ASSOCIAZIONISMO AL FEMMINILE Gabriella Gulmanelli

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ASSOCIAZIONISMO AL FEMMINILE Gabriella Gulmanelli
L’associazionismo femminile italiano e l’emancipazione della donna tra l’800 e il 900.
L’associazionismo femminile mosse i suoi primi passi dopo l’Unità d’Italia (1861),
anche se la presenza della donna fu molto importante nel Risorgimento, sia nel sostegno
alla cospirazione, sia nella partecipazione alla lotta dei patrioti. Basti ricordare la
principessa Cristina di Belgioioso col suo salotto di Milano e a Parigi e le donne che
sostennero Garibaldi nelle sue imprese, in primo luogo la moglie Anita che accompagnò
il marito e morì nella ritirata da Roma nel 1849. Anche nel campo sociale le donne si
distinsero prima dell’Unità d’Italia come la franco-piemontese marchesa Di Barolo che
iniziò solo con i suoi mezzi un sostegno alle donne carcerate e una attività di assistenza
agli ammalati e ai poveri; in questo ebbe la collaborazione di Silvio Pellico uscito dal
carcere austriaco ed autore dopo “ Le mie prigioni “ di un libro intitolato “ Il dovere
dell’uomo” ispirato ad una solidarietà umana. La libertà conquistata con l’indipendenza
portò a poco a poco da parte delle donne ad una richiesta di partecipazione alla vita
politica e soprattutto al raggiungimento della parità di diritti civili, economici e sociali
con gli uomini. Vi furono però fin dall’inizio degli ostacoli dovuti al sospetto dello
Stato liberale verso le masse dei cattolici, dei socialisti e dei repubblicani che si stavano
organizzando. ( Nel 1891 il Papa Leone XIII emanava l’Enciclica “ Rerum Novarum”
sulla condizione degli operai e dei contadini. Nel 1892 i socialisti si staccarono dagli
anarchici ed entrarono a pieno titolo nella lotta politica. Nel 1895 fu fondato il Partito
repubblicano, erede delle idee mazziniane e molto attivo nelle regioni Emilia-Romagna
e Marche con un chiaro indirizzo antimonarchico ).
Altri ostacoli per l’emancipazione femminile furono la generale povertà del Paese con
il conseguente diffuso analfabetismo che riguardava la quasi totalità del mondo
femminile e un diffuso pregiudizio che anche nei movimenti più progressisti confinava
le donne in casa nella cura dei figli e in lavori marginali. Tuttavia lo sviluppo
dell’industria alla fine del secolo XIX sviluppò la necessità di una partecipazione
maggiore delle donne all’attività economica. Questo favorì le prime forme di
associazionismo e con esse la richiesta di diritti. Le donne, anche se venivano impiegate
in una percentuale ancora minima in attività commerciali ed industriali, rimanevano in
una condizione subordinata con salari minori degli uomini e con l’impossibilità di
svolgere mansioni direttive e di libera professione. Addirittura alle donne nel campo
dell’educazione e della sanità venivano riservate attività considerate di minor peso. Fino
a pochi anni fa maestre d’asilo e di scuola materna e insegnanti di economia domestica
dovevano essere solamente donne con studi limitati a pochi anni dopo le elementari.
Ricordiamo poi anche nel campo sanitario le ostetriche spesso presenti nelle periferie e
nelle campagne senza l’apporto del medico e relegate in una condizione subordinata.
Tra il 1880 e il 1900 nacquero le prime associazioni femminili a Milano e a Roma sotto
la presidenza di Anna Celli e poi l’associazione delle maestre ed infine nel 1900 la
contessa Lavinia Taverna istituì la Federazione romana delle Opere di attività
femminile. La prima categoria di donne ad organizzarsi fu quella delle maestre
esponenti dell’eminente ceto medio, dotate di buona cultura e di una relativa autonomia
di movimento. Ambivano alla parità salariale e più in generale ad un maggior
riconoscimento sociale. Si può fin da ora affermare che molte nobildonne si
impegnarono nel riscatto politico e sociale della donna con una sensibilità superiore agli
stessi esponenti maschili della superiore condizione sociale. Gli stessi partiti popolari
socialista e repubblicano, anche se ebbero a fianco donne attive nelle formazioni
femminili, non incoraggiarono la lotta per una completa emancipazione per il timore
che queste fossero influenzate da mariti e da organizzazioni religiose nelle scelte
politiche. Occorre ricordare che Emilia Mariani, Irma Scodnick promossero leghe
femminili per l’elevazione della donna attraverso miglioramenti delle condizioni sociali
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ed economiche. Possiamo dire che il movimento cattolico soprattutto quello della
Democrazia Cristiana di Romolo Murri fu più aperto ai problemi femminili, anche se
nulla seguì allo scioglimento dell’Opera dei congressi per l’ostilità di Papa Pio X alla
partecipazione dei cattolici alla vita politica dello Stato Italiano. Alla vigilia del
suffragio universale maschile per le elezioni del 1913 i cattolici votarono in generale per
i candidati liberali e il problema delle donne fu accantonato nell’imminenza della I
guerra mondiale e dell’avvento del fascismo. Per ricordare un clima antifemminile
generalizzato in tutta Europa negli anni fra le due guerre mondiali basti ricordare che la
Repubblica Spagnola retta da socialisti e repubblicani concesse il voto alle donne solo
per l’impegno di Gil Robles capo del partito cattolico di opposizione. L’avvento poi di
Franco ridusse alle stesse condizioni di sudditanza uomini e donne. Ritornando alle
leghe femminili occorre ricordare la rivista “Vita Femminile” trimestrale della
confederazione delle leghe femminili. Una caratteristica dei movimenti femminili era un
certo accordo fra i sodalizi di ispirazione socialista e le Associazioni moderate ( a
differenza dell’accanimento ideologico contrastante dei partiti maschili ). Le donne si
sentivano escluse dal lavoro, dalla cultura, da ogni forma di partecipazione; c’era anche
una attenzione maggiore a ciò che avveniva nei paesi stranieri spesso più avanzati
dell’Italia e dove il femminismo aveva preso piede. Nel 1901 la Federazione romana di
attività femminile inaugurò una biblioteca e una sala di lettura per promuovere
l’emancipazione socio-culturale delle maestre nella stessa sede della Federazione.
