MC Paczkowski--Esegesi prosopografica di S. Basilio

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MC Paczkowski--Esegesi prosopografica di S. Basilio
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
M. C. Paczkowski
Si è sempre più convinti che i Padri vanno considerati “testimoni della
comprensione che i primi secoli cristiani hanno avuto della Sacra Scrittura”1. Sicuramente “non si tratta di accettare sempre metodi e risultati ai
quali essi pervengono nell’approccio al testo sacro”2. Si dovrebbe piuttosto
far valere anche oggi i principi patristici di attuare una sintesi equilibrata
tra gli aspetti ineliminabili della Bibbia. A questo spinge il rinnovato interesse per l’esegesi patristica.
In questo clima favorevole molte opere apportano contributi notevolissimi al progresso delle ricerche sulla lettura patristica della Bibbia. Uno di
essi è l’ampio studio consacrato all’esegesi patristica del Salterio della
Rondeau3. L’Autrice ha indubbiamente il merito di aver attirato l’attenzione degli studiosi sull’importanza di alcuni filoni dell’esegesi del periodo
patristico. La Rondeau avverte tuttavia di non pretendere di darne una visione esaustiva e neppure del suo apporto all’elaborazione teologica. Ella
cerca piuttosto di scegliere i filoni emblematici e le figure dei Padri-esegeti
più rappresentativi. Questa sua metodologia fa sì che la studiosa non di
rado tratti sommariamente o addirittura tralasci commentari di alcuni illustri personaggi dell’età patristica.
Il Salterio è il libro scritturistico che si prestava meglio ai procedimenti
che miravano a distinguere la persona dell’interlocutore o parlante. E sembra quasi ovvio che il secondo volume della Rondeau sia consacrato interamente al metodo della lettura dei Salmi in chiave prosopografica. Nel corso
della trattazione Basilio di Cesarea è citato solamente di passaggio. E ciò
perché egli potrebbe essere accusato di un uso meccanico di questo procedimento o di ben poca originalità. Questo presupposto è incontestabile. Tuttavia ciò è dovuto ad una serie di fattori che hanno frenato la ricerca esegetica
di Basilio su questo campo. Innanzitutto si tratta del pragmatismo esegetico
del vescovo-monaco, delle esigenze della sua predicazione e insegnamento
1. A. Benoit, Attualità dei Padri della Chiesa (trad. dal francese), Bologna 1961, 17.
2. L. Padovese, Introduzione alla teologia patristica, Casale Monf. (AL) 1992, 38.
3. M. J. Rondeau, Les commentaires patristiques du Psautier (IIIe-Ve siècle) I: Les travaux
des Pères Grecs et Latins sur le Psautier. Recherche et bilan; II: Exégèse prosopologique
et théologie, OCA 219; 224, Roma 1982; 1985.
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spirituale. In molti casi però egli non rinuncia ai procedimenti letterari usati
dagli altri autori suoi contemporanei o provenienti dalla tradizione ellenistica. Uno di essi sembra essere l’impiego dell’esegesi prosopografica nella lettura dei testi sacri.
Vari filoni dell’esegesi prosopografica
I principi esegetico - letterari di “distinzione” o “cambiamento di persona”
ossia dell’esegesi prosopografica4 non erano sconosciuti a Basilio. In realtà
l’individuazione della “persona che parla” è un canone esegetico che risale
ad Aristarco e fu usato comunemente per interpretare miti omerici o Platone. Basilio è uno dei testimoni di questo metodo interpretativo. Nell’Ep.
1355, tralasciando la tradizionale diffidenza dei cristiani nei confronti dei
procedimenti qualificanti della filosofia e della retorica greca, egli riporta
alcuni tratti caratteristici dello stile del più grande filosofo greco. Il
Cappadoce rileva le caratteristiche dei personaggi dialoganti introdotti nelle
opere platoniche. “Platone - osserva il vescovo-monaco - introduce nei dialoghi personaggi indefiniti (e) per far intendere bene le cose, si serve dei
dialoganti, ma non introduce nell’argomento alcun carattere delle persone”6.
La formula dell’esegesi prosopografica, mutuata dalla tradizione
ellenistica, trova il suo posto nella patristica antenicena, in primo luogo in
Origene7. Altri scrittori cristiani prima di lui, come Giustino, Ippolito e Clemente fecero l’uso della terminologia ben precisa riguardante prosôpon o
persona per dare una “descrizione scenografica della vita intima in Dio”8.
Tuttavia questo tipo di esegesi fu preparato in qualche maniera da Filone
4. Adoperiamo il termine “esegesi prosopografica”, anche se nella terminologia italiana si
incontra la forma “l’esegesi prosopica”. Nell’ambito della lingua francese l’aggettivo assume la forma di “prosopologique”; in inglese e tedesco abbiamo, rispettivamente, “person
exegesis” e “Person-Exegese”.
5. Lettera indirizzata a Diodoro di Tarso.
6. Ep. 135, 1: Y. Courtonne Saint Basile. Lettres. Texte établi et traduit, II (Les Belles
Lettres) Paris 1957-1966, 50. Basilio prosegue poi spiegando che, in modo analogo, “se
introduciamo un personaggio noto a tutti… intrecciamo al discorso qualche tratto ricavato
dal carattere di quella persona. Se, invece i personaggi dialoganti sono indefiniti, (gli) attacchi contro le persone interrompono la continuità e non ottengono alcun utile scopo”. Ep.
135, 2: Courtonne II, 50. Sui rapporti di Basilio con Diodoro cf. soprattutto J. R. Pouchet,
“Les rapports de Basile de Césarée avec Diodore de Tarse” BLE 87 (1986) 179-195.
7. Cf. E. Corsini, (a cura di), Origene. Commento a Giovanni (Classici delle religioni
UTET) Torino 1968, 52.
8. Cf. A. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa I/1, Brescia 1982, 326.
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d’Alessandria9, pioniere anche in questo campo. Come lui, gli autori cristiani trovarono il fondamento biblico di questo particolare metodo
ermeneutico. I LXX impiegando le espressioni come ejk proswvpou, ajpo;
proswvpou, pro; proswvpou, in qualche maniera potevano indicare una facile pista di lettura dei testi biblici e favorivano la specificazione teologica
delle suddette espressioni.
Sembra che col passare del tempo gli esiti della prosopografia fossero
non indifferenti. Questo tipo di esegesi ha spianato la strada all’assunzione
del termine prosôpon. Tuttavia “non ne ha determinato il senso che in misura secondaria”10. In realtà la “distinzione della persona che parla” nei testi
dialogici della Scrittura ha giocato un ruolo importante nella polemica cristiana contro i giudei e i monarchiani. Questo procedimento esegetico permetteva di sottolineare la distinzione in Dio e affermare la presenza del
Figlio accanto al Padre.
Da Origene, con tutta verosimiglianza, l’esegesi prosopografica passa a
Basilio e agli altri due Cappadoci. Questo principio ermeneutico trova il suo
posto nella Filocalia11. E’ comunemente ammesso che questa raccolta dei testi origeniani sia opera di Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno. Ciò però non
è sufficientemente avvalorato dalle fonti, per di più quasi inesistenti12. Comunque è da notare che in questa opera sono riportati i due testi origeniani che riguardano appunto il “cambiamento di persona” in alcuni testi scritturistici13.
Molto illuminante è anche un brano dell’Alessandrino nel commento
su Gv in cui egli afferma:
“chi vuol penetrare il senso della Scrittura, deve porre molta attenzione per rendersi conto da chi e quando le parole siano pronunciate, per
poter adattare nei vari libri sacri le parole a coloro che le proclamano”14.
9. B. Studer, “Prosopon”, in DPAC II, 2927.
10 . R. Cantalamessa, “L’evoluzione del concetto del Dio personale nella spiritualità cristiana”, Concilium 3 (1977) 433.
11. E’ una raccolta di “belle pagine del maestro alessandrino, principalmente nel campo
dell’esegesi biblica”. Cf. M. Harl (intr. trad. et notes par), Origène. Philocalie, 1-20. Sur
les Ecritures, in SC 302, Paris 1983.
12. Cf. Harl, SC 302, 19-24. Per questo motivo l’A. avanza l’ipotesi che essa possa “essere
stata composta con le opere di Origene conservate nella biblioteca di Cesarea di Palestina,
sul modello delle opere storiche di Eusebio” (ibid., 33).
13. Rondeau, Les commentaires patristiques du Psautier II, 39. Cf. Philoc. 7, 1 e 7, 2: SC
302, 326-327; 328-329. La raccolta dei testi riporta il brano dove Origene mette in rilievo il
carattere drammatico del Ct, in cui vari personaggi si alternano in continuazione (sposo,
sposa, loro compagni, ecc.).
14. In Joan. VIII, 50-53: SC 157, 166-167; trad. it. Corsini, 301.
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Indirettamente il grande esegeta proclama che l’adesione al senso letterale delle parole rivelate è essenziale perché soltanto scrutando il senso
del testo e studiandolo sotto tutti gli aspetti letterali e formali si può accedere alla lettura allegorica15. C’è infatti una profonda connessione fra la
lettera e i vari livelli del significato della parola rivelata.
L’esegesi prosopografica trova quindi un posto non trascurabile nel sistema ermeneutico origeniano. Per i grandi Cappadoci le sue acquisizioni costituiscono più tardi un’arma efficace nelle discussioni riguardanti le questioni
trinitarie in generale e la polemica con neo-ariani e sabelliani16 in particolare.
Tuttavia non solo loro possono vantarsi di adoperare largamente l’esegesi “prosopografica”. Stranamente essa diventa tradizionale per le due
scuole esegetiche “antagoniste”: alessandrina e antiochena, a partire da
Didimo e da Teodoro di Mopsuestia17. Pur maturando in forma diversa
nei singoli centri della cristianità a seconda della maggiore o minore incidenza della componente ellenistica, l’esegesi prosopografica appare universale. Non c’è dubbio che le constatazioni di carattere linguistico e
retorico da una parte precedevano l’interpretazione allegorico-spirituale18
(alessandrini) e dall’altra davano preminenza all’interpretazione più
marcatamente letterale (antiocheni). Nelle opere basiliane non si notano
evidenti opposizioni fra le concezioni esegetiche antiochene e quelle
alessandrine. L’esito finale dell’esegesi del grande Cappadoce riceve sempre una sua particolare impronta del teologo e pastore aperto ad ogni sollecitazione ritenuta utile al bene dei fedeli e alla difesa della sana dottrina.
Del resto, sulla scìa di Origene, egli poteva suggerire proprio il metodo
dell’esegesi prosopografica per risolvere le difficoltà che il lettore può trovare nelle Scritture19.
Basilio vede però qualche pericolo di riduzione in questo tipo di procedimento. Avverte che alcuni “tralasciano l’esame della natura delle cose…
15. Origene, che diede impulso al sistematico studio filologico-letterale dei testi sacri e cercò di organizzare “scientificamente” i principi dell’allegoresi, può essere considerato “il
fondatore dell’esegesi scientifica” (cf. J. Daniélou, Messaggio evangelico e cultura
ellenistica, Bologna 1975, 323).
16. Cf. SC 302, 333, nota 2.
17. Cf. soprattutto M. Simonetti, Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell’esegesi
patristica (Studia Ephemeridis “Augustinianum” 23) Roma 1985, 163, nota 209 e Rondeau,
Les commentaires patristiques du Psautier II, 223-321.
18. Stando alle affermazioni del Girardi, in Basilio questo procedimento ricorre abbastanza
frequentemente. Cf. “Note sul lessico esegetico di Basilio di Cesarea”, VetC 29 (1992) 48
con note.
19. Cf. SC 302, 333-304.
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e si fanno ricercatori non della verità, ma delle differenze di persone”20. Per
loro vale l’ammonimento di Dt 1, 17: “nei vostri giudizi non avrete riguardi personali”.
Il nostro Cappadoce comunque usa il termine prosôpon con il significato che esso aveva nell’esegesi prosopografica. Ciò porta a considerare
chiarissimi paralleli tra quei testi basiliani dove viene sfruttata la
prosopografia e tra i classici dell’antichità e gli autori cristiani anteriori.
Indicazioni per la metodologia dell’esegesi prosopografica di Basilio
In conformità alle acquisizioni del suo tempo Basilio attribuisce all’asserzione della “persona” il significato di interlocutore o soggetto grammaticale21, di un individuo e di una realtà concreta22. Queste distinzioni bisogna
metterle in relazione con un complesso abbastanza vasto di procedimenti
tecnici che delineavano chiaramente la soluzione dei problemi ermeneutici.
Per il vescovo-monaco perciò la prosopografia ha un significato polivalente e comprende una vasta gamma di impiego che va dalla semplice indagine grammaticale per individuare il soggetto alle speculazioni teologiche.
Una particolare sensibilità linguistica permette a Basilio di rilevare il
significato delle parole scritturistiche in connessione con l’analisi del loro
uso23. Il testo scritturistico, analizzato spesso parola per parola, rivela la sua
coerenza interna e la rigorosa successione degli argomenti. Ogni ricerca
nell’ambito dell’esegesi prosopografica va fatta allo scopo di eliminare
ogni ambiguità semantica che possa opporsi alla fondamentale delimitazione del significato delle espressioni scritturistiche. Tuttavia il nostro si
rende perfettamente conto dei pericoli dell’assolutizzazione di principi della ricerca letteraria indiscriminata che, entrando nell’esegesi, potevano
sconvolgere il senso delle espressioni scritturistiche.
Ma quale ruolo gioca l’esegesi prosopografica? Prima di tutto essa legittima la varietà dei sensi scritturistici che, a loro volta, permettono di introdurre le considerazioni esegetiche di vario genere. L’inizio del Sl 29
20. Ep. 244, 1: Courtonne III, 74.
21. Cf. C. Andresen, “Zur Entstehung und Geschichte des trinitarischen Personbegriffes”,
ZNW 52 (1961) 1-39.
22. Cf. M. Nedoncelle, “«Prosopon» et «persona» dans l’antiquité classique”, RSR 22
(1948) 298-301.
23. Egli ammonisce di non ascoltare le parole ispirate “con superficialità” e considerare “di
poco conto” il loro significato. Cf. In Illud: In principium erat Verbum, 1: PG 31, 472 B.
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riporta una sorta di premessa che introduce la sua spiegazione improntata
all’esegesi spirituale. Il nostro autore constata che in questo Sl “molte cose
sono pronunciate in persona del Signore (ejk proswvpou tou' Kurivou
ajpaggellovmena)”24. Ciò giustifica la sua lettura a doppio livello: secondo
il senso “somatico-materiale” (kata; to; swmatikovn) e quello “noetico-spirituale” (kata; to; nohtovn). Secondo il “senso carnale” si tratta di un Sl
cantato “ai tempi di Salomone nel famosissimo tempio da lui costruito”. Il
senso spirituale si articola invece in due distinte interpretazioni riferite a
Cristo e alla Chiesa25. Il discorso cristologico che ne consegue è molto agevolato e si snoda secondo l’angolatura prosopografica26.
