ASSOCIAZIONISMO AL FEMMINILE Gabriella Gulmanelli
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ASSOCIAZIONISMO AL FEMMINILE Gabriella Gulmanelli
L’associazionismo femminile italiano e l’emancipazione della donna tra l’800 e il 900. L’associazionismo femminile mosse i suoi primi passi dopo l’Unità d’Italia (1861), anche se la presenza della donna fu molto importante nel Risorgimento, sia nel sostegno alla cospirazione, sia nella partecipazione alla lotta dei patrioti. Basti ricordare la principessa Cristina di Belgioioso col suo salotto di Milano e a Parigi e le donne che sostennero Garibaldi nelle sue imprese, in primo luogo la moglie Anita che accompagnò il marito e morì nella ritirata da Roma nel 1849. Anche nel campo sociale le donne si distinsero prima dell’Unità d’Italia come la franco-piemontese marchesa Di Barolo che iniziò solo con i suoi mezzi un sostegno alle donne carcerate e una attività di assistenza agli ammalati e ai poveri; in questo ebbe la collaborazione di Silvio Pellico uscito dal carcere austriaco ed autore dopo “ Le mie prigioni “ di un libro intitolato “ Il dovere dell’uomo” ispirato ad una solidarietà umana. La libertà conquistata con l’indipendenza portò a poco a poco da parte delle donne ad una richiesta di partecipazione alla vita politica e soprattutto al raggiungimento della parità di diritti civili, economici e sociali con gli uomini. Vi furono però fin dall’inizio degli ostacoli dovuti al sospetto dello Stato liberale verso le masse dei cattolici, dei socialisti e dei repubblicani che si stavano organizzando. ( Nel 1891 il Papa Leone XIII emanava l’Enciclica “ Rerum Novarum” sulla condizione degli operai e dei contadini. Nel 1892 i socialisti si staccarono dagli anarchici ed entrarono a pieno titolo nella lotta politica. Nel 1895 fu fondato il Partito repubblicano, erede delle idee mazziniane e molto attivo nelle regioni Emilia-Romagna e Marche con un chiaro indirizzo antimonarchico ). Altri ostacoli per l’emancipazione femminile furono la generale povertà del Paese con il conseguente diffuso analfabetismo che riguardava la quasi totalità del mondo femminile e un diffuso pregiudizio che anche nei movimenti più progressisti confinava le donne in casa nella cura dei figli e in lavori marginali. Tuttavia lo sviluppo dell’industria alla fine del secolo XIX sviluppò la necessità di una partecipazione maggiore delle donne all’attività economica. Questo favorì le prime forme di associazionismo e con esse la richiesta di diritti. Le donne, anche se venivano impiegate in una percentuale ancora minima in attività commerciali ed industriali, rimanevano in una condizione subordinata con salari minori degli uomini e con l’impossibilità di svolgere mansioni direttive e di libera professione. Addirittura alle donne nel campo dell’educazione e della sanità venivano riservate attività considerate di minor peso. Fino a pochi anni fa maestre d’asilo e di scuola materna e insegnanti di economia domestica dovevano essere solamente donne con studi limitati a pochi anni dopo le elementari. Ricordiamo poi anche nel campo sanitario le ostetriche spesso presenti nelle periferie e nelle campagne senza l’apporto del medico e relegate in una condizione subordinata. Tra il 1880 e il 1900 nacquero le prime associazioni femminili a Milano e a Roma sotto la presidenza di Anna Celli e poi l’associazione delle maestre ed infine nel 1900 la contessa Lavinia Taverna istituì la Federazione romana delle Opere di attività femminile. La prima categoria di donne ad organizzarsi fu quella delle maestre esponenti dell’eminente ceto medio, dotate di buona cultura e di una relativa autonomia di movimento. Ambivano alla parità salariale e più in generale ad un maggior riconoscimento sociale. Si può fin da ora affermare che molte nobildonne si impegnarono nel riscatto politico e sociale della donna con una sensibilità superiore agli stessi esponenti maschili della superiore condizione sociale. Gli stessi partiti popolari socialista e repubblicano, anche se ebbero a fianco donne attive nelle formazioni femminili, non incoraggiarono la lotta per una completa emancipazione per il timore che queste fossero influenzate da mariti e da organizzazioni religiose nelle scelte politiche. Occorre ricordare che Emilia Mariani, Irma Scodnick promossero leghe femminili per l’elevazione della donna attraverso miglioramenti delle condizioni sociali 1 ed economiche. Possiamo dire che il movimento cattolico soprattutto quello della Democrazia Cristiana di Romolo Murri fu più aperto ai problemi femminili, anche se nulla seguì allo scioglimento dell’Opera dei congressi per l’ostilità di Papa Pio X alla partecipazione dei cattolici alla vita politica dello Stato Italiano. Alla vigilia del suffragio universale maschile per le elezioni del 1913 i cattolici votarono in generale per i candidati liberali e il problema delle donne fu accantonato nell’imminenza della I guerra mondiale e dell’avvento del fascismo. Per ricordare un clima antifemminile generalizzato in tutta Europa negli anni fra le due guerre mondiali basti ricordare che la Repubblica Spagnola retta da socialisti e repubblicani concesse il voto alle donne solo per l’impegno di Gil Robles capo del partito cattolico di opposizione. L’avvento poi di Franco ridusse alle stesse condizioni di sudditanza uomini e donne. Ritornando alle leghe femminili occorre ricordare la rivista “Vita Femminile” trimestrale della confederazione delle leghe femminili. Una caratteristica dei movimenti femminili era un certo accordo fra i sodalizi di ispirazione socialista e le Associazioni moderate ( a differenza dell’accanimento ideologico contrastante dei partiti maschili ). Le donne si sentivano escluse dal lavoro, dalla cultura, da ogni forma di partecipazione; c’era anche una attenzione maggiore a ciò che avveniva nei paesi stranieri spesso più avanzati dell’Italia e dove il femminismo aveva preso piede. Nel 1901 la Federazione romana di attività femminile inaugurò una biblioteca e una sala di lettura per promuovere l’emancipazione socio-culturale delle maestre nella stessa sede della Federazione. L’Associazione per la donna nata nel 1897 a Roma e ricostituita nel 1898 per iniziativa di Maria Montessori, Eva de Vincentis e Giacinta Martini Marescotti con l’adesione di Anna Maria Mozzoni ( 1837-1920), curava diverse pubblicazioni tra cui un corposo opuscolo “L’oppressione legale della donna”. La Mozzoni fu la prima geniale assertrice dei diritti e dell’emancipazione femminile in