L’Associazione per la donna nata nel 1897 a Roma e ricostituita nel 1898 per iniziativa
di Maria Montessori, Eva de Vincentis e Giacinta Martini Marescotti con l’adesione di
Anna Maria Mozzoni ( 1837-1920), curava diverse pubblicazioni tra cui un corposo
opuscolo “L’oppressione legale della donna”. La Mozzoni fu la prima geniale assertrice
dei diritti e dell’emancipazione femminile in Italia. Già nel 1864 aveva scritto “La
donna e i suoi rapporti sociali” in cui mette a fuoco l’idea dei diritti delle donne e
dell’eguaglianza dei diritti e doveri tra donne e uomini. “ Il dovere fonte del diritto è
cosa santa ed equa, ma il dovere solo è schiavitù e oppressione”. Nel 1870 traduce il
libro di John Stuart Mill, il filosofo inglese positivista ispiratore e militante del
suffragismo ( ” Soggezione delle donne” /Subjection of women ). All’inizio del ‘900 il
sodalizio si impegnò nella creazione di un dormitorio femminile per le lavoratrici nubili
nella capitale. Queste associazioni non si limitavano ad una propaganda teorica, ma
incrementavano un’attività di assistenza ai poveri, agli orfani e ai bambini abbandonati.
Nel 1899 a Milano Ersilia Majno Bronzini ( 1859-1933 ) costituì una Società anonima
cooperativa che indagò nella città sulle condizioni di vita di coloro che avevano fatto
richiesta di sussidio allo scopo di compilare una statistica nazionale dei poveri. La
Majno istituisce anche una guardia ostetrica gratuita rivolta alle madri illegittime e a
tutte quelle donne che non possono permettersi una assistenza ginecologica. La Majno
raccoglie fondi per questa iniziativa sostenuta anche dal marito l’avv. socialista Luigi
Majno già impegnato nella difesa dei lavoratori. Per l’impegno sociale la famiglia
rischia anche il fallimento economico; Ersilia deve accontentarsi per la sua educazione
degli insegnamenti del fratello, ma non si rassegna e diventa poi presidente
dell’Associazione generale delle operaie. Colpita da disgrazie familiari abbandona ogni
attività, ma poi ritorna e nel primo decennio del ‘900, conduce una instancabile
campagna per l’introduzione in Italia del Tribunale dei Minori; fino alla morte non
cessò di combattere battaglie in difesa delle donne lavoratrici e dell’asilo “ Mariuccia” e
per l’assistenza dell’infanzia ( prima donna nella storia del nostro Paese dal 1900 ricoprì
la carica di consigliere d’amministrazione all’Ospedale Maggiore di Milano ).
Nel 1903 si costituiva a Roma il CNDI Consiglio Nazionale delle Donne italiane
composto da tre federazioni romana, lombarda ( con la contessa Sabina Parravicino di
Revel ) e piemontese con Giulia Bernocco Fava Parvis. La nascita era collegata al
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consiglio internazionale delle donne ( C.I.D, ) da estendersi anche in Europa. Esisteva
infatti una International Council Women ( I.C.W. ) formato dalle rappresentanti dei
singoli comitati nazionali che nel 1888 aveva organizzato un’assemblea costituente a
Washington per celebrare il quarantesimo anniversario dell’incontro di Seneca Falls,
cittadina americana dove nel luglio 1848 quattro signore avevano elaborato i punti della
“dichiarazione dei sentimenti”, un testo della lotta delle donne per i diritti di
cittadinanza e civili, che segnava l’inizio del femminismo americano. Nel 1893 si tenne
a Chicago la prima assemblea generale dell’I.C.V. con un congresso femminile
internazionale. Erano presenti rappresentanti di trenta paesi che spesso fondarono un
comitato nazionale. Le italiane non avevano delegate, ma inviarono un memoriale sullo
stato del femminismo italiano. Il secondo congresso generale fu fatto a Londra nel
1899; Mrs. Chrashay fu delegata dal comitato romano, mentre Maria Montessori
rappresentava ufficialmente il Governo, il Ministro della Pubblica Istruzione Guido
Baccelli per sostenere soprattutto la causa delle maestre specie di quelle rurali. La
nomina della Montessori non fu accettata dalla Lega femminile di Torino che non la
riconoscevano come femminista. Nello stesso anno la canadese Sofia Sandford si recò a
Roma come delegata del C.I.D. e riuscì a costituire un comitato promotore di cui
facevano parte Lavinia Taverna, Giacinta Martini Marescotti, moglie di Ferdinando
Martini ( poeta, scrittore e diplomatico ) e futura presidente del Comitato Nazionale
Suffragio, Maria Pasolini Ponti e Teresa di Venosa. Nello stesso anno si tenne la prima
Assemblea generale della Federazione romana delle opere di attività femminile, a cui
parteciparono 36 società con lo scopo di costituire il Consiglio Nazionale delle donne
italiane. La Presidente contessa Taverna voleva innanzitutto creare fra le donne una
corrente di simpatia e di mutuo intendimento, cioè uno spirito di concordia fra le donne;
lo spirito della federazione non era spirito di rivolta, ma di progresso legittimo e
morale. Nel 1901 la Federazione contava 40 Società aderenti a carattere soprattutto
assistenziale; l’anno dopo si costituì la Cooperativa delle industrie femminili italiane e
nel 1903 le stesse industrie formate e dirette da donne ebbero lo scopo di incrementare i
lavori artigianali e di sottrarre le lavoranti a domicilio allo sfruttamento, rendendole
azioniste della cooperativa. Presidente del Consiglio di Amministrazione era la contessa
Cora di Brazzà, vicepresidente Lavinia Taverna e socie Liliah Nathan figlia di Ernesto
Nathan sindaco di Roma, la marchesa Etta De Viti De Marco e Donna Bice Tittoni. Le
intenzioni della Cooperativa erano quelle di creare un vigoroso strumento di economia
commerciale che aprisse vie internazionali ai prodotti femminili italiani educando le
donne alle forme più elette dell’arte e incrementando una grande casa industriale capace
di eliminare gli intermediari che ne sfruttavano il lavoro. Nello stesso 1903 si
accelerarono i tempi per la costruzione definitiva del C.N.D.I. per partecipare al
convegno di Berlino del 1904. Il Congresso di Berlino segnò la nascita
dell’International Woman Suffrage Alliance progetto a cui le suffragiste lavoravano già
da tempo insoddisfatte del moderatismo del C.I.D. ( Consiglio Internazionale Donne ).
