L`ultima sonata

Transcript

L`ultima sonata
Linguissimo 2008-2009
L’ultima sonata
Margot Calderoni
Le mie dita scorrevano dolcemente sui tasti. Il fruscio del vento mi accompagnava,
suonando armoniosi arpeggi che volavano all’interno della mia mente e il mio cuore
batteva un regolare ritmo. Il sole, il cielo e le immense praterie si rincorrevano
cantando. Sentivo le vene pulsare ed il sangue scorrere, dopo essere stato ghiacciato
per tanto tempo. Troppo. Il suono che le mie mani producevano era solo una piccola
parte di tutta l’armonia. Era quella piccola parte che avevo gettato via per paura di
soffrire. Quella era la prima volta che suonavo dopo che te n’eri andato. Il mio valzer
continuava a crescere e le immagini di quel giorno mi si rappresentarono innanzi,
nitide.
Mi riportarono ad un anno addietro, in un giorno di un Aprile ormai lontano, un
giorno che era iniziato come uno qualunque. Il dolce ticchettio della pioggia aveva
bussato alla mia finestra, dandomi un “buongiorno” degno di una canzone di Chopin.
Penso che non scorderò mai il sogno che stavo facendo. Eravamo in mezzo ad una
prateria, io e te, baciati dal sole. Tu ti avvicinasti porgendomi una corona di
margherite, con gli occhi azzurri e profondi, che si confondevano con l’azzurro del
cielo sovrastante. Mi sorridesti, un sorriso caldo, che mi riempì il cuore. Mi dicesti: “
per la ragazza più bella che abbia mai visto …” così era iniziato tutto. Avevo sognato il
nostro primo incontro. Semplice, ma di un valore inestimabile. Era passato un anno
esatto da quel giorno, e il sentimento che era nato in me cresceva ogni giorno di più.
Un crescendo forte, progressivo. Con gli angoli della bocca che si aprivano in un
sorriso, mi alzai. Ricordo di aver pensato che per nulla al mondo mi sarei fatta
rovinare quella giornata, perché era la nostra giornata. Il destino mi sputò in faccia.
Mi vestii in tutta fretta, con una grande energia in corpo, ma soprattutto con
un’immensa voglia di te. Passai davanti allo specchio giusto per vedere se ero
presentabile e poi corsi fuori. La fresca brezza del mattino e la pioggia stavano
cantando una dolce melodia, che mi rallegrò ancora di più. Mi misi a cantare con loro.
Cantare mi libera, da tutto e da tutti. O forse semplicemente libera il mio animo, che
fragile e sensibile, morirebbe senza una musica che lo tiene in vita. Questa volta erano
i miei passi a tenere il ritmo, perché il mio cuore, per chissà quale motivo, intonava
una canzone a parte. Svoltai l’angolo, e lì, in una posa statuaria, appoggiato al
muretto vicino alla fermata del bus, c’eri tu. Ti voltasti verso di me. Mi sorridesti. Mi
bastò. Ti corsi incontro e ti gettai le mani al collo. Il tuo profumo era irresistibile, era
quasi una droga per me. Era. Mi prendesti per mano, e ti misi a correre. “ dove
andiamo?” “ segui il suono del vento …” era l’unica cosa che mi disse. Tra noi non
servivano parole, gli occhi, le mani, il cuore parlavano da se. Era come una musica,
che cantavamo senza la consapevolezza di farlo. Mi manca quella musica.
Arrivammo innanzi ad una catapecchia. Anche se non era ospitale, anzi, faceva
addirittura un po’ paura, io ero tranquilla, perché c’eri tu al mio fianco. Entrammo.
Era una sala vecchia e vuota. Vi era solo un mobile d’arredamento: un pianoforte.
