Belinskij (italiano)

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Belinskij (italiano)
associazione culturale Larici – http://www.larici.it
Vissarion Grigor’evič Belinskij
Pietroburgo e Mosca
Петербург и Москва
18441
1 Stralcio in Il pensiero democratico russo del XIX secolo. Scritti di Bielinski, Herzen,
Cerniscevski, Dobroliubov, a cura di G. Berti e M.B. Gallinaro, Firenze 1950, pp. 3-27;
note dei curatori (N.d.C.) e del redattore (N.d.R.). L’illustrazione riprende Belinskij che
applaude a una rappresentazione de L’ispettore generale di N. Gogol’, a Mosca. Il saggio
di Belinskij in russo e l’opera di Gogol’ in italiano sono in http://www.larici.it.
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Come tutti i grandi uomini Pietro il Grande apparve in tempo per la
Russia, benché per molte cose non somigliasse agli altri grandi uomini. Le
sue virtù, la sua statura gigantesca e il suo aspetto fiero e maestoso,
insieme al forte ingegno creativo e alla volontà titanica, tutto ciò somigliava
al paese nel quale era nato, al popolo che egli doveva far rinascere, al paese
sconfinato ma non ancora unito in una coesione organica, al suo popolo
grande, ma ancora oscuramente presago del suo grande destino. Perciò
Pietro doveva anzitutto creare se stesso e trovare i mezzi di questa
autoeducazione non negli elementi della vita sociale della sua patria, ma
fuori di essa, e la sua prima guida fu la negazione. Perfetti ignoranti e
fanatici lo accusarono di disprezzo verso il proprio paese, ma essi
s’ingannavano: Pietro era legato alla Russia dall’innato e irriducibile
sentimento della propria grande missione nel futuro. Pietro amava
appassionatamente questa Russia, della quale egli stesso era
rappresentante; ma nella Russia vedeva due paesi, quello che egli aveva
trovato e quello che doveva creare: a quest’ultimo appartenevano il suo
pensiero, il suo sangue, i suoi sforzi, le sue fatiche, tutta la vita, tutta la
gioia e la felicità della sua vita. Discepolo dell’Europa, egli rimase russo
nell’anima, ad onta di quegli stolti, ancor oggi numerosi, i quali credono che
l’europeismo debba trasformare l’uomo russo in non russo e che quindi tutto
ciò che è russo non possa poggiare se non sulle forme incolte della vita
asiatica. Mosca, la capitale del regno di Mosca, che pure per la sua stessa
situazione si trovava già al centro della Russia, non poteva corrispondere
alla visuale di Pietro circa una riforma radicale e generale: a lui occorreva
una capitale sul mare. Ma questo mare non esisteva, perché le rive degli
oceani settentrionali e orientali e il Mar Caspio non potevano servire
all’avvicinamento della Russia con l’Europa. Bisognava conquistare senza
indugio un nuovo mare. Due mari gli si offrivano a tale scopo: il Mar Nero e
il Baltico. Ma per dominare il primo egli doveva tenere l’Ucraina in saldo
possesso e non semplicemente sotto la sua alta protezione, cosa che si
avverò solo dopo il tradimento di Mazepa. Inoltre, egli doveva togliere ai
turchi la Crimea e impadronirsi delle vaste steppe desertiche adiacenti al
Mar Nero, ma per conservare il possesso di queste zone bisognava
popolarle: una fatica impari ai tempi e forse inutile. La capitale sulle rive del
Mar Nero, infatti, avrebbe avvicinato la Russia non all’Europa ma, se mai,
alla Turchia ed avrebbe polarizzato le forze della Russia verso un punto
tanto lontano che essa si sarebbe trovata per così dire ad avere la propria
capitale in territorio straniero. Non così il Mar Baltico. I suoi paesi costieri
erano noti fin dall’antichità alla spada russa; molto sangue russo era stato
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sparso su di essi e lasciarli sotto lo straniero, non fare del Baltico il confine
della Russia, significava tenere aperte per sempre le porte di questo paese
alle invasioni nemiche e chiuderle per sempre ai rapporti con l’Europa.
Pietro comprese perfettamente tutto ciò e la guerra con la Svezia divenne
pertanto di necessità il compito principale di tutta la sua vita, la molla
essenziale di tutta la sua attività. Revel 2 e specialmente Riga parevano
chiedere di diventare la nuova capitale della Russia, il punto in cui
l’elemento russo si sarebbe scontrato faccia a faccia con l’europeo, non per
dissolversi in esso, ma per assimilarlo. Ma Revel e Riga vennero a Pietro
solo in un secondo tempo, poiché dapprima egli non chiedeva molto, solo un
cantuccio sulle coste del Baltico, e non aveva tempo di indugiare in attesa di
conquiste; egli doveva affrettarsi, vivere, cioè creare e operare, e perciò,
quando Revel e Riga divennero russe, la città di S. Pietroburgo esisteva già
da sette anni, era costata tanto denaro e tante fatiche e, grazie all’Isola di
Kotlin e alla Neva col suo estuario, presentava una situazione così propizia e
seducente per il genio del trasformatore che era già tardi e gli sarebbe stato
penoso pensare ad un altro posto per la nuova capitale. Già da tempo egli
guardava a Pietroburgo come alla propria creatura, l’amava come figlia del
suo pensiero creatore; forse lui stesso più di una volta aveva sentito quanto
difficile e disperata fosse questa lotta con la natura selvaggia, ostile, col
terreno paludoso, col clima umido e malsano, in una regione desolata e
lontana da centri abitati dai quali si potessero ottenere viveri; ma la forza
incrollabile della volontà trionfò di tutto; il genio è ostinato appunto perché
genio e quanto più dura è la lotta, che intiepidisce i deboli, tanto maggiore
per esso è il godimento di sviluppare dinanzi al mondo e a se stesso tutta la
ricchezza delle sue inesauribili energie. Solenne fu il momento in cui,
nell’esplorazione delle rive selvagge del Golfo Finnico, nacque nel Grande
l’idea di fondare qui la capitale del futuro impero. In quel momento si
concludeva tutto un poema, vasto e grandioso; e soltanto un grande poeta
poté indovinare e compendiare tutto il suo ricco contenuto in questi pochi
versi:
Di onde deserte sulla riva
e nella mente con pensieri grandi stava
e lontano mirava, egli. Maestoso
si snodava il fiume ed un povero scafo
solitario vi si avventurava.
Sulle sponde irsute e paludose
qua e là nereggiavano le isbe
asilo al gramo finlandese
e intorno, sconosciuto ai raggi
del sole nascosto nella nebbia,
mormorava il bosco.
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Antico nome di Tallinn (N.d.R.)
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Ed ei pensava:
di qui minacceremo lo svedese.
Qui la città da noi sarà fondata
ad onta del vicino superbioso.
Dalla natura qui a noi è dato
sull’ Europa una finestra aprire
e fermo porre il piede qui sul mare.
Qui per onde a loro sconosciute
le bandiere tutte a noi verranno
ospiti e qui banchetteremo
spaziosamente.