Italia. Già nel 1864 aveva scritto “La donna e i suoi rapporti sociali” in cui mette a fuoco l’idea dei diritti delle donne e dell’eguaglianza dei diritti e doveri tra donne e uomini. “ Il dovere fonte del diritto è cosa santa ed equa, ma il dovere solo è schiavitù e oppressione”. Nel 1870 traduce il libro di John Stuart Mill, il filosofo inglese positivista ispiratore e militante del suffragismo ( ” Soggezione delle donne” /Subjection of women ). All’inizio del ‘900 il sodalizio si impegnò nella creazione di un dormitorio femminile per le lavoratrici nubili nella capitale. Queste associazioni non si limitavano ad una propaganda teorica, ma incrementavano un’attività di assistenza ai poveri, agli orfani e ai bambini abbandonati. Nel 1899 a Milano Ersilia Majno Bronzini ( 1859-1933 ) costituì una Società anonima cooperativa che indagò nella città sulle condizioni di vita di coloro che avevano fatto richiesta di sussidio allo scopo di compilare una statistica nazionale dei poveri. La Majno istituisce anche una guardia ostetrica gratuita rivolta alle madri illegittime e a tutte quelle donne che non possono permettersi una assistenza ginecologica. La Majno raccoglie fondi per questa iniziativa sostenuta anche dal marito l’avv. socialista Luigi Majno già impegnato nella difesa dei lavoratori. Per l’impegno sociale la famiglia rischia anche il fallimento economico; Ersilia deve accontentarsi per la sua educazione degli insegnamenti del fratello, ma non si rassegna e diventa poi presidente dell’Associazione generale delle operaie. Colpita da disgrazie familiari abbandona ogni attività, ma poi ritorna e nel primo decennio del ‘900, conduce una instancabile campagna per l’introduzione in Italia del Tribunale dei Minori; fino alla morte non cessò di combattere battaglie in difesa delle donne lavoratrici e dell’asilo “ Mariuccia” e per l’assistenza dell’infanzia ( prima donna nella storia del nostro Paese dal 1900 ricoprì la carica di consigliere d’amministrazione all’Ospedale Maggiore di Milano ). Nel 1903 si costituiva a Roma il CNDI Consiglio Nazionale delle Donne italiane composto da tre federazioni romana, lombarda ( con la contessa Sabina Parravicino di Revel ) e piemontese con Giulia Bernocco Fava Parvis. La nascita era collegata al 2 consiglio internazionale delle donne ( C.I.D, ) da estendersi anche in Europa. Esisteva infatti una International Council Women ( I.C.W. ) formato dalle rappresentanti dei singoli comitati nazionali che nel 1888 aveva organizzato un’assemblea costituente a Washington per celebrare il quarantesimo anniversario dell’incontro di Seneca Falls, cittadina americana dove nel luglio 1848 quattro signore avevano elaborato i punti della “dichiarazione dei sentimenti”, un testo della lotta delle donne per i diritti di cittadinanza e civili, che segnava l’inizio del femminismo americano. Nel 1893 si tenne a Chicago la prima assemblea generale dell’I.C.V. con un congresso femminile internazionale. Erano presenti rappresentanti di trenta paesi che spesso fondarono un comitato nazionale. Le italiane non avevano delegate, ma inviarono un memoriale sullo stato del femminismo italiano. Il secondo congresso generale fu fatto a Londra nel 1899; Mrs. Chrashay fu delegata dal comitato romano, mentre Maria Montessori rappresentava ufficialmente il Governo, il Ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli per sostenere soprattutto la causa delle maestre specie di quelle rurali. La nomina della Montessori non fu accettata dalla Lega femminile di Torino che non la riconoscevano come femminista. Nello stesso anno la canadese Sofia Sandford si recò a Roma come delegata del C.I.D. e riuscì a costituire un comitato promotore di cui facevano parte Lavinia Taverna, Giacinta Martini Marescotti, moglie di Ferdinando Martini ( poeta, scrittore e diplomatico ) e futura presidente del Comitato Nazionale Suffragio, Maria Pasolini Ponti e Teresa di Venosa. Nello stesso anno si tenne la prima Assemblea generale della Federazione romana delle opere di attività femminile, a cui parteciparono 36 società con lo scopo di costituire il Consiglio Nazionale delle donne italiane. La Presidente contessa Taverna voleva innanzitutto creare fra le donne una corrente di simpatia e di mutuo intendimento, cioè uno spirito di concordia fra le donne; lo spirito della federazione non era spirito di rivolta, ma di progresso legittimo e morale. Nel 1901 la Federazione contava 40 Società aderenti a carattere soprattutto assistenziale; l’anno dopo si costituì la Cooperativa delle industrie femminili italiane e nel 1903 le stesse industrie formate e dirette da donne ebbero lo scopo di incrementare i lavori artigianali e di sottrarre le lavoranti a domicilio allo sfruttamento, rendendole azioniste della cooperativa. Presidente del Consiglio di Amministrazione era la contessa Cora di Brazzà, vicepresidente Lavinia Taverna e socie Liliah Nathan figlia di Ernesto Nathan sindaco di Roma, la marchesa Etta De Viti De Marco e Donna Bice Tittoni. Le intenzioni della Cooperativa erano quelle di creare un vigoroso strumento di economia commerciale che aprisse vie internazionali ai prodotti femminili italiani educando le donne alle forme più elette dell’arte e incrementando una grande casa industriale capace di eliminare gli intermediari che ne sfruttavano il lavoro. Nello stesso 1903 si accelerarono i tempi per la costruzione definitiva del C.N.D.I. per partecipare al convegno di Berlino del 1904. Il Congresso di Berlino segnò la nascita dell’International Woman Suffrage Alliance progetto a cui le suffragiste lavoravano già da tempo insoddisfatte del moderatismo del C.I.D. ( Consiglio Internazionale Donne ). Prese quindi una sua fisionomia il Comitato Nazionale Italiano composto sia dalla federazione romana, sia da quella lombarda e piemontese e da altre Società. Il C.N.D.I. aveva una struttura federativa forte sul territorio, ma debole nella struttura nazionale. Il Comitato Direttivo era costituito da una Presidente, da due o tre vicepresidenti, da due segretarie, da una cassiera e da sei consigliere elette dall’Assemblea Generale e dalle presidenti delle federazioni regionali e delle sezioni di lavoro. Spettava al Comitato individuare i settori operativi e proporli all’Assemblea e la Presidenza teneva i contatti con le Federazioni. Le cariche dovevano avere un limite temporale, ma per molti anni rimasero nelle mani delle stesse persone. La contessa Gabriella Spalletti Rasponi discendente di Gioacchino Murat e di Carolina Bonaparte