Prese quindi una sua fisionomia il Comitato Nazionale Italiano composto sia dalla
federazione romana, sia da quella lombarda e piemontese e da altre Società. Il C.N.D.I.
aveva una struttura federativa forte sul territorio, ma debole nella struttura nazionale. Il
Comitato Direttivo era costituito da una Presidente, da due o tre vicepresidenti, da due
segretarie, da una cassiera e da sei consigliere elette dall’Assemblea Generale e dalle
presidenti delle federazioni regionali e delle sezioni di lavoro. Spettava al Comitato
individuare i settori operativi e proporli all’Assemblea e la Presidenza teneva i contatti
con le Federazioni. Le cariche dovevano avere un limite temporale, ma per molti anni
rimasero nelle mani delle stesse persone. La contessa Gabriella Spalletti Rasponi
discendente di Gioacchino Murat e di Carolina Bonaparte fu presidente dal 1903 fino
alla morte 1931. Il suo ruolo comportava la Direzione delle Assemblee generali e del
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Comitato direttivo; interveniva alle riunioni delle sezioni di lavoro centrali, delle
federazioni regionali, formava commissioni di studio e infine assisteva alle sedute del
comitato esecutivo del C.I.D. ogni due anni e ogni cinque anni. La Spalletti Rasponi
dovette difendersi dalle accuse di una gestione troppo accentrata e personalistica. Nel
1907 si riunì il convegno delle donne cattoliche a cui aderirono l’Unione Femminile, il
C.N.D.I. e anche alcune esponenti socialiste. Il risultato finale dei lavori fu una
piattaforma che prevedeva la riduzione dell’orario di lavoro, la parità di retribuzione, la
libertà di accesso a tutte le carriere femminili qualificate, la riforma del Codice con
l’abolizione dell’autorizzazione maritale, l’introduzione della ricerca di paternità e il
voto amministrativo. Da tempo si reclamava la creazione di un movimento femminile
all’interno delle organizzazioni cattoliche, ma erano ostacolate dai gruppi più
conservatori che ne impedivano la nascita. Nel 1905 Adelaide Coari ( 1881-1966 )
aveva fondato la rivista “Pensiero e Azione “ organo del Fascio Femminile Democratico
Cristiano di Milano. Aveva poi dato vita alla Federazione Femminile milanese. Era
l’esempio più consistente ed esteso di movimento sociale cattolico di base, di iniziativa
che riguardasse le donne e fatto da donne. Nel 1907 aveva 20.000 socie nella provincia
di Milano e nel 1908 aveva attivato circoli in molte regioni italiane divenendo la prima
organizzazione nazionale femminile cattolica. La grandezza di Adelaide Coari sta nel
prendere le distanze da un cattolicesimo clerico-moderato ostile al femminismo
cristiano e al riconoscimento di un ruolo pubblico della donna. C’era in lei però una
appassionata fedeltà alla Chiesa e alla dimensione religiosa come impegno di vita,
capace di aprirsi al dialogo con le donne di tutte le fedi e convinzioni. Nell’ondata
antimodernista fu costretta a chiudere la rivista “Pensiero e Azione” sebbene non
mancassero i legami con il Cardinale Ferrari di Milano e col Vescovo di Bergamo
Radini Tedeschi, di cui fu segretario il futuro Papa Giovanni XXIII L’uscita di scena
dall’azione politica di Adelaide Coari non significa disimpegno o inattività. Torna
all’insegnamento, assiste i feriti nella I guerra mondiale, diventa ispettrice della scuola
elementare e direttore centrale delle scuole rurali lombarde. Era un mondo in cui
l’analfabetismo femminile toccava il 75%, le studentesse delle scuole secondarie ( dalla
I Media fino alla III liceo o V istituto tecnico ) erano 5513 in tutta Italia, le iscritte alle
università italiane erano 250. Il fascismo le impedisce di lavorare nell’Associazionismo
cattolico degli insegnanti; deve prendere la tessera fascista per l’insegnamento, va in
pensione nel 1939, ma si dedica all’opera per i poveri di Don Orione e in fine scrive un
libro in cui sistema la sua pedagogia originale. La soddisfazione maggiore però la ricava
nel vedere come le sue idee sul femminismo cattolico vengano accettate dal Concilio
Vaticano II ( anni 1960 ).
Nel 1908 si svolsero due congressi quello del C.N.D.I. e quello dell’Unione Femminile
Italiana che si trovarono d’accordo solo per un comitato nazionale pro suffragio. Il
C.N.D.I. indiceva un congresso per poter discutere e studiare alcuni problemi che
sempre più si imponevano a chi sentiva il dovere di partecipare al lavoro sociale. I temi
sono quelli che riguardano le opere alle quali tante donne dedicano la loro intelligenza e
la loro attività: educazione e istruzione, assistenza e previdenza, condizione morale e
giuridica della donna , igiene, arte e letteratura femminile, emigrazione. La Circolare era
firmata da Gabriella Spalletti Rasponi, Lavinia Taverna, Dora Melegari, Berta Turin,
Beatrice Betts, Giorgia Ponzio Vaglia, Maria Grassi Koenen. Il comitato permanente era
integrato con la contessa Sabina Parravicino di Revel, Giulia Bernocco Fava Parris, la
baronessa Elena Franch. La seduta inaugurale del congresso avvenne a Roma in
Campidoglio il 23/04/1908 di fronte a un pubblico di oltre 1400 donne alla presenza
della Regina Elena e della principessa Letizia ( di Savoia ); prese la parola il sindaco
Ernesto Nathan figlio di Sara Nathan ( 1819-1882 attiva nel Risorgimento italiano e
amica di Giuseppe Mazzini ), seguito dal Ministro della Pubblica Istruzione il ravennate
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Luigi Rava e dalla presidente Gabriella Spalletti Rasponi. Vi furono molte proposte
nuove fatte dalle relatrici durante le discussioni. Anita Dobelli Zampetti propose
l’inserimento di una materia scolastica nell’educazione femminile: la storia sociale della
donna. Lisa Noerbel propose che in tutte le scuole femminili secondarie inferiori e
superiori si introducessero esercitazioni di oratoria e discussione per abituare le giovani
a parlare in pubblico. Gli ordini del giorno votati alla fine dei lavori della sezione
educazione e istruzione riguardavano la scuola ed il suo compito di preparare alla futura
professione. L’istruzione elementare obbligatoria andava proseguita fino alla VI classe
cioè ai 12 anni. Nella scuola secondaria dovevano essere aperte Sezioni propedeutiche
agli studi universitari e corsi di preparazione all’istruzione primaria. Occorrevano per le
donne scuole professionali, scuole agrarie e cattedre ambulanti. La Signora
Monteguarnieri osservò che il compito della scuola era anche quello di fare nascere un
affiatamento fra donne di varie condizioni in vista di una solidarietà collettiva. La
sezione assistenza e previdenza analizzò il sistema della beneficenza invocando il
passaggio a criteri più moderni fondati sulla mutualità. Lo Stato sarebbe diventato
contribuente diretto della cassa unica d’Assicurazione mutua per la maternità già
proposta in congresso del 1894. Il C.N.D.I. tendeva a formare una nuova coscienza
femminile attraverso la sezione giuridica la quale fu diretta per molti anni da Teresa
Labriola figlia del filosofo marxista Antonio Labriola esclusa dall’esercizio
dell’avvocatura, anche se docente di filosofia del diritto all’università. La sezione
giuridica proponeva l’accesso effettivo delle donne laureate a tutte le professioni e
rivendicava il diritto di voto per la donna. Dopo la Labriola la nuova responsabile della
sezione Benetti Brunelli propose l’abrogazione dell’art. 377 del codice penale
sull’omicidio per l’adulterio e affrontò il problema della violenza carnale, della
corruzione delle minorenni, in quanto il codice fissava l’età della ragione delle donne ai
12 anni, mentre la sezione propose di portare a 18 anni il termine dell’età. Ci fu poi il