Passarono cent’anni e la città
prodigio splendido di paesi nordici
da buio di boschi, da fango di paludi
sontuosa e superba s’è inalzata;
e dove prima il pescatore finnico,
alla natura figliastro melanconico,
solitario dalle basse sponde
gettava nelle acque sconosciute
l’antica rete, là oggi
sulle rive fervide di vita,
agili profili di castelli e di torri
si elevano ed i vascelli,
in folla, da tutti i confini della terra
accorrono verso i ricchi moli.
Di granito si rivestì la Neva
e ponti sovrastano le acque;
di giardini verdicupi
l’isole si ammantarono.
Alla giovane capitale costruita
la vecchia Mosca s’inchina
come dinnanzi alla nuova zarina
la vedova porporata3.
La costruzione di Pietroburgo fu improvvisata: in un mese si fece quello
per cui sarebbe occorso un anno. La volontà di un solo uomo vinse la stessa
natura. Pareva che il destino medesimo, ad onta di tutti i calcoli di
probabilità, volesse gettare la capitale dell’impero russo in questo angolo
ingrato ed ostile per natura e per clima, dove il cielo è di un verde pallido,
l’erba grassa si mescola all’erica rampicante, al muschio, alla vegetazione di
palude e a poggetti grigi; dove regnano il pino selvatico e il triste abete e
non sempre rompe la loro opprimente monotonia la gracile betulla, questa
pianta del nord; dove le esalazioni umide delle paludi penetrano nella pietra
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Da Il cavaliere di bronzo di Pusckin. (N.d.C.)
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delle case e nelle ossa dell’uomo; dove non esiste né primavera, né estate,
né inverno, ma per tutto l’anno infierisce un autunno fradicio di umidità, che
si diverte a parodiare ora la primavera, ora l’estate, ora l’inverno… Pareva
che il destino volesse che l’uomo russo, fino allora immerso in un sonno
profondo, si fabbricasse sudando sangue in una lotta disperata il proprio
avvenire, poiché solide sono soltanto le vittorie riportate a prezzo di dure
fatiche, solo le conquiste ottenute a costo di patimenti e di sangue. Forse,
con un clima più benigno, in una natura meno ostile, con l’assenza di
ostacoli insormontabili, l’uomo russo si sarebbe presto inorgoglito dei suoi
facili successi e la sua energia si sarebbe di nuovo assopita, senza essere
neanche riuscita a svegliarsi completamente. Anche per questo, colui che gli
venne inviato dal destino non fu soltanto un sovrano e un condottiero, si
servì non tanto della propria autorità quanto del suo stesso esempio per
scuotere l’ignoranza inveterata e l’infingardaggine nutrita di secoli:
Eroe oppure accademico,
carpentiere o navigatore,
universale nell’animo,
fu eterno lavoratore4.
Malgrado tutta la sua attività senza precedenti nella storia, la Pietroburgo
che Pietro il Grande lasciò era ancora una cittadina troppo povera e
insignificante perché si potesse darle importanza. Pareva che questa
cittadina, nata per forza dalla volontà di un uomo grande, non dovesse
sopravvivere al suo costruttore. Il volere di uno dei suoi successori poteva
condannarla all’oblio eterno o ad un’esistenza grama e meschina… Ma è
appunto qui che emerge in tutto il suo fulgore il genio creativo di Pietro il
Grande: i suoi piani, i suoi progetti dovevano durare eternamente. Qui sta il
diritto e la forza del genio: egli pone una pietra a base di un nuovo edificio e
ne lascia il disegno; i suoi successori vorrebbero magari spostare l’edificio
altrove, ma non riusciranno mai a trovare una pietra basilare così solida,
mentre la pietra collocata dal genio è così grande che non si può neanche
sognare di spostarla con le forze umane. Pietroburgo non poteva non
sopravvivere, perché alla sua esistenza era strettamente legata l’esistenza
dell’impero russo, subentrato al regno di Mosca. E Pietroburgo crebbe non di
giorno in giorno, ma di ora in ora.
Così la Russia si trovò ad un tratto con due capitali, la vecchia e la nuova,
Mosca e Pietroburgo. Questa circostanza eccezionale non rimase senza
conseguenze più o meno importanti. Mentre Pietroburgo cresceva e si
abbelliva, anche Mosca si trasformava a modo suo. Per effetto della
inevitabile invasione dell’europeismo, da una parte, e della permanenza
degli antichi elementi di immobilità, dall’altra, ne venne fuori una città
bizzarra, nella quale si mescolano in un quadro variopinto i tratti più spiccati
della cultura europea e asiatica. Adagiata sopra una enorme superficie, pare
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Dai versi dal titolo Stanze di Pusckin (N.d.C.)
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chissà che città immensa. Ma se ti avvicini e la percorri vedi che alla sua
vastità contribuiscono non poco i lunghi interminabili recinti. Edifici
imponenti non ve ne sono; le case più grandi è difficile dire se siano grandi
o piccole; esse non pretendono a dignità architettonica. Nella loro
architettura è intervenuto chiaramente il genio dell’antico regno di Mosca,
fedele alla sua aspirazione verso gli agi domestici. Basta girare un’ora per le
vie tortuose ed oblique di Mosca per accorgersi subito che è la città
dell’intimità patriarcale: le case sorgono isolate l’una dall’altra, provviste
quasi tutte di uno spazioso cortile rivestito di erba e circondato dai servizi. Il
più povero moscovita, se è sposato, non può fare a meno della cantina, e
quando prende a pigione un appartamento si preoccupa più della cantina
per le provviste alimentari che non delle stanze nelle quali dovrà vivere.