fu presidente dal 1903 fino alla morte 1931. Il suo ruolo comportava la Direzione delle Assemblee generali e del 3 Comitato direttivo; interveniva alle riunioni delle sezioni di lavoro centrali, delle federazioni regionali, formava commissioni di studio e infine assisteva alle sedute del comitato esecutivo del C.I.D. ogni due anni e ogni cinque anni. La Spalletti Rasponi dovette difendersi dalle accuse di una gestione troppo accentrata e personalistica. Nel 1907 si riunì il convegno delle donne cattoliche a cui aderirono l’Unione Femminile, il C.N.D.I. e anche alcune esponenti socialiste. Il risultato finale dei lavori fu una piattaforma che prevedeva la riduzione dell’orario di lavoro, la parità di retribuzione, la libertà di accesso a tutte le carriere femminili qualificate, la riforma del Codice con l’abolizione dell’autorizzazione maritale, l’introduzione della ricerca di paternità e il voto amministrativo. Da tempo si reclamava la creazione di un movimento femminile all’interno delle organizzazioni cattoliche, ma erano ostacolate dai gruppi più conservatori che ne impedivano la nascita. Nel 1905 Adelaide Coari ( 1881-1966 ) aveva fondato la rivista “Pensiero e Azione “ organo del Fascio Femminile Democratico Cristiano di Milano. Aveva poi dato vita alla Federazione Femminile milanese. Era l’esempio più consistente ed esteso di movimento sociale cattolico di base, di iniziativa che riguardasse le donne e fatto da donne. Nel 1907 aveva 20.000 socie nella provincia di Milano e nel 1908 aveva attivato circoli in molte regioni italiane divenendo la prima organizzazione nazionale femminile cattolica. La grandezza di Adelaide Coari sta nel prendere le distanze da un cattolicesimo clerico-moderato ostile al femminismo cristiano e al riconoscimento di un ruolo pubblico della donna. C’era in lei però una appassionata fedeltà alla Chiesa e alla dimensione religiosa come impegno di vita, capace di aprirsi al dialogo con le donne di tutte le fedi e convinzioni. Nell’ondata antimodernista fu costretta a chiudere la rivista “Pensiero e Azione” sebbene non mancassero i legami con il Cardinale Ferrari di Milano e col Vescovo di Bergamo Radini Tedeschi, di cui fu segretario il futuro Papa Giovanni XXIII L’uscita di scena dall’azione politica di Adelaide Coari non significa disimpegno o inattività. Torna all’insegnamento, assiste i feriti nella I guerra mondiale, diventa ispettrice della scuola elementare e direttore centrale delle scuole rurali lombarde. Era un mondo in cui l’analfabetismo femminile toccava il 75%, le studentesse delle scuole secondarie ( dalla I Media fino alla III liceo o V istituto tecnico ) erano 5513 in tutta Italia, le iscritte alle università italiane erano 250. Il fascismo le impedisce di lavorare nell’Associazionismo cattolico degli insegnanti; deve prendere la tessera fascista per l’insegnamento, va in pensione nel 1939, ma si dedica all’opera per i poveri di Don Orione e in fine scrive un libro in cui sistema la sua pedagogia originale. La soddisfazione maggiore però la ricava nel vedere come le sue idee sul femminismo cattolico vengano accettate dal Concilio Vaticano II ( anni 1960 ). Nel 1908 si svolsero due congressi quello del C.N.D.I. e quello dell’Unione Femminile Italiana che si trovarono d’accordo solo per un comitato nazionale pro suffragio. Il C.N.D.I. indiceva un congresso per poter discutere e studiare alcuni problemi che sempre più si imponevano a chi sentiva il dovere di partecipare al lavoro sociale. I temi sono quelli che riguardano le opere alle quali tante donne dedicano la loro intelligenza e la loro attività: educazione e istruzione, assistenza e previdenza, condizione morale e giuridica della donna , igiene, arte e letteratura femminile, emigrazione. La Circolare era firmata da Gabriella Spalletti Rasponi, Lavinia Taverna, Dora Melegari, Berta Turin, Beatrice Betts, Giorgia Ponzio Vaglia, Maria Grassi Koenen. Il comitato permanente era integrato con la contessa Sabina Parravicino di Revel, Giulia Bernocco Fava Parris, la baronessa Elena Franch. La seduta inaugurale del congresso avvenne a Roma in Campidoglio il 23/04/1908 di fronte a un pubblico di oltre 1400 donne alla presenza della Regina Elena e della principessa Letizia ( di Savoia ); prese la parola il sindaco Ernesto Nathan figlio di Sara Nathan ( 1819-1882 attiva nel Risorgimento italiano e amica di Giuseppe Mazzini ), seguito dal Ministro della Pubblica Istruzione il ravennate 4 Luigi Rava e dalla presidente Gabriella Spalletti Rasponi. Vi furono molte proposte nuove fatte dalle relatrici durante le discussioni. Anita Dobelli Zampetti propose l’inserimento di una materia scolastica nell’educazione femminile: la storia sociale della donna. Lisa Noerbel propose che in tutte le scuole femminili secondarie inferiori e superiori si introducessero esercitazioni di oratoria e discussione per abituare le giovani a parlare in pubblico. Gli ordini del giorno votati alla fine dei lavori della sezione educazione e istruzione riguardavano la scuola ed il suo compito di preparare alla futura professione. L’istruzione elementare obbligatoria andava proseguita fino alla VI classe cioè ai 12 anni. Nella scuola secondaria dovevano essere aperte Sezioni propedeutiche agli studi universitari e corsi di preparazione all’istruzione primaria. Occorrevano per le donne scuole professionali, scuole agrarie e cattedre ambulanti. La Signora Monteguarnieri osservò che il compito della scuola era anche quello di fare nascere un affiatamento fra donne di varie condizioni in vista di una solidarietà collettiva. La sezione assistenza e previdenza analizzò il sistema della beneficenza invocando il passaggio a criteri più moderni fondati sulla mutualità. Lo Stato sarebbe diventato contribuente diretto della cassa unica d’Assicurazione mutua per la maternità già proposta in congresso del 1894. Il C.N.D.I. tendeva a formare una nuova coscienza femminile attraverso la sezione giuridica la quale fu diretta per molti anni da Teresa Labriola figlia del filosofo marxista Antonio Labriola esclusa dall’esercizio dell’avvocatura, anche se docente di filosofia del diritto all’università. La sezione giuridica proponeva l’accesso effettivo delle donne laureate a tutte le professioni e rivendicava il diritto di voto per la donna. Dopo la Labriola la nuova responsabile della sezione Benetti Brunelli propose l’abrogazione dell’art. 377 del codice penale sull’omicidio per l’adulterio e affrontò il problema della violenza carnale, della corruzione