Centre N. 35

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Centre N. 35
Le leggende in Valle d’Aosta1
Tratto dalla rivista «Montagna - Alpinismo» Anno V n. 6-7 1938
Le leggende sull’Ebreo errante non risalgono oltre il XII secolo ed il fondo
della tradizione orale, almeno in Valle d’Aosta, può essere rintracciato solo dopo
il sec. XVI.
L’autore 2 dice di aver sentito questo racconto da ragazzo dalla bocca stessa di
una buona vecchia quasi illetterata che viveva circa settant’anni or sono a Crêta
d’Hona, piccola frazione di Châtillon ed a sua volta la vecchietta assicurava di
aver appreso questa storia dai suoi vecchi all’epoca della sua infanzia. La scena si
svolge a Domianaz, altra frazione di Châtillon, annidata su di un poggio fitto di
castagni a metà strada da S. Vincent.
Correva l’anno di grazia 1692: un giovane sole d’aprile accarezzava coi suoi
Châtillon 1954: reconsacration de la chapelle de Saint Clair
(Fonds Bérard - BREL)
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chiari raggi le piccole foglie palmate delle viti, sui salici erano appena spuntati i
primi germogli e sul verde tenero dei prati spiccava il giallo della margheritine. In
tutto il cerchio di quel vasto e riposante orizzonte si sentiva solo il tichettìo delle
cesoie dei potatori ed il colpo secco dell’accetta dei legnaiuoli che spaccavano la
legna che doveva servire a scaldare l’antico rustico forno, dove sarebbe cotto il
pane per il giorno di Pasqua.
Era il Venerdì Santo. Doveva essere circa mezzogiorno perchè il sole aveva di
poco sorpassato la vetta del Monte Roux: l’Angelus delle undici 3 non aveva suonato al campanile romanico del borgo, perchè le campane avevano i battagli legati fino al Gloria delle 10 del Sabato Santo, quando tutti si affrettano ad andarsi a
lavare gli occhi nelle chiare acque del «rû» 4 invocando S. Lucia, per essere preservati dal male agli occhi. Anche le caprette che brucavano le tenere gemme delle
betulle non avevano le loro campanelle, ne erano state private durante il lutto della
Chiesa, come si usa levare le campane alle mucche quando la famiglia è in lutto.
Si stava infornando il pane di segala, il pane di Pasqua 5 che è assai più saporito di quello che si cuoce a novembre; a questo era stata mischiata una misura
uguale di farina di frumento, maturato sui campi di Nissod ed era stato anche salato a dovere con del sale comperato ai contrabbandieri di Verrayes 6.
Sul tagliere bianchissimo lavato con massima cura, Giuliana Brunet stava
disponendo le varie forme di pasta: dai grandi pani rotondi a quelli più piccoli di
forma allungata, da quelli fatti a somiglianza di una cresta di galletto per divertire
i bimbi alle prelibate fiantsé 7.
La famiglia era numerosa: tre generazioni vivevano sotto l’autorità assoluta e
rispettata di Gerolamo Brunet, bel vecchio di ottantasette anni, vestito ancora
della brestou 8 di panno verde a bottoni di ottone, antico deputato al Consiglio dei
Commessi 9 quale rappresentante del terzo stato, uomo probo ed austero che
impersonava con la sua maschia figura tutta la sua schiatta, radicata da secoli sul
medesimo suolo.
I piccoli pani dovevano essere mangiati freschi durante la settimana di Pasqua,
quasi a compensare il rigoroso digiuno osservato durante la quaresima, periodo in
cui gli uomini si accontentavano di qualche pezzo di pan duro spaccato col coltello
fissato al tavolo, di un pugno di castagne arrostite, di un poco di seré 10 e di un bicchiere di picchetta e le donne di una minestra di fagiuoli e di pochi latticini.
Tutti, nobili borghesi ed abitanti del contado, si preparavano a celebrare la
Pasqua, la festa più solenne dell’anno dopo Natale, in cui si mangerebbe carne
fresca e si berrebbe un quartino di vino, spillato da quel certo bariletto, dal quale
lo si tira solo tre o quattro volte all’anno; e la sera dopo i Vespri si sarebbe mangiata la torta confezionata col miele, mentre gli uomini sono intenti al loro giuoco
preferito, la partita di Tzan 11.