Non di rado, anche per il più povero moscovita, il sogno più caro di tutta la
sua vita è di metter fine al suo vagabondare di appartamento in
appartamento e di avere una casetta propria. Ed ecco che, tanto per lenire
l’affanno, chiamando in soccorso il tradizionale «chissà», egli acquista o
prende in affitto per un certo numero di anni un pezzo di terreno libero in
un posto abbandonato e in cinque e talvolta dieci anni si costruisce una
casetta a tre finestre, comprando il materiale ora a credito, ora d’occasione,
destreggiandosi come meglio può. Ed alla fine arriva il giorno agognato del
passaggio alla propria casa; la casetta è meschina, ma in compenso è sua,
e poi ha il cortile – ci si possono anche allevare i polli e il vitellino; ma
l’essenziale è che la casetta ha la cantina, che si vuole di più? Le casette di
questo tipo a Mosca non si contano e a ciò si deve in parte la sua
estensione, se non la sua magnificenza. Se ne trovano persino nelle vie
migliori, tra le case più belle, allo stesso modo che palazzine di pietra a due
o tre piani s’incontrano nelle vie più brutte e più remote, in mezzo alle
casupole. Per il russo che è nato e vissuto a Pietroburgo senza mai uscirne,
Mosca è non meno sorprendente che per lo straniero. In viaggio verso
Mosca il nostro pietroburghese vedrebbe naturalmente Novgorod e Tver, che
però non lo preparerebbero del tutto alla visione di Mosca, sebbene
Novgorod sia anch’essa una città antica, ma soltanto per la sua cittadella,
del resto assai modesta, col duomo di S. Sofia, notevole per antichità, non
per mole o eleganza. Le vie di Novgorod non sono tortuose e neppure
anguste; molte case con la loro architettura e perfino col loro colore
ricordano Pietroburgo. Neanche Tver potrà dare al nostro pietroburghese
un’idea di Mosca: le sue vie sono ampie e diritte, e come città di provincia
essa è abbastanza bella. Di conseguenza, giungendo a Mosca per la prima
volta, il nostro viaggiatore entrerà in un mondo nuovo. Invano cercherà la
via principale, una via che egli possa paragonare alla Prospettiva Nevski. Gli
mostreranno Tverskàia ed egli si troverà con stupore in una via stretta e
tortuosa, in salita, con una piazzetta da una parte, una via sulla quale la
casa più grande e più bella sarebbe per Pietroburgo assai modesta come
mole ed eleganza. Abituato alle linee diritte e agli angoli retti egli
rimarrebbe stranamente colpito vedendo che una casa sporge di qualche
passo sulla strada, come per guardare che cosa vi accade, mentre un’altra
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se ne sta indietro, quasi per boria o per modestia, a seconda del suo
aspetto; che tra due case di pietra abbastanza grandi si è installata
comodamente una decrepita casupola di legno che, appoggiata ai muri delle
case vicine, non sembra molto contenta che queste non le permettano di
cadere e, per giunta, la riparino dal freddo e dalla pioggia; che accanto ad
uno splendido negozio di mode si apra una botteguccia di tabaccaio, o una
lurida bettola o una altrettale birreria. E il nostro pietroburghese rimarrebbe
ancor più stupito nell’accorgersi che nello strano grottesco di questa via sia
la sua bellezza. Sul ponte Kuznezki troverà lo stesso quadro, ad eccezione
delle casupole di legno; in compenso egli vedrebbe casette di pietra con
negozi di mode, ma in miniatura, talché gli verrebbe di domandarsi se,
nuovo Gulliver, non sia per caso capitato nel regno di Lilliput… Benché un
vero pietroburghese non si meravigli e non si entusiasmi di nulla, pure non
potrebbe trattenersi da qualche esclamazione ad alta voce quando, dai viali
che cingono Mosca – il suo migliore ornamento, che Pietroburgo ha tutto il
diritto di invidiare – ora in salita ora in discesa, vedesse tutt’intorno
anfiteatri di tetti che si alternano al verde dei giardini; e se al posto delle
chiese ci fossero i minareti egli si crederebbe trasportato in una città da
Mille e una notte. Questo spettacolo forse gli piacerebbe e, almeno per la
primavera e l’estate, egli rinuncerebbe a cercare la capitale e la città dove,
in compenso, vi sono paesaggi così pittoreschi…
Molte vie di Mosca, come la Tverskàia, Arbàtskaia, Povàrskaia, Nikitskaia,
e i viali Tverski e Nikitski, sono fiancheggiati in gran parte da case
«padronali» (parola moscovita!). Qui vedrete più comodità che non
grandezza ed eleganza. Su tutto troverete l’impronta dell’intimità
famigliare: la casa comoda, spaziosa, ma sempre per una sola famiglia, il
cortile ampio e all’ingresso, nelle sere d’estate, i domestici. Dovunque
segregazione, isolamento; ognuno se ne sta in casa e si apparia
gelosamente dal vicino. Ciò si nota ancor più nello Zamoskvorèc5, in questo
rione di mercanti e piccoli borghesi: tendine alle finestre, portone chiuso;
quando si bussa risponde il latrato del cane alla catena, tutto è morto, o
meglio assopito; la casa o la casupola somiglia ad un fortino che si sia
preparato a sostenere un lungo assedio.
In genere Mosca, pur tanto celebre per la sua ospitalità, si estrania dalla
vita cittadina, dalla vita collettiva. L’intimità della famiglia domina quasi
tutte le manifestazioni di vita dei moscoviti. Anche i rapporti di parentela
hanno tutt’ora grande importanza a Mosca. Qui nessuno vive senza parenti.
Non amare e non rispettare i parenti, a Mosca, è peggio che essere libero
pensatore. Dove il sentimento familiare è tanto sviluppato, la parentela non
può non essere tenuta in grande onore. Mosca fino alla morte di Pietro il
Grande era il rifugio dei nobili d’alto rango caduti in disgrazia e il posto di
riposo dei magnati ritiratisi dagli affari. In conseguenza di ciò, essa aveva
acquistato un certo carattere aristocratico, che si sviluppò particolarmente
sotto il regno di Caterina II. Chi non ha sentito parlare del fasto dei potenti
5 Zamosvkoreč’e, sulla riva destra della Moscova. (N.d.R.)
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a Mosca, dei conviti che essi davano nelle loro magnifiche sale a invitati e
non invitati, a persone conosciute e sconosciute, in città e in campagna, dei
loro festini favolosi? Anche per questo lato Mosca rimaneva fedele all’antico:
alterigia e munificenza, dissipazione e spensieratezza trovavano in essa un
comodo rifugio. Ma a poco a poco Mosca cominciò a diventare una città
commerciale e industriale. Essa veste oggi tutta la Russia con i suoi
manufatti di cotone; la periferia e tutto il distretto sono popolati di fabbriche
e stabilimenti grandi e piccoli. Sotto questo aspetto neppure Pietroburgo
può misurarsi con lei, poiché la sua stessa posizione centrale la destinava ad
essere il centro dell’industria interna.
Mosca va fiera delle sue antichità storiche, dei suoi monumenti, è anzi la
personificazione dell’antichità storica sotto l’aspetto sia estrinseco che
intrinseco. Ma, allo stesso modo che la vita della città, così pure le sue
antichità anteriori a Pietro presentano uno strano miscuglio col nuovo: del
Cremlino è rimasta solo la pianta, perché non si fa che ritoccarlo e
aggiungervi nuovi edifici. Lo spirito del nuovo alita anche su Mosca e
cancella a poco a poco la sua impronta antica.
Abbiamo cominciato con Pietroburgo e ci siamo dilungati su Mosca, ma
questo non significa che siamo usciti fuori argomento. Noi abbiamo due
capitali: come parlare dell’una se non la si paragona all’altra? Solo da
questo raffronto si possono desumere le caratteristiche di ciascuna di esse.
Niente, a questo mondo, esiste invano: se abbiamo due capitali vuol dire
che sono entrambe necessarie, e questa necessità si compendia nell’idea
che ciascuna di esse esprime. Pietroburgo rappresenta un’idea e Mosca
un’altra. Quale sia quest’idea si può sapere solo facendo un parallelo tra
l’una e l’altra città. Perciò, parlando di Pietroburgo torneremo spesso a
Mosca. Per ora abbiamo trovato che il carattere distintivo di Mosca è la vita
familiare.