Stava esattamente al centro della stanza, con un’immensa regalità. Cosa che stonava
nell’insieme di quel marciume. Ci avvicinammo, tu ti sedesti e mi facesti posto
accanto a te. “ questa sei tu …” e iniziasti a suonare. La frase che pronunciò era
adeguata, esatta, perché io mi riconobbi perfettamente in quella melodia. Iniziava
lentamente, con alcuni arpeggi, poi man mano che procedeva aumentava di intensità
e di suono. Io. Che inizialmente posso sembrare fragile e timida, ma che in realtà
nascondo un cuore di leone. Le tue mani erano veloci, seducenti. Ma non erano
l’unica cosa che suonava. Tu, tu eri la musica. Io ero in te. Facevamo parte della stessa
luna, io uno spicchio, tu l’altro.
Tutto avvenne in un arco di tempo brevissimo. La porta si aprì di scatto. Nella stanza
irruppero tre uomini. Ricordo ancora il ghigno sulla bocca di quello più robusto.
Quello che mi tolse una parte del mio cuore. Avanzarono verso di noi. In quel
momento avevo paura. Sentivo che qualcosa stava per cambiare per sempre. Ti
presero e ti gettarono in un angolo. Un colpo solo. Forte. Tu cadesti a terra, senza
nemmeno un lamento, con ancora quel brillio lucente negli occhi, ed un rivolo di
sangue che ti inondava il petto. Mi gettai sul tuo assassino, ma due mani possenti mi
attaccarono dal dietro e mi paralizzarono. “ se non stai buona farai la stessa fine.” È
l’ultimo ricordo che possiedo di quei dannati uomini, perché con la facilità con cui ti
uccisero, mi tirarono un forte colpo in testa. Penso di essere stata senza coscienza per
qualche ora. È stato il paradiso, perché almeno non dovevo confrontarmi con la
realtà. Purtroppo il paradiso è un’utopia.
Aprii gli occhi. Provai a muovermi, e un senso di stordimento mi inondò. Mi girai
appena per vederti. Eri esattamente lì dove ti avevo lasciato: accasciato contro il
muro. Mi avvicinai, con le lacrime che mi perforavano il viso. Il tuo petto era fermo, e
il tuo cuore di pietra. Solo dopo quella consapevolezza mi resi conto che mai più ti
avrei visto sorridere, mai più avrei sentito il suono della tua voce. Non avrei mai più
rivisto l’azzurro caldo dei tuoi occhi. Avevi smesso di cantare. La tua musica era
finita. Ma la mia no.
Linguissimo 2008-2009
Il mio rapporto con la musica
Sara Martinovic
Musica. Cos’è la musica? Per tante persone la musica è solo qualcosa da scaricare da
Internet, spostare nel lettore mp3 e da ascoltare per riempire i buchi vuoti di
giornata. Per altri la musica è qualcosa di specialmente straordinario, la linfa della
vita, essenziale, da non poterne fare a meno.
La musica è qualcosa di grandioso e ingegnoso, una combinazione di suoni che
scandisce il ritmo della vita e dà colore alle giornate.
A mio parere la musica è la base di tutto, basta ascoltare il proprio corpo. Porta un
dito sul polso oppure sul collo. Lo senti? Quello è il cuore, ed ebbene sì, pure quella è
musica, un battito che cambia di ritmo, accelera o decelera a seconda del nostro stato
fisico. E il respiro? Non lo senti il respiro? Già, pure quello. Musica allo stato
naturale, puro.
Non ti è mai capitato di sentire un ritmo, ed improvvisamente i tuoi muscoli iniziano
a muoversi senza che tu neanche te ne renda conto? È semplicemente il corpo che
segue il suo istinto naturale, quella voglia di danzare forse non l’avevi, ma il richiamo
è troppo forte e dopo un po’ non si riesce a resistergli.
Mi riesce difficile spiegare quale sia il mio rapporto con la musica, poiché non trovo le
parole per esprimermi, ma credo che qualche esempio basterà per farti capire quanto
essa sia indispensabile per me.