rifiuto del matrimonio riparatore e la richiesta di pene più severe per i reati di violenza
oltre all’introduzione di corsi di istruzione sessuale. Nella sezione igiene l’insegnante di
pedagogia Lina Maestrini parlò dell’efficacia di una carta biografica con dati
antropologici e fisiologici, psichici e fisiopsichici. Si auspicava anche una profilassi
della tubercolosi in tutte le comunità e i luoghi pubblici. Un tema attuale della sezione
Letteratura e Arte si poneva da Alma Dolens, cioè il riconoscimento della professione di
giornalista per le donne per potenziare le loro battaglie sociali, in quanto fino ad allora
le donne non erano ammesse nell’Associazione della stampa tanto che alcune si
firmavano con pseudomini maschili. L’intervento di Giuseppina le Maire poneva
l’accento sul problema del vestiario per le attrici a totale loro carico e la Signora Rosa
Genoni fece un ordine del giorno in favore di una moda nazionale, a cui dovevano
cooperare tutte le industrie complementari dell’abbigliamento femminile. La sezione
Emigrazione sulla vita delle donne italiane nel mondo fece presente che già negli anni
1871-80 gli emigranti italiani in Brasile erano circa 80.000 destinati ad aumentare per
l’abolizione della schiavitù che lasciava un nuovo spazio di lavoro nelle piantagioni di
caffè. Il congresso del 1908 chiuse un epoca nell’associazionismo femminile. Infatti la
Fondazione dell’Unione Donne cattoliche nel 1910 sancì una sorta di spaccatura. Il
C.N.D.I. non aveva caratteristiche unificanti, ma apparivano chiari i legami con gli
ideali repubblicani e progressisti di impronta mazziniana già evidenti nel discorso della
presidente Gabriella Rasponi. Il C.N.D.I. prese sempre le distanze da collegamenti
partitici, anche se prevalsero alcune idee repubblicane-socialiste sulla laicità della
scuola e sul suffragio. La proposta della maestra socialista Linda Malnati di abolire
l’obbligo dell’insegnamento religioso nella scuola e di sostituirlo con quello comparato
della storia delle religioni produsse una spaccatura col mondo cattolico femminile.
Anche in altri campi la spaccatura fu radicale come sulla questione delle Casse di
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Maternità. Il movimento di area socialista premeva per un patrocinio statale; il C.N.D.I.
e altri settori optavano per una gestione privata delle Casse con contributi privati delle
operaie. La Sezione di assistenza presieduta da Alda Orlando già nel 1907 istituì una
cassa di assistenza e previdenza per la maternità organizzata e gestita da una
commissione di signore romane guidate dalla contessa Maria Luisa Danieli Camozzi. Il
Governo e la Regina Elena contribuirono con un sussidio integrato da azioni emesse dal
C.N.D.I. Ogni operaia era tenuta a pagare 25 centesimi al mese e dopo 10 mesi aveva
diritto a una lira e quindici al giorno dopo il parto. Si cercavano contributi privati per la
cassa, ma non c’erano contributi né da parte dello Stato, né degli imprenditori.
Divergenze ci furono anche sulla concezione del lavoro femminile. Parecchie all’interno
del C.N.D.I. erano favorevoli ad un lavoro a domicilio ben organizzato, mentre in vasti
settori dell’emancipazionismo stava maturando l’idea che il diritto della donna al lavoro
andava difeso, sia per gli impieghi qualificati, sia nelle fabbriche per la presa di
coscienza che univa vita e lavoro. Il C.N.D.I. non prese posizione per la riforma
familiare, per l’equiparazione dei figli illegittimi con i legittimi ma insisteva
sull’elevazione morale e culturale della donna.
Sulla questione del voto fu tenuta una assemblea plenaria organizzata dal Comitato
nazionale pro suffragio femminile. Il problema maggiore era trovare una maggioranza
in Parlamento per concederlo. Le donne dovevano esercitare una pressione costante in
ogni collegio elettorale per far capire ai deputati quale riserva di voti si lasciassero
sfuggire escludendole. I partiti politici non erano però ancora pronti ad appoggiare tale
richiesta in quanto i moderati temevano di perdere spazi di potere e i progressisti a loro
volta ritenevano che il voto femminile fosse indirizzato da mariti, padri, autorità civili e
religiose verso un voto moderato. Subito dopo l’Unità ( 1861 ) era stato presentato in
Parlamento qualche progetto che prevedeva l’esercizio del voto limitato ad alcune
categorie di donne o alle consultazioni amministrative.Il tema venne riproposto dal
movimento suffragista nei primi anni del XX secolo. Le donne socialiste si battevano
per il riconoscimento di questo diritto; nel 1897 il gruppo milanese lanciò l’appello alle
donne italiane sottolineando che lo Stato negava alle donne un diritto riservato dallo
Statuto Albertino a tutti i cittadini e rivendicava il voto come strumento per migliorare
le condizioni della donna lavoratrice. L’onorevole Mirabelli dell’estrema sinistra
presentava nel giugno 1904 una proposta per estendere il voto alle donne accompagnata
da una mobilitazione di associazioni non solo radicali, ma anche moderate. Nacque
anche una campagna di stampa che fu promossa da giornali come “la vita”, “l’eva
moderna”, “l’alleanza”. Nel frattempo anche le donne cattoliche organizzarono leghe di
operaie dell’industria e lavoratrici agricole che chiedevano il voto. Infine le donne
socialiste promossero comitati pro suffragio. Il partito socialista però non ebbe una
posizione netta nel sostenere il voto alle donne, specie quando nel 1910 la caduta del
Governo Sonnino impedì la discussione della proposta di legge che prevedeva
l’estensione a tutte le donne oltre i 25 anni del diritto di voto nell’elezioni
amministrative e l’abolizione degli articoli del Codice Civile che impedivano la parità
dei diritti. La campagna per questa riforma fu sostenuta sostanzialmente dalle donne
socialiste, sia sul giornale “su compagne” diretto da Angelica Balabanoff ( 1876-1965 ),
sia sul settimanale “la difesa della lavoratrice” diretta da Anna Kuliscioff ( 1854-1925 ),
in cui il tema del voto fu per un certo periodo prevalente insieme a quello del lavoro e
della parità salariale. Quando nella primavera del 1913 l’onorevole Martini presentò alla
Camera un progetto per il voto limitato alle donne alfabete i socialisti si opposero e il
progetto cadde. Così l’introduzione del suffragio universale del 1913 fu limitato ai soli
uomini. Anna Kuliscioff fu persona estremamente importante non solo nel movimento
socialista, ma nella storia italiana a cavallo del secolo XIX e XX. Profuga russa fondò
nel 1892 il partito socialista e accompagnò questo movimento in tutta la storia fino agli
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anni del fascismo anche per il legame affettivo con Filippo Turati ispiratore del
movimento riformista del socialismo italiano. L’incontro con Turati avvenne a Napoli
nel 1885 e durò fino alla morte. Prima nel 1885 ebbe una vita avventurosa; dalla Russia
dove era nata si era recata in Svizzera per frequentare l’università dove si laureò in
medicina e ginecologia. Il lungo e tormentato rapporto con Andrea Costa anarchico e
poi precursore del socialismo le diede anche una figlia, ma la sua vicenda politica si
consolidò dopo l’incontro con Turati e la fondazione della rivista “la critica sociale” che
imboccava risolutamente una via riformista e democratica. Le idee della Kuliscioff
appaiono con chiarezza nel lungo epistolario con il compagno Filippo Turati. Il segno
politico lasciato dalla Kuliscioff è relativo al legame fra la questione femminile e il
movimento socialista. La Kuliscioff pensa che le donne nella società moderna sono in
uno stato di dipendenza che può essere superato solo dall’indipendenza economica.