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Châtillon 1904: vue générale du Chef-lieu
(Fonds Fisanotti - Bibl. régionale)
Quando ad un tratto si sente un gran vociare della gente pennuta del cortile a
cui si unisce tosto l’abbaiare di Griset il piccolo cane dal pelo ispido e l’arguto
musetto. Il chiasso cresce ed al gridìo del pollame si aggiunge ora anche un rumore di passi sul selciato.
A casa erano rimaste le sole donne, la marmaglia stava trastullandosi poco
lontano a costruire delle casette con la sabbia umida del bouëil 12 gli uomini erano
tutti assenti: chi nell’orto, chi a spaccar legna, chi partito alla volta del borgo col
mulo, carico di due brente di vino destinate a Messere Jehan Carrel, notaro ducale.
Il vecchio Brunet prendeva il sole in fondo all’orto vicino alle arnie in grande
movimento, presso le quali si vedevano ancora i piccoli abbeveratoi di giunco sui
quali durante i grandi freddi le api venivano a succhiare il vino caldo zuccherato
che il vecchio antenato aveva preparato per loro.
Donna energica Giuliana Brunet uscì di casa per osservare che cosa stava succedendo, e vide così avanzare un uomo che procedeva lentamente appoggiandosi
su di un lungo bastone dal manico ricurvo.
È ancora un mendicante, un vagabondo, uno straniero, pensò la donna. Che
cosa viene a fare da queste parti? Non sarà mica un ladro od un barbet 13. Non si sa
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Châtillon 1910: hameau de Nissod
(Fonds Domaine - Bibl. régionale)
più con che gente si ha a che fare
dopo il passaggio di quelle maledette
truppe. 14
L’uomo che veniva avanti era alto
e tarchiato: la pelle del suo viso sembrava alla pergamena sulla quale scrivevano gli antichi tabellioni. Un cappello a punta era posato sui suoi
capelli bianchissimi: davanti gli pendeva una specie di grembiule di pelle,
aveva a tracollo una borsa ed alla cintura una fiasca di cuoio. Sembrava
molto vecchio ma aveva tuttavia un
aspetto robusto ed una lunga barba
d’argento come quella dell’Imperatore Carlo, gli scendava fino alla cintola. Era un essere strano e misterioso
che attirava e nello stesso tempo incuteva soggezione: i suoi occhi neri
mobilissimi erano pieni di tristezza; appariva stanchissimo.
– Salute a Voi, madonna, le disse quando le fu vicino, togliendosi il cappello, mi
vorreste concedere la grazia di poter riposare un istante sulla vostra panca di
pietra? Non mi fermerò un pezzo, non lo potrei neppure.
– Fate il comodo vostro, gli rispose la donna, non ancora del tutto rassicurata sul
personaggio misterioso la cui vista le procurava uno strano malessere.
– Messere – continuò – se siete un pellegrino diretto a Loreto od alla santa città
di Roma, siate il benvenuto e sedete. Vi porterò del pane fresco che stiamo
sfornando e vi darò una coppa del nostro vino, perchè possiate berlo alla maggior gloria di Dio e per il riposo delle anime dei nostri morti.
– Ahimè – rispose lo sconosciuto facendo ancora pochi passi – potessi essere un
santo romeo che si reca a San Giacomo di Compostella od alla tomba di S. Pietro: sono invece un grande peccatore, un reietto, un maledetto da Dio.
– In nome di Nostra Signora della Guardia, ma chi siete voi dunque – riprese
ansiosamente Giuliana Brunet – quale delitto avete commesso, quale colpa
dovete espiare? In nome di Dio parlate!
– Non temete, buona donna – riprese a dire il forestiero – non faccio del male a
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nessuno. Ma poichè sembrate aver pietà di me, vi racconterò, se mi vorrete
ascoltare, la storia terribile della mia vita. – E così dicendo sedette sul rustico
scanno e così cominciò a parlare.