delle minorenni, in quanto il codice fissava l’età della ragione delle donne ai 12 anni, mentre la sezione propose di portare a 18 anni il termine dell’età. Ci fu poi il rifiuto del matrimonio riparatore e la richiesta di pene più severe per i reati di violenza oltre all’introduzione di corsi di istruzione sessuale. Nella sezione igiene l’insegnante di pedagogia Lina Maestrini parlò dell’efficacia di una carta biografica con dati antropologici e fisiologici, psichici e fisiopsichici. Si auspicava anche una profilassi della tubercolosi in tutte le comunità e i luoghi pubblici. Un tema attuale della sezione Letteratura e Arte si poneva da Alma Dolens, cioè il riconoscimento della professione di giornalista per le donne per potenziare le loro battaglie sociali, in quanto fino ad allora le donne non erano ammesse nell’Associazione della stampa tanto che alcune si firmavano con pseudomini maschili. L’intervento di Giuseppina le Maire poneva l’accento sul problema del vestiario per le attrici a totale loro carico e la Signora Rosa Genoni fece un ordine del giorno in favore di una moda nazionale, a cui dovevano cooperare tutte le industrie complementari dell’abbigliamento femminile. La sezione Emigrazione sulla vita delle donne italiane nel mondo fece presente che già negli anni 1871-80 gli emigranti italiani in Brasile erano circa 80.000 destinati ad aumentare per l’abolizione della schiavitù che lasciava un nuovo spazio di lavoro nelle piantagioni di caffè. Il congresso del 1908 chiuse un epoca nell’associazionismo femminile. Infatti la Fondazione dell’Unione Donne cattoliche nel 1910 sancì una sorta di spaccatura. Il C.N.D.I. non aveva caratteristiche unificanti, ma apparivano chiari i legami con gli ideali repubblicani e progressisti di impronta mazziniana già evidenti nel discorso della presidente Gabriella Rasponi. Il C.N.D.I. prese sempre le distanze da collegamenti partitici, anche se prevalsero alcune idee repubblicane-socialiste sulla laicità della scuola e sul suffragio. La proposta della maestra socialista Linda Malnati di abolire l’obbligo dell’insegnamento religioso nella scuola e di sostituirlo con quello comparato della storia delle religioni produsse una spaccatura col mondo cattolico femminile. Anche in altri campi la spaccatura fu radicale come sulla questione delle Casse di 5 Maternità. Il movimento di area socialista premeva per un patrocinio statale; il C.N.D.I. e altri settori optavano per una gestione privata delle Casse con contributi privati delle operaie. La Sezione di assistenza presieduta da Alda Orlando già nel 1907 istituì una cassa di assistenza e previdenza per la maternità organizzata e gestita da una commissione di signore romane guidate dalla contessa Maria Luisa Danieli Camozzi. Il Governo e la Regina Elena contribuirono con un sussidio integrato da azioni emesse dal C.N.D.I. Ogni operaia era tenuta a pagare 25 centesimi al mese e dopo 10 mesi aveva diritto a una lira e quindici al giorno dopo il parto. Si cercavano contributi privati per la cassa, ma non c’erano contributi né da parte dello Stato, né degli imprenditori. Divergenze ci furono anche sulla concezione del lavoro femminile. Parecchie all’interno del C.N.D.I. erano favorevoli ad un lavoro a domicilio ben organizzato, mentre in vasti settori dell’emancipazionismo stava maturando l’idea che il diritto della donna al lavoro andava difeso, sia per gli impieghi qualificati, sia nelle fabbriche per la presa di coscienza che univa vita e lavoro. Il C.N.D.I. non prese posizione per la riforma familiare, per l’equiparazione dei figli illegittimi con i legittimi ma insisteva sull’elevazione morale e culturale della donna. Sulla questione del voto fu tenuta una assemblea plenaria organizzata dal Comitato nazionale pro suffragio femminile. Il problema maggiore era trovare una maggioranza in Parlamento per concederlo. Le donne dovevano esercitare una pressione costante in ogni collegio elettorale per far capire ai deputati quale riserva di voti si lasciassero sfuggire escludendole. I partiti politici non erano però ancora pronti ad appoggiare tale richiesta in quanto i moderati temevano di perdere spazi di potere e i progressisti a loro volta ritenevano che il voto femminile fosse indirizzato da mariti, padri, autorità civili e religiose verso un voto moderato. Subito dopo l’Unità ( 1861 ) era stato presentato in Parlamento qualche progetto che prevedeva l’esercizio del voto limitato ad alcune categorie di donne o alle consultazioni amministrative.Il tema venne riproposto dal movimento suffragista nei primi anni del XX secolo. Le donne socialiste si battevano per il riconoscimento di questo diritto; nel 1897 il gruppo milanese lanciò l’appello alle donne italiane sottolineando che lo Stato negava alle donne un diritto riservato dallo Statuto Albertino a tutti i cittadini e rivendicava il voto come strumento per migliorare le condizioni della donna lavoratrice. L’onorevole Mirabelli dell’estrema sinistra presentava nel giugno 1904 una proposta per estendere il voto alle donne accompagnata da una mobilitazione di associazioni non solo radicali, ma anche moderate. Nacque anche una campagna di stampa che fu promossa da giornali come “la vita”, “l’eva moderna”, “l’alleanza”. Nel frattempo anche le donne cattoliche organizzarono leghe di operaie dell’industria e lavoratrici agricole che chiedevano il voto. Infine le donne socialiste promossero comitati pro suffragio. Il partito socialista però non ebbe una posizione netta nel sostenere il voto alle donne, specie quando nel 1910 la caduta del Governo Sonnino impedì la discussione della proposta di legge che prevedeva l’estensione a tutte le donne oltre i 25 anni del diritto di voto nell’elezioni amministrative e l’abolizione degli articoli del Codice Civile che impedivano la parità dei diritti. La campagna per questa riforma fu sostenuta sostanzialmente dalle donne socialiste, sia sul giornale “su compagne” diretto da Angelica Balabanoff ( 1876-1965 ), sia sul settimanale “la difesa della lavoratrice” diretta da Anna Kuliscioff ( 1854-1925 ), in cui il tema del voto fu per un certo periodo prevalente insieme a quello del lavoro e della parità salariale. Quando nella primavera del 1913 l’onorevole Martini presentò alla Camera un progetto per il voto limitato alle donne alfabete i socialisti si opposero e il progetto cadde. Così l’introduzione del suffragio universale del 1913 fu limitato ai soli uomini. Anna Kuliscioff fu persona estremamente importante non solo nel