Ogni emancipazione femminile deve superare le differenze di classe per far cessare le
leggi eccezionali contro la donna. La Kuliscioff però non riuscì a convincere neppure
Turati sul problema del voto alle donne. I socialisti italiani puntarono piuttosto ad avere
il suffragio universale maschile e così furono sconfitti prima da Giolitti e poi dal
fascismo. La politica del partito socialista approdò poi a spaccature fra riformisti e
rivoluzionari. La Kuliscioff negli ultimi anni sostenne le posizioni democratiche più
rilevanti. Il suo funerale seguito da gran parte del popolo milanese fu soggetto anche ad
un attacco squadrista dei fascisti. L’entrata in guerra dell’Italia portò ancora più
divisioni fra le varie componenti del movimento femminile, però produsse una
rivoluzione sociale in quanto le donne sostituivano gli uomini nella attività produttiva,
nelle fabbriche, nei servizi e nelle amministrazioni pubbliche. Anche nelle campagne le
donne presero il posto degli uomini e richiesero il riconoscimento del loro lavoro ed un
aumento dei salari per mantenere le famiglie. Al termine del conflitto le donne ottennero
con la legge “Sacchi” la capacità giuridica per amministrare i propri beni e per
esercitare senza l’autorizzazione del marito e del padre la professione. Rimanevano
alcune limitazioni come in medicina dove le donne erano per lo più impiegate in
ostetricia e ginecologia; ben presto però occuparono anche il posto di medico condotto.
Nel 1919 si riaprì la questione del suffragio femminile, ma l’avvento del fascismo
rimise tutto in discussione tanto più che i partiti furono sciolti, le associazioni femminili
sciolte e al loro posto nacquero associazioni fasciste come quella delle donne artiste e
laureate, l’Associazione dottoresse in medicina, la Federazione italiane donne giuriste.
Continuarono la Croce Rossa Italiana in quanto organizzazione internazionale e la San
Vincenzo de’ Paoli perché associazione religiosa. Il Fascismo riaprì anche una
contraddizione del ruolo della donna relegata nel lavoro domestico e nell’allevamento
dei figli. A poco a poco quest’idea si affermò e accanto ai balilla e alla gioventù del
littorio nacquero le giovani italiane, i fasci femminili e le massaie rurali. Nel 1925 fu
fondata l’Opera Nazionale Maternità e infanzia che ebbe lunga vita anche alla fine del
fascismo che garantiva l’assistenza ostetrica e pediatrica aiutando le madri nubili e
separate e che cercava di contrastare la pratica dell’aborto che nel Codice Penale
“Rocco” era inserito tra i delitti contro l’integrità della stirpe. La moda continuava a
presentare capelli corti, corpi magri, vestiti al ginocchio e adatti a usare la bicicletta e
l’automobile. Una maggiore autonomia era presente nell’Unione donne di azione
cattolica che si indirizzavano a valori a volte convergenti, ma non assimilabili a quelli
fascisti. La II guerra mondiale costrinse le donne ad assumere nuove responsabilità.
Dopo l’08/09/1943 parteciparono alla lotta armata, ma la maggior parte furono
impegnate a dare ospitalità, cibo, vestiario ai militari in fuga e ai partigiani. Si opposero
alle deportazioni, divennero staffette per comunicazioni segrete e furono vittime di
stragi. Il dopoguerra vide la nascita di associazioni femminili in gran parte vicine ai
partiti, come il C.I.F. (Centro Italiano Femminile cattolico ) ( 1944 ) e l’U.D.I. ( Unione
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Donne Italiane ) vicino al Partito Comunista. Occorre però osservare che i partiti
avevano al loro interno un’organizzazione femminile oltre a quella giovanile più che
altro per ragioni elettorali che però risultavano sempre in una posizione subordinata.
Non mancavano però Associazioni femminili nelle professioni, nelle attività artistiche e
culturali ed anche economiche come la F.I.D.A.P.A. ( Federazione Italiana arti
professioni e affari ) , l’Associazione donne medico, Soroptimist ( club di servizio ) e lo
Zonta. Queste associazioni sorsero anche perchè associazioni internazionali come il
Rotary e i Lions erano rigorosamente maschili. Bisogna ricordare anche l’Associazione
cattolica di protezione della giovane che rispondeva a una vocazione sociale dei primi
anni del secolo XIX. Finalmente il Comitato Nazionale pro voto alle donne nato nel
1944 che riuniva le organizzazioni femminili dei sei partiti del C.L.N. ( Comitato di
Liberazione Nazionale ) riuscì ad ottenere il voto che fu esercitato per la prima volta per
le elezioni alla Costituente 02/06/1946. Rimaneva precluso alle donne la possibilità di
entrare nella magistratura ( 1962 ), nella carriera diplomatica, nella vita militare ( Anni
‘90 ). Permaneva nel Codice Penale fino ai primi anni ’80 il delitto d’onore, il
matrimonio riparatore, mentre la legge del divorzio e dell’aborto risalgono agli anni ‘70.
In compenso alle donne era riservato l’insegnamento dell’economia domestica e nelle
scuole materne. Nelle scuole elementari c’erano posti riservati agli uomini in una
percentuale piuttosto bassa che però permetteva in genere a questi di diventare direttori
ed ispettori scolastici.