– Oggi ricorre per me un ben triste anniversario. Ecco tosto millesettecento anni
da che ho commesso il delitto che sto ancora espiando ed a causa del quale voi
mi vedete qui. Sono nato nelle vicinanze di Gerusalemme in Giudea, dove i
miei antenati avevano costruito un magnifico tempio; tutto marmi e legni preziosi. Avevo bottega da calzolaio in una strada vicino alla Gran Sinagoga e
vivevo tranquillo con mia moglie e mia figlia Myrra, pupilla degli occhi miei.
Un giorno, sul fare di mezzogiorno passò davanti alla mia bottega un corteo
che accompagnava tre delinquenti condannati al supplizio della croce.
Uno dei tre si chiamava Gesù ed era figlio di un falegname di Nazareth. Ne
avevo sentito parlare come di un esaltato, di un ribelle, che dimostrava il più grande disprezzo per la legge Mosaica e che predicava la rivolta contro l’Imperatore.
Si faceva dare il titolo di Re dei Giudei ed esercitava sulle folle un ascendente dei
più pericolosi.
Altri dicevano che era veramente il Messia, che faceva dei miracoli, che rendeva la vista ai ciechi e la salute agli infermi, insomma non si sapeva bene cosa ci
fosse di vero in tutto ciò, nè che cosa credere. In quel momento però io non vedevo in lui che il volgare malfattore, perchè se egli era stato condannato ad un così
infame supplizio, aveva dovuto commettere certamente qualche orribile delitto.
Ahimè, avevo gli occhi aperti e non vedevo l’abisso nel quale sarei caduto.
Tutta quella gente eccitata e
rumorosa era diretta fuori di città
verso un’altura detta Golgota: si
vedevano soldati dall’elmo di
acciaio armati di una lancia sottile e
di una corta daga, scribi dai bianchi
mantelli, donne scarmigliate, bimbi
cenciosi, e tutti gridavano, si spingevano, cacciando innanzi i condannati, oggetto delle ingiurie e dei
motteggi della plebaglia.
Quando il corteo giunse davanti
alla bottega dove lavoravo battendo
il cuoio a gran colpi di martello, il
Nazzareno si fermò mancandogli il
Châtillon 1920: hameau de Pissin
(Fonds Domaine - Bibl. régionale)
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respiro per lo sforzo e la stanchezza di dover portare lo strumento del suo supplizio. Egli era coperto di sangue, un ramo spinoso gli cingeva la bella testa dalla
capigliatura luminosa, una tunica scarlatta vestiva il suo corpo pieno di lividi e gli
giungeva fino ai piedi che erano nudi e di una bellissima linea.
Era un bell’uomo sui trent’anni, dalla barba colore oro e dai grandi occhi dolcissimi. Si fermò e cadde sotto il peso del legno che portava. Allora una donna del
popolo, Veronica, se ben ricordo, si accostò a lui e dopo essersi inginocchiata, gli
asciugò il volto insanguinato con un drappo sul quale rimasero impressi i suoi
lineamenti con grande meraviglia di tutti i presenti. Qualcuno allora esclamò: –
Maestro tu sei veramente il Figlio di Dio, noi crediamo in te e vogliamo seguirti. –
Ma io invece non vedendo in lui che il colpevole di qualche misfatto trascinato al
supplizio, il dileggiatore della mia religione, gli gridai: – Cammina, vai verso la
morte che ti sei meritato e non fermarti sulla soglia della mia dimora che sarebbe
contaminata dalla tua presenza. Vattene!
Gesù mi gettò uno sguardo di infinita dolcezza e mi disse: – Lascia che io
riposi un istante prima di bere il mio calice fino alla feccia. – Irritato da quelle
parole misteriose gli risposi: – Cammina galeotto, ed alzatomi dal tavolino feci
per batterlo con la frusta di cui mi servivo per scacciare i cani. Allora il Nazzareno
con accento infinitamente accorato soggiunse: – Sei tu che camminerai fino alla
consumazione dei secoli. Alzati e cammina, o tu che hai osato scacciare il Figlio
dell’Uomo dalla soglia della tua casa. Sarai un padre senza figli, uno sposo senza
consorte, un viaggiatore che non conosce meta, un pellegrino eterno fra gli uomini, pellegrini di un giorno. Avrai sempre cinque denari nella tua borsa e nessuna
clessidra misurerà il tuo sonno, non potendo il tuo riposo prolungarsi al di là di un
quarto d’ora. Tu invocherai la nemica degli uomini, la morte, ma essa sempre ti
sfuggirà.