movimento socialista, ma nella storia italiana a cavallo del secolo XIX e XX. Profuga russa fondò nel 1892 il partito socialista e accompagnò questo movimento in tutta la storia fino agli 6 anni del fascismo anche per il legame affettivo con Filippo Turati ispiratore del movimento riformista del socialismo italiano. L’incontro con Turati avvenne a Napoli nel 1885 e durò fino alla morte. Prima nel 1885 ebbe una vita avventurosa; dalla Russia dove era nata si era recata in Svizzera per frequentare l’università dove si laureò in medicina e ginecologia. Il lungo e tormentato rapporto con Andrea Costa anarchico e poi precursore del socialismo le diede anche una figlia, ma la sua vicenda politica si consolidò dopo l’incontro con Turati e la fondazione della rivista “la critica sociale” che imboccava risolutamente una via riformista e democratica. Le idee della Kuliscioff appaiono con chiarezza nel lungo epistolario con il compagno Filippo Turati. Il segno politico lasciato dalla Kuliscioff è relativo al legame fra la questione femminile e il movimento socialista. La Kuliscioff pensa che le donne nella società moderna sono in uno stato di dipendenza che può essere superato solo dall’indipendenza economica. Ogni emancipazione femminile deve superare le differenze di classe per far cessare le leggi eccezionali contro la donna. La Kuliscioff però non riuscì a convincere neppure Turati sul problema del voto alle donne. I socialisti italiani puntarono piuttosto ad avere il suffragio universale maschile e così furono sconfitti prima da Giolitti e poi dal fascismo. La politica del partito socialista approdò poi a spaccature fra riformisti e rivoluzionari. La Kuliscioff negli ultimi anni sostenne le posizioni democratiche più rilevanti. Il suo funerale seguito da gran parte del popolo milanese fu soggetto anche ad un attacco squadrista dei fascisti. L’entrata in guerra dell’Italia portò ancora più divisioni fra le varie componenti del movimento femminile, però produsse una rivoluzione sociale in quanto le donne sostituivano gli uomini nella attività produttiva, nelle fabbriche, nei servizi e nelle amministrazioni pubbliche. Anche nelle campagne le donne presero il posto degli uomini e richiesero il riconoscimento del loro lavoro ed un aumento dei salari per mantenere le famiglie. Al termine del conflitto le donne ottennero con la legge “Sacchi” la capacità giuridica per amministrare i propri beni e per esercitare senza l’autorizzazione del marito e del padre la professione. Rimanevano alcune limitazioni come in medicina dove le donne erano per lo più impiegate in ostetricia e ginecologia; ben presto però occuparono anche il posto di medico condotto. Nel 1919 si riaprì la questione del suffragio femminile, ma l’avvento del fascismo rimise tutto in discussione tanto più che i partiti furono sciolti, le associazioni femminili sciolte e al loro posto nacquero associazioni fasciste come quella delle donne artiste e laureate, l’Associazione dottoresse in medicina, la Federazione italiane donne giuriste. Continuarono la Croce Rossa Italiana in quanto organizzazione internazionale e la San Vincenzo de’ Paoli perché associazione religiosa. Il Fascismo riaprì anche una contraddizione del ruolo della donna relegata nel lavoro domestico e nell’allevamento dei figli. A poco a poco quest’idea si affermò e accanto ai balilla e alla gioventù del littorio nacquero le giovani italiane, i fasci femminili e le massaie rurali. Nel 1925 fu fondata l’Opera Nazionale Maternità e infanzia che ebbe lunga vita anche alla fine del fascismo che garantiva l’assistenza ostetrica e pediatrica aiutando le madri nubili e separate e che cercava di contrastare la pratica dell’aborto che nel Codice Penale “Rocco” era inserito tra i delitti contro l’integrità della stirpe. La moda continuava a presentare capelli corti, corpi magri, vestiti al ginocchio e adatti a usare la bicicletta e l’automobile. Una maggiore autonomia era presente nell’Unione donne di azione cattolica che si indirizzavano a valori a volte convergenti, ma non assimilabili a quelli fascisti. La II guerra mondiale costrinse le donne ad assumere nuove responsabilità. Dopo l’08/09/1943 parteciparono alla lotta armata, ma la maggior parte furono impegnate a dare ospitalità, cibo, vestiario ai militari in fuga e ai partigiani. Si opposero alle deportazioni, divennero staffette per comunicazioni segrete e furono vittime di stragi. Il dopoguerra vide la nascita di associazioni femminili in gran parte vicine ai partiti, come il C.I.F. (Centro Italiano Femminile cattolico ) ( 1944 ) e l’U.D.I. ( Unione 7 Donne Italiane ) vicino al Partito Comunista. Occorre però osservare che i partiti avevano al loro interno un’organizzazione femminile oltre a quella giovanile più che altro per ragioni elettorali che però risultavano sempre in una posizione subordinata. Non mancavano però Associazioni femminili nelle professioni, nelle attività artistiche e culturali ed anche economiche come la F.I.D.A.P.A. ( Federazione Italiana arti professioni e affari ) , l’Associazione donne medico, Soroptimist ( club di servizio ) e lo Zonta. Queste associazioni sorsero anche perchè associazioni internazionali come il Rotary e i Lions erano rigorosamente maschili. Bisogna ricordare anche l’Associazione cattolica di protezione della giovane che rispondeva a una vocazione sociale dei primi anni del secolo XIX. Finalmente il Comitato Nazionale pro voto alle donne nato nel 1944 che riuniva le organizzazioni femminili dei sei partiti del C.L.N. ( Comitato di Liberazione Nazionale ) riuscì ad ottenere il voto che fu esercitato per la prima volta per le elezioni alla Costituente 02/06/1946. Rimaneva precluso alle donne la possibilità di entrare nella magistratura ( 1962 ), nella carriera diplomatica, nella vita militare ( Anni ‘90 ). Permaneva nel Codice Penale fino ai primi anni ’80 il delitto d’onore, il matrimonio riparatore, mentre la legge del divorzio e dell’aborto risalgono agli anni ‘70. In compenso alle donne era riservato l’insegnamento dell’economia domestica e nelle scuole materne. Nelle scuole elementari c’erano posti riservati agli uomini in una percentuale piuttosto bassa che però permetteva in genere a questi di diventare direttori ed ispettori scolastici. Un segnale importante della presenza attiva delle donne nel dopoguerra è dato dall’attività di Associazioni femminili già ricordate che anche alla luce del diritto acquisito della partecipazione al voto condiziona la vita politica economica e sociale