Un segnale importante della presenza attiva delle donne nel dopoguerra è dato
dall’attività di Associazioni femminili già ricordate che anche alla luce del diritto
acquisito della partecipazione al voto condiziona la vita politica economica e sociale
della Repubblica appena nata. Grande importanza assume la nascita del Centro Italiano
Femminile (C.I.F.) dopo la liberazione di Roma 1944 che si affianca all’azione politica
dei cattolici ( in quell’anno è fondata anche la Democrazia Cristiana D.C. ), ma mette
l’accento su un progressivo impegno per la modifica della Società civile per la
risoluzione dei problemi della donna. Naturalmente la concezione di questa società
viene in contrasto con il progetto dell’ U.D.I. sorta per affiancare la politica del P.C.I.
che nella sinistra del nostro Paese occupa uno spazio sempre maggiore in conseguenza
dell’attiva partecipazione alla Resistenza contro il nazi-fascismo. Occorre però ricordare
che queste due associazioni non si identificano totalmente con la politica di riferimento
delle formazioni partitiche in genere dirette per la stragrande maggioranza dagli uomini.
Il C.I.F. si ispira alla concezione della donna cristiana proposta da una visione
democratica propria di Mons. Montini ( futuro Paolo VI ), di Maria Rimondi, di
Vittorino Veronese, di Maria Federici, di Amalia di Valmarana. All’interno della
visione cristiana permanevano anche idee liberali eredi dell’azione delle donne
dall’inizio del secolo. Anche l’U.D.I.al di là della partecipazione soprattutto nelle fasi
elettorali più accese quali quelle del 1948 manifestava un’insofferenza per l’eccessivo
predominio maschile dei partiti di sinistra e per la mancata risoluzione di alcuni
problemi cari alle donne. Si può ricordare la vicenda di Teresa Mattei, ultima esponente
del Parlamento costituente, l’ultima delle 21 donne su 556 membri che hanno
partecipato all’immane lavoro di scrittura della nostra Costituzione, “inventrice” della
festa dell’08 Marzo perché l’idea di celebrare la Festa della Donna con la mimosa fu
sua. Dovette interrompere la carriera politica già nel 1948 per la sua irregolare
situazione familiare che la portò ad essere espulsa dal P.C.I. Nei suoi ultimi discorsi ha
detto: “ Se i principi di parità e uguaglianza sanciti nella Costituzione fossero stati
applicati, forse oggi sarebbero le donne a governare questo Paese”. La nascita di queste
Associazioni femminili ancora prima della fine della guerra mostra anche la volontà di
imporre l’elettorato attivo e passivo per le donne, dato che vi era uno scarso entusiasmo
specie nei partiti politici maggiori a concederlo.
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La FIDAPA Bpwitaly è un’associazione composta in Italia da circa 12.000 socie e
appartiene alla Federazione Internazionale I.F.B.P.W. ( International Federation of
Business and Professional Women ) presente in 100 Paesi del mondo con 350.000 socie.
E’ articolata in 294 sezioni distribuite su tutto il territorio nazionale e raggruppate in 7
distretti. Ai sensi dell’articolo 3 del proprio Statuto, la FIDAPA è un movimento
d’opinione indipendente; non ha scopi di lucro, persegue i suoi obiettivi senza
distinzione di etnia, lingua e religione. La Federazione promuove, coordina e sostiene le
iniziative delle donne che operano nel campo delle Arti, delle Professioni e degli Affari,
autonomamente o in collaborazione con altri Enti, Associazioni e altri soggetti. Gode di
status consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite,
l’Unesco, l’Unicef, l’Ufficio Intenazionale del Lavoro, l’Organizzazione delle Nazioni
Unite per lo Sviluppo Industriale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Lavora in
stretto contatto con la Commissione per i Diritti Umani e la Commissione per lo status
delle donne, la FAO, il Fondo Internazionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura, il
Consiglio d’Europa e altre agenzie specializzate. La missione dell’Associazione è quella
di:
1. valorizzare le competenze e la preparazione delle socie indirizzandole verso
attività sociali e culturali che favoriscono il miglioramento della vita, anche
lavorativa, delle donne;
2. incoraggiare le donne a un continuo impegno nonché alla consapevole
partecipazione alla vita sociale, amministrativa e politica, adoperandosi per
rimuovere gli ostacoli ancora esistenti;
3. essere portavoce delle donne che operano nel campo delle Arti, delle
Professioni e degli Affari, presso le Organizzazioni e le Istituzioni Nazionali,
europee ed internazionali;
4. adoperarsi per rimuovere ogni forma di discriminazione a sfavore delle donne,
sia nell’ambito della famiglia che in quello del lavoro, nel pieno rispetto delle
norme vigenti in materia di pari opportunità;
5. favorire rapporti amichevoli, reciproca comprensione e proficua collaborazione
tra le persone di tutto il mondo.
Durante la I guerra mondiale, gli uomini, impiegati nelle prime attività belliche,
dovettero abbandonare i propri posti di lavoro, creando un vuoto produttivo che potè
essere colmato reclutando donne capaci di sostituirli. La prova di serietà ed impegno
che le donne seppero dare fu così convincente che al cessare delle ostilità, il Governo
degli Stati Uniti d’America ritenne opportuno non disperdere tanto utili e produttive
energie. Decise infatti di stanziare una cospicua cifra per l’organizzazione delle forze
del lavoro femminile (YWCA ), affidandone il reclutamento a Lena Madesin Phillips.
Nata a Nicholaville ( Stato del Kentucky ) nel 1881, si era dedicata allo studio del
pianoforte e della composizione poi, attratta dal diritto nel 1917 aveva conseguito la
laurea in legge e si era dedicata alla professione forense. La Phillips, forte della sua
esperienza YWCA ed animata da vivo fervore, pensò di chiamare a raccolta anche le
donne dedite alle professioni ed al commercio, compilò delle liste secondo la
qualificazione e creò dei circoli in varie città statunitensi. Nel 1919, in una grande
assemblea a St. Luis convocata per coordinare il lavoro e l’attività di questi club, fondò
la Federation of Business and Professional Women come emanazione della YWCA,
della quale lei stessa era stata “magna pars”. Il successo della FBPW, che raccoglieva
donne che militavano nelle più diverse attività intellettuali e produttive, fu
notevolissimo tanto che si affiancò e si sovrappose alle associazioni professionali miste
o di categoria già esistenti e rapidamente raggiunse un numero straordinario di aderenti.
Nel 1928 la Madesin Phillips che ancora possedeva buona parte della somma messa a
disposizione dal Governo americano e aveva sogni di fratellanza e di intesa fra le donne
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di tutto il mondo decise di varcare i confini degli Stati Uniti d’America e di estendere le
finalità della federazione americana ad altri Paesi iniziando dall’Europa. Così negli
anni 1928, 1929, 1930, intraprese e organizzò e diresse i “Good Will Tours” ( viaggi di
buona volontà ) che si svolsero in Francia, Gran Bretagna, Germania, Austria, Belgio.