L’impiego della prosopografia permette di passare dall’analisi letteraria a quella ermeneutica di impronta teologico-spirituale. Però questi tipi
di analisi spesso si intrecciano allo scopo di rendere il discorso più chiaro
e convincente. In realtà per comprendere la parola biblica bisogna fare riferimento costante alla persona di Cristo che è la chiave che apre le profondità della Bibbia ed è la sua “anima”. Egli crea l’armonia tra i due
Testamenti27 e ne costituisce la sintesi. In questo modo il vescovo-monaco
espone i principi della prosopografia “d’accordo con il pensiero della Sacra Scrittura”28. Non stupisce quindi il fatto che quasi ad ogni precisazione
di stampo metodologico corrispondono le idee teologiche o spirituali.
Entriamo ora nel vivo dei procedimenti ermeneutici basati sulle regole
della prosopografia e cerchiamo di specificare quali siano i principi adoperati dal Cappadoce.
Identità e caratteristiche dei prosôpa-soggetti nei testi biblici
Sforzandosi di identificare i singoli prosôpa, gli interlocutori o gli autori,
Basilio tende prima di tutto a caratterizzarli e qualificarli. Nel far ciò egli
non disdegna alcun procedimento che gli possa essere utile.
Molto frequente è la lettura dei brani ispirati in cui il Cappadoce tende
a distinguere la “testimonianza di Gesù Cristo” da quella degli Apostoli o
degli autori sacri. Nel prologo intitolato De iudicio alcuni brani neo-
24. In Ps 29, 1: PG 29, 308 A.
25. Cf. In Ps 29, 1: PG 29, 305 C-308 A.
26. Cf. PG 29, 307 A-308 A.
27. Cf. T. Spidlík, La sophiologie de Saint Basile (OCA 162), Roma 1961, 169.
28. Cf. Ep. 159, 2: Courtonne II, 86.
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testamentari sono preceduti dall’espressione “secondo la parola dell’Apostolo”29. Invece la formula che introduce le parole del Signore è molto più
ricca ed elaborata: “l’Unigenito Figlio di Dio, il Signore e Dio nostro, Gesù
Cristo, «per mezzo del quale tutto è stato fatto», proclama ad alta voce
(…)”30. Il contesto cristologico della formula introduttiva alla catena dei tre
testi tratti dal IV Vangelo (Gv 6, 38; 8, 28; 12, 49) ha le caratteristiche di
una breve confessione di fede che comprende una delle espressioni paradigmatiche dell’insegnamento trinitario nell’ambito cappadoce31.
Sottolineando che le parole sono pronunciate dal Signore, il nostro autore rileva la loro importanza. Sottolinea perciò che “nei Vangeli il Signore
stesso ha parlato a noi”32. Il prologo menzionato prima parla invece delle
“espressioni dello stesso Signore nostro Gesù Cristo nel Vangelo… che per
chi crede sono più degne di fede di qualsiasi racconto e qualsiasi altra dimostrazione: scorgo in esse l’assoluta necessità, per così dire, dell’obbedienza a Dio in ogni cosa”33.
La stessa metodologia si intravede nel caratterizzare i singoli autori biblici che egli nomina sovente nelle formule introduttorie ai testi biblici.
Uno sguardo sia pure generale permette di definire anche questo tratto dei
procedimenti ermeneutici usati da Basilio. Pur non usando sempre una terminologia specifica ed uniforme, il nostro autore evidentemente prende le
mosse dal metodo prosopografico.
Basilio caratterizza come “scrittore” colui che per mezzo della “chiarezza della sua persona” (th/' tou' proswvpou perifaneiva/) attira l’uditore34.
Specificando quindi l’attitudine di colui per mezzo del quale Dio trasmette
il messaggio salvifico, nello stesso tempo il nostro esegeta attribuisce al
testo biblico finalità particolari. La qualità della parole è tale, dice in un’altra occasione, che rivela e qualifica il cuore da cui sgorga35. E’ perciò estre-
29. Cf. De iud.: PG 31, 660 B.
30. De iud.: PG 31, 660 B. Basilio richiama l’espressione giovannea pav n ta di∆ auj t ou'
ejgevneto.
31. Nel De fide si dice: “Crediamo (…) e confessiamo (…) un solo Signore e Dio nostro
Gesù Cristo, (…) «per mezzo del quale tutto è stato fatto» (Gv 1, 3)”. Cf. PG 31, 685 A.
32. In Illud: In principium erat Verbum, 1: PG 31, 471 B.
33. De iud.: PG 31, 672 C.
34. In princ. Prov., 2: PG 31, 31, 388 C. Sul maestro di dottrina invece incombe il dovere
della perfetta “nudità” o trasparenza dell’interiore nell’esteriore (cf. Mor. XXIV, 25, 2: PG
31, 744 B-C con riferimenti a Mt 5, 34; Ef 4, 22; Col 2, 9), al solo scopo di presentare la
“purissima semplicità dell’insegnamento dello Spirito” (cf. AE I, 1: SC 299, 142-143).
35. Ep. 134: Courtonne II, 48.
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mamente importante captare la verità scritturistica espressa dal linguaggio
umano perché “la nostra anima fatica nel pensiero, coperta dal velo della
carne, e ha bisogno di parole e di nomi per rendere noto ciò che si nasconde nel profondo”36. Si deve perciò rivolgere l’attenzione alle parole di grazia delle Scritture che sono “gradevoli, salutari, buone”37 per coloro che
vogliono ascoltarle.
Così avviene quando il Cappadoce caratterizza la figura di Mosè. La
storia del legislatore di Israele è ripercorsa occasionalmente, ma è caratterizzata da vari particolari biografici. Ad esempio: Mosè è stato educato in
tutte le scienze (cf. At 7, 22)38; egli, inoltre, è “servo di Dio, l’uomo grande, che è stato fatto degno da Dio di sì grande e tale onore e spesso ha ricevuto da lui la testimonianza”39.
La figura di Davide, invece, compendia in sé le funzioni profetiche. E
ciò nel contesto dell’annuncio (filone antiocheno) e della prefigurazione (di
impronta alessandrina). Davide è un “profeta”, ma immerso completamente in un’atmosfera cristica, fino a parlare ejk proswvpou tou' Kurivou. Proprio a lui il vescovo-monaco attribuirebbe il primato profetico che Alessandria assegnava a Mosè40.
Nel fare l’esegesi dei Pr Basilio descrive brevemente Salomone, autore
di questo libro sacro. Egli ha un “padre sapiente e profeta” (Davide). Da
ragazzo è introdotto nella conoscenza delle Scritture. Riceve “lo scettro
regale secondo il giusto giudizio del padre e grazie all’aiuto divino”. Il re
sapiente è soprattutto “costruttore del famosissimo tempio”, “autore di leggi e di disciplina”. Inoltre egli “mise per iscritto le varie sentenze”41.
Il vescovo-monaco si dilunga nel caratterizzare Pietro “che ha avuto la
preminenza fra tutti i discepoli, al quale soltanto è stata resa una testimonianza maggiore che agli altri, e che è stato dichiarato beato, lui al quale
sono state affidate le chiavi del regno dei cieli (cf. Mt 16, 17-18)”42. Que-
36. Attende, 1: PG 31, 197 C-198 D. Cf. M. Girardi, in “Nozione di eresia, scisma e
parasinagoga in Basilio di Cesarea”, VigC 17 (1980), cita questo testo dall’edizione di S.
Y. Rudberg, SGS 2, Stockholm 1962, 23.
37. In Hex. III, 1: SC 26, 188-190 (passim).
38 . Cf. In princ. Prov., 6: PG 31, 397 B.
39. De iud.: PG 31, 664 C; cf. anche Adv. iratos: PG 31, 368 B.
40. Cf. J. Guillet, “Les exégèses d’Alexandrie et d’Antioche: Conflit o malentendu?”,
Recherches de Science Religieuse 34 (1947) 288.
41. Cf. In princ. Prov., 2: PG 31, 389 A-B (passim).
42. De iud.: PG 31, 672 A.
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ste considerazioni introducono Basilio a rilevare la necessità del “timor di
Dio”43 e di evitare ogni “contraddizione”44.
Risultano meno organizzate le riflessioni riguardanti la personalità dell’Apostolo Paolo. Leggendo il testo di Rm 1, 28-29 Basilio scrive:
“ritengo che l’Apostolo non abbia escogitato da se stesso questo
giudizio - aveva infatti in se stesso Cristo che parlava (cf. 2 Cor 13, 3)
- ma lo pronunciò guidato dalla parola di Colui che… parlava alle folle
in parabole”45.
E’ presente qui la riflessione di Basilio sull’essenza dell’apostolato.
Le nozioni paoline rivelano prima di tutto il profondo nesso tra l’insegnamento apostolico e quello del Signore stesso che parla per mezzo dei suoi messaggeri. Tuttavia ogni cristiano, senza distinzione e
secondo le proprie capacità, ha il compito di diffondere il Vangelo
diventando “bocca di Cristo”46. I membri della Chiesa in diversa misura sono dispensatori della parola scritturistica e portatori della verità divina47.
E’ significativa l’espressione basiliana che Paolo “aveva (…) in se stesso Cristo che parlava”. C’è la traccia della sua teoria dell’ispirazione biblica. Questo riferimento non è esclusivo perché nominando gli altri autori
biblici il Cappadoce spesso esprime, anche se solo di passaggio e brevemente, idee simili48.
Dio stesso parla attraverso gli agiografi, i profeti, gli evangelisti e perciò bisogna essere pronti a rispettare ogni singola parola del testo biblico49
43. Il testo di Gv 13, 8, secondo Basilio, è l’esempio del “timore e tremore (di Pietro) di
fronte ai giudizi di Dio”. Cf. De iud.: PG 31, 672 A.
44. Il contraddire mira ad opporre la volontà propria al volere di Dio (cf. Mor. XII, 1:
PG 31, 742 A. 232). Come esempio biblico Basilio propone l’atteggiamento di Pietro durante la lavanda dei piedi (cf. Mor. XII, 4: PG 31, 724 D con riferimento a Gv 13, 5-8).
Aggiungiamo che Basilio fa largo uso di questo racconto (Gv 13, 1-20) mettendolo nei
diversi contesti (cf. ad es. Mor. LXX, 10; LXXV, 2; LXXX, 1: PG 31, 825 A; 856 C-D;
860 C).
45. De iud.: PG 31, 657 A.
46. Cf. Pseudobasiliana Ep. 8, 2: Courtonne I, 23.
47. Cf. Mor. XXV, 2: PG 31, 744 C.
48. In questi casi Basilio si riferisce piuttosto all’azione dello Spirito Santo. Dice, ad esempio, che “il profeta (…) ha accolto l’energia dello Spirito Santo che lo investiva”. Cf. In Ps
44, 2: PG 29, 493 B.
49. Cf. P. Scazzoso, “San Basilio e la Sacra Scrittura”, Aevum 47 (1973) 213.
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e rendersi conto del compito specifico che ebbero gli autori che scrissero
la storia sacra sotto l’influsso dello Spirito50.
Il Cappadoce è convinto però che le caratteristiche degli autori sacri
siano estensibili ai ministri della parola che operano nel seno della Chiesa.
L'ispirazione divina è una delle qualifiche dell'insegnamento ecclesiastico.
“Diciamo che i ministri della divina parola - afferma Basilio commentando
il Sl 44 - sono «labbra di Cristo», allo stesso modo in cui lo era Paolo che
aveva in sé il Cristo che parlava (cf. 2 Cor 13, 3)”51.
Individuazione della “persona che parla” e molteplicità dei prosôpa
Basilio si dimostra molto attento a rilevare e identificare la “persona che
parla” nel testo biblico. Come è stato detto, l’esegesi di tipo prosopografico
si è sviluppata soprattutto a proposito del Salterio. Le omelie sui Sl, che si
attribuiscono a Basilio52, dimostrano che il loro autore era a conoscenza
dell’interpretazione origeniana del Salterio53, ma con molta probabilità egli
attinge anche da Eusebio54 e forse anche da altri commentatori. Lo scopo
dell’esposizione basiliana è più quello di edificare che non quello di dare
un’interpretazione esegetica sistematica55.
Commentando i Sl il vescovo di Cesarea dimostra la convinzione di
fondo che bisogna identificare, nel modo più accurato possibile, la persona-soggetto. Egli perciò non si limita solo ad indicarla, ma spesso fa una
vera e propria indagine per stabilire la sua “identità”. Nel far ciò ricorre ai
florilegi scritturistici e ai brani paralleli o complementari56.
50. A Basilio è molto caro il termine “qeovpneusto"“. Esso viene usato da lui come attribu-
to principale della Scrittura. Cf. J. Gribomont in Histoire du texte des Ascétiques de S.
Basile, 180. Tale qualifica della Bibbia comporta una totale soggezione alla sua autorità.
Cf. De fide: PG 31, 676 D-677 C.
51. In Ps. 44, 5: PG 29, 397 C.
52. Sull’autenticità delle omelie sui Sl cf. J. Quasten, Patrologia, II, Casale Monf., 1983
(ristampa) 220; J. Lebrec, “Psaumes”, in DSp, 12, 2563; Rondeau, Les commentaires
patristiques du Psautier I, 107-112.
53. Cf. PG 30, 104 B - 118 A. Quasten, nell’op. cit., non ne fa menzione.
54. Cf. Rondeau, Les commentaires patristiques du Psautier I, 11.
55. Secondo Basilio “il libro dei Salmi riunisce quanto c’è di più utile in tutti gli altri (libri
della Bibbia); predice l’avvenire, ricorda il passato, pone le leggi della vita, ci insegna i
nostri doveri: in una parola, costituisce un tesoro generale di eccellenti istruzioni”. In Ps 1,
1: PG 29, 211 A - 212 A; cf. Quasten, Patrologia II, 220.
56. In Ps 32, 1 Basilio afferma che l’esposizione salmodica “riguarda i giusti”. Cf. PG 29,
323 B-324 A.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
301
Le considerazioni riguardanti l’esegesi prosopografica non di rado sono
riportate di passaggio e di solito inserite nelle formule introduttive alle citazioni bibliche57. Con tali affermazioni introduce spesso il discorso sulle
caratteristiche dei personaggi ai quali si rivolge il discorso. Nel Sl 48, 7,
per citare un esempio, “il discorso del profeta si rivolge a due (categorie
di) personaggi: agli uomini terreni ed ai ricchi”58.
