Bruno Senna

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Bruno Senna
BRASILE
Puntando sul protezionismo che induce i costruttori esteri a creare fabbriche in loco per evitare
forti tasse, il governo ha definitivamente rinunciato a creare un’industria nazionale dell’auto
di Paolo Guidelli Guidi *
I dipendenti della fabbrica Volkswagen di Taubaté festeggiano i 5 milioni di auto prodotte
I
l Brasile è oggi il 4° maggior
mercato consumatore di veicoli,
con vendite di 3,6 milioni di unità
nel 2011 - in coda a Cina, Stati Uniti
e Giappone. Con un tasso di saturazione ancora molto basso - circa 6 abitanti per veicolo contro gli 1,4
dell’Italia - il Paese potrebbe guadagnare il terzo posto nel mondo entro
il 2016.
I Brasiliani - uomini e donne, giovani e vecchi - adorano l’automobile.
Le signore fanno il pieno, portano la
macchina a cambiare l’olio ogni
10.000 chilometri e controllano regolarmente la pressione delle gomme. L’automobile si tiene pulita e
scintillante, ed è il principale sogno
di consumo in un Paese dove tutti seguono con passione devastante la
Formula 1 e Indy.
Bruno Senna, Rubens Barrichello e
Felipe Massa sono nomi familiari ed
Ayrton Senna è oggetto di religiosa
venerazione.
La crescita del reddito disponibile, la
corrispondente espansione della
classe media ed un miglior accesso
al credito al consumo stanno spingendo le vendite di beni durevoli,
con l’automobile in prima linea. Nonostante il buon momento di vendita, la produzione brasiliana è cresciuta solo dello 0,8% nel 2011, a
3,4 milioni di unità - mentre le vendite di veicoli importati sono balzate
a 858.000 unità con una crescita del
18
30%. Per questi motivi - per promuovere lo sviluppo di un’industria
nazionale in un settore trainante - il
Governo brasiliano ha ulteriormente
aumentato la tassazione sugli import
e sui prodotti nazionali con contenuto locale inferiore al 65% del valore.
Tuttavia il Paese non è riuscito a far
crescere un Costruttore nazionale. In
un mondo che ha visto l’affermazione della giapponese Toyota e delle
coreane Hyundai-Kia, protette nella
fase nascente dai rispettivi Governi,
la politica brasiliana di protezione è
servita finora soltanto ad aumentare
il prelievo indiretto sull’automobile,
senza scoraggiare i brasiliani che
possono permettersi di pagare prezzi
d’affezione per modelli importati.
Apparirà mai un campione brasiliano nel mondo dell’automobile?
ste (IPI) è stata ulteriormente aumentata del 30%, in reazione alla
continua e forte crescita selettiva
dell’import. L’aumento dell’imposizione si applica anche alle produzioni locali che abbiano un valore di
contenuto locale inferiore al 65%.
Insomma, una politica dettagliata ed
attenta, mirata a stimolare l’arricchimento tecnologico dell’industria nazionale. Il problema è che questa
forte protezione non riesce a favorire la qualificazione tecnologica né la
competitività della produzione locale. Al contrario, basta scorrere i listi-
ni di Fiat, Volkswagen, General Motors e Ford - i “big four” che coprono
l’80% del mercato - per constatare
che modelli e varianti prodotti in
Brasile sono i meno avanzati e
performanti delle rispettive Case.
Cavallo di battaglia di Fiat è ancora
la vecchissima Uno degli anni ‘80 (a
listino per circa 10.000 euro) mentre
l’unica “novità”, la Freemont, è prodotta in Messico. Oltre 90% del volume di vendita di Volkswagen do
Brasil è equipaggiato con il motore
1.6 a 8 valvole già scomparso dalla
maggior parte dei mercati europei -
Protezione e inefficienza
Come nel Giappone del dopoguerra,
il mercato brasiliano è protetto. Ma
l’effetto non è lo stesso: non esistono
gli equivalenti di Toyota, Nissan,
Honda, Mitsubishi e Suzuki che si
davano battaglia settimana dopo settimana per le quote di mercato. Semplicemente, non esiste un costruttore
locale. L’importazione di veicoli é
gravata da un “sandwich” di imposizioni doganali e fiscali che risultano
in un aggravio di prezzo del 150%.
Recentemente, una di queste impo-
La Chevrolet Agile Sport prodotta nello stabilimento di Sao Caetano Do Sul
InterAutoNews Data Book - Intero 2011
ma si vendono molto bene le Tiguan
e Touareg prodotte in Europa o le
Jetta che vengono dal Messico. In
compenso, i prezzi sono fra i più alti
del mondo.
Preoccupante confronto
Un recente studio della Fondazione
Getulio Vargas mette in evidenza
che i prezzi (lordo tasse) al dettaglio di modelli popolari Toyota
Corolla o RAV4, o Honda Civic, in
Brasile sono doppi o pari a 2,5 volte quelli applicati negli Stati Uniti.
Insomma, sembra che l’effetto di
una così forte protezione del mercato sia solo che il Cliente paga di
più - molto di più - anche per prodotti locali poveri e poveramente
prodotti. Una recente e dura presa
di posizione del NCAP, l’Agenzia
che gestisce crash test indipendenti
sulle produzioni automobilistiche,
ha messo in evidenza la differenza
fra risultati brasiliani ed europei.