La Madelin giunse anche in Italia. A Roma, per incarico della giornalista Ester Danesi
Traversari ( che fu poi la prima vice-presidente internazionale ) la Prof.ssa Maria
Castellani, che era reduce da un periodo di “ Graduate Work” al Bryn Mowr College di
Philadelphia, conosceva gli USA e parlava la lingua inglese, fu delegata
all’organizzazione dell’incontro; strinse così rapporti amichevoli con la Madesin
Phillips e da questa fu nominata delegata per il movimento in Italia. La Prof.ssa
Castellani, nel suo lavoro di preparazione ebbe la collaborazione intelligente ed
appassionata del Dott.ssa Adele Bacci Pertici consigliera al Ministero delle
Corporazioni. Furono chiamati a raccolta le associazioni di categoria e i comitati
nazionali esistenti; si aggiunsero gruppi di signore che si interessavano a
manifestazioni culturali e sociali. Si giunse quindi alla formazione di un Circolo di
Professioniste ed Artiste e si gettarono le basi dello Statuto per la nuova associazione.
Lo Statuto ricalcava le finalità cui attendeva la Federazione Americana e cioè “
potenziava il senso di responsabilità nella donna lavoratrice: elevarne il livello di
cultura e preparazione; renderla idonea a intraprendere qualsiasi carriera, senza
discriminazione di sesso”. Lo 08/01/1929, nell’ Atheneum romano di via Condotti, fu
discusso e approvato lo Statuto mentre all’unanimità veniva proclamata presidente del
club romano Adele Bacci Pertici. La Fondazione del club suscitò vasta eco nei circoli e
negli ambienti romani. Se ne occupò anche la stampa ed in particolare il Giornale della
Donna di cui era direttrice Paola Benedettini. Il Club acquistò notevole prestigio, si
arricchì di elementi particolarmente dotati e qualificati, fre le quali la Principessa
Mafalda di Savoia già iscritta nel gruppo delle musiciste. Nell’estate del 1929, al
ritorno dalla Prof.ssa Maria Castellani dagli Stati Uniti d’America dove si era recata per
un ciclo di conferenze e per prendere parte al Congresso della federazione USA i tre
circoli di Roma, Milano e Napoli fondarono la Federazione italiana e ne elessero la
Presidente Nazionale la stessa Maria Castellari. La neo-federazione fu invitata dalla
Confederazione Nazionale dei Professionisti a consociarsi con il nome di Associazione
Donne Professioniste e Artiste con scopi di assistenza e cultura e le furono garantite
appoggi organizzativi e finanziari. I circoli intanto erano notevolmente aumentati: tra
gli altri si erano costituiti quelli di Pavia Varese, Como, Genova, Bergamo, Trieste,
Avellino e Salerno. Era la premessa della costituzione dell’International Federazione of
Business and Professional Women che fu concordato dopo l’importante Congresso
Nazionale della Federazione Americana al quale erano state invitate le rappresentanti di
due soli Paesi: il Canada e l’Italia. Il Congresso ebbe luogo dal 24 al 26 agosto 1930 a
Ginevra. La Federazione Italiana vi partecipò con 31 delegate rappresentanti dei vari
circoli oltre agli USA, l’Italia e al Canada alle cui delegazioni vennero concessi come
privilegio, 10 voti ciascuna e riconosciuto il titolo di “promotrici; parteciparono con 5
voti Gran Bretagna, Francia, Belgio, Germania, Olanda, Svezia, Norvegia, Finlandia,
Cina, India, con le delegate dei propri club e le rappresentanti dei rispettivi Governi.
Anche la Società delle Nazioni vi fu rappresentata con due delegate, così come L’ILO (
Uffico Internazionale del Lavoro ) e la Cooperazione Intellettuale.
L’associazione Italiana Donne Medico ( AIDM) fondata a Salsomaggiore Terme Il
14/10/1921 è un’associazione apartitica e aconfessionale senza fini di lucro. Fa parte
della Medical Women’s Internazional Association ( MWIA ). La sede legale è a Roma.
Si propone i seguenti compiti: valorizzare il lavoro della donna medico in campo
sanitario; promuovere la collaborazione fra le donne medico; promuovere la
formazione scientifico culturale in campo sanitario; collaborare con le altre
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Associazioni italiane ed estere, in modo prioritario con quelle della Comunità Europea
incentivando gli incontri per lo studio dei problemi che riguardano la salute della
collettività e collaborare con Ministero della Salute, Regioni e Aziende Sanitarie,
organismi ed istituzioni pubbliche. Vi è inoltre l’Associazione Mogli Medici Italiani
(AMMI ) che nasce nel 1970 a Mantova ad opera di un gruppo di mogli di medici per
attuare compiti morali, sociali, culturali ed assistenziali, nei confronti della donna. E’
un’Associazione no-profit costituita dalle mogli e vedove dei medici e dei laureati in
odontoiatria dalle donne medico riunite dal comune desiderio di finanziare la ricerca in
campo medico.
Un'altra Associazione femminile è il Soroptimist International d’Italia. E’ una
Associazione composta da donne con elevata qualificazione nell’ambito lavorativo che
opera, attraverso progetti, per la promozione dei diritti umani, l’avanzamento della
condizione femminile e l’accettazione delle diversità. Il termine soroptimist deriva
dalle parole latine Soror e Optima. Nato negli USA ad Oakland nel 1921 il Soroptimist
International è oggi diffuso in 125 Paesi e conta oltre 3000 Club per un totale di circa
90.000 socie. Ciascuna socia rappresenta nel proprio Club una differente categoria
professionale per favorire una ampia circolazione delle idee fra persone con percorsi
lavorativi e background culturali diversi.
La Confederazione dei Club Zonta fu fondata a Buffalo, New York ( USA )
l’08/11/1919. La sede permanente venne stabilita a Chicago (Illinois) Usa nel gennaio
1928 e Zonta International venne registrato in questo Stato il 04/09/1930. Zonta
International è l’organizzazione globale di persone impegnate nel lavoro e nelle
professioni che lavorano insieme per il miglioramento della condizione della donna nel
mondo promuovendo servizi e tutela dei loro diritti.