Sin dalla mia più tenera infanzia ho espresso il mio amore per lei, e a nove mesi
cantavo e facevo esibizione della mia acuta voce. Più avanti è stato il tempo di
trombette, tamburi, chitarre e tastiere, e ovviamente, l’importante era sempre
cantare.
All’età di otto anni e mezzo il mio ardore per la musica è stato tanto forte da spingere
i miei genitori a iscrivermi ad una scuola di musica, dove ho preso lezioni di teoria,
solfeggio e di clarinetto.
Il clarinetto è lo strumento ideale per me: ho la possibilità di suonare altri strumenti
ad ancia senza fatica, l’importante è dare sempre e costantemente il sostegno d’aria
col diaframma. Certamente, senza amore non si può suonare uno strumento, le note
non sono le stesse, e se non c'è amore, quella travolgente passione, presto finisce la
voglia di suonare.
Attualmente sto frequentando il secondo anno dei corsi di perfezionamento della
scuola Febati, cercando di raffinare il suono e le mie qualità. Sono socia attiva di una
banda, la Filarmonica Verzaschese con sede a Tenero, nella quale mi piace suonare,
poiché siamo tutti accomunati da un’unica grande passione: la musica e la voglia di
farla.
Certo, per alcuni è solo un passatempo divertente, ma per me si tratta di ben di più.
Cosa sarebbe la mia giovinezza senza quelle due ore settimanali dedicate alla musica
insieme ad altri musicanti? Che senso avrebbe aspettare con ardore il lunedì sera?
No, senza musica tutto questo non avrebbe senso.
La stessa passione è paragonabile al canto: appena ne ho la possibilità, canto. Canto
quando mi sveglio il mattino, canto mentre vado a scuola, canto nelle pause, a volte
canticchio anche durante le lezioni, canto quando sono felice e quando sono triste,
quando sono nervosa e quando sono tranquilla e rilassata.
Sono una ragazza che trova una canzone per ogni situazione, sia che ad avere un
problema sono io sia che ce l’abbia uno dei miei amici. Non c’è nulla che mi tiri su il
morale, che lenisca un dolore o che mi aiuti ad andare avanti meglio delle canzoni.
Perlopiù ascolto tutti i tipi di canzoni e tutti i generi, ma fondamentalmente le mie
canzoni preferite sono quelle italiane dagli anni ’60 in poi e la musica rock con le sue
varie sfumature.
Molti giovani della mia età si concentrano solo su un genere musicale, spesso il punk,
il metal e il rap, ma io no, sono la pecora che non segue il gregge, e vario lo stile a
seconda dei miei umori e dei miei desideri. Che dire, sono matta? Forse, matta per la
musica.
Noi uomini non siamo gli unici ad apprezzare il fenomeno musicale, e basta aprire
una finestra d’estate per capire che è così: quanti grilli e quante cicale stanno
cantando in questo momento? E quanti uccellini stanno esibendosi in serenate per le
loro care?
E dall’altra parte del mondo, come stanno facendo il pinguino, il delfino e il leone
marino per trovare una compagna? Emettendo dei suoni che a noi potrebbero non
dire niente, ma credo fermamente che pure quella sia musica, così come il frusciare
dell'acqua dei fiumi e dei ruscelli, il rumore delle onde del mare e quelle dei laghi.
Ognuno è differente, ma in ognuno di questi suoni possiamo ritrovare delle melodie
armoniose.
Togliere la musica agli esseri viventi sarebbe come togliere il nettare alle api. Che ne
sarebbe di loro? Morirebbero di fame come noi moriremmo di noia, di monotonia e
di dolore. La musica è divina, l'unica cosa che dal Paradiso ci è stata concessa dopo la
vita. Ecco com’è il mio rapporto con lei, sarebbe come togliermi l’aria se non ci fosse,
è un’arte incancellabile dal mio ego più interiore, lei è un tatuaggio indelebile che fa
male ma che rifarei mille e mille volte ancora, perché come dicono Bocelli e Giorgia,
la musica è una musa che ispira, rendendo ogni giorno uguale e al medesimo tempo
diverso dall’altro, dandoti una spinta in più per affrontare un'alba nuova.