A Pietroburgo si è abituati a pensare come ad una città costruita non sulle
paludi ma quasi nell’aria. Molti affermano seriamente che è una città senza
reliquie storiche, senza tradizioni, senza legami col resto del paese, una
città costruita su palafitte e per calcolo. Tutte queste opinioni sono già un
po’ invecchiate e sarebbe tempo di metterle da parte. Per un granello di
verità si accredita un cumulo di menzogne. Pietroburgo città senza storia,
senza tradizioni?… È un’assurdità che non merita di essere confutata! E
tutto per via del fatto che Pietroburgo è troppo giovane, addirittura una
bimba in confronto della vecchia Mosca. Ma è dunque possibile che un
giovane, il cui ingresso nella vita è segnato da grandi imprese, non sia un
uomo storico solo perché ha pochi anni sulle spalle, mentre un vecchio
qualsiasi è un uomo storico solo perché è vissuto molto? Mosca, la capitale
del regno di Mosca, non solo è vissuta molto ma ha visto molte cose,
anch’essa ha la sua storia, nessuno lo nega; ma cos’è tutta la sua storia in
confronto del grande epos della vita di Pietro il Grande? E non è forse
Pietroburgo strettamente legata a questa biografia epica? Negare
l’importanza storica di Pietroburgo non significa dunque disconoscere il
valore di Pietro per la storia russa? Parlando delle reliquie storiche ci
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chiedono: dove sono a Pietroburgo questi monumenti sui quali sono passati
i secoli senza distruggerli? Si, è vero, di questi monumenti Pietroburgo non
ne ha e non può averne, perché sono passati appena 141 anni dal giorno
della sua fondazione; ma in compenso è essa stessa un grande monumento
storico. Qui scorgete dappertutto le tracce vive del suo costruttore e per
molti – noi compresi – queste piccole costruzioni, come ad esempio la
casetta di Pietro I nei dintorni di Pietroburgo, il palazzo del giardino
d’Estate, il palazzo di Peterhof, valgono non uno, ma molti Cremlini… Che
volete farci, ognuno ha i suoi gusti! Pietroburgo è stata costruita per calcolo,
è vero; ma perché il calcolo dev’essere da meno del caso cieco? La
saggezza dei secoli dice che il chiodo di ferro, fabbricato dal rude braccio del
fabbro di campagna, è superiore a qualsiasi fiore creato dalla natura,
superiore nel senso che il primo è il prodotto dello spirito cosciente, mentre
il fiore è il prodotto di una forza spontanea. Il calcolo è appunto uno degli
aspetti della coscienza. Dicono inoltre che Pietroburgo non ha niente di
originale, che è la comune incarnazione dell’idea della città capitale e che
somiglia pertanto come una goccia d’acqua a tutte le capitali del mondo. Ma
a quali propriamente? Alle vecchie, come ad esempio Roma, Parigi, Londra,
essa non può somigliare; quindi, per questo lato, il paragone non regge. Se
somiglia ad altre città, ciò può dirsi se mai delle grandi città del
Nordamerica, che furono del pari costruite per calcolo. Forse che in queste
città non c’è niente di originale, di proprio? Forse che nei muri di una città,
in ogni sua pietra, scorgere l’avvenire non significa scorgere qualcosa di
originale, anzi di stupendamente originale? Ma Pietroburgo è più originale di
tutte le città dell’America, perché è una città nuova in un vecchio paese, e
quindi una nuova speranza, il magnifico avvenire di questo paese. Delle due
l’una: o la riforma di Pietro il Grande fu soltanto un grandioso errore storico
o Pietroburgo ha un significato incommensurabile per la Russia. Di qui non
si scappa: o il nuovo assetto della Russia, in quanto falso e illusorio,
scomparirà presto senza lasciar traccia o la Russia si è staccata per sempre
e irrevocabilmente dal suo passato. Nel primo caso, naturalmente,
Pietroburgo è la creatura casuale ed effimera di un’epoca che aveva preso
una direzione sbagliata, un fungo cresciuto nel giro di una notte e destinato
a perire in un giorno; nel secondo caso, Pietroburgo è un fenomeno
necessario ed eterno, una quercia robusta e maestosa che concentra in sé
tutti i succhi vitali della Russia. Alcuni uomini politici che non hanno mai
messo il naso fuori di casa ma si ritengono sorprendentemente profondi,
credono che, siccome Pietroburgo nacque per improvvisazione, crebbe e si
allargò, ma non per opera dei secoli, e deve la sua esistenza alla volontà di
un solo uomo, così un altro uomo, dotato del potere necessario, può pure
abbandonarla, costruirsi una nuova città in un altro angolo della Russia.
Opinione puerile! Non è tanto facile ideare e realizzare queste cose. Ci fu un
uomo che ebbe non solo il potere ma anche la forza di compiere il miracolo
e ci fu l’attimo in cui questa forza poté concretarsi in questo miracolo.
Quindi, per un nuovo miracolo di questo genere, occorrono di nuovo due
condizioni: non solo l’uomo, ma anche il momento. L’arbitrio non produce
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nulla di grande; le cose grandi muovono dalla necessità razionale. L’arbitrio
non potrà mai costruire e plasmare in breve tempo una grande città:
l’arbitrio, forse, può solo costruire una torre di Babele, col risultato non della
rinascita del Paese verso un grande avvenire ma della confusione delle
lingue.
L’Algarotti scrisse, a suo tempo: «Pietroburgo è una finestra attraverso la
quale la Russia guarda sull’Europa»6, – felice espressione che in poche
parole condensa un grande pensiero. Su questo poggia Pietroburgo, e non
sulle palafitte, dalle quali del resto non è tanto facile strapparla. Essa
incarna un’idea, e da ciò il suo grande significato, il suo sacro diritto ad
un’esistenza imperitura. Dicono che Pietroburgo rispecchia soltanto gli
aspetti esteriori dell’europeismo. Mettiamo che sia così; ma nello sviluppo
della Russia, del tutto opposto all’europeo, cioè nello sviluppo dall’alto in
basso e non dal basso in alto, l’esteriorità ha un significato molto maggiore
di quanto non si creda. Che cosa vedete nella poesia di Lomonosov? Pura
forma, parole russe costrette in una costruzione latino-germanica; pensieri
copiati, dei quali però non esisteva il più lontano barlume nella società in
mezzo alla quale e per la quale Lomonosov scriveva i suoi versi retorici!
Eppure Lomonosov è considerato – e non senza motivo – il padre della
poesia russa, di quella poesia la quale pure vanta un poeta come Pusckin.
Occorre forse dimostrare che se da noi non fosse stata introdotta questa
poesia morta, di imitazione, puramente esteriore, non sarebbe nata
neanche la poesia viva e originale di Pusckin? Dunque, talvolta, anche
l’esteriorità serve a qualche cosa; anzi, a volte, l’esteriore porta con sé
l’interiore.
Vi sono uomini saggi che disprezzano tutto ciò che è esteriore. L’idea,
l’amore, lo spirito e basta; ai fatti, al mondo pratico, alla vita quotidiana essi
volgono le spalle. Vi sono altri uomini saggi che, all’infuori dei fatti e
dell’azione non vogliono saper altro, e nell’idea, nello spirito, non vedono
che sogni. I primi ascrivono a proprio particolare onore assumere un’aria
sprezzante quando si parla al loro cospetto, ad esempio, della costruzione
delle ferrovie. Questi mezzi, intesi ad elevare la dignità morale del paese,
sembrano loro fallaci ed insignificanti; essi attendono ogni cosa dal miracolo
e credono che un bel mattino la civiltà scenderà bell’e pronta dal cielo e il
popolo non dovrà fare altra fatica che di raccattarla e di ingoiarla senza
neppur masticare. I savi di questo genere già da tempo si onorano del nome
di romantici. I savi della seconda categoria sognano ad occhi aperti strade,
ferrovie, fabbriche, commerci, banche, società: questo è il loro ideale della
prosperità del popolo e dello stato; lo spirito, l’idea, sono ai loro occhi
fantasticherie, sogni vani. Sono i classici del nostro tempo. Senza
appartenere né agli uni né agli altri, in questi ultimi se non altro vediamo
6 Bielinski cita qui un passo di una delle lettere di Algarotti a Milord Hervey, in data 30
giugno 1739, da Pietroburgo: «Ma qual cosa le dirò prima, qual poi di questa città; di
questo gran finestrone, dirò così, novellamente aperto nel norte, per cui la Russia guarda
in Europa?» (N.d.C.). – [Le lettere di Algarotti sono in http://www.larici.it. (N.d.R.)]
