Il mondo di Margherita

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Il mondo di Margherita
Il mondo di Margherita
Lunedì 06 Giugno 2011 23:00
di Vincenzo Maddaloni
MOSCA. Michail Bulgakov, uno dei più grandi scrittori del Novecento, nasceva a Mosca 120
anni fa. La casa dove scrisse il suo capolavoro “Il maestro e Margherita” era diventata negli
anni della Perestrojka meta d’inconsueti pellegrinaggi, con i muri ricoperti di graffiti di cui non
esisteva altro esempio in tutta la città di Mosca. Oggi la casa è un’attrazione per i turisti.
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Se chiamate al telefono può capitare che vi risponda la bellissima strega Hella per dirvi,
scusandosi, che Voland «è occupato e non può venire al telefono» . Le telefonate con i
personaggi di “Il Maestro e Margherita” sono la sorpresa di quest’estate moscovita per attirare
visitatori nella Casa-Museo Bulgakov, gestita da una ventina d’anni dal Comune, al civico 10 di
Bolsciajaja Sadovaja.
Naturalmente - è così da quarant’anni - lo si vede soltanto quando si è vicini, (lasciando piazza
Majakovskij per la strada che porta al parco Gorkij), il bassorilievo di bronzo sistemato sulla
cornice di marmo del portale che raffigura il volto di Jeshua, come ebraicamente viene chiamato
Gesù, incorniciato dalla saga dei personaggi e delle situazioni che animano “Il Maestro e
Margherita”, il capolavoro di Michail Afanasievic Bulgakov, tra i massimi scrittori russi di cui
quest’anno ricorre il centoventesimo anniversario della nascita.
Per questo hanno infilato dei fiori nel bassorilievo; piuttosto discreto di dimensione, piuttosto
sobrio d’intonazione, messo lì, si direbbe, più per soddisfare a un obbligo che per offrire un
modello di riflessione.
Perché Bulgakov, che s’era trovato invischiato in contrasti politici, ideologici e anche religiosi,
era stato riconosciuto scrittore dopo venticinque anni dalla sua morte, quando con Breznev, da
due anni segretario del Pcus, la rivista Moskva, sullo scorcio del 1966, iniziò a pubblicare a
puntate “Il Maestro e Margheria”, il suo lavoro principale rimasto incompiuto nonostante, tra il
1928 e il 1940, anno della sua morte, avesse avuto ben otto redazioni.
Così il giovane medico, figlio di un professore di teologia, costretto dalla sorte a vivere in un
tempo che gli era ostile, schiacciato dalla burocrazia («Prego di considerare che l’impossibilità
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di scrivere per me equivale ad essere seppellito vivo), si è preso una clamorosa rivincita col suo
tempo e i suoi contemporanei, con un romanzo indefinibile come genere, ma con una forza
immediata di divertimento e di meditazione. Poiché è costruito sull’intersecazione di tre
differenti piani narrativi: le “avventure del Diavolo a Mosca”, le “vicissitudini del Maestro” e la
“passione di Jeshua Ha-Nozri”. Una sintesi di commedia buffa e di sacra rappresentazione.
Il principe del Male, Woland, compare a Mosca con una banda di perfidi e mirabolanti
coadiutori, unico possibile dominatore di una realtà che non è capace neppure di intendere la
tragedia di Cristo e il dramma di Pilato, abitata com’è da miriadi di burocrati e sudditi avidi, furbi,
aggressivi e impauriti.
Woland, sotto le vesti di mago ipnotizzatore, opera i suoi sbalorditivi giochi di prestigio,
soggiogando le masse con le sue parodie di miracoli. «Dopo tutto», annotava Eugenio Montale
nel 1967, all’uscita del libro in Italia, «Il Maestro e Margherita è opera di un uomo che scriveva
in una situazione bene determinata e poteva alleare l’ispirazione al sotterfugio e persino al
trucco. Il piano demoniaco potrebbe essere la cortina fumogena che occulta e rende accettabile
anche dai censori la feroce satira che pervade tutto il libro. Il piano reale, quello degli eventi
narrati, ha un significato che direi allegorico. Esso ci dice che una massa di anime morte, non
più servi della gleba, ma servi di un sistema disumano, può essere suggestionata e avvinta da
un grande ciarlatano che sappia recitare bene la sua parte».
L’abilità di Bulgakov scrittore sta anche nell’aver saputo legare mirabilmente la solenne,
cadenzata narrazione della vicenda evangelica con la mordente, frizzante, irriverente prosa
della farsa moscovita, per poi giungere alla conclusione che il Cristo rappresenta la “verità
ultima” cui rapportare tutti i possibili significati della vita e della storia degli uomini. Ma alla
conclusione si arriva dopo un pullulare di godibilissimi enigmi, di situazioni grottesche, fatti
straordinari, eventi misteriosi che col passare delle generazioni di lettori sono diventati un
complemento dell’arredo urbano moscovita, poiché ogni cosa può essere reimmaginata
ripercorrendo i luoghi immaginati nel romanzo, in una sorta di raffinato baedeker degli ambienti
dove vissero Woland, la salvifica strega Margherita e il povero eroe del romanzo, il Maestro,
l’artista con il suo ideale modesto: sottrarsi all’arida bufera della Storia, chiudersi nella dolce
prigione di una casa a scrivere.
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duecento
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