la strage. Nel giro
di pochi secondi, sotto la voce terrorizzata e sussurrata di una ragazza che chiede aiuto, si sentono 50 colpi di arma da fuoco. Il pensiero torna al titolo dell’editoriale di Feltri: Quei giovani incapaci di
reagire. Forse, per difendersi, i laburisti avrebbero potuto scagliare
contro Breivik il tubetto di plastica verde con l’acqua saponata…
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