della Repubblica appena nata. Grande importanza assume la nascita del Centro Italiano Femminile (C.I.F.) dopo la liberazione di Roma 1944 che si affianca all’azione politica dei cattolici ( in quell’anno è fondata anche la Democrazia Cristiana D.C. ), ma mette l’accento su un progressivo impegno per la modifica della Società civile per la risoluzione dei problemi della donna. Naturalmente la concezione di questa società viene in contrasto con il progetto dell’ U.D.I. sorta per affiancare la politica del P.C.I. che nella sinistra del nostro Paese occupa uno spazio sempre maggiore in conseguenza dell’attiva partecipazione alla Resistenza contro il nazi-fascismo. Occorre però ricordare che queste due associazioni non si identificano totalmente con la politica di riferimento delle formazioni partitiche in genere dirette per la stragrande maggioranza dagli uomini. Il C.I.F. si ispira alla concezione della donna cristiana proposta da una visione democratica propria di Mons. Montini ( futuro Paolo VI ), di Maria Rimondi, di Vittorino Veronese, di Maria Federici, di Amalia di Valmarana. All’interno della visione cristiana permanevano anche idee liberali eredi dell’azione delle donne dall’inizio del secolo. Anche l’U.D.I.al di là della partecipazione soprattutto nelle fasi elettorali più accese quali quelle del 1948 manifestava un’insofferenza per l’eccessivo predominio maschile dei partiti di sinistra e per la mancata risoluzione di alcuni problemi cari alle donne. Si può ricordare la vicenda di Teresa Mattei, ultima esponente del Parlamento costituente, l’ultima delle 21 donne su 556 membri che hanno partecipato all’immane lavoro di scrittura della nostra Costituzione, “inventrice” della festa dell’08 Marzo perché l’idea di celebrare la Festa della Donna con la mimosa fu sua. Dovette interrompere la carriera politica già nel 1948 per la sua irregolare situazione familiare che la portò ad essere espulsa dal P.C.I. Nei suoi ultimi discorsi ha detto: “ Se i principi di parità e uguaglianza sanciti nella Costituzione fossero stati applicati, forse oggi sarebbero le donne a governare questo Paese”. La nascita di queste Associazioni femminili ancora prima della fine della guerra mostra anche la volontà di imporre l’elettorato attivo e passivo per le donne, dato che vi era uno scarso entusiasmo specie nei partiti politici maggiori a concederlo. 8 La FIDAPA Bpwitaly è un’associazione composta in Italia da circa 12.000 socie e appartiene alla Federazione Internazionale I.F.B.P.W. ( International Federation of Business and Professional Women ) presente in 100 Paesi del mondo con 350.000 socie. E’ articolata in 294 sezioni distribuite su tutto il territorio nazionale e raggruppate in 7 distretti. Ai sensi dell’articolo 3 del proprio Statuto, la FIDAPA è un movimento d’opinione indipendente; non ha scopi di lucro, persegue i suoi obiettivi senza distinzione di etnia, lingua e religione. La Federazione promuove, coordina e sostiene le iniziative delle donne che operano nel campo delle Arti, delle Professioni e degli Affari, autonomamente o in collaborazione con altri Enti, Associazioni e altri soggetti. Gode di status consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, l’Unesco, l’Unicef, l’Ufficio Intenazionale del Lavoro, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Lavora in stretto contatto con la Commissione per i Diritti Umani e la Commissione per lo status delle donne, la FAO, il Fondo Internazionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura, il Consiglio d’Europa e altre agenzie specializzate. La missione dell’Associazione è quella di: 1. valorizzare le competenze e la preparazione delle socie indirizzandole verso attività sociali e culturali che favoriscono il miglioramento della vita, anche lavorativa, delle donne; 2. incoraggiare le donne a un continuo impegno nonché alla consapevole partecipazione alla vita sociale, amministrativa e politica, adoperandosi per rimuovere gli ostacoli ancora esistenti; 3. essere portavoce delle donne che operano nel campo delle Arti, delle Professioni e degli Affari, presso le Organizzazioni e le Istituzioni Nazionali, europee ed internazionali; 4. adoperarsi per rimuovere ogni forma di discriminazione a sfavore delle donne, sia nell’ambito della famiglia che in quello del lavoro, nel pieno rispetto delle norme vigenti in materia di pari opportunità; 5. favorire rapporti amichevoli, reciproca comprensione e proficua collaborazione tra le persone di tutto il mondo. Durante la I guerra mondiale, gli uomini, impiegati nelle prime attività belliche, dovettero abbandonare i propri posti di lavoro, creando un vuoto produttivo che potè essere colmato reclutando donne capaci di sostituirli. La prova di serietà ed impegno che le donne seppero dare fu così convincente che al cessare delle ostilità, il Governo degli Stati Uniti d’America ritenne opportuno non disperdere tanto utili e produttive energie. Decise infatti di stanziare una cospicua cifra per l’organizzazione delle forze del lavoro femminile (YWCA ), affidandone il reclutamento a Lena Madesin Phillips. Nata a Nicholaville ( Stato del Kentucky ) nel 1881, si era dedicata allo studio del pianoforte e della composizione poi, attratta dal diritto nel 1917 aveva conseguito la laurea in legge e si era dedicata alla professione forense. La Phillips, forte della sua esperienza YWCA ed animata da vivo fervore, pensò di chiamare a raccolta anche le donne dedite alle professioni ed al commercio, compilò delle liste secondo la qualificazione e creò dei circoli in varie città statunitensi. Nel 1919, in una grande assemblea a St. Luis convocata per coordinare il lavoro e l’attività di questi club, fondò la Federation of Business and Professional Women come emanazione della YWCA, della quale lei stessa era stata “magna pars”. Il successo della FBPW, che raccoglieva donne che militavano nelle più diverse attività intellettuali e produttive, fu notevolissimo tanto che si affiancò e si sovrappose alle associazioni professionali miste o di categoria già esistenti e rapidamente raggiunse un numero straordinario di aderenti. Nel 1928 la Madesin Phillips che ancora possedeva buona parte della somma messa a disposizione dal Governo americano e aveva sogni di fratellanza e di intesa fra le donne 9 di tutto il mondo decise di varcare i confini degli Stati Uniti d’America e di estendere le finalità della federazione americana ad altri Paesi iniziando dall’Europa. Così negli anni 1928, 1929, 1930, intraprese e organizzò