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qualcosa, mentre nei primi non vediamo un bel niente. Esistono due modi
per infondere una nuova sorgente di vita nell’organismo in letargo del corpo
sociale: il primo è la scienza, lo studio, il libro, nel senso più lato, quale
mezzo di diffusione dell’idea; il secondo è la vita, intendendo con questo
termine le forme ordinarie della vita di tutti i giorni, i costumi e le abitudini.
L’uno e l’altro mezzo sono ugualmente importanti ed efficaci, e il secondo è
forse ancor più importante, nel senso che lo studio, l’idea, acquistano
importanza e validità solo quando entrano nella vita, divengono per così dire
un uso o un’azione abitudinaria. Niente è più forte e più saldo dell’abitudine:
è molto più facile convincere gli uomini di una qualsiasi verità con la logica
che non piegarli all’applicazione pratica di questa verità, se a ciò si oppone
l’abitudine. Ci sembra che a Pietroburgo sia toccato in sorte sopratutto
questo secondo mezzo di diffusione e affermazione dell’europeismo nella
società russa. Pietroburgo serve di modello a tutta la Russia per quanto
riguarda le forme di vita, a cominciare dalla maniera di porre un mattone
fino ai supremi misteri dell’architettura, dalla eleganza tipografica fino alle
riviste verso le quali si polarizza tutta l’attenzione del pubblico. Paragonate
la vita di Pietroburgo a quella di Mosca e nella loro differenza, o meglio nel
loro contrasto, vedrete subito il significato dell’una e dell’altra città. A
Pietroburgo non esiste isolamento domestico, familiare. Pietroburgo ama la
strada, i passeggi, il teatro, i caffè, la ferrovia, in una parola ama tutto ciò
che è manifestazione di vita collettiva. Pietroburgo non può vivere senza
giornali, manifesti e ogni altro genere di comunicazione delle notizie e delle
idee.
La casta superiore, ossia le alte sfere della società, rappresenta in tutte le
città del mondo qualche cosa di esclusivo. Il gran mondo di Pietroburgo,
ancor più che altrove, è una vera «terra sconosciuta» per quanti non
godono in essa del diritto di cittadinanza; il gran mondo pietroburghese è
una città nella città, uno stato nello stato. I non iniziati ai suoi misteri
guardano ad esso di lontano, a rispettosa distanza, guardano ad esso con la
bramosia e lo struggimento col quale il viandante smarritosi nelle sabbie
dell’Arabia guarda al miraggio che gli porge l’illusione di un’oasi fiorente; ma
l’inaccessibile paradiso del gran mondo, vigilato dalla mazza del portiere e
da una folla di camerieri, vestiti da marchesi del sec. XVIII, non li degna di
uno sguardo. Gente degli strati più diversi del medio ceto ascolta con
intensa attenzione il rumore lontano e per essa incomprensibile del gran
mondo e interpreta a modo suo gli aneddoti che le giungono all’orecchio,
deformandoli ingenuamente. In una parola, costoro si preoccupano del gran
mondo come se senza di esso non potessero respirare. Non contenti di ciò,
si mettono d’impegno ad imitare le abitudini del gran mondo e à force de
forger giungono alla beata convinzione di appartenere anche loro al gran
mondo. Naturalmente, il vero gran mondo riderebbe di cuore se venisse a
sapere di questi innumerevoli pretendenti ad una stretta parentela con
esso; nondimeno, la smania di considerarsi appartenente o vicino al gran
mondo giunge nel medio ceto di Pietroburgo fino alla frenesia. Perciò, a
Pietroburgo, le varie sfere del «gran mondo» non si contano. Le sfere
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superiori guardano in basso con un’aria di scherno ora solenne ora sorniona,
le sfere inferiori guardano in alto col dispetto dell’orgoglio offeso. Il bon ton
è il punto debole del pietroburghese. L’ultimo impiegato con uno stipendio di
non più di settanta rubli, per amore del bon ton spiccica all’occasione una
frase francese storpiata, l’unica che sia riuscito a cacciarsi in mente; per via
del bon ton egli si veste sempre da un buon sarto e porta guanti gialli, non
importa se sudici. Le ragazze, anche quelle delle classi più basse, non sanno
fare a meno di condire le loro lettere con qualche sgrammaticata frase
francese e se volete piacere a queste ragazze non c’è miglior modo che di
scriver loro intercalando il francese al russo: con ciò darete prova di
considerarle come ragazze istruite e di bon ton. Esse amano anche i versi,
specie le strofette dei vaudevilles7; ma alcune sono di gusti così raffinati da
elevarsi fino alla poesia di Benediktov, e queste sono le ragazze delle
famiglie di funzionari più aristocratiche e più per bene…
A Mosca il gran mondo è un’altra cosa. E chi non appartiene ad esso non
se ne cura, rimanendo totalmente immerso nella sfera del proprio ceto. Il
nucleo principale della popolazione di Mosca è costituito dai mercanti. Nove
decimi di questa numerosa categoria portano una barba ortodossa,
ereditata dagli antenati, un lungo pastrano di panno turchino, stivaloni con
nappe; un decimo si permette di radersi la barba e per il modo di vestire e
di vivere si avvicina talora alla nobiltà. Quante vecchie case di nobili sono
passate oggi nelle mani di mercanti! In genere questi palazzi, monumenti di
costumi e di abitudini che hanno fatto il loro tempo, sono stati adibiti quasi
tutti a scuole ed istituti o sono diventati, come abbiamo detto, proprietà di
mercanti ricchi. Alla base della classe dei mercanti c’è una classe ancor più
numerosa, la piccola borghesia, che si è creata una speciale foggia di
vestire, parte russa e parte tedesca, un’assurda mescolanza di russo e di
europeo. La piccola borghesia è onnipresente, dovunque esista una città
russa, sia pure un grande centro commerciale.
Ma a Mosca c’è ancora un’altra specie di medio ceto: il medio ceto colto.
Non crediamo necessario spiegare che cosa deve intendersi, qui da noi, per
classi colte. Chi non sa che in Russia esiste una netta linea di separazione
tra le classi colte e le classi non colte? Questa linea è segnata in primo
luogo dal modo di vestire e dalle abitudini, indice di una spiccata pretesa
all’europeismo, e in secondo luogo da un maggiore o minore attaccamento
alla lettura. Su quest’ultimo punto si può dire con certezza che chi legge
assiduamente sia pure La Gazzetta Moscovita già appartiene al ceto colto,
se, oltre a ciò, nel modo di vestire e nelle abitudini si attiene al tipo
occidentale. Tra i requisiti essenziali dell’uomo colto c’è chi mette anche il
rango, sebbene, da un po’ di tempo a questa parte si cominci a capire che
anche senza rango si può essere istruiti, allo stesso modo che ignoranti col
rango. Peraltro, questa opinione non è affatto penetrata nelle classi inferiori
7 Tipo di poesia dal carattere per lo più arguto e malizioso, intonata su una melodia
popolare o popolareggiante, molto in voga in Francia nel Settecento, ma di origine più
antica. (N.d.R.)