Ed ecco che spinto da una forza misteriosa, senza nemmeno poter fare i miei
addii a mia moglie ed alla mia Myrra diletta, alzatomi dal mio lavoro lasciai la
casa, vestito come ero, uscii di città avviandomi verso oriente. Da allora non
mi sono mai più fermato che pochi istanti per riposare. Ho assistito a combattimenti sanguinosi, ho visto le stragi della peste, della fame, della guerra. Fui sorpreso da terremoti, la folgore è caduta ai miei piedi, ho attraversato deserti
senz’acqua, mari in preda alla tempesta, fiumi immensi, montagne altissime
coperte di ghiacci, ma in nessun luogo la morte mi volle, come aveva predetto il
Divino Maestro.
Sono passato da queste parti molto tempo fa: allora gli abitanti parlavano una
lingua strana che ricordava quella delle popolazioni del Lazio, là dove sorge
Roma. Vaste foreste coprivano il paese e la notte mi erano compagni nel cammino, gli orsi, i lupi e le linci. A quell’epoca le case di Châtillon si trovavano più in
basso sul pianoro che dite ancora oggidì: – Lo Bôr di Viei. – La vecchia strada
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Châtillon 1951: chapelle de Merlin
(Fonds Domaine - Bibl. régionale)
dalla pavimentazione romana passava là e quella strada ho seguito venendo da
Chambave salendo alla frazione di Breil, dove un contadino mi offrì della brossa 15
in un lucido bicchiere di stagno.
Che volete! sono un grande peccatore, riprese a dire dopo un momento lo sconosciuto; ho offeso e misconosciuto il nostro Salvatore che andava a morire per
noi: è giusto che io espii il mio peccato. Sono il povero Ebreo Errante, il disgraziato che ha cacciato come un cane il Divino Maestro, e così dicendo delle lagrime gli caddero dagli occhi e misero sulla sua lunga candida barba come una fila di
perle, le perle del pentimento. – È vero, siete un gran colpevole, disse con emozione Giuliana Brunet quando l’uomo cessò di parlare, ma il Signore avrà un giorno
pietà di voi e la Madonna intercederà per voi perchè avete molto sofferto. E prima
di procedere oltre nel vostro cammino, accettate messere, questo pane appena
sfornato e bevete questa coppa di vino di Glareyaz, poi andate con Dio ed il vostro
Angelo Custode vi assista. Così dicendo gli presentò, dopo essere rientrata in
casa, un grosso pane fragrante e una grolla 16 di legno intagliato.
Dopo di aver messo nella sacca il pane e vuotato la coppa, il vecchio si alzò
apprestandosi a prendere congedo; ma prima con la lunga mano scarna tolse dal
sacco tre piccoli pomi rossi e li presentò a Giuliana Brunet dicendo:
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– Madonna, poichè siete stata così caritatevole con me ed avete voluto che
gustassi del vostro pane e che bevessi del vostro vino, permettete che io vi
offra a mia volta questi tre pomi. Me li ha dati un santo anacoreta ed essi hanno
la virtù di preservare dal morso delle serpi. Il giorno di Pasqua, al levar del
sole, fatene assaggiare un pezzetto ad ognuno dei vostri cari: le vipere non
avranno più alcun potere sopra di loro. Seminate poi i semi della mela più
grossa all’angolo destro del vostro orto, sul lato volto ad oriente, ed otterrete,
mercè il sole di Dio, dei frutti del tutto simili a questi. Questo è l’unico dono
che può lasciarvi il povero Ebreo Errante.
Consegnato i tre pomi alla donna il vegliardo riprese la strada prendendo il
sentiero che scende a ripidi risvolti verso il villaggio di Torrent-Sec sopra S. Vincent, e la donna lo seguì con lo sguardo muta ed immobile finchè l’ombra del
viaggiatore non disparve dietro i tronchi rugosi dei castagni.
Il sole toccava ora la cima del Barbeston ed il quadrante solare della vecchia
torre delle scuole che sta sotto la massa scura della chiesa del Borgo, segnava
l’una dopo mezzogiorno.
