La purificazione del tempio

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La purificazione del tempio
Giovanni 2,13-25: la cacciata dei mercanti dal tempio
“La Lectio divina consiste nel rimanere a lungo sopra un testo biblico, leggendolo e
rileggendolo, quasi ‘ruminandolo’ come dicono i Padri, e spremendone, per così dire,
tutto il ‘succo’, perché nutra la meditazione e la contemplazione e giunga ad irrigare
come linfa la vita concreta. Condizione della lectio divina è che la mente ed il cuore
siano illuminati dallo Spirito Santo, cioè dallo stesso Ispiratore delle Scritture, e si
pongano perciò in atteggiamento di religioso ascolto”.
(Benedetto XVI)
Prima di iniziare, vorrei proporvi una domanda. Vi chiedo di custodirla e di portarla a
casa perché diventi un pungolo per ripensare la nostra fede.
In questi giorni siamo colpiti da notizie terribili, da molti fronti. In particolare mi
riferisco al martirio di 21 cristiani sulle spiagge della Libia. Quegli uomini sono morti
con il nome di Gesù sulle labbra.
Allora la domanda è questa: il Gesù che io vi racconto sarebbe qualcuno per cui
vale la pena morire?
Non vi sto chiedendo se sareste disposti a morire per Gesù. Impossibile dare una
risposta del genere a freddo, tutti noi siamo ammirati e spaventati di fronte alle
figure dei martiri.
Vi chiedo solo di tenere aperta la vostra riserva critica, di considerare se il ritratto di
Gesù che vi propongo stasera, il modo in cui ne parlo, lascia aperta la possibilità che
qualcuno sia disposto a morire in suo nome o se lo riduco ad un buon esempio da
seguire, qualcuno di bravo, ma non la fonte della vita.
L’intellettualismo è un grosso rischio per noi teologi, che proponiamo tante cose da
pensare, ma che rischiamo di trascurare la dimensione di Mistero: è solo in fondo ad
esso che abita la possibilità di innamorarsi di Cristo, come solo in fondo
all’inesauribilità della persona amata abita il perseverare dell’amore.
Il brano del Vangelo che meditiamo questa sera ha bisogno, perché possiamo
iniziare a comprenderlo, di essere in un certo modo inquadrato dentro due cornici,
una più ampia che riguarda il percorso quaresimale che i Vangeli di queste
domeniche ci stanno proponendo, e una più particolare che riguarda il Vangelo di
Giovanni, da cui il brano è tratto.
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Percorso quaresimale:
1. I dom. Mc. 1,12-15= Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino,
convertitevi, e credete…
2. II dom. Mc. 9,2-10 =
Trasfigurazione
3. III dom. Gv. 2,13-25= cacciata dei mercanti dal Tempio
4. IV dom. Gv. 3,14-21= Gesù e Nicodemo
5. V dom. Gv. 12,20-33= Annuncio dell’Ora:è il male ad essere giudicato, è il
male che sarà sconfitto; il modo per farlo è la croce. Conversione=se il
chicco di grano...
6. Dom. delle Palme
Allora questa Quaresima ci chiama a salire sul Tabor per contemplare la bellezza di
Dio, e lo fa attraverso alcuni passaggi, che ci danno indicazioni per raggiungere il
Signore.
Vangelo di Giovanni:
“Ci sia permesso di affermare che il fiore di tutta la Sacra Scrittura è il Vangelo, e il
fiore del Vangelo è il Vangelo di Giovanni) – Origène.
Il quarto Vangelo, di Giovanni, è molto diverso dagli altri tre. Mentre Mt. Mc. e Lc.
hanno un linguaggio semplice, narrativo, molto vario, Gv. sembra quasi appartenere
ad un mondo diverso. Il suo stile è piuttosto astratto, pieno di simboli e allusioni che
ne rendono meno immediata la comprensione. É un Vangelo definito misterioso. E
tuttavia, questo Vangelo non smette di stupirci per la sua profondità, per le scoperte
sempre nuove a cui conduce chi si lascia guidare da Lui, ma occorre fare spazio
all’azione dello Spirito in noi, lo Spirito che è uno dei protagonisti di questo
Vangelo, e lasciare che esso non solo illumini la nostra mente ma ci tocchi in
profondità.
Messaggio Teologico Gv.
1. Cristo è il rivelatore del Padre. Non il messia che chiede di superare la legge,
come nei sinottici, ma colui che manifesta la Verità, colui che è l’inaudito: Dio
che si fa vicino.