Ecco cos'è la musica!
“Per sua natura la musica non può spiegare niente: né delle emozioni, né dei punti di
vista, né dei sentimenti, né dei fenomeni della natura. Essa non spiega che se stessa.”
I. Strawinskij
Linguissimo 2008-2009
La grande famiglia (vivere con una rock band)
Francesca Orelli
Mi sveglio, la testa persa in un vortice. Con gesti meccanici, afferro il cellulare:
mezzogiorno e venti minuti. Sei ore di sonno, calcolo a memoria, e dopo ieri sera ne
avrei bisogno di almeno dodici, se non di dormire tutto il giorno, per recuperare.
Sfortunatamente però non sono mai stata una dormigliona.
Il miagolio della gatta mi giunge ai neuroni. Solo allora decido di alzarmi.
Barcollando verso la cucina, le immagini di una serata scorrono davanti ai miei occhi,
come un film: l'arrivo al locale, nel primo pomeriggio; il controllo del suono, insieme
alle prove di tre canzoni; la compagnia dei musicisti, le chiacchiere, le risa; la
fremente attesa, seguita dal concerto; una birra alla loro salute, per spegnere il fuoco
del movimento; la fine, poi in macchina insieme ad altri ragazzi presenti al concerto,
dopo il rituale saluto di congedo a tutti i musicisti, diretti verso Bellinzona; la notte, il
treno. Stamattina, mezza addormentata e con le iridi fisse nel contenuto di una
scatoletta di cibo per animali, sorridente e con un chiodo nel capo: ma è stato un
sogno o era la realtà ciò che ho vissuto?
Avevo appena quattro anni, quando la musica rock entrò nella mia vita, divenendo il
perno di un'esistenza, l'ispirazione dei racconti che amo scrivere. Se davanti ai
genitori mi mostravo come una bambina qualunque, con i suoi pregi e i suoi difetti,
fuori ero una ribelle scatenata che amava (e ama tuttora) il rock dell'epoca d'oro,
quella tra gli anni settanta e gli ottanta, oltre ad essere un'attenta ascoltatrice, forse la
più giovane, dei gotthard. Con il passare del tempo però, la mia passione musicale si
rivolse tutta verso quest'ultimi, prendendo spunto dalle loro canzoni per scrivere.
Una sorta di limbo che portai fino al liceo, poi al primo d'apprendistato, quando,
seccata del secondo insuccesso scolastico e maledicendo la mia ingenuità per aver
creduto di potercela fare, avevo abbandonato gli studi per lavorare.
Un frammento di ricordi: in quell'anno uscì il loro nuovo lavoro. Nonostante il titolo
avesse stuzzicato la mia attenzione, dopo aver sentito il chitarrista del gruppo
parlarne in radio, scoprii ben presto cos'era: un insieme di commercialismo,
sommato ad una sfrenata voglia di vendere. L’hard-rock melodico che conoscevo e
tanto amavo era morto, sostituito da insieme di effetti elettronici che non aveva più
nulla a che fare con il mio credo, la mia scrittura, la mia stessa vita. Non avevo mai
visto così tanta grigia disarmonia, tutta assieme. Ne ero distrutta.
Un anno dopo, realizzando la decisione della scuola professionale che frequentavo,
mi trasferii ad Intragna per lavoro.
E lì, a pochi passi da quel paese, a Cavigliano, incontrai per la prima volta i ragazzi
degli alto voltaggio, durante un concerto all'aperto. Era una notte stellata e c'erano
poche presenze, in netto contrasto con il pienone del pomeriggio, ma ciò non mi
impedì di rimanere conquistata dalla loro grinta e dalla musica. Ritrovai la gioia,
l'armonia che credevo di aver perso insieme ai personaggi fantastici e alla mia Musa
ispiratrice. Terminata l'esibizione, tornai a casa e, per il mio stupore, riversai un fiotto
di parole sulle schermo del computer, tale era la forza creativa risvegliata.