Due giorni dopo era la festa di Pasqua: alle tre di notte doveva aver luogo la
Aoste, chapelle de la Consolata, 1954: procession des rameaux
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(Fonds Bérard - BREL)
grande processione. 17 Fin dalla vigilia gli abitanti delle venti frazioni di cui si compone Châtillon erano scesi al capoluogo. Si vedeva qua e là di notte sui sentieri tortuosi della montagna, le luci che apparivano e scomparivano. Erano i ritardatari che
si affrettavano a scendere al piano alla luce rossastra delle torcie resinose.
Allo scoccare delle tre nel gran cielo di stelle la – Bourgeoise – la campana
maggiore dal timbro profondo, lanciò il suo bronzeo appello dall’alto delle finestre romaniche del campanile. Un tocco, poi un secondo, poi un terzo, poi il rintocco lento, regolare, maestoso, che riempiva tutto lo spazio, bianco di luna. La
voce squillante della campana dei Cappuccini fu la prima a rispondere, poi venne
quella della cappella del ponte sul Marmore, poi la garrula vocetta di quella del
castello e finalmente le campane di tutte le lontane frazioni, Barral, Ussel, Albard,
Domianaz ed altre ancora, e fu come il coro di una immensa orchestra che cantava
sulla brezza del primo albeggiare la gloria del Cristo risorto e la gioia dell’immortale rinnovarsi della natura, in quel meraviglioso bacino montano che si stende da
Chambave a S. Vincent incastonato come una gemma nella cerchia armoniosa
delle sue montagne.
Ed ecco uscire dalla chiesa agitando una campanella un confratello in tunica
bianca, fiancheggiato da altri due che reggono ciascuno una lanterna antica infissa
su di un lungo bastone. Dopo aver fatto il giro della chiesa ed attraversato il cimitero che la circondava essi scendono la scalinata che conduce al paese. Seguono le
varie Confraternite, poi la folla dei fedeli: prima gli uomini, poi le donne maritate
e finalmente le ragazze, poi ancora il grande gonfalone dei confratelli del Sacramento, e gli stessi confratelli che avevano l’onore di scortare il baldacchino, sotto
il quale in paramenti di broccato, dalle armi dei Challant trapuntate in oro, camminava il canonico che reggeva il Santissimo racchiuso in uno splendido Ostensorio
d’argento cesellato. Ed immediatamente dietro il Sacramento il Conte di Challant
in cappa e spada, con tutta la sua famiglia, ed i notabili del Borgo, i sindaci dei
vari quartieri ed il giudice del contado, preceduto dal bastone di giustizia.
Confusa in quella folla devota, Giuliana Brunet vestita di lana scura, portava
come una reliquia un ramo d’alloro sul quale aveva legati i tre pomi dell’Ebreo
Errante, affinchè il Cristo risuscitato potesse benedire il dono dello sventurato
peccatore.
Ella invocava la benedizione di Dio sulle grandi vigne dei Brunet, sui loro
campi, sui loro orti, sui loro prati, sulle loro case e sul loro bestiame, affinchè non
venisse loro mai a mancare il pane e che il raccolto delle castagne e delle tartifie 18
fosse sempre abbondante ed immune dal disastro dei tampero 19. Invocava inoltre
la benedizione divina sul loro amato Sovrano il Duca Vittorio Amedeo, sugli abitanti del castello e su tutta la popolazione del borgo.
Rientrata in casa dopo aver assistito alla prima messa, tagliò in pezzetti minu77
ti, come si usa per la tseretzé 20, due dei pomi e ne distribuì le parti a tutti i componenti la famiglia assieme a del vino caldo profumato di cannella ed al pan dolce
che odorava di finocchio. Appese il terzo pomo fissato su di un ramo di bosso
benedetto, 21 al capezzale del gran letto di quercia dalle colonne scolpite, che
aveva visto nascere da oltre duecento anni tutte le generazioni dei Brunet.
Ed il giorno seguente, lunedì di Pasqua, al ritorno dalla processione di S.