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della società e il mercante milionario, lisciandosi la barba, potrà magari
atteggiarsi ad uomo d’ingegno (l’ingegno occorrente per gabbare il prossimo
), mai però ad uomo colto. A Mosca, la classe colta è abbastanza numerosa
e oltremodo varia. Malgrado ciò, tutti i moscoviti si somigliano e sembrano
usciti dallo stesso stampo.
I moscoviti sono gente aperta, espansiva, ma alla maniera russa, anzi
moscovita. Essi amano vivere e in realtà, a modo loro, vivono bene. Chi non
ha sentito parlare del club inglese e del club tedesco, ai quali si è aggiunto
ora il club dei nobili, della cordiale ospitalità moscovita? In quale altra città
al mondo potete sposarvi e mangiare con tanto agio come a Mosca? Dove,
se non a Mosca, potete impiegarvi, commerciare, scrivere romanzi,
pubblicare riviste, senza altro scopo che di svago e di riposo? Dove, se non
a Mosca, si può cercare riposo e ristoro alla salute? Dove, se non qui, potete
parlare quanto vi piace dei vostri lavori presenti e futuri, passare per l’uomo
più attivo del mondo e infine non concludere nulla? Dove, se non a Mosca,
non si sente il rammarico di non far nulla? Appunto per questo Mosca è la
mèta di tanti oziosi che vengono dalla provincia a darsi bel tempo, a far
baldoria, a cercar moglie. Appunto per questo si notano certe fogge di
vestiti che a Pietroburgo, sulla Prospettiva Nevski, farebbero inorridire. Mai
preoccupato, il moscovita, con la sua espressione aperta e cordiale, ha l’aria
di chiedervi: dove pranzate oggi? Chi per poco conosce Mosca non può non
sapere che oltre al comfort inglese esiste anche il comfort moscovita,
caratterizzato dallo sfarzo e da una larga ospitalità. I moscoviti si
differenziano così nettamente dai non moscoviti che, ad esempio, il signore,
il poeta, il pensatore, il letterato, l’impiegato di Mosca sono tutti dei tipi,
delle classificazioni tecniche assolutamente incomprensibili per chi non vive
a Mosca. Ciò deriva dalla situazione singolare in cui Mosca venne a trovarsi
con la riforma di Pietro il Grande. Essa compendiò in sé la triplice idea di
Oxford, Manchester e Reims. Mosca è una città industriale. A Mosca si trova
non solo la più antica ma anche la migliore università russa, alla quale
accorre da tutti gli angoli del paese la migliore gioventù. Benché in gran
parte gli studenti, finiti gli studi, lascino la città per fare qualche cosa nella
vita, pure non pochi rimangono a Mosca. Costoro, assieme a quelli che non
hanno ancora finito i corsi, formano una speciale classe media, composta di
elementi di tutti i ceti. Li unisce e livella il fatto di essere istruiti o almeno di
aspirare all’istruzione. Questa classe è un’oasi sulle sabbie mobili di tutte le
altre classi. Siffatte oasi si trovano in molte, se non in tutte le città russe, e
si compongono dove di cinque persone, dove di una sola; in certe città non
esistono affatto, e ivi è tutta sabbia coperta di erbacce e di ortica. Ad onore
di Mosca si deve riconoscere che essa è forse la città dove più abbondano
queste oasi. Ciò dipende da due ragioni: in primo luogo dalla situazione
privilegiata di Mosca, scevra di qualsiasi carattere burocratico,
amministrativo e ufficiale, e dalla sua importanza di capitale e nel contempo
di città di provincia; in secondo luogo dall’influenza dell’università. Perciò in
fatto di scienza, arte, letteratura, i moscoviti mostrano una più ampia
informazione, più gusto e sensibilità. che non la maggior parte di coloro che
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leggono o scrivono a Pietroburgo. Questo, ripetiamo, è il lato migliore della
vita moscovita. Ma le cose di questo mondo sono fatte in modo così strano
che anche le migliori presentano immancabilmente un lato debole. Tutti
sanno che non c’è al mondo popolo più erudito dei tedeschi; eppure
anch’essi hanno il loro lato debole: fino a trent’anni sono ragazzi, per il
resto della vita filistei, e mai hanno il tempo di essere uomini. Così anche a
Mosca: quelli che fanno dello studio lo scopo della loro vita, esordiscono
come giovani promettenti e poi, se non fanno in tempo a scappare da
Mosca, diventano moscoviti, e allora, essendo passato il tempo delle
promesse, rimangono nella posizione di chi ha ancora tempo per
mantenere. Questi giovani «di belle speranze», a Mosca, hanno il comune
difetto di confondere spesso i concetti più disparati, come ad esempio l’arte
poetica col contenuto, le fantasie oziose con la riflessione. A molti di loro
(salvo rare eccezioni) basta escogitare una qualsiasi teoria o fantasia ovvero
– ciò che accade più spesso – trovarla bell’e fatta, per scorgerne senz’altro
la conferma nella realtà; e quanto più la realtà smentisce il loro sogno
prediletto tanto più si ostinano a identificarlo con la realtà. Di qui i giuochi di
parole vuote di contenuto, i giuochi di concetti che non trovano riscontro nei
fatti. Tutto ciò è assai innocuo, ma non per questo meno ridicolo. Invece i
giovani che lasciano Mosca per Pietroburgo, per quanto poco possano fare
nella vita, faranno sempre qualche cosa. I moscoviti, al contrario, si limitano
a conversare e discutere su ciò che bisogna fare, discussioni spesso
intelligenti, ma sempre assolutamente sterili. La passione per la discussione
è un lato apprezzabile dei moscoviti: ma questa discussione non dà frutti. In
nessun posto vi sono tanti pensatori, poeti e perfino geni come a Mosca; ma
questi diventano più o meno noti fuori Mosca solo quando passano a
Pietroburgo; qui essi, senza scampo, o finiscono in mezzo a quella gente
che hanno sempre sferzato e diventano dei comuni mortali o trovano un
campo qualsiasi per l’applicazione delle proprie attitudini, spesso più o meno
notevoli, se non geniali. In nessun posto si parla tanto di letteratura quanto
a Mosca; con tutto ciò, a Mosca, almeno oggi, non esiste nessuna attività
letteraria. Se qui esce una nuova rivista è inutile cercarvi qualcosa che esuli
dalle chiacchierate retoriche sul significato mistico di Mosca, chiacchierate
che si basano sul cannone-Zar e sul campanone del Cremlino, come se la
città di Pietro il Grande stesse fuori della Russia e il gigante sulla piazza
Isàakievskaia non fosse anche una grande reliquia storica del popolo russo;
è inutile cercarvi qualcosa all’infuori di una moltitudine di versi alla fanciulla,
alla luna, a Ivan il Grande, alla torre Sukhàreva e talvolta – sembra
incredibile – allo spumante, quale fonte di quanto v’è di grande nel genio
nazionale russo; e tutto ciò assieme a una congerie di cattivi racconti, di
giudizi stantii sulla letteratura, impregnati di avversione all’Occidente, di
attacchi diretti o indiretti contro coloro che non appartengono alla
parrocchia di questa rivista e non restano incantati della genialità dei suoi
collaboratori. Se esce un opuscolo, sì tratta ancora una volta o di puntate
non sempre corrette contro l’occidente o di fantasie puerili circa la scoperta
di profonde verità, come ad esempio che Gogol, scherzi a parte, è il nostro
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Omero e che le Anime morte sono, dopo l’Iliade, l’unico tipo di vera epica.