Iniziai a seguirli in ogni posto dove andavano. Dopo aver visto quattro concerti, uno
dietro l'altro, entrai ufficialmente nella loro famiglia.
In due anni ho girato tutto il Ticino per sentirli in concerto, trascorrendo molte notti
insonni ad attendere il primo bus della mattina o saltare a bordo di macchine
sconosciute, per farmi portare alla stazione più vicina, pur di vederli suonare sino alla
fine. Malgrado sia un elemento presente da tempo, non saprei spiegare nei dettagli
com'è vivere insieme ai ragazzi, prima, durante e dopo un concerto. È un'esperienza
incredibile, sotto certi aspetti decisamente paranormale. C'è una certa somiglianza
con le famiglie mafiose: in cima alla piramide c'è il capoband, il chitarrista. Lui si
occupa di prendere accordi con i promoter per le serate, quali ingaggio, cena, tecnico
del suono e via discorrendo: è una persona molto spietata sul lavoro, ma sotto la
scorza è gentile e si preoccupa che tutto funzioni bene per noi e per chi interverrà al
concerto. Seguono gli altri musicisti e il tecnico del suono. Infine veniamo noi donne,
divise in fidanzate e groupies, accomunate da un'unica passione: la musica.
Insieme agli alto voltaggio giriamo in tour, sostenendoli con la nostra presenza.
L'atmosfera in una data è sempre tesa ai massimi livelli, ovunque ci troviamo. C'è
sempre molto da fare prima dell'arrivo del pubblico: montare l'impianto, controllare
che funzioni; poi i ragazzi iniziano a suonare due o tre canzoni, per vedere se gli
strumenti, specie il basso e la chitarra, sono in regola. La durata del montaggio e del
sound-check solitamente sorpassa l'ora e mezza, ma può capitare che duri molto di
più se succedono problemi tecnici. Tra un pezzo e l'altro, i musicisti si alternano tra il
palco, il bar e una possibile zona relax, dove a volte succede di trovarsi davanti ad uno
di loro che, avendo suonato la sera prima, si strofina gli occhi dalla stanchezza.
Comportamento comprensibile: nessuno ha mai detto che far musica sia il lavoro più
facile e rilassante del pianeta, perché sei sottoposto ad un continuo cambiamento di
luoghi e il corpo non è certo fatto di acciaio, oltre ad essere un abitudinario per
eccellenza.
Terminate le prove, dietro le quinte e distanziati dagli altri ospiti del luogo del
concerto, passiamo il tempo a raccontare aneddoti, cenando insieme, intercalando
qualche risata e commento pungente a questo o a quell'altro film o concerto. Uno
spasso: due dei musicisti vengono dal meridione italiano, dalla Calabria e dalla Puglia
più precisamente e, quando iniziano con i loro dialoghi, una passeggiata tra l'italiano
e il dialetto di quelle zone, diventa impossibile restare seri,. Il risultato poi è per tutti
è un bel viso peperoncino calabrese e le mascelle slogate dal ridere. Chissà poi al
momento del concerto, mi domando, sempre più fremente ed elaborando un'idea di
racconto. I concerti cominciano verso le undici di sera, quando c'è molta gente. Ne
approfittiamo quindi per bere qualcosa, con il capoband che ride e scherza e mima un
atteggiamento di questo o di quell'altro compagno musicista, in un'atmosfera
goliardica e parecchio gioiosa. Trascorriamo così le ore, finché lui, alzatosi, va a
domandare al gestore a che ora devono iniziare. Torna poi dalla missione trafelato,
dicendo agli altri di sbrigarsi: l'esibizione è stata anticipata di un quarto d'ora. I
musicisti scompaiono nei camerini, mentre noi andiamo a metterci in prima fila,
davanti ad un gruppo di fans scatenati in attesa.