e diresse i “Good Will Tours” ( viaggi di buona volontà ) che si svolsero in Francia, Gran Bretagna, Germania, Austria, Belgio. La Madelin giunse anche in Italia. A Roma, per incarico della giornalista Ester Danesi Traversari ( che fu poi la prima vice-presidente internazionale ) la Prof.ssa Maria Castellani, che era reduce da un periodo di “ Graduate Work” al Bryn Mowr College di Philadelphia, conosceva gli USA e parlava la lingua inglese, fu delegata all’organizzazione dell’incontro; strinse così rapporti amichevoli con la Madesin Phillips e da questa fu nominata delegata per il movimento in Italia. La Prof.ssa Castellani, nel suo lavoro di preparazione ebbe la collaborazione intelligente ed appassionata del Dott.ssa Adele Bacci Pertici consigliera al Ministero delle Corporazioni. Furono chiamati a raccolta le associazioni di categoria e i comitati nazionali esistenti; si aggiunsero gruppi di signore che si interessavano a manifestazioni culturali e sociali. Si giunse quindi alla formazione di un Circolo di Professioniste ed Artiste e si gettarono le basi dello Statuto per la nuova associazione. Lo Statuto ricalcava le finalità cui attendeva la Federazione Americana e cioè “ potenziava il senso di responsabilità nella donna lavoratrice: elevarne il livello di cultura e preparazione; renderla idonea a intraprendere qualsiasi carriera, senza discriminazione di sesso”. Lo 08/01/1929, nell’ Atheneum romano di via Condotti, fu discusso e approvato lo Statuto mentre all’unanimità veniva proclamata presidente del club romano Adele Bacci Pertici. La Fondazione del club suscitò vasta eco nei circoli e negli ambienti romani. Se ne occupò anche la stampa ed in particolare il Giornale della Donna di cui era direttrice Paola Benedettini. Il Club acquistò notevole prestigio, si arricchì di elementi particolarmente dotati e qualificati, fre le quali la Principessa Mafalda di Savoia già iscritta nel gruppo delle musiciste. Nell’estate del 1929, al ritorno dalla Prof.ssa Maria Castellani dagli Stati Uniti d’America dove si era recata per un ciclo di conferenze e per prendere parte al Congresso della federazione USA i tre circoli di Roma, Milano e Napoli fondarono la Federazione italiana e ne elessero la Presidente Nazionale la stessa Maria Castellari. La neo-federazione fu invitata dalla Confederazione Nazionale dei Professionisti a consociarsi con il nome di Associazione Donne Professioniste e Artiste con scopi di assistenza e cultura e le furono garantite appoggi organizzativi e finanziari. I circoli intanto erano notevolmente aumentati: tra gli altri si erano costituiti quelli di Pavia Varese, Como, Genova, Bergamo, Trieste, Avellino e Salerno. Era la premessa della costituzione dell’International Federazione of Business and Professional Women che fu concordato dopo l’importante Congresso Nazionale della Federazione Americana al quale erano state invitate le rappresentanti di due soli Paesi: il Canada e l’Italia. Il Congresso ebbe luogo dal 24 al 26 agosto 1930 a Ginevra. La Federazione Italiana vi partecipò con 31 delegate rappresentanti dei vari circoli oltre agli USA, l’Italia e al Canada alle cui delegazioni vennero concessi come privilegio, 10 voti ciascuna e riconosciuto il titolo di “promotrici; parteciparono con 5 voti Gran Bretagna, Francia, Belgio, Germania, Olanda, Svezia, Norvegia, Finlandia, Cina, India, con le delegate dei propri club e le rappresentanti dei rispettivi Governi. Anche la Società delle Nazioni vi fu rappresentata con due delegate, così come L’ILO ( Uffico Internazionale del Lavoro ) e la Cooperazione Intellettuale. L’associazione Italiana Donne Medico ( AIDM) fondata a Salsomaggiore Terme Il 14/10/1921 è un’associazione apartitica e aconfessionale senza fini di lucro. Fa parte della Medical Women’s Internazional Association ( MWIA ). La sede legale è a Roma. Si propone i seguenti compiti: valorizzare il lavoro della donna medico in campo sanitario; promuovere la collaborazione fra le donne medico; promuovere la formazione scientifico culturale in campo sanitario; collaborare con le altre 10 Associazioni italiane ed estere, in modo prioritario con quelle della Comunità Europea incentivando gli incontri per lo studio dei problemi che riguardano la salute della collettività e collaborare con Ministero della Salute, Regioni e Aziende Sanitarie, organismi ed istituzioni pubbliche. Vi è inoltre l’Associazione Mogli Medici Italiani (AMMI ) che nasce nel 1970 a Mantova ad opera di un gruppo di mogli di medici per attuare compiti morali, sociali, culturali ed assistenziali, nei confronti della donna. E’ un’Associazione no-profit costituita dalle mogli e vedove dei medici e dei laureati in odontoiatria dalle donne medico riunite dal comune desiderio di finanziare la ricerca in campo medico. Un'altra Associazione femminile è il Soroptimist International d’Italia. E’ una Associazione composta da donne con elevata qualificazione nell’ambito lavorativo che opera, attraverso progetti, per la promozione dei diritti umani, l’avanzamento della condizione femminile e l’accettazione delle diversità. Il termine soroptimist deriva dalle parole latine Soror e Optima. Nato negli USA ad Oakland nel 1921 il Soroptimist International è oggi diffuso in 125 Paesi e conta oltre 3000 Club per un totale di circa 90.000 socie. Ciascuna socia rappresenta nel proprio Club una differente categoria professionale per favorire una ampia circolazione delle idee fra persone con percorsi lavorativi e background culturali diversi. La Confederazione dei Club Zonta fu fondata a Buffalo, New York ( USA ) l’08/11/1919. La sede permanente venne stabilita a Chicago (Illinois) Usa nel gennaio 1928 e Zonta International venne registrato in questo Stato il 04/09/1930. Zonta International è l’organizzazione globale di persone impegnate nel lavoro e nelle professioni che lavorano insieme per il miglioramento della condizione della donna nel mondo promuovendo servizi e tutela dei loro diritti. La storia femminile della Repubblica può essere distinta in 4 fasi in cui operano le donne di varie ideologie. La I fase si apre col voto alle donne ( 1946 ) ed è segnata dalla spinta ad essere protagoniste della nuova realtà civile e a numerose iniziative assistenziali nel quadro della ricostruzione. In effetti il Paese risorge anche per l’impegno della donna nel lavoro, ma quello che risalta è lo scontro politico acceso che rafforza gli opposti centralismi dei partiti caratterizzati anche dalla diversa visione della politica interna