Naturalmente, con questo accenno ai lati negativi non vogliamo negare la
possibilità di magnifiche eccezioni. Anche Pietroburgo, per questo, accanto
ai lati buoni, ha i suoi difetti. Mosca e Pietroburgo sono due lati o meglio
due facce della Russia, che un giorno, con la loro fusione, potrebbero
formare un tutto armonico, innestando reciprocamente l’una all’altra quanto
in esse v’è di migliore. Quest’epoca è vicina: la ferrovia avrà la sua parte…
Torniamo a Pietroburgo. Il basso ceto, propriamente il popolo minuto, è
dovunque identico. A Pietroburgo, però, il popolo minuto si differenzia
alquanto da quello di Mosca: oltre alla vodka e al tè esso ama il caffè e i
sigari; le popolane – cuoche e donne di servizio – possono fare a meno del
tè e della vodka, ma non del caffè; le contadine della campagna di
Pietroburgo hanno già dimenticato il ballo nazionale russo per la quadriglia
francese che ballano al ritmo della fisarmonica, suonata dagli stessi
ballerini: influenza del malizioso occidente, conseguenza calcolata dei suoi
artifizi infernali! Le cucitrici di Pietroburgo, e in genere tutte le donne del
popolo, vestono ormai all’europea, preferiscono i cappelli alle cuffie, al
contrario di Mosca, e quanto a gusto superano le donne di Mosca, anche di
classi più elevate. Lo stesso deve dirsi degli uomini: non sempre si può
riconoscere un domestico o un operaio dall’abito. Parlando di Mosca
abbiamo accennato al ceto dei mercanti e dei piccoli borghesi, che
rappresentano la parte più caratteristica della popolazione. Anche
Pietroburgo ha i suoi piccoli borghesi, e in numero considerevole, ma questi
hanno l’aria di gente che non è a casa sua, sembrano piuttosto ospiti o
forestieri di passaggio. Il tedesco di Pietroburgo è più pietroburghese di
costoro. Nelle strade se ne vedono più di rado che a Mosca; bisogna cercarli
nelle botteghe degli erbivendoli, nelle macellerie e nelle altre bottegucce
sparse qua e là per Pietroburgo. I garzoni e i commessi delle botteghe
situate nelle vie migliori sembrano più civili dei loro colleghi moscoviti. In
generale sono mescolati alla popolazione di Pietroburgo in modo da non
dare nell’occhio come a Mosca, anzi è difficile notarli. E a ciò si deve il
successo riportato a Pietroburgo, più che a Mosca, dalla rappresentazione
scenica di questi tipi, che pur non mancando a Pietroburgo, nello stesso
tempo riescono nuovi e col loro brusco contrasto con i costumi della
maggior parte della popolazione suscitano una viva ilarità nel pubblico.
Quanto ai mercanti di Pietroburgo bisogna dire che essi si differenziano
nettamente da quelli di Mosca. Mercanti barbuti, specialmente ricchi, a
Pietroburgo ce ne sono ben pochi; essi sembrano decisamente dei pionieri
in una città europeizzata ed abitano a preferenza in strade speciali.
Abbondano i mercanti tedeschi ed inglesi e a ciò si deve se la maggior parte
dei mercanti, anche russi, hanno piuttosto l’apparenza dei negozianti ed è
difficile distinguerli nella massa compatta costituita dal ceto medio di
Pietroburgo. Siamo giunti infine alla categoria principale (per numero e per
la comune fisionomia) di Pietroburgo. È risaputo che in nessuna città del
mondo ci sono tanti impiegati – giovani, anziani e perfino vecchi – come a
Pietroburgo. E in nessun luogo il contrasto tra l’impiegato senza beni di
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fortuna e il «signore» con casa propria e così vivo. Sotto questo aspetto
Pietroburgo è agli antipodi di Mosca. Questo netto contrasto si spiega col
diverso rapporto nel quale le due città si trovano rispetto alla Russia.
Pietroburgo è la sede del governo, una città eminentemente amministrativa
e burocratica. Un buon terzo della popolazione è composto di militari, e il
numero dei funzionari governativi è magari superiore a quello dei militari. A
Pietroburgo tutti prestano servizio, tutti brigano per un posto. A Mosca può
darsi che vi domandino: «Di che cosa vi occupate?»; a Pietroburgo vi
domanderanno
senz’altro:
«Dove
siete
impiegato?».
La
parola
«funzionario», a Pietroburgo, è altrettanto tipica che la parola «signore»,
«signora», a Mosca. Il funzionario è l’elemento tipico, il vero cittadino di
Pietroburgo. Questa è la fisionomia di Pietroburgo.