Clair 22 davanti a tutta la famiglia riunita fino alla quarta generazione, l’avo venerando mise in terra i semi della mela maggiore, laggiù nell’angolo dell’orto orientato a levante, in obbedienza agli ordini ricevuti dallo straniero.
Ecco perchè, dice la leggenda, si mettono dei pomi sui rami di rose a Pasqua
benedetti. In molte famiglie si usa esporre questi rami assieme al cero benedetto il
giorno di S. Barbara, e quando fa temporale o minaccia la grandine, per calmare
gli elementi scatenati, perchè i semi dei Brunet si sono moltiplicati ed ora tutti gli
orti, tutti i verzieri della regione, che sono i più belli di tutta la bassa valle, sono
un trionfo di meli in fiore che sbocciano al sole d’aprile.
E da quell’epoca mai più nessuno a Châtillon, purchè sia in pace con Dio, è
stato morsicato da una delle piccole vipere nere che non sono rare nei vigneti
soleggiati che si stendono da Tour de Grange a Silliod, l’ultima frazione di Châtillon al di là del ponte di S. Valentino.
C. Passerin d’Entrèves (Torino)
NOTES
1
Alpinismo (ottobre-novembre 1937) ha pubblicato l’inizio di questa mia breve serie di
appunti che mi auguro possano servire un giorno ad uno studio più approfondito sulle leggende
valdostane. Dopo di aver cercato di spiegare come nascono certi racconti fantastici originati
per lo più da illusioni ed allucinazioni che si possono avere in montagna col concorso di speciali circostanze, ho riportato alcune leggende che come questa dell’ebreo errante sono miti di
carattere religioso. Ho scelto di preferenza quelle leggende che contengono accenni ad usi ed a
costumi del buon tempo antico per poter ricordare alcune nostre vecchie tradizioni che sono
oramai quasi tutte scomparse.
2
JACCOD, Augusta Praetoria, annata 1919, fasc. III.
3
In Valle d’Aosta si usa suonare l’Angelus alle 11 anzichè a mezzogiorno in ricordo della
fuga di Calvino da Aosta avvenuta in quell’ora.
4
Rû = canale. Splendido era in Valle d’Aosta lo sviluppo dei canali di irrigazione. Salendo la Valtournanche, per esempio, sia da un lato che dall’altro della Valle, si vedono in alto
degli archi che si direbbero appiccicati alla parete quasi verticale della montagna. Questi archi
che si dicono opera romana, così risulta anche su diverse guide, sono resti di antichi acquedotti
e dal popolo vengono detti molto efficacemente «Rûs du pan perdu». Questi lavori arditissimi
non sono punto opera romana ma medioevale. La Valle d’Aosta, come vedremo in appresso,
era a quell’epoca assai più popolata di adesso. Chiusa nella cerchia dei suoi monti non poteva
importare come ora le derrate occorrenti alla sua popolazione in continuo aumento e doveva
quindi destreggiarsi con una politica di bonifica montana intensiva ad aumentare le superfici
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coltivate. Furono costruiti così fra il ‘200 e il ‘500 questi grandiosi acquedotti di cui non si sa
se ammirare gli ideatori o gli umili esecutori. In Valle d’Ayas uno di questi canali, il «Rû de
Cortaud», ha le prese nel Vallone delle Cime Bianche ad oltre 2000 metri d’altezza. Il canale
scavato lungo le falde precipiti del Zerbion imbocca con esattezza matematica il traguardo dei
1800 metri del Colle di Joux e porta le sue acque benefiche sul versante di Saint-Vincent che è
così tutta una distesa di verdeggianti praterie. I due «rû» più imponenti, anche per l’altitudine,
sono quello di Chavacourt e quello di By. Il primo prende l’acqua nell’alto vallone de Chavacourt, sotto le Punte di Cian, ad oltre 2100 metri di altezza, attraversa tutta la conca di Torgnon
e convoglia l’acqua fino ad irrigare i campi de Verrayes sopra Chambave, a più di 900 metri di
altitudine, con un dislivello quindi di oltre 1000 metri. Il secondo inizia il suo corso appena
sotto i ghiacciai della conca di By a 2200 metri d’altezza, attraversa tutti dli alpeggi di Ollomont e di Doue e termina il suo corso poco sopra Allein, nella Valle del Gran S. Bernardo.