Le finalità dell’esegesi prosopografica che abbiamo indicato sopra non
sono uniche. Basilio impiega la distinzione dei prosôpa nella sistematica
confutazione degli errori ereticali. Ciò viene fatto nell’omelia Contra
Sabellianos, Arium et Anomœos, in cui, del resto, egli sostiene che il principio esegetico in questione è collaudato nel Vangelo. Il Cristo stesso distingue i prosôpa quando parla di se stesso e della persona del Padre59.
Invece Gv 16, 28 dimostra la diversità delle persone (to; tw'n proswvpwn
diavforon)60. Le parole del Signore “sono uscito dal Padre e vado a lui”
(cf. Gv 16, 28) vanno comprese secondo la “diversità delle persone (to;
tw'n proswvpwn diavforon)”61. Poi Basilio ammonisce il suo uditore: “Non
sono io che conto in modo così audace, ma è il Signore che lo insegna
quando dice: «Nella vostra legge sta scritto che la testimonianza di due
uomini è vera»”62.
Nel brano che abbiamo riportato si scorge l’immediatezza e la tensione
dello “stile parlato” dell’omelia. La precisazione che è “il Signore che insegna” a contare i prosôpa riconduce alla sua volontà un procedimento considerato da Basilio forse troppo elementare. Nel De Sp. S. egli dice a questo
proposito: “Il numero è da considerare come un segno che permette di conoscere la quantità dei soggetti… Ma… sarebbe meglio che le realtà inaccessibili restassero al di là del numero”63. La numerazione scorretta, del resto,
potrebbe indurre a concezioni politeiste64. Il procedimento elementare di
“contare i prosôpa” ha come fine scalzare le tesi di Sabellio. Tuttavia l’eresia, come vedremo, non poteva essere confutata in un modo così semplice.
57. J. Gribomont, “Les lemmes de citation de S. Basile. Indice de niveau littéraire”, Aug 14
(1974) 520, nota 20.
58. In Ps 48: PG 31, 437 B.
59. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 601 C.
60. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 604 A.
61. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 603 A.
62. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 604 B.
63. De Sp. S. XVIII, 44: SC 17 bis, 402-405.
64. Cf. De Sp. S. XVIII, 44: SC 17 bis, 404-405 con nota 5 a p. 404.
302
M. C. PACZKOWSKI
Un ragionamento simile, ma senza ricorso immediato a brani scritturistici, è presente nell’AE dove viene affermato che fra il Padre e il Figlio
“sussiste la differenza (diaforavn)65 quanto al numero e alle proprietà che
caratterizzano ognuno dei Due; quanto invece alla divinità si scorge unità”66.
Nell’individuazione della persona che parla capitano anche delle sviste. Una di esse costituisce l’erronea attribuzione a Cristo67 dell’annuncio
del castigo da parte di Giovanni Battista (Gv 3, 36)68.
In altre occasioni il Cappadoce sembra allontanarsi dall’univocità
dell’esegesi prosopografica se non dai suoi stessi principi. Nel commento
al Sl 1, 3 il nostro esegeta si riferisce a Tt 2, 13 e chiama “beato” non solo
l’uomo, ma anche il Creatore di tutto. “Beato per eccellenza” è in realtà
Dio stesso.
“In realtà è beato Colui che è buono in sé (aujtovkalon), al quale tutto
si rivolge, che è desiderato da tutti, di immutabile natura, di somma dignità, senza affanni della vita. (Egli) non può mutare né alterarsi, (è) fonte di
grazia, inesauribile tesoro”69.
Non vi è dubbio che l’esposizione tendente ad identificare il “soggetto”
del testo biblico e a descriverlo, può apparire un po’ arida. E ciò nonostante
tutta la ricchezza dei riferimenti biblici. Ci sono tuttavia eccezioni, come il
brano citato sopra, che dimostrano in modo evidente che la lettura in chiave
prosopografica non precludeva slanci teologici o mistici. Ciò significava
però allontanarsi dall’analisi di stampo scolastico e seguire le intuizioni, ma
è presente nella lettura dei testi sacri in chiave dommatico-spirituale.
Le parole pronunciate ejk proswvpou
L’espressione ejk proswvpou e altre equivalenti70 possono considerarsi rappresentative per il metodo prosopografico. Il loro uso si è fissato in deter65. Questo termine ha anche il sgnificato negativo. Basilio parla, ad es., “dei capi (della
Chiesa che) si trovavano in una (…) divergenza (diaforav) di pensiero e di opinione” (De
iud., 1: PG 31, 653 A-B).
66. AE I, 19: SC 299, 242-243.
67. Cf. U. Neri, Basilio di Cesarea. Il battesimo. Testo, traduzione, introduzione e commento (Testi e ricerche di scienze religiose 12) Brescia 1976, 220-221 con note.
68. Cf. De bapt. II, 5: SC 357, 234-235; cf. anche De bapt. I, 2: SC 357, 144-145.
69. In Ps 1, 3: PG 29, 215 B-216 C.
70. Si tratta soprattutto dell’impiego della preposizione diav.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
303
minate formule che riflettono la tendenza di ricercare da parte degli autori
cristiani dei termini e delle espressioni concise. Basilio, particolarmente ligio alle sfumature del linguaggio e alla sua precisione, offre alcuni esempi
significativi dell’impiego dell’ejk proswvpou71 o di espressioni simili72.
Nell’AE il nostro esegeta premette che “dal Vangelo apprendiamo le
parole: «In principio…» e il Salmo attribuisce quella espressione alla persona del Padre (ejk proswvpou tou' Patrov"; cf. Sl 109, 2)”73.
L’espressione ejk proswvpou è da tener presente nella lettura dei testi
profetici in chiave teologica. Perciò alcuni paradigmi teologici trovano
sbocchi nella prosopografia applicata a brani particolari. Uno degli esempi
è Is 48, 1674. Il ricorso ad un brano di Ger scansa l’equivoco di un’espressione dell’Ep. 203. Basilio scrive:
“Quando dico «noi» non mi riferisco alla nostra forza umana, ma alla
grazia di Dio, che manifesta la sua potenza nella debolezza degli uomini,
come dice il profeta nella persona del Signore (oJ profhvth" ejk proswvpou
tou' Kurivou): «Ho posto la sabbia per confine al mare, come barriera perenne che esso non varcherà» (Ger 5, 22)”75.
Nella Reg. brev. 75 Basilio descrive le conseguenze del peccato in
un’anima che “diventa deserta e abbandonata”. Fa un chiaro paragone con
la vigna descritta nell’oracolo isaiano (cf. Is 5, 2-4). Poi il vescovo-monaco aggiunge: “Qualcosa di analogo lo si può trovare in Geremia in un punto in cui, parlando nella persona di Dio, dice (ejk proswvpou tou' Qeou'
levgonti): «Ti avevo piantato come vigna scelta (…) Ora, come mai ti sei
mutata in tralci degeneri di vigna bastarda?» (Ger 2, 21)”76.
Considerando questo procedimento esegetico si deve tener presente che
la tradizione patristica tendeva a vedere nel Dio che parla nell’AT per mezzo dei profeti proprio Cristo. Perciò il Cappadoce, come vedremo, poteva
71. Cf. ejk proswvpou tou' Qeou' kai; Patrov": De bapt. I, 2: SC 357, 120-121; ibid., II, 12:
SC 357, 292-293; ejk proswvpou tou' Patrov": AE II, 17: SC 305, 66-67; ejk proswvpou tou'
Kurivou: AE II, 18: SC 305, 72-73; ibid., III, 4: SC 305 158-159; Ep. 203, 1: Courtonne II,
168; ejk proswvpou tou' Qeou': Reg. brev. 75: PG 31, 1136 B-C; ejk proswvpou th'" Sofiva":
AE II, 20: SC 305, 82-83.
72. Cf. Patro;" aujtou' eijpovnto" dia; Dabi;d tou' profhvtou: De bapt. I, 1: SC 357, 80-81.
73. Cf. AE II, 17: SC 305, 66-67.
74. Cf. ejk proswvpou tou' Kurivou dialegovmeno": AE III, 4: SC 305 158-159.
75. Ep. 203, 1: Courtonne II, 168.
76. Reg. brev. 75: PG 31, 1136 B-C.
304
M. C. PACZKOWSKI
proporre l’interpretazione cristologica di molti brani veterotestamentari
connettendoli con l’incarnazione.
Principio del “cambiamento di persona”
L’impiego dei procedimenti dell’esegesi prosopografica è giustificato solo
sulla base del testo stesso. Ciò permette a Basilio di evitare parentesi teologiche fuori posto o moltiplicare le speculazioni.
Nella lettura dell’inizio del Sl 33, ad esempio, non viene fatto alcun
ricorso all’esegesi cristologica ma solo considerazioni di tipo “letterale”.
Nel caso contrario il Cappadoce dovrebbe conciliare il fondamentale concetto filosofico-teologico di “immutabilità divina”77 del Verbo e l’espressione salmodica hjlloivwse to; provswpon. Ne indica i pericoli l’analisi di
Didimo che doveva arrampicarsi sugli specchi per uscire dal tranello dell’applicazione di questa espressione salmodica all’incarnazione del Signore78. Per Basilio è fuori dubbio che bisogna parlare solo di Davide che
“cambiò la faccia” in presenza di Abimelech. Come testimonianza
scritturistica viene citato 1 Sam 21, 11-1379. Il vescovo-monaco desume
dall’espressione biblica un significato comune dove prosôpon sta per faccia o volto dell’uomo - soggetto del testo.
Tuttavia succede che le difficoltà precedenti possano essere risolte indicando semplicemente la “persona che parla”. Una semplice constatazione dell’AE ne è un esempio molto palese. “Intendiamo (le parole) pronunciate nella persona di Dio (ejk proswvpou tou' Qeou'): «Io sono e non muto»
(Mic 3, 6) e apprendiamo che la sostanza divina (th'" qeiva" oujsiva") è sempre la medesima e di immutabile (natura)”80.
Basilio non esita a rilevare alcuni abusi nell’uso e nell’applicazione di
esegesi prosopografica nella lettura intertestuale della Bibbia. Ne abbiamo
un esempio molto eloquente nell’omelia In Ps 44, v. 2:
“alcuni - afferma il Cappadoce - pensarono che queste cose sono dette in persona del Padre (ejk proswvpou tou' Patro;" levgesqai) in riferi-
77. Invece il Figlio prese su di sé le “passioni” (pavqh) naturali e necessarie per l’essere
umano per manifestare la realtà della sua Incarnazione. A questo proposito cf. Grillmeier,
Gesù il Cristo nella fede della Chiesa I/1, 695.
78. Rondeau, Les commentaires patristiques du Psautier II, 229; 235 con note.
79. Cf. In Ps 33, 1: PG 29, 349 B-C.
80. AE I, 8: SC 299, 196-197.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
305
mento alla Parola che «in principio era presso» di Lui (cf. Gv 1, 1), che
Egli, dicono, ha proferito dal cuore e dalle sue viscere81; e «da un buon
cuore scaturì una buona parola» (cf. Mt 12, 35). Ma a me sembra che queste parole vadano riferite alla persona del profeta (ejpi; to; profhtiko;n
ajnafevresqai provswpon)”82.
Il contesto che segue, infatti, non risolve affatto secondo noi in modo
coerente l’esegesi concernente il Padre. Il Padre in realtà non disse della
sua lingua: «la mia lingua è penna di scriba veloce. Splendido di bellezza
al di sopra dei figli degli uomini» (Sl 44, 2-3). Infatti non dal confronto
con gli uomini ha la superiorità della bellezza”83.
La ricerca esegetica non deve procedere dunque in maniera
indiscriminata, ma deve fondarsi su adeguati principi. Procedendo nella sua riflessione Basilio propone l’esegesi “prosopografica” basata sul
senso letterale del Sl84. Le distinzioni fatte su questa base hanno come
scopo l’attestare che il Sl non si riferisce ad un unico soggetto, cioè
al profeta85.
“E proseguendo dice: «Per questo ti ha unto Dio, il tuo Dio, con olio
di letizia» (Sl 44, 8). Non disse infatti: «Io, Dio, ho unto te», ma «ti ha
unto»; così si dimostra che altra è la persona che sta parlando (e{teron
ei\nai to; dialegovmenon provswpon). Chi è questi se non il profeta che ha
accolto l’energia dello Spirito Santo che lo investiva?”86.
81. Già i monarchiani si valevano di questo tipo di interpretazione per suffragare la loro
concezione del Logos divino come parola inconsistente e senza sostanza, cioè facoltà operativa del Padre (dynamis). Cf. M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo (Studia
Ephemeridis “Augustinianum” 11) Roma 1975, 21, nota 9.
82. In Ps 44: PG 29, 392 D-393 A. Anche Girolamo riporta come opinione degli altri l’interpretazione di cui parla Basilio. Tuttavia, diversamente dal nostro, la ritiene possibile (Ep.
LXV, 5: S. Cola, San Girolamo. Le lettere II, 180-181). Girolamo a questo proposito non
cita nessun testo del prologo del IV Vangelo ma si riferisce esplicitamente al Verbo, che
“da sempre esisteva in Lui” (in Dio).
83. In Ps 44, 2: PG 29, 493 A.
84. Cf. Philoc. 7, 1 e 7, 2: SC 302, 326-327; 328-329.
85. In questa esposizione Basilio segue la pista tracciata da Origene. Il maestro alessandrino
scriveva: “Non bisogna… concedere… che sia Dio (Padre) a pronunciare queste parole.
Infatti perché non potrebbe essere il profeta che, ripieno di Spirito, si accinge a proferire
una «buona parola», una profezia relativa a Cristo?… Se infatti fosse il Padre a parlare,
come potrebbe, subito dopo le parole precedenti da noi citate (Sl 44, 2-3), aggiungere quelle che seguono: «ti ha benedetto Dio per sempre» (Sl 44, 3) e poco dopo: «Dio, il tuo Dio
Ti ha consacrato» (Sl 44, 8)?”. In Joan. I, 29: SC 120, 202-203, trad. it. in Corsini, 197.
86. In Ps 44, 2: PG 29, 493 A-B.
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M. C. PACZKOWSKI
Il Cappadoce però distingue con molta evidenza i versetti del “profeta
che ha accolto l’energia dello Spirito Santo” da quelli che si riferiscono a
Cristo (3-9a) e alla Chiesa-sposa di Cristo (9b-16).