La storia femminile della Repubblica può essere distinta in 4 fasi in cui operano le
donne di varie ideologie. La I fase si apre col voto alle donne ( 1946 ) ed è segnata
dalla spinta ad essere protagoniste della nuova realtà civile e a numerose iniziative
assistenziali nel quadro della ricostruzione. In effetti il Paese risorge anche per
l’impegno della donna nel lavoro, ma quello che risalta è lo scontro politico acceso che
rafforza gli opposti centralismi dei partiti caratterizzati anche dalla diversa visione della
politica interna ed estera. Il periodo lascia però segni importanti come gli articoli della
Costituzione, la legge sulla tutela della lavoratrice madre, l’apertura del dibattito sulla
legge “Merlin” e l’affermazione del principio della partecipazione politica femminile
sia nel Parlamento sia nella realtà locale. La II fase che inizia nella seconda metà degli
Anni ’50 vede la ripresa di attenzione, di riflessione verso la questione del lavoro
femminile. Le associazioni cattoliche aprono un dibattito con la relazione di Maria
Federici alla Settimana Sociale dei cattolici a Pisa. Emergono le richieste delle A.C.L.I.
femminile impegnate soprattutto ad assistere le donne nelle fabbriche per conciliare la
loro funzione sia nella famiglia che nel lavoro esterno. A loro volta l’U.D.I. affianca
l’impegno sindacale della C.G.I.L. sia nelle fabbriche sia nelle campagne. E’
importante notare che in questi anni vengono concesse assistenze mutualistiche e
pensionistiche a categorie un tempo escluse quali gli artigiani, i commercianti e i
coltivatori diretti dove la presenza femminile anche solo come collaboratrice familiare
è rilevante. La III fase dei primi anni ’60 è segnata dagli effetti sconvolgenti del
“boom”economico, dall’urbanizzazione forzata e dall’insufficienza delle proposte del
centro-sinistra che non riesce a conciliare le aspirazioni del mondo cattolico e di quello
laico e marxista. Il mondo cattolico più tradizionale è messo in crisi anche dalle
decisioni del Concilio Ecumenico sollecitato dalla presenza pastorale di Papa Giovanni
XXIII che rivoluziona il rapporto tra Chiesa e mondo moderno sulla questione della
sessualità, della procreazione della coppia, del rapporto famiglia e società. La donna
assume in questa visione il principio della pari responsabilità nella famiglia e nella
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società. Anche il mondo marxista entra in una crisi che mette in discussione la visione
centralista dello Stato; la presenza contemporanea all’inizio degli anni’60 nel campo
internazionale di Kennedy e Krusciev pone l’esigenza di un dialogo suggerito anche
dalla “nuova frontiera” e dalla inquietudine dei paesi satelliti e della stessa
Russia.Queste crisi culminano nel movimento del ’68 che dalla Francia irrompono in
tutta Europa e danno inizio ad una IV fase dove la cultura neofemminista diventa
centrale e si affianca ad una opposizione spesso violenta di operai e studenti nelle
scuole, nelle fabbriche e in antitesi sia ai governi sia alle istituzioni pubbliche. L’Italia
paga anche una arretratezza culturale e legislativa che porta in primo piano l’esigenza
di problemi di liberazione della donna attraverso leggi sul diritto di famiglia (1975 ),
sul divorzio ( 1974 ) e sull’aborto (1978). Specie queste ultime due battaglie risolte con
il referendum spaccano il paese in due anche se la necessità di adeguarsi alle leggi
vigenti in tutti i paesi moderni comportano il superamento delle barriere ideologiche.
Purtroppo la contestazione per l’esigenza del cambiamento porta alcuni gruppi
estremisti condizionati anche da rinnovati contrasti internazionali ad una pratica della
violenza di cui sono vittime molti esponenti del mondo economico, politico e culturale
e giornalistico. Basti ricordare l’uccisione di Aldo Moro, Bachelet, l’operaio Guido
Rossa, il Commissario Calabresi, per finire con i giudici Falcone e Borsellino, i
giornalisti Tobagi, Casalegno, l’avv. Ambrosoli, più tardi i giuslavoristi D’Antona e
Biagi. Anche il Papa Giovanni Paolo II nel 1981 in Piazza San Pietro subisce un grave
attentato. La crisi politica culminata nel crollo dei primi Anni’90 lascia la speranza di
una ripresa della presenza femminile. Nascono associazioni rivolte alla risoluzione di
problemi concreti causati anche dalle ondate successive di emigrazioni da Paesi
emergenti. La povertà e l’emarginazione di Nazioni del III mondo, le violenze delle
guerre civili nel Medio Oriente, le guerre in Asia e in Africa portano uomini e donne a
cercare un lavoro ed anche una collocazione familiare nel nostro Paese. La loro
presenza spesso sfruttata anima sia la Chiesa, sia associazioni laiche alla ricerca
dell’inserimento degli stranieri che in gran numero cercano anche di divenire cittadini
italiani. Il problema non è di facile risoluzione anche perché come avvenne nella nostra
emigrazione all’estero e nell’immigrazione da sud a nord la convivenza non è facile e
provoca anche atteggiamenti di opposizione e di difesa di un mondo tradizionale. Le
donne possono essere nella loro attività un punto importante di conciliazione e di
risoluzione di problemi che affliggono la nostra Società che nell’invecchiamento
progressivo ha un maggior bisogno di assistenza che non può essere chiesta sempre alle
Autorità pubbliche. Esse possono organizzare l’assistenza agli anziani per cui sono
presenti ormai nel nostro Paese migliaia di straniere. La presenza delle donne a livello
politico e istituzionale assume anche una importanza rilevante nella crisi non solo
economica, ma anche culturale delle famiglie, nella difesa delle donne che subiscono
violenza sia nella famiglia sia nella società con la costituzione di luoghi d’accoglienza.
La donna può dare un apporto importante nella gestione delle comunità che accolgono
minori vittime a loro volta di violenza o di droga. Sono presenti associazione di
volontariato di varia ispirazione e al termine di una lunga lotta iniziata al principio dell’
‘800 si può osservare che le professioni liberali presentano una parità di presenza
femminile tra le attività mediche, giuridiche e anche nell’attività politica. Alcune leggi
hanno imposto una presenza femminile obbligatoria nei consigli di amministrazione
societaria. Le attività economiche delle donne incontrano sempre maggiore successo.
Resta da considerare un giudizio positivo sull’operato delle associazioni femminili che
hanno permesso alle donne di conquistare posizioni sempre più rilevanti all’interno
della società, sia nell’esplicazione dei loro doveri, sia nella salvaguardia dei loro diritti
individuali e sociali. La strada rimane lunga, ma l’importante è provarci ( articolo di
Agnese Moro l’8 marzo 2015 sulla Stampa ) e forse il bello dell’8 marzo è proprio
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quello di ricordarci una storia di cui tutte e tutti facciamo parte, che, come tutte le storie
di liberazione avvenute nella Storia della Repubblica
Italiana ha sorprendenti
avanzamenti e battute d’arresto, insperate albe e notti profonde. L’importante è esserci
per sempre e continuare.
Relatrice Dott. ssa Gabriella Gulmanelli
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