Alcuni di questi «rû» dovettero essere abbandonati per mancanza di braccia all’epoca della
peste del 1630.
5
un tempo il pane si cuoceva due sole volte all’anno: per le feste dei Santi e per quella di
Pasqua.
6
Il proverbio patois dice anche: «Verrayon, voler de sa» (Verrajesi, ladri di sale).
7
Fiantsé, specie di focaccia fatta con fior di farina che si preparava nelle solennità di
Natale, dell’Epifania e di Pasqua. Ancora ai tempi della mia infanzia i panettieri usavano
inviarne una in dono ai migliori clienti per il giorno dei Re.
8
Bretsou, sorta di giustacuore che con la «lantzetta» formava il costume della gente del
contado. La «lantzetta» era una giubba di panno tessuto a mano dal taglio pressapoco della nostra attuale marsina. Era, a seconda dei paesi, verde-bottiglia, bleu-scuro o rosso-cupo.
9
Per poter spiegare che cosa fosse il «Consiglio dei Commessi» occorre un breve cenno
storico sulle istituzioni valdostane. La Valle d’Aosta, fino alla caduta dell’Impero Romano, fu
considerata una regione a sè, che non faceva parte cioè nè delle Gallie nè dell’Italia – neque est
in Gallia, neque in Italia sed intra fines Burgundine et Longobardiae. - Caduto l’Impero
Romano venne incorporata al Regno di Borgogna e verso il principio del Mille fu il primo territorio al di qua delle Alpi che fece atto di soggezione alla Casa Savoia. I Conti, poi i Duchi di
Savoia, furono larghi in concessioni a questi loro sudditi primogeniti. Fra tutte le terre soggette
ai Savoia nessuna ebbe una autonomia così grande come la Valle d’Aosta. Essa potè godere
fino quasi alla fine del ‘700 di speciali privilegi e franchigie, avere le sue leggi, la sua moneta,
le sue imposte, la sua milizia. Questo spiega l’attaccamento e la riconoscenza del valdostano ai
suoi Sovrani e la sua fedeltà a tutta prova. Il Governo della Valle era diviso fra il Governatore
nominato dal Sovrano ed il Consiglio Generale dei Tre Stati: Clero, Nobiltà e Terzo Stato. Le
Udienze Generali a cui prendevano parte i tre Stati venivano convocate ogni sette anni. In
questa occasione era prescritto, fra l’altro, che il Sovrano dovesse entrare dal Piccolo S. Bernardo ed uscire dalla Valle d’Entremont, ossia dal Gran S. Bernardo. Nel 1536 il Consiglio
Generale creò il «Consiglio dei Commessi» composto dai Rappresentanti dei Tre Stati. Questo
Istituto ebbe grandissima importanza ed autorità e fu unico nel suo genere negli Stati di Savoia.
Ad esso vennero demandati tutti i poteri legislativi, esecutivi ed amministrativi del Ducato.
Non aveva sopra di sè che la persona del Duca al quale solo poteva essere interposto appello
contro i suoi decreti e le sue sentenze. Carlo Emanuele III durante il suo lungo regno si propose di unificare la legislazione dei suoi diversi Stati. Quest’opera fu portata a termine da suo
figlio Vittorio Amedeo III, il quale, nel 1773, fece promulgare ad Aosta le nuove «Regie Costituzioni» che abolivano le antiche legislazioni. Così da allora la Valle d’Aosta ebbe lo stesso
regime legislativo delle altre Provincie che costituiscono gli Stati di Savoia. Il «Consiglio dei
Commessi» sopravvisse tuttavia come semplice Corpo Consultivo fino al 1848.
10
Seré = sairas, in piemontese: formaggio magro fabbricato col siero che avanza dopo
fatta la fontina.
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Aoste, chapelle de la Consolata, 1954: qu’il est lourd ce rameau!
(Fonds Bérard - BREL)
11
Tzan, forse dal basso latino «campum», per indicare un campo chiuso; antico giuoco
popolare in uso ancora oggigiorno specialmente fra Saint-Vincent e Nus. Consiste nel lanciare
e riprendere a volo con un bastone una specie di fuso in legno mandandolo il più lontano possibile.