Ma aspettano per poco: gli alto voltaggio sono finalmente sul palco ed attaccano con il
primo pezzo. Un delirio: ho l'impressione che mi sbuchino delle ali, pronte a portarmi
nel paradiso e la fantasia viaggia ad alta velocità, come in preda ad un potentissimo
miracolo. Avverto un grande senso di libertà, un flusso trascinatore che spegne il
raziocinio, risvegliando la mente ad una dimensione elevata, priva di affanni e futili
preoccupazioni. Il ritmo si fa più martellante, l'aria è satura di calore e le immagini si
susseguono a velocità supersonica.
Mi faccio largo tra i presenti per andare al bar. Ritorno, seppur con fatica e ascolto
estasiata. Dopo due o tre ospiti, chiamati sul palco a suonare, il chitarrista torna alla
sua postazione.
Le note di un pezzo famoso dei Motley Crue iniziano a rimbombare, le chitarre sono
surriscaldate e il suono somiglia a quello di una motocicletta impazzita che non vede
l'ora di correre. In questo somiglia alla fantasia e alla mia voglia di creare, diventate
insostenibili. Ah, se avessi il computer, mi dico e pregando l’orologio di non correre.
Gli avventori del locale si muovono come posseduti.
Non voglio fermarmi, non ora, per favore! Continuo a ripetere all'orologio sfrontato.
Ma la mia preghiera non viene esaudita e, al suono lugubre dell' "Ace of Spades" ,
seguito da altre due canzoni richieste da un pubblico festante, il concerto termina e le
luci si riaccendono. Iniziano ad echeggiare le voci delle cameriere, che chiedono a
tutti di andare a casa. Io resto ancora un po' e, dopo varie richieste, trovo un
passaggio in macchina. Chiedo all'autista di aspettarmi, perché voglio salutare i
ragazzi. Scambio di baci di congedo con tutti i musicisti, da ultimo il capoband, che
mi dice "Ci rivediamo al prossimo live". Parto, pensando alla storia, ormai ultimata e
che aspetta solo di essere scritta e a quanto mi piacerebbe avere una macchina del
tempo per ritornare indietro a rivedere ogni cosa.
Questo è il mio rapporto, oltre che la mia filosofia: musica e scrittura sono come due
sorelle, anche se non gemelle, che si completano a vicenda. Entrambe suscitano
emozioni, guidano in mondi fantastici e squarciano le menzogne del nostro
quotidiano, dandoci una visione della vita più libera dai pregiudizi preconfezionati ed
esaltando qualità nascoste. Perché anche sotto spessi strati di benzina e metallo, si
nasconde un cuore fantasioso e in grado di voler bene al prossimo.
Perché anche nel piccolo universo di una rockband, una grande famiglia, si può
imparare a vivere meglio ogni secondo che scorre del grande fiume dell'esistenza.
Linguissimo 2008-2009
Il pianoforte
Patrik Zanchetta
Ogni volta che una persona lambiva i miei tasti, accingendosi a suonare un brano
dalla leggere melodia, nelle mie corde prendeva il sopravvento una calma apparente.
Questo accadeva parecchi anni fa, e ora non è più cosi. Non è dovuto dall’usura dei
miei tasti e nemmeno delle mie corde, sebbene anche la loro età lasci un po’ a
desiderare, ma al visibile fatto che solo qualche inesperto e curioso ospite, del
proprietario della casa nella quale purtroppo mi trovo, osa lasciare delle piccole orme
sui miei tasti bianchi ricoperti di grigio accennando appena una insignificante nota.
Ormai è da più di tre anni che la mia vecchia carcassa giace in questo grande salone
di una villa in periferia.