Le vetture prodotte in Brasile sono
sistematicamente meno sicure degli
stessi modelli costruiti in Europa.
Certamente, anche per l’assenza di
air-bag (ancora non obbligatori) ma
dai risultati dei test emerge il sospetto che anche un minor livello di automazione di processo, la semplificazione del prodotto e forse una
scelta di materiali meno cari abbiano
il loro peso.
Messico e Brasile a confronto
Ora la battaglia all’import ha messo
in crisi l’accordo di libero scambio
con il Messico. Finora le vetture prodotte in Messico erano esenti
dall’imposta d’importazione (pari al
35%, primo mattone del famoso
150% di sovrapprezzo). Risultato: lo
sbilancio commerciale brasiliano ha
raggiunto 1,5 miliardi di dollari.
Perché? La ragione è semplice: le
fabbriche messicane forniscono anche l’area Usa-Canada. L’esigenza
di mantenersi al livello dei mercati
più sviluppati del pianeta fa sì che
impianti, attrezzature e risorse umane siano altamente produttivi.
Le fabbriche messicane sono più
competitive, ed i modelli di alto di
gamma che producono generano
margini superiori anche dell’80%
rispetto a quelli delle fabbriche tedesche o giapponesi. Proprio il risultato che il Brasile vorrebbe ottenere con la protezione del mercato peccato che in questo caso il tutto
vada a favore del partner commerciale messicano. L’accordo di libero scambio è stato denunciato e rinegoziato con un sistema di quote
che proteggeranno il mercato brasiliano ma che si estingueranno entro
il 2016. Ora quindi bisogna trarre una lezione da quanto accaduto: il
nocciolo della questione è la competitività. Ma non pare che il Governo abbia ricevuto chiaramente il
messaggio.
Competitività
Per il momento l’orizzonte dell’industria automobilistica brasiliana è
il mercato locale, ma con tutti gli investimenti in corso la capacità produttiva supererà presto i 5 milioni di
unità/anno, contro un mercato interno inferiore ai 4 milioni.
Il Real è una valuta condannata ad
essere forte: per la forza delle esportazioni di materie prime - verso
la Cina in primo luogo - a cui si aggiungerà a medio termine il nuovo
flusso di petrolio dei giacimenti
sottomarini “Pré-Sal”. Con una valuta forte, la necessità di essere
competitivi è ancor più pressante.
La crescita del tasso di cambio del
Real ha praticamente spiazzato diversi settori industriali, di fronte a
prodotti cinesi a bassissimo costo.
Questo non è un caso raro: succede
per molti altri Paesi - per esempio
l’Australia, che ha dovuto abbandonare interi settori industriali non più
competitivi in favore dei servizi. Ma
per il Brasile una transizione di questo tipo sarebbe molto più dolorosa.
Nazione in sviluppo, con la sesta economia del pianeta, il Brasile ha bisogno di un’industria competitiva
per dare lavoro a milioni di lavoratori a bassa specializzazione.
Seguire una simile politica è difficile, quindi il Governo ha optato
per la protezione. Questa oggi va a
favore di costruttori stranieri che
producono localmente modelli di
basso livello, vendendoli a margini
altissimi. E impedisce di fatto l’emergere di un’industria effettivamente nazionale in uno dei primissimi mercati del mondo.
Giappone e Germania uscirono prostrate dalla seconda guerra mondiale: hanno espresso due delle industrie automobilistiche leader del pianeta grazie ad una iniziale protezione del mercato nazionale accompagnata da una fortissima spinta verso
l’export, una cultura tecnica sofisticata e diffusa ma anche un’aspra
competizione fra gli operatori nazionali - competizione acerrima specialmente in Giappone, come negli
anni ‘70 e ‘80 modello scorso secolo
misero in evidenza libri memorabili
come “The Machine That Changed
The World”. Anche se difficile,
quella della competitività è perciò una scelta obbligata per il Brasile.
La competitività richiede formazione: buone scuole tecniche e universitarie, accessibili a tutti; richiede infrastrutture efficienti, bassa
* Paolo Guidelli Guidi,
Presidente Quadra
Management Consulting
tassazione e Stato “leggero”. Richiede soprattutto darwinismo industriale in casa e focus sull’export. Probabilmente questa è la
strada per il Brasile, anche se difficile - ed è l’unica strada che potrebbe ancora generare un player automobilistico brasiliano.
Dopotutto, il Paese ha saputo esprimere Embraer, il costruttore aereonautico leader globale nel segmento
“regional jet” e fare aerei è sicuramente più complesso che fare automobili. Se si vuole e si è coerenti, la
competitività si può ottenere. La finestra di opportunità potrebbe chiudersi presto: ora anche i coreani e i
cinesi stanno aprendo fabbriche in
Brasile e sfruttando la protezione di
mercato e le sovvenzioni di Stato
preparano la grande offensiva che
cambierà il volto di questo grandissimo mercato.
Celebrazione, nella fabbrica Fiat di Betim, dei 2,5 milioni di auto con motorizzazione Flex
InterAutoNews Data Book - Intero 2011
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