Giovani si diventa - La scheda del film

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Giovani si diventa - La scheda del film
CINECIRCOLO “ROBERT BRESSON”
Brugherio
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Mercoledì 3, giovedì 4 e venerdì 5 febbraio 2016
Inizio proiezioni ore 21. Giovedì anche alle ore 15
“Volevo fare qualcosa che parlasse di matrimonio e di coppie, e del modo in cui le coppie
interagiscono tra di loro. Il tutto è venuto con una presa di coscienza che ho avuto della mia vita:
quella di non avere più 25 anni. Era ovvio per tutti gli altri, ma per me era una cosa nuova. Josh lo
dice anche nel film: ‘Anche noi abbiamo appena passato i 25. Forse non appena’. Si corregge
immediatamente e credo che tutti abbiano quella sensazione per un secondo, ‘Sì ho ancora
quell’età. No, forse non è vero’. Ecco, volevo esplorare quell’aspetto.”
Noah Baumbach
Giovani si diventa
di Noah Baumbach con Ben Stiller, Naomi Watts, Adam Driver, Amanda Seyfried, Charles Grodin
USA, 2014, 97’
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'Pensi che a te non succederà mai, che sei l'unica persona
al mondo a cui queste cose non succederanno mai e poi, a
una a una, cominciano a succederti tutte, esattamente come
succedono a tutti gli altri': lo scrive Paul Auster in 'Diario
d'inverno'. Anche se l'autore newyorkese parla del sé
sessantenne, è un po' quello che succede ai poco più che
quarantenni Josh e Cornelia in questo "Giovani si diventa".
Ritratto intergenerazionale che mette a confronto i due
quarantenni di cui abbiamo detto con una coppia di
venticinquenni formata da Jamie e Derby. Josh è un regista
di documentari che, dopo il successo dei suoi primi lavori, è
impantanato da quasi dieci anni, in un nuovo progetto. Ha
sposato Cornelia, produttrice e figlia di un guru del cinema
documentario, cercando però di restare indipendente dal potere del suocero. Hanno cercato (ma non sono riusciti) di avere dei figli.
Vivono bene così. L'imprevisto e improvviso incontro con Jamie e Darby dà, all'inizio soprattutto a Josh, una scossa che Io riscuote
dal torpore nel quale, senza accorgersi, si era adagiata la sua vita. In questa sua nuova avventura coinvolge ben presto anche
Cornelia, che si emancipa dal giro delle amiche (tutte madri) con le quali si trova sempre meno in sintonia. Josh vede probabilmente
in Jamie il se stesso ventenne, scopre in lui stili di vita ideali e comportamenti che non si può più permettere, ma che, sulla spinta
vitalistica del nuovo amico, torna a coltivare. Compreso adattarsi a piccole manie (il cappello) da neohipster che agli occhi dei
coetanei lo fanno sembrare un po' ridicolo. Ma Josh è ormai preso da questa ritrovata giovinezza al punto di non accorgersi che, al
contrario, Jamie non é così genuino e disinteressato come sembra e che, comunque, l'età avanza ad una velocità inaspettata (…)
Cavalcando la moderna moda dei documentari ibridando il cinema di Woody Allen con la moda hipster, Noah Baumbach, salutato
dopo il suo "Frances Ha" come l'autore di punta della nuova scena newyorkese, mette in scena non tanto uno scontro
generazionale, quanto il confronto tra due concezioni diverse di vita (e di cinema) rappresentate da Josh (probabilmente l'autore
stesso) e Jamie. Sullo sfondo di una New York accattivante e 'cool' si dibatte di creatività e scelte di vita, di maternità e
responsabilità, si cerca una 'verità' metaforizzata nel documentario che dovrebbe essere la forma d'arte che più vi si avvicina, ma
che invece si allontana sempre di più, proprio quando si era pensato di averla afferrata.