“Il versetto che segue segna, ci sembra, un nuovo e specifico momento e pare che non si congiunga con quello precedente, ma che si connetta
con i seguenti. «Splendido di bellezza» (Sl 44, 3), infatti, noi riteniamo
che venga rivolto al Signore, secondo il cambiamento di persona (kata;
th;n ajpostrofh;n tou' proswvpou).
Ci orienta verso questa opinione quanto (affermano) Aquila e
Simmaco: il primo dicendo: «sei ornato di bellezza al di sopra dei figli degli uomini»; e Simmaco: «di bellezza al di sopra dei figli degli uomini»”87.
L’autorità dei noti traduttori e interpreti88 non è certo l’unico elemento
ad ispirare l’esegesi di Basilio. Risulta determinante il fatto che essa non
deve essere condizionata dai “preconcetti ermeneutici”.
Ricorso al principio di “sostituzione di persona”
e ai paragoni dell’arte teatrale
Nel testo biblico Basilio identifica la “sostituzione di persona”. Facendo riferimento a 2 Sam 12, 1-14 scrive che il profeta Natan “servendosi di
una sostituzione di persona (uJpobolh'/ proswvpou) lo (re Davide) eresse a
giudice della propria colpa”89.
Sembra però che il nostro esegeta non limiti l’uso di questo principio
esclusivamente alla lettura testuale della Bibbia. In realtà le parole scritturistiche non sono “lettera morta” o fonte di speculazioni astratte. In alcune occasioni si può scorgere la loro attualizzazione messa in atto da Basilio.
E’ un procedimento in cui il cristiano “si sostituisce” all’autore sacro o “si
attribuisce” un’espressione scritturistica. Per evitare equivoci il nostro autore qualifica il testo o segnala in modo chiaro il suo autore. A proposito
del Sl 21, 7 egli dice: “se chiami te stesso «verme» perché sei nato nel-
87. In Ps 44, 2: PG 29, 496 B.
88. Basilio, in un altro luogo, chiama Simmaco l’interprete che “rende alcune espressioni
assai appropriate”. Cf. In Ps 59, 4: PG 29, 468 A-B; M. Girardi, “Appunti per una definizione dell’esegesi allegorica di Basilio di Cesarea: le «Omelie sui Salmi»”, in Annali di storia dell’esegesi 10/2 (1993) 524.
89. Ep. 2, 5: Courtonne II, 11.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
307
l’immondizia, ti attribuisci le parole di Davide”90. Invece il martire Barlaam
ha la facoltà di “proferire le parole profetiche: «Benedetto il Signore, mia
roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia» (Sl
144, )”91. Un versetto del Sl 115 è invece considerato “la voce” dei quaranta Martiri92. Ad Anfilochio il vescovo di Cesarea raccomanda: “Pronuncia
anche tu le parole del beato Davide (Sl 138, 7)”93.
Nella lettura di Mt 6, 17 troviamo alcuni chiari riferimenti all’impostazione prosopografica della ricerca esegetica e, in particolare, alle immagini e ai concetti tratti dall’arte teatrale.
Lo si vede nella descrizione dell’ipocrisia. “L’ipocrita (uJpokrithv") è
colui che in teatro sostituisce un personaggio diverso (oJ ejn qeavtrw/
ajllovtrion provswpon uJpelqwvn)… (è) sovrano o imperatore quando è una
persona qualunque”94. Per analogia, nella vita l’ipocrita sta “giocando” un
ruolo davanti agli uomini (pubblico)95. I connotati di illusione o di finzione
danno ai paragoni teatrali sfumature negative limitando fortemente il loro
impiego96.
Le finalità dell’esegesi prosopografica
Le sfumature nel linguaggio dei libri ispirati evidenziate dal metodo
prosopografico, secondo Basilio, devono portare a immetterle in contesti teologici e spirituali in modo tale che abbiano la capacità di irradiare la verità divina e scalzare gli errori degli eterodossi. Perciò, come ha dimostrato la
metodologia di Basilio, le espressioni apparentemente irrilevanti acquistano
un’importanza capitale e vi si possono leggere le precisazioni teologiche deci90. Adv. iratos, 3: PG 31, 360 B.
91. In Barlaam Mart., 2: PG 31, 484 B.
92. “ jEkeivnwn ejstin hJ fwnhv”. Cf. In Quadraginta Mart., 8: PG 31, 521 A-B.
93. Ep. 161: Courtonne II, 93.
94. De ieiunio I, 2: PG 31, 165 B.
95. Basilio si ricollega a Origene. Cf. Orat. XX, 2: GSC 3, 344; In Matth. 24: GCS 38, 39-40.
Brani origeniani sono citati dalla Rondeau (cf. Les commentaires patristiques du Psautier II,
131-132, nota 338).
96. Il valore positivo dei paragoni teatrali si vede invece nell’omelia In Barlaam Mart., dove
la celebrazione in onore del santo Martire è chiamata il “teatro della Chiesa” che coinvolge
i presenti. Cf. In Barlaam Mart., 2: PG 31, 484 B-C. Invece nell’omelia consacrata al martire di nome Gordio il nostro esegeta parla degli spettacoli al circo durante i quali si facevano le corse dei cavalli in onore del dio Marte. Quando era radunata “tutta la popolazione”,
il santo martire scende sull’arena. Cf. In Gordium Mart.: PG 31; 496 A-504 A.
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sive. L’attenzione alle dizioni letterali delle Scritture non deve frastornare o
distrarre l’esegeta che in primo luogo deve inculcare la fede ricevuta nel battesimo97. Basilio si dimostra coerente con questo principio e di fatto trasferisce
all’ambito dottrinale i risultati dell’esegesi prosopografica. Lo fa però soltanto quando questo procedimento risulta agevole da applicare ai ragionamenti teologici. Del resto, il nostro autore tutto preso dall’esposizione dommatica o dal
moralismo, non si preoccupa di sviluppare in modo sistematico l’esegesi
prosopografica e si contenta di applicarla ogni tanto. Vediamone i risultati.
Esegesi prosopografica e domma trinitario
L’interpretazione teologica basiliana, che si articola attorno all’esegesi
prosopografica, si fonda su di una visione unificante, essenzialmente trinitaria. Tale atteggiamento del vescovo di Cesarea consente di cogliere con
chiarezza più che sufficiente la sua posizione dottrinale nei dibattiti dell’epoca. Aggiungiamo che al tempo di Basilio stava per concludersi la fase
cruciale della formazione del “monoteismo trinitario”, caratterizzata dall’impiego del concetto di persona98.
Il Cappadoce nella riflessione trinitaria applica ampiamente il principio della “distinzione dei prosôpa”. Nell’omelia intitolata Contra Sabellianos, Arium et Anomœos (Contra Sab., Ar. et An.) ne abbiamo un esempio99. La trattazione100 riguardante la problematica del provswpon concentra la sua attenzione sul principio che l’unità di natura delle divine persone
non esclude l’ordine gerarchico tra di loro101.
97. Ep. 251, 4: Courtonne, III, 92. Il tema del battesimo come espressione normativa della
fede si trova anche nell’AE II, 22: SC 299, 88-91; ibid. III, 2; 5: SC 305, 150-153; 164-165;
De Sp. S. X, 26: SC 17 bis, 336-338; Ep. 152, 2 e 175: Courtonne, II, 86. 112; Ep. 251, 4:
ibid. III, 92; Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 609 B.
98. Cf. Cantalamessa, “L’evoluzione del concetto del Dio personale”, 436.
99. Secondo l’opinione del Bernardi, il vocabolario trinitario di Basilio in questa omelia risulta
assai evoluto. Ciò è causato dall’impiego assai frequente del termine provswpon (cf. J. Bernardi,
La prédication des Pères cappadociens. Le prédicateur et son auditoire, Paris 1968, 88). Basilio,
in primo luogo, ribadisce la natura divina del Verbo, poi dello Spirito Santo.
100. Sulla struttura di questa omelia cf. J. T. Lienhard, “Ps-Athanasius, Contra Sabellianos,
and Basil of Cesarea, Contra Sabellianos et Arium et Anomoeos: analysis and comparison”,
VigC 40 (1986) 370-372.
101. Cf. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 603 A; 611 B. Basilio riporta due “loghia” giovannei che
delineano il mistero di Cristo (Gv 16, 28) e dello Spirito Santo che fa conoscere la natura del
Figlio (cf. Gv 16, 14). Contro gli anomei il nostro autore cita Gv 10, 30 (cf. ibid.: PG 31, 602 D).
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309
Guardiamo però più da vicino il brano omiletico basiliano. In esso affiora l’impostazione particolare che gli permette di servirsi di Gv 1, 1 per
prima distinguere l’ipostasi del Padre e del Figlio102 e poi i singoli prosôpa.
“(I sabelliani) ammettono come sostanza ciò che è proprio alla persona del Figlio (i[dion… proswvpou UiJou') e considerano (come tale) ciò che
è proprio del Padre… «Chi ha visto me, dice (Gesù), ha visto il Padre»
(Gv 14, 9). Questa locuzione (scritturistica), se qualcuno la comprende
rettamente, dall’una e dall’altra parte chiude l’orecchio alle bestemmie. (Il
Figlio) non dice infatti che egli stesso è Padre, ma come è evidente, distingue in modo chiaro le persone (diafevrei ta; provswpa fanerw'") con
queste parole: «Chi ha visto me». In questo modo indica la propria persona. Quando invece aggiunge: «Ha visto il Padre», indica la persona del
Padre e (la) distingue in modo chiaro da se stesso. Lo stesso ha fatto quando ha detto: «Se conoscete me, conoscerete anche il Padre» (Gv 14, 7).
Non dire «solo», ma segui colui che ha detto: «non sono solo, ma io e
il Padre che mi ha mandato» (Gv 8, 16)… Uno è il Padre che manda, l’altro il Figlio che è stato mandato. E ancora: «Io rendo testimonianza, la mia
testimonianza è vera perché è il Padre che mi ha mandato» (cf. Gv 8, 14.
16) e poi: «Nella vostra legge sta scritto che la testimonianza di due uomini è vera» (Gv 8, 17). “Conta, se vuoi, i prosôpa. «Io - dice - rendo
testimonianza»: uno; «la mia testimonianza è vera perché è il Padre che
mi ha mandato»: due.
Queste cose non indicano la confusione di persone” - conclude Basilio
- ma l’assenza di separazione nella divinità”103.
Nell’omelia si tratta di una sollecitazione: “non dubitare nel confessare
le persone - ribadisce Basilio - ma di’ “Padre” e di’ “Figlio”104. Infine, la
distinzione (diaivresi") dei prosôpa non deve essere causa di scandalo per
alcuno105 perché ogni persona divina ha la sua particolarità (ijdiovth")106.
102. Cf. G. Gennaro, Exegetica in prologum Ioannis secundum maximos Ecclesiæ Doctores
antiquitatis christianæ, Romæ-Taurini 1952, 35.
“L’Evangelista (Giovanni) all’inizio (del suo Vangelo) - dice testualmente Basilio - proclama: «e il Verbo era Dio» dando l’identità propria al Figlio. (…) In che modo (il Verbo) era
presso Dio? Non è l’essere umano il logos dell’uomo. Non diciamo che esso (logos umano)
sia presso di lui, ma in (ejn) lui. Il logos umano non ha la vita e l’identità. Il Logos di Dio
invece è «vita e verità» (Gv 4, 6)”. Cf. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 601 A-B.
103. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 604 B-C.
104. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 604 C.
105. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 605 A.
106. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 605 B.
310
M. C. PACZKOWSKI
Basilio stabilisce questo dato riferendosi a Gv 14, 16. Prima di citare il
versetto giovanneo premette che il Signore in modo così manifesto e a nostro vantaggio distingue i prosôpa tra di loro. “«Io pregherò il Padre» - ha
detto (il Signore) - «e egli vi darà un altro consolatore» (Gv 14, 16). E’ il
Figlio che prega, al Padre è rivolta la preghiera, il Paraclito è invece colui
che viene mandato. Non saresti quindi imputato in modo palese che, pur
sentendo «Io» sul Figlio; «egli» sul Padre e «altro» sullo Spirito Santo,
mischi e confondi tutto…”107?
In realtà il vescovo di Cesarea ammette che “non è sufficiente enumerare la differenza di persone (diafora;" proswvpwn ajnariqmhvsasqai),
ma bisogna ammettere che ciascuna persona sussiste in una vera
ipostasi”108.
Sabellio parte dal presupposto che Dio è uno secondo la ipostasi, ma
viene rappresentato nella Scrittura sotto i diversi prosôpa. Egli però arriva a considerare diversi prosôpa come semplice “metamorfosi” dell’unico Dio109, a seconda dell’aspetto che assumeva per manifestarsi
all’uomo. L’eretico concepiva Dio in una unica e sola “ipostasi”110.
Basilio, descrivendo tale tesi, rivela i tranelli delle dottrina sabelliana, la
quale perciò, pur professando chiaramente la differenza di persone, è da
rifiutare. In sostanza gli eretici si rifanno ai principi dell’esegesi
prosopografica presi nel loro insieme. Ecco come si presenta la dottrina
sabelliana:
“Dio è rappresentato dalla Scrittura sotto diverse persone e ora assume la denominazione del Padre quando è il momento di assumere questa
persona, ora quella conveniente al Figlio quando scende a curarsi di noi o
per qualche altra necessità secondo il suo operare salvifico, ora assume la
persona dello Spirito Santo quando il momento richiede la denominazione
attinente a tale persona”111.
107. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 605 A.
108. Ep. 210, 5: Courtonne II, 196.
109. Basilio descrive questa eresia molto efficacemente. Per i sabelliani “Dio, che è uno nel
soggetto, trasformandosi a seconda delle occasioni che man mano si presentano, parla ora
come Padre, ora come Figlio, ora come Spirito Santo”. Ep. 210, 5: Courtonne II, 196. Simili considerazioni si possono trovare nelle Ep. 214 e 226.
110. Nel De Sp. S. VII Basilio, ad esempio, sente di meno l’esigenza di rilevare l’unità di
Dio. Cf. SC 17 bis, 300-301. Proprio a causa dei sabelliani, cerca di mettere a fuoco la distinzione delle ipostasi. Cf. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, 411, nota 34.
111. Ep. 214, 2: Courtonne II, 204-205. Da questa lettera si può dedurre un equivoco sulla
presunta origine modalista di “persona” che sosteneva Basilio.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
311
Per questo motivo Basilio mette ripetutamente in risalto che un
prosôpon, compreso nella sua concretezza secondo l’uso corrente112, deve
avere una sussistenza propria a sé stante113. Il testi scritturistici hanno in
questo contesto un ruolo assicurativo. Il termine prosôpon, senza riferimenti biblici e dovute chiarificazioni, poteva suscitare malcomprensioni e perciò Basilio, come del resto suo fratello Gregorio, esita ad usarlo troppo
tranquillamente114. Si assicura perciò che non avvenga il restringimento del
significato del prosôpon secondo l’uso sabelliano.