2. Rivelazione chiede risposta dell’uomo, che è duplice: sì o no.
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Il racconto della cacciata è evento importante, impressionante per i contemporanei,
presente in tutti i vangeli. Il tempio era in fase di ricostruzione, iniziato da Erode il
Grande intorno al 19 a.C. (10.000 muratori impiegati più 1000 sacerdoti addestrati
come muratori per lavorare dove non potevano entrare i non sacerdoti) sarà
completato nel 63 d.C. e distrutto nel 70 d.C. da Tito. Il tempio era un elemento
centrale per l’identità del popolo eletto, aveva significato la rinascita religiosa di
Israele. A Pasqua (festa di pellegrinaggio) Gerusalemme triplicava la popolazione
passando a circa 180.000 abitanti. Sotto i portici (nel cortile dei gentili) fin da tre
settimane prima si organizzava un mercato e si calcola che ogni anno venissero
sgozzati 18.000 agnelli nei riti sacrificali. C’erano anche i cambiavalute per far
entrare nel tempio vero e proprio la moneta consentita, senza l’effige
dell’imperatore che sarebbe stata atto di idolatria.
Nel suo Vangelo, però, Giovanni colloca l’episodio all’inizio, subito dopo il racconto
delle nozze di Cana. È già una scelta che dovrebbe farci fischiare le orecchie: gli altri
evangelisti (Mt 21, Mc 11, Lc 19) la collocano invece dopo l’ingresso a Gerusalemme
e subito prima della passione. Perché questa scelta? In primo luogo dobbiamo
sapere che l’evangelista Giovanni, pur nell’estremo spessore teologico e simbolico
del suo Vangelo, ha riservato una cura grandissima per la successione storica degli
avvenimenti. E’ l’unico da cui sappiamo che Gesù ha predicato tre anni, perché Gv
narra che sale a Gerusalemme per la Pasqua per tre volte, questa, una seconda al
capitolo 6 (prima della moltiplicazione dei pani) e l’ultima al capitolo 11, dopo
l’episodio di Lazzaro e in chiusura del libro dei segni (cap. 1-12) ossia della prima
parte del Vangelo. La seconda parte che inizia con il cap. 13 è il libro della gloria e
narra gli eventi della passione a partire dalla lavanda dei piedi.
Inoltre l’episodio si trova all’interno di una sezione che si chiude al cap. 4,54 e si
intitola “da Cana a Cana” dove si compie il secondo segno, la guarigione del figlio del
funzionario regio. La sezione comprende il discorso con Nicodemo e il confronto con
la Samaritana. Se ci pensiamo, in entrambi questi episodi si tratta del tempio e del
luogo dell’adorazione. Quindi sono passi che dobbiamo imparare a tenere insieme, a
leggere facendoli illuminare l’uno dall’altro a cominciare dalla svolta di Cana: lì non
accade qualcosa di normale ma si compie un gesto creativo: è un nuovo inizio, nasce
qualcosa di nuovo, come avverrà al tempio: non una purificazione per poi tornare a
ciò che già c’era...
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Un altro elemento che ci aiuta a capire il brano nel nostro contesto quaresimale è la
scelta della prima lettura, che ci offre le dieci parole di Dio (Es 20), le parole che ci
guidano e ci indicano la strada per raggiungere il monte Tabor e contemplare la
bellezza di Dio.
Proviamo ad intuire allora, con queste attenzioni, cosa vuole dirci Giovanni
mettendo qui questo racconto.
[13] Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Giovanni specifica che la Pasqua che si celebra è quella dei giudei, che si colloca in
opposizione alla pPasqua del Signore. Dopo il 12^ cap., alla svolta del suo vangelo,
Giovanni inizierà a parlare di Pasqua del Signore. Gesù sale a Gerusalemme, non si
limita ad andarci. La parola è normale, la città si trova su un monte, ma noi che la
leggiamo oggi, dopo che domenica abbiamo meditato su Gesù che sale al monte
Tabor, dovremmo cogliere in questo un’analogia. Che trasfigurazione ci verrà
proposta qui?
[14] Trovò nel tempio (en tò ierò) gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i
cambiavalute seduti al banco.