Il pietroburghese è sempre in preda alla febbre dell’attività. Spesso, in
sostanza, non conclude nulla, a differenza del moscovita che non fa nulla;
ma il «nulla» del pietroburghese, nel suo stesso giudizio, è sempre «qualche
cosa»; almeno egli sa per che cosa si affanna. Perfino nelle visite, a
passeggio, a tavola, il pietroburghese ha un’aria preoccupata, quasi
temesse di far tardi o di perdere del tempo prezioso, e non fa nulla senza
uno scopo preciso. A Mosca, anche le persone più serie, non tacciono se non
quando dormono e i giovani, specie quelli «di belle speranze», parlano
anche nel sonno e poi, se capita loro di dire in sogno qualche cosa di buono,
lo danno alle stampe. Questa, probabilmente, dev’essere l’origine di certi
prodotti letterari moscoviti. Il pietroburghese, se è un uomo serio, lesina le
parole quando non vede nella conversazione uno scopo positivo. Il suo volto
è sempre preoccupato, tetro, la sua cortesia fredda e compassata; la
conversazione verte sugli argomenti più comuni ed assume un tono serio
solo quando si parla di cose di ufficio; per il resto, al pietroburghese non
piace discutere. Dalla faccia del moscovita si direbbe che è soddisfatto degli
uomini e del mondo; la faccia del pietroburghese esprime invece che egli è
soddisfatto di se stesso, quando, s’intende, le sue cose vanno bene. Da ciò
deriva il suo sottile spirito di osservazione, si sprigiona la sua inesauribile,
sottile ironia; egli nota subito se i vostri stivali sono lustrati bene, se nei
pantaloni c’è qualche piccolo strappo, se dal panciotto pende un bottone
prossimo a staccarsi, nota e sorride malizioso, soddisfatto… In questo
sorriso, del resto, sta tutta la sua ironia. Il moscovita è indulgente verso
ogni toilette e in genere non bada a tutto quanto riguarda l’aspetto
esteriore. Egli esige sopratutto che siate una brava persona, ossia una
persona di anima e di cuore… Fin dal primo incontro attacca a discutere e
comincia a sorridere ironicamente solo quando si accorge che le vostre
opinioni non coincidono con quelle della cerchia nella quale egli declama o
ascolta declamare gli altri, cerchia che egli considera immancabilmente
come un «circolo» letterario o filosofico. In genere ogni moscovita, a
qualunque condizione appartenga, è perfettamente soddisfatto della vita,
perché è soddisfatto di Mosca e dei propri agi. In che cosa consista per lui il
godimento della vita è un’altra questione. Le persone intelligenti già da
tempo si sono messe d’accordo che il sonno robusto, l’appetito, lo stomaco
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sano, un ventre capace, la faccia piena e rubiconda e infine la capacità
invidiabile di essere sempre di buon umore sono a questo mondo l’unica
base solida della vera felicità. I moscoviti, ormai concordi su ciò, credono
inoltre che quanto meno l’uomo prende sul serio le cose, quanto meno
lavora e quanto più parla di tutto, tanto più è felice. In compenso, basta
guardare in faccia un moscovita per sentirsi prendere dalla voglia di parlar
molto, animatamente, con convinzione, ma assolutamente senza scopo e
senza risultato. Non così guardando un pietroburghese. Questi di rado ha un
colorito roseo, ma per lo più pallido, che richiama alla mente il cielo di
Pietroburgo; dal suo volto traspare quasi sempre la preoccupazione,
qualcosa di inquieto, ansioso, e nello stesso tempo una certa soddisfazione
di se stesso, qualcosa di simile all’incrollabile convinzione della propria
dignità. Il pietroburghese non va mai a dormire prima delle due di notte e
talvolta non si corica neppure; ma ciò non gli impedisce di trovarsi
puntualmente alle nove del mattino al suo posto di lavoro o al ministero.
Dopo cena egli va immancabilmente a teatro, a qualche trattenimento,
ballo, concerto, mascherata, a passeggio, o gioca a carte, a seconda della
stagione. Egli arriva in tempo in ogni posto e si diverte con la stessa
sollecitudine con la quale lavora, guardando spesso l’orologio, quasi nel
timore che il tempo lo tradisca. Il moscovita è buono come il pane,
fiducioso, conversevole e particolarmente portato all’amicizia. Il
pietroburghese, invece, non è loquace, guarda gli altri con diffidenza e con
riserbo: si direbbe che egli creda sempre di trovarsi tra le carte di ufficio o
di giocare a carte; e tutti sanno che le occupazioni importanti richiedono
silenzio e attenzione. Il pietroburghese differisce nettamente dal moscovita
anche per il modo di godere la vita: nella mensa egli cerca la raffinatezza e
l’eleganza gastronomica, non l’abbondanza. In società, a costo di annoiarsi,
non cede alla tentazione di un discorso animato, temendo di venir meno
all’etichetta e al rispetto verso il rango, a queste cose nelle quali si è
abituato a vedere la distinzione e il bon ton. Restano un’eccezione i bagordi
degli scapoli; l’uomo russo, in fatto di baldoria, è sempre lo stesso in tutti
gli angoli della Russia e nei suoi eccessi traluce sempre e dovunque
qualcosa come la vastità della steppa, qualcosa che ricorda i costumi
dell’antica Novgorod.
Mosca non è una città burocratica. I suoi impiegati, sia detto a loro onore,
fuori servizio sanno essere semplicemente uomini, sicché non li diresti
neppure impiegati. Quelli dei gradi più bassi portano ancora il nome di
«commessi» e nessuno si accorge che esistono, a meno che,
sfortunatamente, non si abbia a che fare con loro. Militari, a Mosca, ce n’è
pochi, e buona parte si trovano là solo temporaneamente, per trascorrervi le
ferie. Insomma, a Mosca non si nota quasi nulla di ufficiale e il burocratico
pietroburghese, a Mosca, sarebbe un fenomeno altrettanto strano e
sorprendente quanto il pensatore moscovita a Pietroburgo. Benché il
moscovita sia in genere più originale e indipendente del pietroburghese,
pure si abitua molto presto a Pietroburgo, quando vi si stabilisce. Dove
vanno a finire allora i sublimi ideali, le teorie e le fantasie? Sotto questo
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aspetto Pietroburgo è la pietra di paragone dell’uomo: chi, vivendo a
Pietroburgo, non si lascia prendere nel gorgo di una vita fittizia, sa
difendere la propria anima e il proprio cuore, conservare la sua dignità
umana, senza peraltro cadere nel donchisciottismo, ebbene a costui potete
tendere senz’altro la mano come ad un uomo… Su certe nature Pietroburgo
agisce come un disincanto; dapprima sembra che sia l’atmosfera, le più care
convinzioni cadono come foglie dagli alberi; ma presto ci si accorge che non
si tratta di convinzioni, ma di sogni generati da una vita oziosa e
dall’assoluta ignoranza della realtà, e si rimane forse profondamente
rattristati, ma in questa tristezza c’è tanto di vivo, di umano… Che cosa
sono i sogni? Agli occhi dell’uomo attivo – nel senso più sano di questa
parola – i sogni più seducenti non valgono la più amara verità, poiché la
felicità dello stolto è menzogna e la sofferenza dell’uomo attivo verità, una
verità che darà i suoi frutti in avvenire…
possibilìtàPietroburgo è altrettanto necessaria alla Russia quanto Mosca, e
la Russia non è meno necessaria a Mosca che a Pietroburgo. Non si può
disconoscere la grande importanza di Mosca, benché sia difficile dire in che
cosa propriamente consista. Quanto poi a Pietroburgo, la sua funzione è più
chiara a priori che a posteriori. E ciò perché ci troviamo ancora in una fase
di transizione della nostra storia; il nostro passato non è ancora così grande
da permetterci di formulare un giudizio sicuro circa l’avvenire. Quindi, se
qualche giudizio si può formulare, questo ha più il valore di un’ipotesi che di
una affermazione positiva. Parlando delle due città quali sono oggi, bisogna
sempre pensare a quello che possono diventare in avvenire. Forse, la
missione di Mosca consiste nel sostenere il principio nazionale (l’essenza del
quale, come di tante altre cose di questo mondo, non è ancora possibile
definire) e nei contrastare l’influenza straniera, in quanto questa potrebbe
rimanere assolutamente estrinseca e, quindi, infeconda qualora non
incontrasse sul suo cammino l’elemento nazionale e non lottasse con esso.
Tutto ciò che è vivo è il risultato di una lotta; tutto ciò che sorge e si
afferma senza lotta è una cosa morta. Malgrado l’evidente simpatia di
Mosca per le nuove opinioni e forse anche per le nuove idee, essa vive
sempre all’antica e non se ne rammarica. Con le nuove idee essa fa come i
tedeschi: le idee sono una cosa e la vita è un’altra. È chiaro che essa
possiede un principio conservatore suo proprio, che lungi dal piegarsi al
nuovo cede solo di qualche passo e assai lentamente. Rappresentante del
nuovo è Pietroburgo, e in ciò risiede la sua grande funzione per la Russia…
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