Per il Padre cappadoce la “confusione delle persone divine” continua a
rendere presenti le nozioni “giudaiche” del dissenso dal domma trinitario115
e per di più introduce disorientamento dottrinale provocato dall’influsso
“ellenico”. Nel trattato De Sp. S. Basilio è assai chiaro a questo proposito.
“Alcuni sono trascinati dall’influsso del giudaismo a confondere le persone (th'" sugcuvsew" tw'n proswvpwn); altri dall’influsso dell’ellenismo, a
contrapporre le nature (th'" tw'n fuvsewn ejnantiovthto")”116.
L’esegesi prosopografica aiuta a considerare la persona dello Spirito
Santo. Basilio lo fa commentando 2 Tess 3, 5:
“Se infatti la frase (paolina) riguardasse Dio Padre, (l’Apostolo) avrebbe detto semplicemente: «Il Signore vi diriga al suo amore»; se invece riguardasse il Figlio, avrebbe aggiunto: «alla sua stessa pazienza».
Ricerchino dunque (i pneumatomachi) quale altra persona (a[llo provswpon)
vi sia che sia degna di essere onorata col titolo di «Signore»”117.
Riconoscendo lo Spirito come Kuvrio", l’uomo toglie la “lettera” e si
rivolge allo “spirito”. In questo modo “si fa simile a Mosè, che aveva il
volto radioso di gloria per l’apparizione di Dio”118. E’ presente qui il “locus
112. Il senso biblico è quello del “viso”. Il termine però può significare anche “maschera”,
“ruolo teatrale”.
113. Cf. Ep. 210, 5: Courtonne II, 205.
114. Cf. Ch. Schönborn, L’icona di Cristo. Fondamenti teologici, Cinisello Balsamo 1988, 34.
115. Nell’Ep. 210 Basilio dice che i sabelliani professano “giudaismo, introdotto sotto l’ap-
parenza del cristianesimo nella predicazione evangelica” (cf. Ep. 210, 3: Courtonne II, 192).
116. De Sp. S. XXX, 77: SC 17 bis, 524-525.
117. De Sp. S. XXI, 52: SC 17 bis, 432-433.
118. In precedenza Basilio era più chiaro a questo proposito: “colui che ha potuto fissare lo
sguardo fino al fondo del senso legale e che, dopo aver scartato come il velo l’oscurità della lettera, è riuscito ad entrare nei segreti, quello imita Mosè (…) perché anche egli si volta
dalla lettera verso lo Spirito”. De Sp. S. XXI, 52: SC 17 bis, 436-437.
312
M. C. PACZKOWSKI
classicus” di 2 Cor 3, 9 che esprime l’antitesi fra “lettera” (levxi") e “spirito” (pneu'ma) della Scrittura. Inoltre l’affermazione basiliana prende le
mosse da Es 34.
Lettura cristologica delle Scritture
L’“economia” attuata da Cristo orienta necessariamente alla “teologia” che
sfocia nel mistero. Lo si può vedere però già nei preannunci dell’AT. Il ricorso alle espressioni pronunciate ejk proswvpou tou' Kurivou sembra essere
una “scorciatoia” che permette l’immediata applicazione delle nozioni
cristologiche.
In primo luogo l’esegesi prosopografica aiuta Basilio nella lettura
cristologica dei Sl. Egli conclude la riflessione sul Sl 29 affermando che
“in questo Salmo, molte cose sono pronunciate in persona del Signore (ejk
proswvpou tou' Kurivou ajpaggellovmena)”119. L’espressione contenuta nel
titolo del Sl “sembra indicare l’incarnazione del Dio Verbo (th;n ejnswmavtwsin tou' Qeou' Lovgou) e la dedicazione della sua casa, costruita in
modo nuovo e stupefacente”120. Questa espressione è una sola motivazione della lettura del Sl in chiave cristologica e si ha l’impressione che il
vescovo di Cesarea consideri superflua l’elencazione delle altre conosciute dagli uditori121.
119. In Ps 29, 1: PG 29, 307 A-308 A.
120. Cf. In Ps 29, 1: PG 29, 305 C-308 A. L’uso dell’espressione th;n ejnswmavtwsin tou'
Qeou' Lovgou testimonia che Basilio in questa omelia non rivolgeva una particolare attenzione alla terminologia teologica. A causa della polemica con Apollinare il nostro Cappadoce
cominciò con rigore a designare l’Incarnazione con il termine ejnanqrwvphsi"
(inumanazione) che rende meglio il senso di assumere la natura umana da parte del Verbo.
Basilio comincia, ad esempio, a riportare Gv 1, 14 già esegeticamente e teologicamente interpretato sostituendo savrx con a[nqrwpo". Questa precisazione gli permette di rilevare che
il Verbo assunse pienamente e interamente il modo di esistere umano senza essere privo di
ciò che si addice alla divinità. Evidentemente l’omelia In Ps 29 è da collocare nel periodo
che precedeva la controversia apollinarista.
121. Per Origene il motivo della riflessione cristologica basata sul Sl 29 è da cercare nel
v. 4 (“Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi”) che viene riferito alla risurrezione del Salvatore (cf. Rondeau, Les commentaires patristiques du Psautier II, 101, nota 242). In Basilio
lo stesso elemento lo si incontra a proposito del v. 6 b. “Ricordati dei tempi della passione
del Signore e scoprirai l’intelligenza delle parole. Alla sera il pianto si è impadronito dei
discepoli quando Lo videro appeso alla croce. Al mattino, (ci fu) la gioia quando dopo la
risurrezione correvano e quando fu annunciato a loro che il Signore era stato visto vivo” (In
Ps 29, 4: PG 29, 313 D-316 A). Il Sl 29, 4 viene riferito invece alla salvezza dell’anima
dell’uomo-peccatore. Cf. In Ps 29, 3: PG 29 311 A-312 A.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
313
In altre occasioni l’impiego teologico e spirituale del principio esegetico finalizzato ad individuare la persona è sorprendentemente semplice. Si
addice però molto bene all’attitudine di Basilio per il quale la semplicità
delle parole scritturistiche implica la semplicità della fede122.
Grazie all’impiego dell’esegesi prosopografica possono essere risolte
questioni ermeneutiche assai intricate. Sorprende indubbiamente la semplicità con la quale il grande Cappadoce risolve il dibattito sui Pr 8, 22.
“Alcuni a causa delle parole attribuite alla persona della Sapienza (ejk
proswvpou th'" Sofiva"): «Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività» (Pr 8, 22); hanno dedotto che sia lecito dire che il Figlio è una
creatura”123.
L’esegesi di Pr 8, 22 offre ancora altri indizi riguardanti l’applicazione
dell’esegesi prosopografica. Commentando l’inizio dei Pr Basilio non esita
a rilevare che il testo ispirato “fa parlare (la persona della) Sapienza
(proswpopoihvsa"… th;n sofivan)”124. Il vescovo-monaco si rende conto
che l’interpretazione letterale ha condizionato gli esiti della dottrina di
stampo ariano e perciò bisogna confutarla a partire dallo stesso metodo.
Come agli altri Padri, non gli sfuggiva il fatto che l’interpretazione degli
emuli di Ario era la più immediata che si potesse fornire. La prosopografia
applicata alla lettura di Pr 8, 22 dimostra quindi la speciale attenzione di
Basilio alla “lettera del testo sacro” allo scopo di presentare la “purissima
semplicità dell’insegnamento dello Spirito”125. In realtà non c’era niente di
più semplice che “distinguere i prosôpa” e rilevarne implicazioni teologiche. Il vescovo di Cesarea poté rifiutare dunque qualsiasi speculazione sull’ipotetica creazione del Cristo-Sapienza e sulla generazione del “Primogenito” nel tempo, cose che avrebbero ridotto il Signore al rango di
creatura126. L’esegesi prosopografica è però solo il primo gradino in questo
processo perché Basilio doveva ricorre ad un tessuto di testi biblici che
nella loro molteplicità mostrano unità e tensione verso Cristo127. Tuttavia
122. Chi non la rispetta, si allontana da Dio e sconvolge l’animo dei semplici. Cf.
Ep. 258, 2: Courtonne III, 102.
123. AE II, 20: SC 305, 82-83.
124. In princ. Prov., 3: PG 31 392 A. Sulle questioni legate con il termine tecnico
proswpopoiei'n cf. Rondeau, Les commentaires patristiques du Psautier II, specialmente
51-53.
125. AE I, 1: SC 299, 142-143.
126. Sull’argomento cf. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, 462-480.
127. Secondo il pensiero medioplatonico, pur nell’unità della sua natura, il Logos accoglie
la molteplicità per fare tramite fra il Creatore e il mondo.
314
M. C. PACZKOWSKI
l’inserimento dei testi letti secondo la chiave prosopografica nel largo complesso delle espressioni scritturistiche testimonia che per il nostro autore la
cristologia e la teologia in genere si inquadrano nella Scrittura e da essa
prendono la piena giustificazione della loro validità.
Per molti versi l’adesione alla lettura prosopografica dei testi ispirati
costituisce uno dei criteri esegetici fondamentali che il nostro Cappadoce
applica anche nei casi in cui risulta difficile stabilire l’armonia fra vari testi o conciliarli. Il trattato De Sp. S. ne offre un breve, ma emblematico,
esempio. Riferendosi alla compilazione dei tre brani salmodici (Sl 144, 15;
103, 27 e 144, 16) il vescovo-monaco osserva che
“se qualcuno si sforza di riferire a Dio la parola del profeta (ejpi; to;n
qeo;n ajnafevrein tou' profhvtou th;n levxin), dovrà pure concedere che la
formula «per mezzo del quale» conviene a Dio e che l’una e l’altra avrà
uguale dignità, per il fatto che ugualmente si intendono di Dio… L’una e
l’altra appariranno ugualmente degne di onore essendo riferite a una sola
e medesima persona (ejf’ eJno;" proswvpou kai; tou' aujtou' tetagmevnai)”128.
Un esempio di esegesi prosopografica basata sul doppio registro letterale e cristologico è identificabile a proposito del Sl 2, 7-8. All’inizio del
trattato De bapt. il vescovo di Cesarea riporta alla lettera i suddetti versetti
salmodici. Tuttavia non vi è la terminologia specifica qualificante il procedimento in questione. Egli si limita a dire:
“Il nostro Signore Gesù Cristo, il Figlio Unigenito del Dio vivente,
dopo la risurrezione dai morti avendo ricevuto la promessa di Dio e Padre
suo, che disse per mezzo del profeta Davide (Patro;" aujtou' eijpovnto" dia;
Dabi;d tou' profhvtou; segue Sl 2, 7-8) …, presi con sé i suoi discepoli,
prima rivela loro il potere datogli dal Padre (citazione di Mt 28, 18) …,
poi li invia (Mt 28, 19-20)”129.
Introducendo Gv 3, 3 Basilio ribadisce sulla base dei dati evangelici
che il Signore manda i discepoli a tutte le nazioni “dopo la risurrezione dai
morti, adempiutasi per Lui la profezia detta per mezzo di Davide in persona di Dio Padre (plhroumevnh" eij" aujto;n dia; tou' Dabi;d ejk proswvpou tou'
Qeou' kai; Patro;" profhteiva"; segue Sl 2, 7-8)”130.
128. De Sp. S. V, 8: SC 17 bis, 276-278.
129. De bapt. I, 1: SC 357, 80-81.
130. De bapt. I, 2: SC 357, 120-121.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
315
Lo stesso tenore ha l’affermazione che apre la questione 12 del De
bapt. II, dove si hanno delle reminiscenze generiche del versetto di Gv 1, 3
congiunto con Col 1, 16. Nella formula introduttoria, composta da vari testi biblici131, il nostro Cappadoce dice:
“Il Signore nostro e di tutti, Gesù Cristo, il Figlio Unigenito di Dio,
per mezzo del quale tutto è stato fatto (di∆ aujtou' ta; pavnta; cf. Gv 1, 3),
«le cose visibili e invisibili» (cf. Col 1, 16), proclama (segue Mt 15, 24),
e dice ai discepoli: (citazione di Gv 20, 21)… Ma dopo che si fu compiuta
a suo riguardo la profezia di David, che come in persona di Dio Padre
(meta; de; to; th;n profhteivan eij" aujto;n plhrwqh'nai tou' Dabi;d eijpovnto",
wJ" ejk proswvpou tou' Qeou' kai; Patrov") disse: «Figlio mio sei tu, io oggi
ti ho generato: chiedi a me, e ti darò le genti come tua eredità, e come tuo
possesso i confini della terra (Sl 2, 7-8)», allora egli ordinò anche ai suoi
discepoli: «Andate, e ammaestrate tutte le nazioni (Mt 28, 19)»”132.
Le frasi citate hanno forse un carattere marginale, ma rivelano assai
chiaramente i presupposti ormai tradizionali dell’esegesi prosopografica
adoperata per la lettura del suddetto brano salmodico133. Il rimando alla lettura spirituale dei Sl è costituito dalla formula ejk proswvpou. Su questa base
Basilio ha trovato una formula che congiunge il senso letterale (“profezia
di Davide”) con quello teologico (Dio Padre si rivolge al Figlio) e
tipologico (compimento della profezia nella persona di Cristo).
Non di rado il vescovo-monaco trae i versetti scritturistici da contesti diversi e talora li accosta in modo singolare. Ne costituisce un esempio la combinazione del primo versetto del prologo giovanneo e del Sl 109, 2 che forma
uno spunto per rilevare l’eternità della generazione divina del Figlio134.
Non c’è nessun dubbio che nel racconto scritturistico Dio “parla a Colui che gli si associa nella creazione”. L’affermazione viene chiusa con la
citazione di Eb 1, 2-3135. Nella sua sottile elaborazione di questa idea il
131. Mt 15, 24; Gv 20, 21; Mt 10; 16; Sl 2, 7-8; Mt 29, 19; Rm 12, 3; 1 Cor 7, 27; Gal 2, 9.
132. De bapt. II, 12: SC 357, 292-293; trad. it. Neri, Basilio. Il battesimo, 318-319. Nello
pseudobasiliano In Is l’autore fa lo stesso passaggio immediato dall’AT (Legge, parola del
Signore) al compimento nel NT (identificazione con Cristo). Cf. In Is. V, 181: P. Trevisan,
San Basilio. Commento al profeta Isaia. Testo, introduzione e note (Corona Patrum
Salesiana. Series græca) II, Torino 1939, 134.