ed estera. Il periodo lascia però segni importanti come gli articoli della Costituzione, la legge sulla tutela della lavoratrice madre, l’apertura del dibattito sulla legge “Merlin” e l’affermazione del principio della partecipazione politica femminile sia nel Parlamento sia nella realtà locale. La II fase che inizia nella seconda metà degli Anni ’50 vede la ripresa di attenzione, di riflessione verso la questione del lavoro femminile. Le associazioni cattoliche aprono un dibattito con la relazione di Maria Federici alla Settimana Sociale dei cattolici a Pisa. Emergono le richieste delle A.C.L.I. femminile impegnate soprattutto ad assistere le donne nelle fabbriche per conciliare la loro funzione sia nella famiglia che nel lavoro esterno. A loro volta l’U.D.I. affianca l’impegno sindacale della C.G.I.L. sia nelle fabbriche sia nelle campagne. E’ importante notare che in questi anni vengono concesse assistenze mutualistiche e pensionistiche a categorie un tempo escluse quali gli artigiani, i commercianti e i coltivatori diretti dove la presenza femminile anche solo come collaboratrice familiare è rilevante. La III fase dei primi anni ’60 è segnata dagli effetti sconvolgenti del “boom”economico, dall’urbanizzazione forzata e dall’insufficienza delle proposte del centro-sinistra che non riesce a conciliare le aspirazioni del mondo cattolico e di quello laico e marxista. Il mondo cattolico più tradizionale è messo in crisi anche dalle decisioni del Concilio Ecumenico sollecitato dalla presenza pastorale di Papa Giovanni XXIII che rivoluziona il rapporto tra Chiesa e mondo moderno sulla questione della sessualità, della procreazione della coppia, del rapporto famiglia e società. La donna assume in questa visione il principio della pari responsabilità nella famiglia e nella 11 società. Anche il mondo marxista entra in una crisi che mette in discussione la visione centralista dello Stato; la presenza contemporanea all’inizio degli anni’60 nel campo internazionale di Kennedy e Krusciev pone l’esigenza di un dialogo suggerito anche dalla “nuova frontiera” e dalla inquietudine dei paesi satelliti e della stessa Russia.Queste crisi culminano nel movimento del ’68 che dalla Francia irrompono in tutta Europa e danno inizio ad una IV fase dove la cultura neofemminista diventa centrale e si affianca ad una opposizione spesso violenta di operai e studenti nelle scuole, nelle fabbriche e in antitesi sia ai governi sia alle istituzioni pubbliche. L’Italia paga anche una arretratezza culturale e legislativa che porta in primo piano l’esigenza di problemi di liberazione della donna attraverso leggi sul diritto di famiglia (1975 ), sul divorzio ( 1974 ) e sull’aborto (1978). Specie queste ultime due battaglie risolte con il referendum spaccano il paese in due anche se la necessità di adeguarsi alle leggi vigenti in tutti i paesi moderni comportano il superamento delle barriere ideologiche. Purtroppo la contestazione per l’esigenza del cambiamento porta alcuni gruppi estremisti condizionati anche da rinnovati contrasti internazionali ad una pratica della violenza di cui sono vittime molti esponenti del mondo economico, politico e culturale e giornalistico. Basti ricordare l’uccisione di Aldo Moro, Bachelet, l’operaio Guido Rossa, il Commissario Calabresi, per finire con i giudici Falcone e Borsellino, i giornalisti Tobagi, Casalegno, l’avv. Ambrosoli, più tardi i giuslavoristi D’Antona e Biagi. Anche il Papa Giovanni Paolo II nel 1981 in Piazza San Pietro subisce un grave attentato. La crisi politica culminata nel crollo dei primi Anni’90 lascia la speranza di una ripresa della presenza femminile. Nascono associazioni rivolte alla risoluzione di problemi concreti causati anche dalle ondate successive di emigrazioni da Paesi emergenti. La povertà e l’emarginazione di Nazioni del III mondo, le violenze delle guerre civili nel Medio Oriente, le guerre in Asia e in Africa portano uomini e donne a cercare un lavoro ed anche una collocazione familiare nel nostro Paese. La loro presenza spesso sfruttata anima sia la Chiesa, sia associazioni laiche alla ricerca dell’inserimento degli stranieri che in gran numero cercano anche di divenire cittadini italiani. Il problema non è di facile risoluzione anche perché come avvenne nella nostra emigrazione all’estero e nell’immigrazione da sud a nord la convivenza non è facile e provoca anche atteggiamenti di opposizione e di difesa di un mondo tradizionale. Le donne possono essere nella loro attività un punto importante di conciliazione e di risoluzione di problemi che affliggono la nostra Società che nell’invecchiamento progressivo ha un maggior bisogno di assistenza che non può essere chiesta sempre alle Autorità pubbliche. Esse possono organizzare l’assistenza agli anziani per cui sono presenti ormai nel nostro Paese migliaia di straniere. La presenza delle donne a livello politico e istituzionale assume anche una importanza rilevante nella crisi non solo economica, ma anche culturale delle famiglie, nella difesa delle donne che subiscono violenza sia nella famiglia sia nella società con la costituzione di luoghi d’accoglienza. La donna può dare un apporto importante nella gestione delle comunità che accolgono minori vittime a loro volta di violenza o di droga. Sono presenti associazione di volontariato di varia ispirazione e al termine di una lunga lotta iniziata al principio dell’ ‘800 si può osservare che le professioni liberali presentano una parità di presenza femminile tra le attività mediche, giuridiche e anche nell’attività politica. Alcune leggi hanno imposto una presenza femminile obbligatoria nei consigli di amministrazione societaria. Le attività economiche delle donne incontrano sempre maggiore successo. Resta da considerare un giudizio positivo sull’operato delle associazioni femminili che hanno permesso alle donne di conquistare posizioni sempre più rilevanti all’interno della società, sia nell’esplicazione dei loro doveri, sia nella salvaguardia dei loro diritti individuali e sociali. La strada rimane lunga, ma l’importante è provarci ( articolo di Agnese Moro l’8 marzo 2015 sulla Stampa ) e forse il bello dell’8 marzo è proprio 12 quello di ricordarci una storia di cui tutte e tutti facciamo parte, che, come tutte le storie di liberazione avvenute nella Storia della Repubblica Italiana ha sorprendenti avanzamenti e battute d’arresto, insperate albe e notti profonde. L’importante è esserci per sempre e continuare. Relatrice Dott. ssa Gabriella Gulmanelli 13