La persona alla quale io appartengo, sembra avermi dimenticato. L’unica musica che
sento è quella del figlio ventenne, una musica anti melodica che segue un ritmo
fremente di suoni elettronici che urtano la mia sensibilità ad un genere certamente
più significativo che un continuo dum, dum, dum che porta solo il mal di testa a chi
non ne è avvezzo.
Una volta o forse due negli ultimi tre anni sono riuscito a udire in lontananza il suono
di un altro pianoforte accompagnato da più violini, probabilmente a una qualche
festa di un vicino che sembra non aver abbandonato o perlomeno dimenticato quale
suono abbia la vera musica.
Il mio passato è stato sicuramente diverso e molto più intenso del presente che sto
vivendo. Ho avuto il piacere di fare da canale tra i sentimenti, stati d’animo di autori e
persone che condividevano la loro stessa passione, partecipare a matrimoni e alle
prime di artisti nel pieno delle loro carriere.
Non molti sono riusciti a farmi vibrare le corde con i loro brani, ma quando ci
riuscivano un’indescrivibile emozione mi assaliva e non mi sarei mai stancato di
ascoltare quella musica per lunghe ore. Peccato che io non potessi esprimere le mie
personali opinioni e condividerle direttamente con tutte le persone che vivono nel
mondo della musica classica.
È stato certamente un lunghissimo periodo durato più di un secolo pieno di
indescrivibili emozioni scatenate dalle moltissime opere alle quali partecipai.
Venivo spostato spesso di teatro in teatro e di padrone in padrone. Ne ricordo un in
particolare, aveva delle mani veramente possenti e quando suonava sembrava di più
che mi stesse facendo una massaggio. Il termine “usare i guanti di velluto” per lui di
sicuro non esisteva, ma poco importa. Quest’uomo trovava un posto nei miei ricordi
perche fu proprio lui a salvarmi dalla rottamazione ma non so proprio perche lo fece ,
dato che nella sua modesta abitazione c’era già un altro piano. So solo che gli sarò
grato a lungo.
Nel passare degli anni ho sentito molti generi musicali dal Jazz al Bluse, dal Rock al
pop. Si è passati da una musica melodica, che certo non mi dispiaceva, anzi la gradivo
parecchio, ad una musica elettronica quale il pop, che quando la sento ringrazio di
non avere nessuna elettronica all’interno della mia carcassa in legno pregiato.
Il periodo più buio della mia vita fu quello passato nel magazzino di un locale che si è
avvalso della mia preziosa presenza, in sala, per due misere serate tra l’altro
fallimentari per la mancanza di un vero artista. Dopodiché venni rimpiazzato da uno
di quei pianoforti elettrici di ultima generazione che nulla poteva contro il mio suono.
Ma certamente questa gente, ignorante in materia, non la poteva sentire la differenza
e solo un vero intenditore l’avrebbe potuto notare.
Ho passato parecchio tempo in quel buco, e ho avuto il tempo di ripensare a quello
che avevo vissuto, piaceri e dispiaceri, momenti di vera passione e momenti bui che
promettevano il peggio. Posso dire però con certezza di aver avuto un fantastico
rapporto con chi condivideva la mi stessa vera passione, la musica.
La persona che adesso mi ospita, in condizioni migliori di quel magazzino, mi ha
salvato da quel locale. Durante il primo anno di permanenza nella su villa tutti i
giorni esso suonava delle belle composizioni che mi faceva riassaporare la vera
espressione della musica. Il tempo che passava a suonare diminuiva con la stessa
velocità dell’arrivo della stagione rigida.
Il fatto che lui sembra essersi dimenticato della mia presenza, non è dovuto alla
crescita continua della tecnologia e nemmeno dall’affievolimento della sua passione,
bensì dalla malattia che si sta portando via la sua mobilità.
Sia lui che io ci stiamo spegnendo, vivendo gli ultimi scampoli di vita nei ricordi di
quello che fu, consapevoli che poca passione per questa musica è rimasta, ma nella
speranza che essa possa essere salvata come capitò a me.