133. Lo attestano già Ireneo, Tertulliano e Origene. Cf. Rondeau, Les commentaires
patristiques du Psautier II, 29-30; 101.
134. Cf. l’esposizione nell’AE II, 17: SC 305, 66-69.
135. Questo brano, con tutti gli effetti, va considerato parallelo di Gv 1, 3. Cf. In Hex. IX,
2: SC 26, 516-517.
316
M. C. PACZKOWSKI
vescovo di Cesarea, congiungendo il senso metaforico e letterale di Eb 1,
2-3, ravvisa un riferimento molto chiaro alla persona del Logos. Quanto
al concetto espresso qui dal nostro autore, dobbiamo rilevare che già
Giustino aveva interpretato il plurale “facciamo” di Gen 1, 26 come comprensivo del Padre e del Figlio, rispettivamente ideatore e realizzatore
della creazione136.
La riflessione sulla distinzione delle divine persone nell’atto di creare
scalza un’altra delle “invenzioni giudaiche”137. Ci sono infatti coloro che
pretendono “che ci siano numerosi personaggi ai quali è rivolta la parola
di Dio. Ed è proprio agli angeli che sono intorno a Lui che Egli (Dio) dice:
«Facciamo l’uomo». In questa maniera, per non ammettere un personaggio
unico, essi ne introducono innumerevoli”138.
Il Cappadoce rileva le particolarità di questa forma nell’esprimersi della Bibbia. Le parole della Gen non sono trascurabili perché Dio usa l’immagine del colloquio “per stimolare la nostra mente alla ricerca della
persona cui sono rivolte le parole (tou' proswvpou pro;" o}n oiJ lovgoi); questa forma di linguaggio (Mosè) l’adottò con sapienza e abilità”139.
Per questo motivo le prove riguardanti il Figlio nel libro della Gen sono
evidenti. Il vescovo - monaco, dopo aver posto l’accento sulla eloquente
testimonianza dello Spirito afferma: “è cieco (…) (chi) non scorge le prove
evidenti riguardanti il Figlio Unigenito (…). (Le parole della Gen sono)
testimonianza della causa efficiente e creatrice”140.
L’esistenza di un dialogo nel racconto della Gen e, quindi, la presenza
della persona del Figlio permette di fare un’altra specificazione di carattere teologico. Mostrando la presenza dell’Unigenito nell’opera della creazione il Cappadoce vuol escludere che il Verbo sia un semplice “flatus
vocis”, senza sostanza e inconsistente. Non desta meraviglia che il nostro
autore trasferisce le prerogative del prosôpon al Logos divino. Lo poteva
fare più facilmente perché l’elaborazione teologica del concetto del Verbo
divino aveva già raggiunto il culmine. Su solide basi dottrinali Basilio potrà affermare in modo convincente l’unione del Verbo con il Padre e la sua
136. Giustino, Dial., 62: PG 6, 617 A-620 B.
137. Cf. In Hex. IX, 6: SC 26 bis, 516-517. Abbiamo qui un chiaro riferimento agli influssi
delle concezioni filoniane. Cf. SC 26 bis, 517, nota 7.
138. In Hex. IX, 6: SC 26 bis, 516-517.
139. In Hex. III, 2: SC 26, 196-197.
140. In Hex. III, 4: SC 26 210-211. Origene nel Contra Celsum VI, 60 accentua il rapporto
della subordinazione del Figlio in quanto “causa efficiente” (cf. SC 147, 328-328).
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
317
sussistenza personale141. “Giovanni ha detto Lovgo" (…) per spiegarti la
sussistenza perfetta del Figlio, per dimostrarti con questi concetti la congiunzione atemporale del Figlio col Padre”142.
In un passo specificamente dedicato alla creazione delle potenze angeliche Basilio parla espressamente del Figlio e dello Spirito associati all’opera della creazione. Questo approccio è però estensibile ad ogni altro tipo di
attività creatrice: “gli spiriti che servono esistono per il volere del Padre,
sono condotti all’essere dall’operazione del Figlio e sono perfezionati per
la presenza dello Spirito”143.
Il Verbo viene qualificato come persona distinta e consustanziale, causa efficiente della creazione. In questo modo Basilio polemizza con gli
eunomiani che introducevano nella Trinità un marcato rapporto di
subordinazione ponendo le tre divine persone su piani digradanti144. Il
Cappadoce scarta anche le interpretazioni in favore degli angeli in funzioni demiurgiche e delle “energie malefiche” presenti durante la creazione145.
Nello stesso ciclo di omelie Basilio è ancora più esplicito. Ribadisce
fortemente che “La Scrittura presenta (il concetto della collaborazione del
Logos nell’opera nella creazione) per esteso a scopo di mostrare che non
soltanto Dio volle la creazione, ma volle anche che questa si effettuasse con
la cooperazione di un Altro (…)”.
Presentando “Dio nell’atto di comandare e di conversare la Scrittura
svela tacitamente Colui al quale è dato l’ordine ed è rivolta la parola (del
Padre)”. “La Scrittura ci conduce quindi - conclude Basilio - come per una
strada e gradualmente alla conoscenza dell’Unigenito”146.
Inoltre si può leggere anche il “libro della creazione” che presenta le
prove evidenti “riguardanti l’Unigenito”147. Coerentemente a questa esegesi
141. Cf. M. Simonetti (a cura di), Il Cristo II. Testi teologici e spirituali in lingua greca dal
IV al VII secolo, [Milano] 1990, 588, nota 10.
142. In illud: In principium erat Verbum, 3: PG 31, 477 B-C. Dionigi di Alessandria fece
uso di un paragone simile (cf. Ad Dionysium Romanum fragmenta 14: PL 5, 126 C-D).
143. De Sp. S. XVI, 38: SC 17 bis, 378-379.
144. Gli eunomiani al Padre attribuivano il potere propriamente divino di creare, al Figlio
l’azione demiurgica di portare all’esistenza, allo Spirito la santificazione. Cf. E. Cavalcanti,
Studi eunomiani, 29-30.
145. In queste concezioni riaffiorava l’ombra delle idee filoniane e del dualismo metafisico.
Cf. soprattutto De Opif. Mundi, VIII, 31 - IX, 35: F. H. Colson - G. Whitaker, Philo in Ten
Volumes (and two supplementary volumes). With an English Translation, I, CambridgeMassachusetts, 1949-1971, 22-27.
146. In Hex. III, 4: SC 26, 194-195.
147. In Hex. III, 4: SC 26, 210-211.
318
M. C. PACZKOWSKI
Basilio aggiunge il confronto fra l’opera creatrice del Verbo e la sua Incarnazione. Grazie a questo presupposto si creano due rapporti essenziali: tra il Figlio, che è principio di tutte le cose, e il Padre che Lo generò, - tra
il Figlio e cosmo. In riferimento a questa relazione Logos non viene visto
solo nell’opera della creazione, ma pure come forza coesiva della compagine dell’universo. Queste due relazioni negli scritti basiliani sono spesso
affiancati pur senza essere assimilati.
In altre occasioni il ricorso all’esegesi prosopografica sembrava forse
superfluo. Bastava soltanto, a giudizio del nostro esegeta, esplicitare che
l’effettivo soggetto della trattazione scritturistica è il Figlio, Dio-Verbo.
Così, ad esempio, interpretando Is 40, 13, Basilio sostiene che i chiari dati
biblici da lui riportati attestano che “Il profeta parla del Verbo di Dio,
demiurgo di tutta la creazione”148.
Il testo biblico non di rado presentava delle “oscillazioni” tematiche.
Ne costituisce un esempio l’omelia sul Sl 44, dove l’esegesi prosopografica
è praticata largamente. Iniziando il commento ai versetti 7-8 Basilio osserva che il Salmista, dopo aver considerato l’aspetto umano di Cristo (v. 3),
“sposta ora il discorso sulle altezze della gloria dell’Unigenito. «Il tuo
trono», - dice - «o Dio, nei secoli dei secoli». Ciò significa: il tuo regno si
estende oltre i secoli ed è più antico di ogni intelligenza. E giustamente,
dopo questa sottomissione dei popoli, celebra la magnificenza del regno
di Dio: «Scettro giusto lo scettro del tuo regno». Per questo diede a Lui la
sua appropriata denominazione, chiamandolo sapientemente «Dio»: «Il tuo
trono, o Dio»”149.
Precedentemente Basilio aveva accennato alla lettura cristologica che
poteva essere data alle parole iniziali del Sl 44, ma preferiva non farne
uso150. Più avanti però, come si può constatare dal brano riportato sopra,
l’omelia si snoda con lo sguardo rivolto verso la persona del Signore: alla
sua natura divina e a quella umana. Per trattare di Cristo non solo bisogna
utilizzare con molta padronanza tutta la Scrittura, ma prendere in considerazione che “il discorso sul Salvatore è composito a causa della natura divina e dell’economia del (suo) farsi uomo”151. Qui però il Cappadoce non
sentiva il bisogno di indicare o di usare il termine prosôpon.
148. De Sp. S. V, 7: SC 17 bis, 274-275.
149. In Ps 44: PG 31, 404 B-C.
150. Cf. In Ps 44: PG 29, 392 D-393 A.
151. In Ps 44: PG 31, 405 A.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
319
Il vescovo di Cesarea inoltre non ricorre al repertorio delle analogie
teatrali per esprimere l’incarnazione152. Sottolinea invece l’aspetto “educativo” del comportamento153 di Cristo e scarta ogni forma di docetismo
latente. Le idee docetiste potrebbero far supporre che il Signore “recitasse”
l’umano. Egli invece può “educare” la persona umana perché veramente
uomo.
Basilio considera il Sl 44 “cristologico fin dalla sua intestazione”154.
Nella sua interpretazione egli si dissocia nettamente da Tertulliano155 e
Alessandro156 che avevano fatto uso di questo passo per suffragare la dottrina della generazione del Figlio dal Padre, in quanto Logos. Il nostro
esegeta si rifà ad Origene che aveva rilevato157 gli errori di stampo
monarchiano basati sull’interpretazione del Sl 44, 2158. Inoltre il verbo
ejxhreuvxato159 presente in questo versetto salmodico, atteggiava in modo
corporale ed antropomorfico la derivazione del Figlio dal Padre. Il logos
umano non ha la vita e l’identità. Il Logos di Dio invece è «vita e verità»
(Gv 4, 6)”160. Il concetto del lovgo" purifica le concezioni cristologiche da
ogni implicazione di carattere corporale161. C’è sempre il pericolo che “la
meschinità (degli antropomorfismi) toccherebbe il Padre allo stesso modo
152. Cf. Rondeau, Les commentaires patristiques du Psautier II, 131. Nell’omelia In Ps 45,
fra le espressioni tipiche che rievocano l’opera redentrice di Cristo c’è anche un richiamo a
Col 2, 15; “(Cristo) ne fece un pubblico spettacolo trionfando su di essi (principi e podestà)
sul legno”. Cf. PG 29, 421 A.
153. Così, ad esempio, il pianto del Signore su Lazzaro e sulla Città Santa (cf. Lc 19, 41;
De grat. actione: PG 31, 226 B) viene interpretato da Basilio, che salvaguarda la divinità
del Figlio da ogni sospetto di qualcosa di passionale o peccaminoso, non “come passionale,
ma didascalico” (cf. De grat. actione: PG 31, 228 B). Nella stessa omelia Gv 4, 6 costituisce il punto di partenza per analizzare la “fatica del Signore” in quanto uomo (cf. ibid.: PG
31, 230 A).
154. G. Mazzanti (a cura di), San Basilio Magno. Testi cristologici, Città di Castello 1991,
48, nota 47.
155. Adversus Praxean VII, 1: CCL 2, 1165-1167.
156. Cf. Ep. (a tutti i vescovi) 12; cf. Simonetti, Il Cristo II, 86-87 (testo greco e trad. it.).
157. Origene scrive: “(alcuni) credono che il Figlio di Dio sia l’atto di pronunciare
(proforav) da parte del Padre, che termina, per così dire, nelle sillabe”. Questo presupposto
- continua poi l’Alessandrino - provoca che essi “vengono a negare un’ipostasi, né riescono
a spiegare come egli abbia una sostanza”. In Joan. I, 24: SC 120, 136-137; trad. it. Corsini,
160-161.
158. Cf. Simonetti, Il Cristo II, 546, nota 6.
159. “Il mio cuore ha eruttato una buona parola”.
160. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 601 A-B.
161. Cf. Simonetti, Il Cristo II, 588, nota 11.
320
M. C. PACZKOWSKI
che il Figlio (…) (Chi lo ammette) dovrà assumere tutte le conseguenze di
ordine corporeo che derivano da (tale) immagine”162.
Nei vv. 11 e 12, annota poi il vescovo-monaco, il Sl 44 si riferisce alla
Chiesa163. E in questa luce viene letto poi il v. 13. Il Salmista “non dice: «Ti
(sev) adoreranno i più ricchi dei popoli», «ma il tuo volto» (to; provswpon to;
sovn). La Chiesa non viene adorata, ma il Capo della Chiesa-Cristo164, che la
Scrittura chiama prosôpon (o}n pro;swpon wjnovmasen hJ Grafhv)”165.
Dicendo che il Cristo è chiamato prosôpon Basilio vuol escludere che
Egli sia qualcosa di non sostantivo e inconsistente, come pretendevano i
modalisti. La Scrittura quindi, a giudizio del nostro esegeta, indica individualità, concretezza e oggettività166 della persona del Figlio, in opposizione alle speculazioni eterodosse. E’ un segno della “maturazione di impiego
propriamente teologico”167 del termine prosôpon.
Le caratteristiche delle espressioni riguardanti la persona che parla denotano l’attenzione di Basilio al senso letterale della Scrittura. In questi casi
egli si avvale dei principi retorici che analizzano le caratteristiche del discorso di un personaggio168. Bisogna fare attenzione, ad esempio, “alle parole del Signore, che quando ci istruisce sul Padre fa uso in prima persona
di espressioni autorevoli e sovrane (seguono poi le citazioni di Mt 5, 22; 8,
3; Mc 4, 39; 9, 25)”169.
L’esegesi prosopografica è quindi uno dei modi con cui Basilio scopre nell’AT accenni cristologici che completa con nozioni tratte dal NT o
da presupposti teologici. Questo metodo è palese soprattutto nella lettura
dei Sl dove Basilio cerca di fondare scritturisticamente il mistero170, rin162. De Sp. S. VI, 15: SC 17 bis, 294-295.
Un’idea molto simile la si incontra nell’AE. Basilio vi analizza il tema del trono del Padre
che significa la sua gloria. La Scrittura insegna, rileva il Cappadoce, che il Figlio siede alla
destra del Padre e promette che verrà nella sua gloria (cf. Mt 16, 17) il che significa che ha
la stessa gloria del Padre. Cf. AE I, 25: SC 299, 260-262.