Ci troviamo nel cortile esterno del tempio, detto atrio dei gentili, a cui potevano
accedere anche i pagani. Gesù vi trova però non gente in preghiera, ma i vendenti e i
cambiavalute installati nel loro commercio. La festa religiosasi è trasformata anche
per le autorità religiose in occasione di guadagno (il grande ovile sul monte degli
ulivi da cui provenivano gli agnelli era proprietà di Anania – diminutivo di Hanna,
suocero di Caifa, che aveva anche tutte le licenze di macellazione…)
[15] Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio (ierou) con le
pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi,
Questa è un’azione anomala di Gesù, violenta:
• Zaccaria ultimo dei profeti minori, nell’ultimo versetto del suo testo
(14,21), scrive che quando il Signore verrà a giudicare tutti i popoli e
prenderà possesso del suo tempio non ci sarà più un mercante
(letteralmente: cananeo) nel tempio. Gesù quindi dice che è arrivato colui
che è davvero il Signore della storia.
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• Gesù non scaccia dal tempio peccatori ed esclusi, ma definisce peccatori
coloro che sono l’anima del tempio. C’è qui una forte denuncia di stampo
profetico del culto ipocrita, sia pure praticato in nome del Signore (cfr. Is
1,10-15; Am 5,21-25).
• le pecore, che qui vengono nominate per prime, indicano il popolo, che
viene rinchiuso nel tempio per essere sacrificato, mentre Gesù buon
pastore è colui che le libera. Questa lettura è avvallata dai termini usati
(scacciò tutti panta exebalen come in Gv 10,4 quando parla del buon
pastore che conduce le pecore fuori dal recinto).
• I cambiavalute si vedevano passare per le mani enormi quantità di denaro
(ogni maschio sopra i 20 anni pagava una tassa annuale di mezzo siclo, che
manteneva sacerdoti e tutto il personale con le famiglie): Gesù si pone
contro quello che era un punto nevralgico per il sistema economico del
tempo in Palestina, e la più grande banca di tutto il medio oriente.
Questi elementi ci aiutano a capire perché, in particolare secondo i sinottici, questo
gesto di Gesù sia stato determinante per far sì che ne venisse decisa la morte.
[16] e ai venditori di colombe disse: "Portate via queste cose e non fate della casa
(oikon) del Padre mio un luogo (oikon) di mercato".
E’ utile ricordare che le colombe erano l’offerta dei poveri: è per questo che non
vengono liberate? O forse si allude anche al modo nuovo di entrare in relazione con
Dio, non offrendo una colomba ma accogliendo il dono dello Spirito (forma di
colomba) che Dio stesso ci fa?
Ad un livello immediato, Gesù si mostra scandalizzato del fatto che si commerci nel
luogo della preghiera. Questo è un aspetto, ma non è l’unico. In realtà ciò che fa
soffrire Gesù è anche la (ancora tanto attuale…) prassi di commercio della salvezza,
in cui il sacro (il tempio ma anche la casa del sacro, la casa di Dio che è in noi) è il
luogo del do ut des… l’idea di Dio che sostiene questa prassi è quella che fa soffrire
Gesù, che vede così stravolto il volto del Padre ridotto ad un padrone, o ad un
mercante. Infatti vediamo che Gesù non parla più di tempio, ma di casa,
contrappone i due modi in cui si può stare nella casa, con un padre: nella relazione
di fiducia-fede o nella relazione di interesse.
Noi oggi siamo una Chiesa (ek-kaleò = chiamati fuori) e andiamo a pregare in una
chiesa, e non in un tempio, perché non è più il luogo fisico a determinare il valore
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del nostro incontro ma il nostro esserci, essere usciti da noi per andare a Lui che dà
valore all’incontro.
[17] I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa (oikou sou) mi
divorerà (kataphaghetai).
I primi a reagire al gesto di Gesù sono i discepoli, che subito colgono assonanze
scritturistiche in quello che fa. Collegano le sue azioni al salmo 69,10, lo stesso
salmo che Giovanni cita due volte in relazione alla passione (15,25 e 19,29). Questa
scelta dà un senso pasquale a questi fatti, ed assume profondo significato il verbo
finale: Gesù afferma - io sarò ‘mangiato’ dallo zelo per la Tua casa – . I discepoli però
non capiscono l’autentica natura di Gesù: lo ‘zelo’ che rimanda all’agire di Elia pieno
di zelo per il Signore e alle profezie di Malachia sulla purificazione del tempio
avrebbero fatto pensare ai discepoli che Gesù era il restauratore atteso del vero
culto, con un nuovo fraintendimento… è solo dopo Pasqua, come vedremo nel v. 22,
che sarà davvero chiaro il senso autentico del gsto.
[18] Allora i Giudei presero la parola (apekrìthesan = risposero) e gli dissero: "Quale
segno (semejon) ci mostri per fare (che ti autorizzi a fare) queste cose?".
