JEAN SULIVAN

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JEAN SULIVAN
JEAN SULIVAN
Non è ingiustificata predilezione, ma attenzione a qualcuno di cui, almeno in Italia, nessuno parla e
scrive, perché nessuno o quasi lo conosce.
Appassionato della parola che parla, che scava, che crea, Jean Sulivan non è un personaggio comodo né i suoi scritti regalano riposanti dormite.
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Joseph Lemarchand nasce a Montauban-de Bretagne, vicino Rennes, nel 1913 e sarà ordinato prete nel 1938. Impegnato con passione a penetrare e a far conoscere sempre più la Parola che salva
realizza spazi culturali e un centro di rinascita spirituale. Dopo la morte della madre e un viaggio in
India, sempre più alla ricerca della trasparenza della Parola, chiede ed ottiene dal cardinale Roques
di abbandonare il ministero attivo e di dedicarsi interamente alla scrittura. Comincerà a firmare i
suoi scritti sotto lo pseudonimo di Jean Sulivan e diverrà responsabile della collezione Voies ouvertes delle edizioni Gallimard, che pubblicheranno la maggior parte dei suoi testi. Sulivan è autore di
romanzi, novelle, scritti spirituali. La sua opera otterrà il Prix Bretagne nel 1976. Morirà durante
una delle sue quotidiane passeggiate a piedi, travolto da un’automobile, il 16 novembre 1980.
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I temi che intessono l’opera di Sulivan sono numerosi e difficilmente districabili gli uni dagli altri. il
centro dell’esperienza umana che suggerisce la scrittura sulivaniana e nel centro dell’essere anche
gli opposti coesistono.
Appassionato della Parola perché appassionato dell'uomo, Sulivan rischia il suo rischio pur di recuperare la trasparenza della parola.
La scrittura di Sulivan è un forte invito a mettersi in cammino, a strappar via le maschere, ad abbandonare i comodi rifugi, le abitudini ei i riti svuotati di senso, le certezze assolutizzate per scegliere di percorrere il proprio itinerario, parlando la propria parola.
La scrittura di Sulivan: cammino verso non si sa dove, ma un cammino insieme.
CITAZIONI DALL'OPERA
Quando vedete persone serie come delle carpe, ditevi che esse guardano ancora l’esistenza attraverso il prisma delle loro idee e, se questo vi aiuta a sfuggire alla tristezza, guardatele proprio come dei pesci in un acquario.
Lasciate perdere ciò che serve solo a nutrire la curiosità. Leggete piuttosto ciò che tocca il cuore.
Vivete da vivi finché siete vivi.
V’invito alla nudità interiore. Gli alberi, gli animali, tutta la natura vi ricorda che non siete che passanti senza dimora eterna qui. Dunque nulla deve essere preso tragicamente; l’essenziale è sopravivere, ossia far esistere quel che in voi c’è d’immortale.
Vorrei davvero che usciste dal sottosviluppo spirituale (anche quando pregate, anche quando andate in chiesa). Vorrei che comprendeste che la vita spirituale comincia nel corpo, con i vostri passi, con i vostri occhi, con tutti i gesti della vita.
V’invito a ringiovanire.
V’invito a smetterla di mascherarvi dietro le costruzioni astratte e piramidali delle idee o, quando
crollano, a non murarvi nell'angoscia che vi tiene al caldo. Volendo inglobare tutto, tutto vi sfugge.
Essere dappertutto e non siete da nessuna parte.
Smettetela di belare, cercando delle cause, dicendo che la morale si degrada, che la fede si spegne. Lamentele e proteste non sono che chiacchiere e alibi.
Viviamo l’istante. A ogni giorno basta la sua gioia.
V’invito a essere presenti a ogni istante della vita quotidiana. Ma questo non si decide. È necessaria una fatica e un totale rivolgimento dell’anima.
Cercate il centro. Dove? Nel punto di giuntura fra la carne e lo spirito, là dove scaturisce ogni parola vera.
Bisogna essere pazienti, prendere le distanze, perdere per ritrovare, l’ora giunge a sorpresa, si
passa al di là delle apparenze.
Esci, non smettere di dire la vita, non ti raggrinzire né sull’amore, né sull’arte né sulla religione, va
fino al fondo di te stesso. Affidati ai tuoi grandi sogni.
Parti da dove sei, altrimenti non arriverai da nessuna parte.
Vivi la tua vita, canta la tua musica.
Non vi faccio una predica. V’invito al piacere di vivere. Quello che nessuno può strapparvi.