163. In Ps 44, 10: 29, 409 A.
164. Questa dottrina viene espressa nel De iud.: PG 31, 660 C.
165. In Ps 44, 10: PG 29, 409 C.
166. Cf. G. Prestige, Dio nel pensiero dei Padri, Bologna 1969, 178-180 (passim); trad. it.
di God in Patristic Thought, London 19522.
167. Cf. Rondeau, Les commentaires patristiques du Psautier II, 134.
168. Cf. Girardi, “Note sul lessico esegetico di Basilio di Cesarea”, 49 che richiama In
principium Prov., 3: PG 31, 392 A.
169. De Sp. S. VIII, 21: SC 17 bis, 320-321. Altrove Basilio considera gli imperativi semplici richieste ottative. Cf. In Ps 44: PG 29, 400 D.
170. Cf. Contra Sab., Ar. et An.: PG 31, 601 A.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
321
tracciare una profezia riguardante la persona del Figlio171, dimostrandone
la sua realizzazione172; riceverne e ricavarne uno stimolo per la pietà e
l’adorazione173.
Succede così, ad esempio, quando il vescovo di Cesarea sottolinea il
fatto della cruciale rivelazione dell’insegnamento tradizionale della Grande Chiesa: per la salvezza degli uomini Dio ha mandato suo Figlio nel
mondo. “Ecco cosa proclama Isaia parlando nella persona del Signore
(ejk proswvpou tou' Kurivou dialegovmeno") che si manifesta secondo la
sua umanità: «Il Signore Dio ha mandato me insieme con il suo Spirito»
(Is 48, 16)”174. Tuttavia alla manifestazione del Salvatore “secondo la sua
umanità” è legato l’evento della venuta dello Spirito.
Presenza del Figlio nell’opera della creazione
La “distinzione di persona” appoggiava la dottrina tradizionale sulla sovranità del Verbo nei confronti del cosmo e la sua cooperazione col Padre nella creazione. Basilio sentiva però l’esigenza di stabilire, in termini
teologici, l’effettiva continuità della sua presenza e azione. Questa convinzione teologica è ribadita nelle omelie In Hex.
Dio disse: «Ci siano le luci nel firmamento del cielo!» E d’allora
che tu sai chi parla. Uniscilo subito nella tua mente a Colui che intende:
«Dio disse: Ci siano le luci, e Dio fece le due luci». Chi ha parlato e chi
(invece) ha creato? Non scorgi in queste parole la dualità delle persone
(to; diplou'n tw'n proswvpwn)? Dappertutto nel racconto (th'/ iJstoriva/) la
dottrina teologica (to; dovgma th'" qeologiva") si trova misteriosamente
mischiata”175.
Un ragionamento simile viene condotto nell’omelia IX dello stesso
commentario. Il versetto di Gen 1, 26 è da intendere in un senso più profondo. Nell’espressione biblica
171. Cf. AE II, 17: SC 305, 66-67; De Sp. S. XVI, 38: SC 17 bis, 380-381; In illud: In
principium erat Verbum: PG 31, 473 C.
172. Cf. AE II, 16: SC 305, 62-63; De Sp. S. XVIII, 47: SC 17 bis, 412-413.
173. Cf. In Ps 32, 4: PG 29, 329 B.
174. AE III, 4: SC 305 158-159.
175. In Hex. VI, 2: SC 26 bis, 332-333.
322
M. C. PACZKOWSKI
“la luce della «teologia» (tou' th'" qeologiva" fwtov") 176 penetra come
attraverso delle finestre, e una seconda persona (kai; deutevrou proswvpou)
si intravede misteriosamente, senza ancora rivelarsi con chiarezza”.
Invece coloro che “lottano contro la verità” sostengono che “Dio ha rivolto a se stesso la parola. «E’ Lui stesso che parla - dicono - ed è Lui che crea»”177.
Il nostro esegeta sapientemente congiunge il senso letterale e quello
metaforico, ravvisando nell’espressione della Gen 1, 26 il Verbo “al quale
è dato l’ordine ed è rivolta la parola”178.
Tuttavia una sola espressione scritturistica basta per chiudere la bocca
agli eterodossi: “E Dio disse: «Facciamo l’uomo».
“Dimmi - chiede Basilio - c’è ancora una sola persona? In realtà non
è scritto: «Che ci sia l’uomo» ma «Facciamo l’uomo».
Quando la creazione dell’uomo è imminente - constata poi il vescovo-monaco - “l’oggetto della fede (hJ pivsti") si sta scoprendo e la vera
dottrina (th'" ajlhqeiva" to; dovgma) si manifesta con più chiarezza”179.
Si ha impressione che nella descrizione della “pluralità dei prosôpa” il
richiamo alla terminologia prosopografica abbia una importanza secondaria. Per il nostro autore sembra più importante far giungere alla comprensione più profonda del racconto della creazione quando in giuoco ci sono
le nozioni teologiche decisive.
Il seguito del racconto biblico offre spunti simili, ma che rilevano l’unicità di Dio. L’esegeta cappadoce si chiede:
“a chi dice (Dio): «A nostra immagine?» (…) A Colui (che ha dichiarato) «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10, 30)180; e «Chi ha visto
176. Ricordiamo che in senso tecnico e tradizionale questo termine indica la dottrina su
Cristo riguardante la sua divinità (rapporto fra il Figlio in quanto Dio con il Padre.
177. In Hex. IX, 6: SC 26, 514-515. Secondo Giet questo sarebbe un argomento riferito
contro i giudei in genere (cf. ibid., 516, nota 5). Poi invece, continua questo autore, l’esposizione del Cappadoce rivela degli elementi di polemica antianomea (cf. ibid., 516, nota 1).
Nel primo caso non necessariamente dobbiamo vedere i membri del popolo giudaico. Infatti molti eretici, ribadisce Basilio, simulando di aderire al cristianesimo, professavano il
giudaismo (cf. In Hex. IX, 6: SC 26:, 518-519; Ep. 210, 3: Courtonne II, 192-193).
178. In Hex. IX, 6: SC 26, 514-515.
179. In Hex. IX, 6: SC 26 bis, 514-517.
180. Il versetto di Gv 10, 30 citato “ad litteram” da Basilio ebbe un ruolo non indifferente
nello sviluppo della dottrina trinitaria. Cf. T. E. Pollard, “The exegesis of John X, 30 in the
Early Trinitarian Controversies”, NTS 3 (1956/1957) 334-349.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
323
me, ha visto il Padre» (Gv 14, 9). E’ proprio a Lui che dice: «Facciamo
l’uomo a nostra immagine» (Gen 1, 26). Quando l’immagine è unica dove
si trova la differenza?
E Dio «fece l’uomo». Non (disse) «fecero». L’autore in questo luogo
ha evitato la pluralità delle persone (to;n plhqusmo;n tw'n proswvpwn)”181.
Nella sua chiara e concisa esposizione il nostro non prende di mira solo
i “giudei”, ma anche coloro che si ispiravano alle dottrine eterodosse che
intaccavano l’unicità di Dio. Ovviamente In Hex. non ha scopi apologetici
o polemici. Ciononostante il vescovo di Cesarea coglie spesso l’occasione
per introdurre, sulla base di un’esegesi rigorosamente letterale182, vari elementi teologici contro politeisti e giudei, contro gli eretici in genere e contro la falsa gnosi in particolare183.
Il nostro esegeta continua:
“«Fece l’uomo a immagine di Dio». Ecco di nuovo viene introdotta la
persona dell’aiutante (divino; tou' sunergou' to; provswpon). Perciò Egli
non ha detto: «alla sua immagine» ma «a immagine di Dio»184.
Così il Figlio è definito per la sua relazione col Padre e per la sua presenza nell’opera della creazione. Con questo tipo di esegesi Basilio accenna, alludendo a Giovanni, una spiegazione teologica equilibrata ed evita di
cadere nei tranelli dell’interpretazione eretica.
Le “epinoiai”
Valorizzando le acquisizioni della scuola esegetica alessandrina185,
Basilio fa riferimento all’azione pedagogica del Padre, la quale si ma-
181. In Hex. IX, 6: SC 26, 518-519.
182. Dopo Basilio sarà Agostino a tentare una sana interpretazione letterale della Gen. Egli
sicuramente conosceva la traduzione latina dell’In Hex. basiliano fatta da un latino Eustazio. Sul commento di Agostino In Gen cf. M. Simonetti, Profilo storico dell’esegesi
patristica, Roma 1981, 96, nota 22; G. Pelland, Cinq études de S. Augustin sur le début de
la Génèse, Paris-Montreal, 1972, passim.
183. Cf. In Hex. IX, 6: SC 26, 518-523; ibid. V, 7: SC 26, 312-313; ibid. II, 2: SC 26, 142-146
con nota 3; ibid. II, 4: SC 26, 154-155 con nota 3 a p. 155.
184. In Hex. IX, 6: SC 26 bis, 520-521.
185. Basilio fa tesoro soprattutto delle nozioni di Origene. L’inventario delle “epinoiai” costituisce l’essenza della teologia origeniana del Verbo e un vero trattato sui nomi di Cristo.
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M. C. PACZKOWSKI
nifesta attraverso i molteplici aspetti (epinoiai) dell’attività creatrice e
salvifica del Figlio. “La Scrittura - ribadisce il nostro esegeta - ci presenta il Signore non con un unico nome, né con i nomi che esprimono
solo la sua divinità e la sua grandezza, ma utilizzando le caratteristiche
della natura”186.
Entriamo così nell’interpretazione cristologica delle teofanie dell’AT
che Basilio difendeva fondandosi scrupolosamente sul senso letterale della
Bibbia, senza impegnare l’allegoria. Non vi può essere alcun pericolo perché “il Signore, quando dava le istruzioni a Mosè suo servo, formulò un
appellativo adatto a sé e conveniente alla sua eternità”187.
La questione delle epinoiai, che aveva una finalità ben precisa nella
polemica antieunomiana188, permette di introdurre qualche constatazione
riguardante la “persona che parla”. Riferendosi a Es 3, 14 Basilio ribadisce
la portata cristologica della formula rivelatrice del nome divino: “nessuno
si opporrà che queste parole (Es 3, 14) sono state dette nella persona del
Signore (ejk proswvpou tou' Kurivou), almeno se non ha il cuore coperto dal
velo dei giudei (cf. 2 Cor 3, 15)”189.
Basilio opera di fatto una sorta di ribaltamento delle categorie
scritturistiche per applicarle al piano speculativo, riportando così una sorta
di definizione della divinità190 che egli applica per analogia al Figlio. Trattandosi di un dato tradizionale191 il Padre cappadoce poteva facilmente im-
186. De Sp. S. VIII, 17: SC 17 bis, 302-303.
187. AE II, 17: SC 305, 72-73.
188. Gli appellativi comuni al Padre e al Figlio, utilizzati nella tradizione della Chiesa, cre-
avano serie difficoltà all’eretico, il quale risolveva il problema proponendo il principio che
Cristo “ha tutte le perfezioni in grado minore del Padre”, unico vero Dio in quanto principio e causa di tutto (cf. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, 257-258).
189. AE II, 18: SC 305, 72-73.
190. Per Eunomio, solo il Padre possiede da sé tali prerogative, mentre il Figlio le ha derivate dal Padre. Cf. Apologia, 17: SC 305, 266-269.
191. S. Giustino fu il primo che mise in rilievo alcuni particolari delle teofanie dell’AT e il
passaggio dal «l’Angelo del Signore» a Dio stesso (cf. Dial. 58, 3-5). Per Clemente
Alessandrino il soggetto delle teofanie veterotestamentarie è sempre il Logos preesistente
che opera per la salvezza dell’umanità (cf. Simonetti, Lettera e/o allegoria, 70, nota 14).
Origene invece argomenta che «l’Angelo», di cui si parla nella Scrittura come distinto da
Dio, altre volte viene identificato con il Signore. E dunque che si tratta dello stesso Figlio
di Dio che si è incarnato nel seno della Vergine per diventare il “messaggero di Dio” (De
Princ. III, 2: SC 258, 152-153; cf. anche SC 269, 57 nota 2). In ambito latino si può fare
riferimento a Ireneo, Adv. Haer. V, 9: SC 162, 116-123; Tertulliano, Adv. Praxean XIV, 1XV, 9: CCL 2, 1176-1180; Adv. Marcionem II, 27: CCL 1, 505-507; Novaziano, De
Trinitate XXXI: PL 3, 977 C-981 A.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
325
postare il discorso sostenendo sia la divinità di Cristo192 sia la concretezza
delle “figure” veterotestamentarie193.
“Dopo aver fatto menzione di un angelo, la Scrittura aggiunge le parole pronunciate da Dio. Essa dice che Egli dice a Mosè: «Io sono… il
Dio Abramo, il Dio di Isacco» (Es 3, 6) e ripete un po’ più avanti: «Io
sono colui che sono» (Es 3, 14)”.
Poi aggiunge:
“Qual é dunque il medesimo essere che è angelo e Dio?… E’ evidente per tutti che (questi) che è stato chiamato «l’Angelo del gran consiglio»
(cf. Is 9, 5), è l’Unigenito”194.
E conclude:
“così Colui che davanti a Mosè nominò se stesso come «Colui che è»
(cf. Es 3, 14), non può essere altri che il Verbo di Dio che «era in principio presso Dio» (Gv 1, 1)”195.
Descrivendo nell’omelia In Christi Generationem la continuità delle
apparizioni della divinità il vescovo-monaco sottolinea che il Signore non
si comunica più in modo sporadico e terrificante196, ma si rende continuamente presente nella carne come un Maestro dolce e mansueto197.
L’interpretazione delle teofanie proposta dal vescovo di Cesarea possiede ancora un’altra caratteristica. Egli ne ravvisa il soggetto in una delle
ipostasi trinitarie o nella Trinità intera198. Il Cappadoce però non fa ricorso
al metodo prosopografico.
192. Alla fine del IV s. la questione dell’interpretazione cristologica delle teofanie venne su-
perata. In realtà “vedere solo il Figlio all’opera nell’Antico Testamento significava rilevarne
una posizione di subordinazione rispetto al Padre” (cf. Simonetti, Il Cristo II, 547, nota 11).
193. Per la valenza di questo argomento nella controversia ariana cf. Simonetti, La crisi
ariana nel IV secolo, 506-511.