Il gesto di Gesù è un gesto interrogativo, fa sorgere domande. E’ tipico del Vangelo
che tutti coloro che non credono chiedano continuamente dei segni. Ed è
interessante che il Vangelo di oggi sia quello di Lazzaro e del ricco epulone che
chiede un segno per i suoi fratelli…
[19] Rispose loro Gesù: "Distruggete (lusate = disfate, sciogliete) questo tempio
(naòn) e in tre giorni lo farò risorgere (eghero = innalzerò)".
Qui troviamo il terzo nome con cui si indica il tempio: dallo ieròn (area sacra, la
spianata recintata da colonnati) alla casa (senza connotazioni sacrali, ma che indica
una relazione di familiarità con Dio) al naòn – santuario, il Santo dei Santi, luogo
della presenza di Dio.
Va sottolineato che Gesù, alla richiesta di un segno, pone come prima risposta
un’azione compiuta non da se stesso ma dagli altri: siete voi che disfate/sciogliete la
relazione con Dio, ne allontanate la presenza. La forma verbale è poi quella che
Bultmann definisce di imperativo ironico, come se dicesse: “Continuate così e
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vedrete come disferete questo santuario, come scioglierete la relazione con Dio. Io
in tre giorni la innalzerò/risusciterò”.
Il verbo egheiro innalzare/risuscitare è inusuale per un edificio (i sinottici scrivono
oikodomein ‘ricostruire’). E’ chiaro che con questa risposta Gesù sta spostando il
piano della discussione dal livello materiale/oggettivistico al livello salvifico: sta
anticipando la propria morte e risurrezione.
[20] Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio (naòs) è stato costruito in quarantasei
anni e tu in tre giorni lo farai risorgere (lo innalzerai)?".
I giudei non capiscono e restano fermi al piano delle cose.
Questo dato è comunque molto interessante: calcolando dall’inizio della costruzione
più 46 anni, arriviamo a stabilire la data della discussione nell’anno 27/28 d.C.,
precisamente alla Pasqua del 28 d.C. Se aggiungiamo che la cronologia concorda con
quanto dice l’evangelista Luca sul ministero del Battista, abbiamo una coordinata
precisa per la vita di Gesù, che morirebbe quindi secondo questa ricostruzione di
date il 7 aprile dell’anno 30, venerdì, per risorgere il 9, domenica di Pasqua.
[21]
Ma
egli
parlava
del
tempio
(naou)
del
suo
corpo.
Questa è una rivoluzione, davvero. Dio abita nel corpo/umanità di Gesù. Il suo
Spirito donato farà del corpo di ogni cristiano ‘tempio dello SS’.
Alla grandezza di questa vocazione non pensiamo mai abbastanza, quando nella
nostra carnalità tradiamo la vocazione a rispecchiare in noi l’immagine di Dio, ed
usiamo mani, piedi, occhi, bocca, per divorare, offendere, ferire, oltraggiare,
trascurare…
[22] Quando poi fu risuscitato (egherthe) dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che
aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Solo dopo Pasqua i discepoli capiscono davvero che lì c’è di più. Di più di ogni
possibilità immaginativa umana, il nuovo atto creativo di Dio che in Cristo fa nuove
tutte le cose e le persone.
[23] Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i
segni
(semeja)
che
faceva,
credettero
nel
suo
nome.
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[24] Gesù però non si confidava (episteme = non credeva in loro) con loro, perché
conosceva tutti [25] e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un
altro (sull’uomo), egli infatti sapeva quello che c'è (nell’uomo) in ogni uomo
Questi due versetti sono redazionali. Ci dicono solo di una forma di ‘segreto
messianico’ presente anche in Giovanni, ossia della reticenza di Gesù a condividere
con la gente la propria missione, certo com’era che sarebbe stata fraintesa in senso
terreno. La sua messianicità è di tipo assolutamente diverso.
La domanda che dovrebbe accompagnarci verso Pasqua è quindi:
abbiamo intuito qualcosa della messianicità di Gesù? Comincia ad essere chiaro il
tempio verso cui lui ci conduce? Abbiamo scoperto dove abita sul serio?
Non siamo noi ad abitare vicino a Dio, ma è Dio – Trinità che dimora in noi. E’ un
nuovo tempio, uno spazio senza pareti, da cui sono volate via colombe, scappate
pecore e buoi; Cristo è lì a lottare contro i nostri mercanteggiamenti, perché
possiamo riscoprire la luce divina che ci abita, curare le nostre nostalgie di pienezza,
vivere finalmente da salvati.
Non è un percorso facile, è Passione ed è Pasqua.
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