12 Bouëil, tronco d’albero scavato che seve come abbeveratoio per il bestiame e che si usa
talvolta anche per lavare.
13 Barbet, parola che deriva dal basso latino «barba o barbanus» cioè zio, ossia persona
d’età e quindi rispettabile. I Valdesi usano chiamare così i loro dottori e ministri del culto. Da
qui il nome di «barbetti» che si dà scherzosamente, in Piemonte, agli abitanti di Val Pellice. In
Valle d’Aosta il vocabolo ha preso un senso peggiorativo essendo sinonimo di eretico, mago o
stregone,
14
Nel 1691 dopo quasi 700 anni di tranquillità in cui nessuna truppa straniera aveva calpestato il suolo valdostano, si ebbe a deplorare l’invasione di una armata francese al comando
del feroce generale ugonotto Maresciallo De La Hoguette. Egli, dopo aver messo a ferro ed a
fuoco tutta l’alta Valle, occupava nel giugno la città di Aosta spingendo una colonna di cavalleria e di fanti fino a Montjovet. Prima dell’autunno le truppe francesi si ritiravano però attraverso il Piccolo S. Bernardo portando con sè numerosi ostaggi di cui sarebbe intressante ricordare le peripezie. Fu durante questa invasione che fu fatto saltare, fra i tanti, lo splendido ponte
romano di Châtillon. Il ponte, costruito in tufo, era rivestito di marmo bianco, donde il nome
80
latino di «Pons marmoreus» che avrebbe dato il nome al torrente Marmore che scende dalla
Valtournenche.
15
Brossa. Dopo fatta la fontina sul liquido che avanza e che è fatto ribollire affiora una
sostanza densa e biancastra, che viene accuratamente raccolta con lo scrematoio. Questa è la
brossa, specie di panna con la quale si fa un burro di seconda qualità.
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Grolla : che ha la stessa forma etimologica di – graal – è un recipiente in legno scolpito
a forma di coppa sul quale si adatta un coperchio intagliato con gli stessi motivi decorativi. Una
volta bevendo alla grolla ogni convitato prima di accostarvi le labbra rivolto verso gli altri pronunziava la parola – porto – ossia alla vostra salute
17 Questa solenne processione venne istituita in ricordo della cacciata di Calvino da Aosta
il quale nella fuga avrebbe passato appunto alle tre del mattino il Colle Durand o Finestra di
Calvino. Questa processione si fa unicamente ad Aosta, a Châtillon ed a Bard; furono gli stati
Generali, di cui ho fatto cenno più sopra, ad ordinare questo rito solenne per commemorare il
più grande avvenimento religioso della storia valdostana, fatto storico importantissimo che
impedì il diffondersi del proterstantesimo in Valle d’Aosta: Ancora oggidì possiamo osservare
sugli stipiti in pietra delle porte o delle finestre di qualche vecchia casa la data 1536 col monogramma di Cristo – IHS – che vi venne scolpito in tale occasione.
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Tartifie o tartifle od anche trifolle a seconda dei patois locali, dal tedesco kartoffel =
patata, perchè è tradizione che la patata sia stata introdotta in Valle d’Aosta dalla Germania.
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Tampero nella bassa valle, cuccuruie da Nus in su, sono i maggiolini.
20
Tseretzé = la carità, dal latino Charitas, è il pane benedetto che si distribuisce ancora
attualmente ai fedeli alla domenica durante la messa grande. Questa pratica risale alla più alta
antichità. Da non confondersi con la – dona – dal latino donum che è una distribuzione di pane
e talvolta anche di denaro che si fa alla porta delle abitazioni private in occasione di una nascita o di una sepoltura.
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Il bosso in Valle d’Aosta rimpiazza l’ulivo benedetto.
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Piccola cappella costruita su di un dosso alla confluenza del Marmore e della Dora. La
tradizione vuole che su questa collinetta, allora assai più estesa sorgesse un’altra frazione di
Châtillon detta: Le bourg des Rives. Le case sembrano siano state distrutte e la collina sventrata verso il 1200, in una di quelle terribili piene della Dora dovute forse ad uno degli svuotamenti periodici del lago del ghiacciaio del Ruitor.
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