194. AE II, 18: SC 305, 72-73.
195. AE II, 18: SC 305, 74-75.
196. Spiegando nell’omelia In Christi Generationem il testo di Bar 3, 38 Basilio afferma
che Dio non detta più la Legge “attraverso fuoco, tromba, montagna fumante, tenebre e la
tempesta che atterrisce le anime di quanti ascoltano”, ma grazie al suo corpo “conversa”
con quelli della “sua stessa stirpe” (In Christi Generationem: PG 31, 1460 B). Nel testo
troviamo allusioni ai vari versetti dell’A e NT: Eb 12, Es 10, 22; 20, 18; Dt 4, 11; 5, 22.
197. In Christi Generationem: PG 31, 1460 C. L’affermazione è rafforzata dal riferimento
a Gv 1, 14.
198. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, 506.
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M. C. PACZKOWSKI
Prosopografia e riflessioni ecclesiologiche
La constatazione cristologica fatta sulla base di un principio di esegesi
prosopografica è punto di partenza per un altro filone di riflessione: quello
ecclesiologico199. La dedicazione del tempio a Gerusalemme viene paragonata alla realtà della Chiesa. Le testimonianze scritturistiche lo attestano in
modo evidente. La Chiesa è la “casa di Dio” (evocazione di 1 Tm 3, 15).
La sua “dedicazione” è interpretata invece come il rinnovamento “della
mente che viene completato nell’unico corpo della Chiesa di Cristo dallo
Spirito Santo”200.
Tuttavia nella lettura ecclesiologica201 del Sl 33 si trovano accenni
all’esegesi prosopografica. Il nostro esegeta si chiede se “forse è la Chiesa a
pronunciare le parole: «Tutte le mie ossa diranno» (Sl 34, 10a) con riferimento al mistero della risurrezione?” (seguono le citazioni di Ez 35, 5-6 e Sl
34, 10b)202. Non deve stupire che nel considerare il “mistero della risurrezione” il Cappadoce supponga che esso riguardi il corpo ecclesiale. Egli mutua
questa constatazione dai principi origeniani secondo i quali bisogna considerare nell’aspetto umano di Cristo quando si riferisce al suo corpo fisico e
quando alla Chiesa - suo Corpo Mistico203. Questo criterio interpretativo
permette di trasferire alla realtà ecclesiale ciò che è detto del Signore incarnato. Inoltre la risurrezione di Cristo apre ai sensi “più alti” in quanto opera
della “vita in se stessa (e della) potenza (divina)”204. La prosopografia si
muove quindi nei quadri teologici assai complessi e alle nozioni esegetiche
“tradizionali” aggiunge le interpretazioni piuttosto poco comuni.
La prosopografia scopre gli accenni ecclesiologici nel Sl 44. La menzione della Chiesa205, doverosa in questo brano del commento, non fa per-
199. Alle questioni ecclesiologiche è consacrato un ampio studio dello Scazzoso, Introdu-
zione alla ecclesiologia di San Basilio, Milano 1975.
200. In Ps 29, 1: PG 29, 307 A-308 A.
201. Cf. Girardi, “Appunti per una definizione dell’esegesi allegorica di Basilio di Cesare-
a”, 503.
202. Cf. In Ps 33, 13: PG 29, 381 C-385 A. Cf. Girardi, “Appunti per una definizione
dell’esegesi allegorica di Basilio di Cesarea”, 518-519.
203. Mazzanti, San Basilio Magno. Testi cristologici, 48, nota 47.
204. Cf. In Ps 48: PG 31, 441 C.
205. Origene afferma che le parole “ascolta figlia” sono rivolte alla Chiesa e alcuni obiettano che non potrà dirle il profeta. “Non è difficile tuttavia dimostrare, - ribadisce
l’Alessandrino - attingendo anche da altri Salmi, come spesso in essi avvengono mutamenti
di persone, cosicché è possibile dalle parole «ascolta, figlia» che sia il Padre a parlare”. In
Joan. I, 29: SC 120, 204-205; trad. it. Corsini, 198.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
327
dere minimamente la prospettiva cristologica206 di tutto il Sl. Affrontando
il v. 9 Basilio conclude però l’esegesi cristologica e si chiede: “Chi sarebbero «le figlie di re» se non le anime generose, grandi e regali?” Queste
avevano conosciuto il Cristo “in forza della (sua) discesa verso la realtà
umana”207. Seguendo le orme origeniane, il nostro esegeta vede nel termine “figlie” il richiamo alla realtà della Chiesa insieme alle anime dei cristiani in essa viventi208. La stessa Chiesa è poi chiamata “figlia” perché
grazie al suo amore Dio la “adotta”209. Queste considerazioni offuscano del
tutto gli interessi per la prosopografia e costituiscono gli unici argomenti
di cui il Cappadoce tratta fino alla fine dell’omelia. La constatazione di
stampo prosopografico appare alla fine dell’omelia. Il v. 18 del Sl 44 - rileva il vescovo di Cesarea - è stato pronunciato nella persona della Chiesa
(ejk proswvpou th'" ∆Ekklhsiva"). Perciò la “memoria (hJ mnhvmh) della Chiesa” è la confessione (hJ ejxomolovghsi") dei popoli210.
Spunti moraleggianti e ascetici
Nei testi ascetico-morali l’esegesi prosopografica appare in misura molto
ridotta rispetto alla sua ampiezza nella trattazione teologica. Tuttavia leggendo la Sacra Scrittura Basilio ha davanti agli occhi l’ideale cristiano e le norme dell’agire degne dei fedeli di Cristo. L’applicazione morale della
Scrittura211 richiama il vero senso del discorso biblico e la sua “semplicità”.
E’ sempre valido il principio che “i precetti del Signore devono compiersi
come il Signore ha comandato”212. Sembra che alle volte la struttura del discorso di carattere morale213, venga determinata dalla Scrittura. I trattati
206. Basilio l’ha abbandonato solo all’inizio della sua omelia sul Sl 44 dilungandosi
nell’esegesi spirituale riguardante la continua trasformazione degli uomini e il progresso
spirituale.
207. In Ps 44: PG 29, 408 B.
208. Cf. Mazzanti, San Basilio Magno. Testi cristologici, 138, nota 46.
209. Cf. In Ps 44, 10: PG 29, 409 A; cf. ibid., 11: 412 A. .
210. In Ps 44, 12: PG 29, 413 D.
211. Questo tipo di lettura è spesso suffragato dall’uso del linguaggio dotto del tempo. Cf.
Pruche, SC 17 bis, 178 con note.
212. Cf. Mor. XVIII: PG 31, 729 A-B.
213. Basilio sottolinea che l’Apostolo Paolo, ad esempio, insegna che nel corso dell’esposizione è necessario ripetere le stesse cose per farle comprendere meglio. Cf. De bapt. I, 2:
SC 357, 148-149.
328
M. C. PACZKOWSKI
ascetici nell’esegesi sono comunque frutto di riflessioni del vescovo-monaco sui testi sacri colmi di sensi teologici perché se ne possa trarre il profitto
morale e spirituale. Questi ragionamenti del vescovo-monaco costituiscono
gli argomenti “a fortiori” che il Cappadoce propone ai suoi monaci214.
Basilio individua la persona che parla nei testi ispirati ricorrendo alle
formule introduttive215. Negli scritti ascetici esse si dimostrano semplici,
raramente più complesse o riccamente allusive216. Sembra che in questi casi
il vescovo di Cesarea non si preoccupi della persona dell’autore sacro o
dell’attribuzione precisa di un versetto, ma che voglia riportare semplicemente il pensiero fondamentale della Scrittura217. La formula ejk proswvpou
negli Ascetica è assai rara218. Invece il contesto cristologico di alcune formule introduttive tende a mettere l’accento sull’importanza dell’insegnamento evangelico del Signore.
Il ricorso alla prosopografia è presente quando Basilio tratta la questione del digiuno. La prassi che ha subito la fissazione canonica e pastorale,
nell’ambito ascetico è vista come il baluardo di santificazione. Il nostro
autore sottolinea però che digiunando si può “far scena” (qeatrivzousin)
non solo davanti agli uomini, ma anche internamente, immergendosi nella
tristezza. Per questo motivo ammonisce: digiunando “non essere triste (cf.
Mt 6, 17). Mostrati così come sei”219.
Negli Ascetica Basilio vede la frase matteana come un “precetto per
quelli che studiano di compiere il comandamento del Signore per essere visti dagli uomini, e serve a curare la loro passione di piacere agli uomini”220.
In questa luce si capiscono meglio le considerazioni che seguono. Il vescovo di Cesarea afferma che “il detto (del Signore; oJ lovgo") ti richiama ai
misteri… Trasferisci il comando alle membra interiori: lavati l’anima dal
214. Cf. De iud. 4: PG 31, 660 C-661 A.
215. Cf. soprattutto J. Gribomont, “Les lemmes de citation de S. Basile. Indice de niveau
littéraire”, Aug 14 (1974) 513-523.
216. Cf. Patro;" aujtou' eijpovnto" dia; Dabi;d tou' profhvtou: De bapt. I, 1: SC 357, 80-81;
plhroumevnh" eij" aujto;n dia; tou' Dabi;d ejk proswvpou tou' Qeou' kai; Patro;" profhteiva":
ibid. I, 2: SC 357, 120-121; meta; de; to; th;n profhteivan eij" aujto;n plhrwqh'nai tou' Dabi;d
eijpovnto", wJ" ejk proswvpou tou' Qeou' kai; Patrov": ibid. II, 12: SC 357, 292-293. Cf. anche De iud.: PG 31, 660 B.
217. Cf. Gribomont, “Les lemmes de citation de S. Basile”, 522, nota 27.
218. Cf. Reg. brev. 75: PG 31, 1136 B-C; De bapt. I, 2: SC 357, 120-121; ibid., II, 12:
SC 357, 292-293.
219. De ieiunio I, 2: PG 31, 165 B.
220. Reg. brev. 223: PG 29, 1229 C.
ESEGESI PROSOPOGRAFICA DI S. BASILIO MAGNO
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peccato, ungi il capo con santo unguento e, per essere unito a Cristo, comincia così il digiuno”221.
Questi brevi accenni dimostrano che le immagini e i concetti desunti
dal linguaggio teatrale servono ad esprimere i tratti essenziali della prassi
del digiuno cristiano, così come la descrive il Vangelo. Ma c’è di più: bisogna guardare l’esempio di Cristo in cui è assente ogni forma di “ipocrisia”.
Il Salvatore digiunando ha voluto educare l’uomo alla mortificazione. “Elemento essenziale, più di tutto quanto si è detto, è che il Signore nostro dopo
avere fortificato con digiuno la carne che per noi aveva assunto e accolse
così in essa gli assalti del diavolo, educandoci ad ungere ed esercitare noi
stessi con i digiuni”222. Digiunando secondo questi criteri si ottiene la forza
per compiere le mortificazioni, cosicché chi digiuna senza la purezza d’animo è in pericolo perché non usufruisce dei benefici della “medicina” che è
atta a cancellare il peccato223.
Conclusione
L’obiettivo di questo studio era quello di investigare sull’importanza
dell’esegesi prosopografica nelle opere basiliane. Indubbiamente un esame
più approfondito delle varie tradizioni riguardanti questo particolare metodo
dell’esegesi e il confronto con l’elaborazione basiliana forse ridimensionerebbero i presunti contributi innovativi introdotti dal nostro autore. Essi, a
dire il vero, sono poco evidenti. Tuttavia non si è trattato di rilevare in alcun
modo l’originalità del nostro autore. Il nostro intento era solo quello di mostrare quale ruolo giocava la lettura della Scrittura fatta sulla base di
“individuazione” o “distinzione di persone”. E ciò perché si sa che il Cappadoce non riprende mai in maniera servile le sue fonti. Infatti l’articolazione e la scelta dei testi da inserire o da interpretare ricevono sempre la
sua impronta personale. L'impiego della prosopografia da parte del nostro
autore è moderato, ma rispetta sempre la tradizione esegetica ben consolidata e i suoi orientamenti teologici. D’altra parte però l’uso della prosopografia
mostra che egli dà molta importanza ai vocaboli dei testi ispirati. In realtà il
linguaggio biblico suggerisce il metodo dell’indagine teologica perché esiste
una perfetta coerenza fra la Bibbia e ciò che è proposto come verità di fede.
221. De ieiunio I, 2: PG 31, 165 A.
222. De ieiunio I, 4: PG 31, 177 C.
223. Cf. De ieiunio I, 1-2: PG 31, 165 A.
330
M. C. PACZKOWSKI
Ciò aiuta a trarre alcune indicazioni di fondo sui procedimenti metodologici legati con la prosopografia e le loro caratteristiche. Nelle opere del
vescovo-monaco ne esiste una non poca varietà, come ad esempio: identità
e caratteristiche dei prosôpa-soggetti nei testi biblici, individuazione della
“persona che parla” e molteplicità dei prosôpa. Un ruolo non indifferente
ha avuto l’espressione ejk proswvpou e il principio del “cambiamento di
persona”. Il Cappadoce ha fatto anche ricorso al principio di “sostituzione
di persona” e ai paragoni dell’arte teatrale.
Analizzando varie finalità dell’esegesi prosopografica si vede che Basilio fonda l’interpretazione teologica su una attenta considerazione della
“lettera” del testo biblico e determina con esattezza le caratteristiche del discorso. Attraverso l’analisi basata sui principi prosopografici egli rivela che
l’esegesi deve essere piena acquisizione e comunicazione dei contenuti che
vengono rivelati attraverso le forme che li racchiudono. In questo modo non
poche formule di fede non vengono spiegate esclusivamente sulla base dei
concetti filosofici, ma anche coll’aiuto del metodo “scolastico” dell’esegesi
prosopografica. L’esegesi prosopografica è entrata così nell’elaborazione del
domma trinitario. Un altro filone della riflessione basiliana costituisce la lettura cristologica delle Scritture. L’impiego della prosopografia risolve alcune difficoltà teologiche, completando nello stesso tempo il processo di
chiarificazione delle verità teologiche. Per il nostro autore particolarmente
importanti erano la presenza del Figlio nell’opera della creazione e la questione delle epinoiai. Non trascurabile, anche se meno impegnata, è la
prosopografia inserita nelle riflessioni di carattere ecclesiologico e negli
spunti moraleggianti e ascetici di alcune opere basiliane.
Dai procedimenti esegetici usati dal vescovo di Cesarea risulta che egli,
come gli altri Padri, si è inserito nella tradizione ermeneutica antica che
mirava a far progredire le scienze sulla base dell’analisi dei testi. Per il
nostro autore si tratta soprattutto delle verità rivelate. La riflessione
esegetica rispetta perciò le aporie dei misteri trinitari e cristologici, ma cerca anche di introdurre negli aspetti morali e spirituali.
Mieczysław Celestyn Paczkowski, ofm
Studium Theologicum Jerosolymitanum