Andrea Frambrosi - L'Eco di Bergamo
Baumbach, che ha un magnifico orecchio per il linguaggio, un'ironia acida e un buon senso del ridicolo, tratteggia a
pennellate veloci e molto divertenti, la clamorosa cotta dei quaranta e qualcosa per i ventenni e la loro vita
marziana.(…) Se - ci dice Baumbach - l'insicurezza e il narcisismo sono gli ingredienti principali della crisi di mezza
età della middle class intellettuale newyorkese delle generazione di Josh e Cornelia, le 'nuove leve' hanno un Dna tutto a
base di ambizione spregiudicata e superficialità. Dipinto com'è su uno sfondo urbano, popolato di molti personaggi,
"Giovani si diventa" (con Stiller che è un buon alter ego del regista) è una commedia di maniere e nevrosi che ricorda
quelle di Woody Allen. Che però non avrebbe mai tradito il film con il colpo di scena finale che si vede qui. Un
compromesso tutto dei nostri tempi.
Giulia D'Agnolo Vallan - Il Manifesto
Recita un proverbio anglosassone, che incita a cogliere le possibilità della vita: 'Il mondo è la tua ostrica'. Josh Screbnick, ex
regista enfant prodige impantanato da lustri nel montaggio di un documentario monstre, si chiede come esprimere l'esatto
contrario di quel detto. Borghesi colti; senza figli per scelta, lui e la moglie sono aggiornati su ogni novità tecnologica, si
godono la propria libertà. Ma l'incontro con l'aspirante cineasta Jamie e la di lui partner fa di colpo somigliare quella libertà
a una gabbia invisibile: questi due giovani hipster spontanei, amanti del vintage, allergici all'efficienza dei prodotti Apple,
sembrano aver preso possesso di quell'ostrica più di loro. Cantore dolente (da solo o col sodale Wes Anderson)
dell'amarezza del privilegio wasp, Baumbach non risparmia cattiveria né per la comunità dei trentenni maniaci di VHS e
simili, né per I suoi coetanei afflitti da crisi di mezza età. Ma la commedia dello scontro generazionale è la superficie di un
discorso più affilato e globale: quando Jamie coinvolge Josh nel suo progetto per un documentario su un reduce
dell'Afghanistan, il film si trasforma nel seguito ideale di "II calamaro e la balena", un tragicomico thriller sulla mancanza dl
talento e sull'etica dell'immagine, sul senso di fare cinema nell'era della democrazia del digitale. Sul dramma, ombelicale
Ilaria Feole – FilmTv
eppure autentico, di non riconoscere il proprio posto dentro quell'ostrica.
Diceva Picasso che ci vogliono molti anni per diventare giovani (…) C’è nell’ottimo impasto lo stock d’odio amore, nostalgia
del futuro, voglia faustiana di fermare più che un attimo e non accettare che l’artrite arrivi per tutti. Si ride e sorride
molto, anche amaro, perché di fronte c’è un buco nero che la sceneggiatura riempie di solleciti, ideali, ricordi sulla fatica
di scalare le rocce generazionali.
Maurizio Porro – Il Corriere della sera
Dopo aver analizzato con realismo e affetto l'inconcludenza di una
ragazza di fronte alla maturità in Frances Ha, Noah Baumbach
osserva il suo contrario, l'incapacità di accettare il trascorrere del
tempo. E per farlo perfeziona il suo studio post-alleniano di tipi
sociali e intellettuali incentrato sulla Grande Mela: a confrontarsi
sono una coppia di Millennials (nati tra gli anni '80 e gli Zero) e una
di Gen-Xers (nati tra gli anni '60 e gli '80), ambedue tratteggiate
con dovizia di particolari. Come in un gioco di carte, Jamie e Darby
recuperano gli scarti della generazione precedente e li riutilizzano
per realizzare qualcosa e affermare la propria identità: non solo i
vinili e le macchine da scrivere, ma persino le Vhs cancellate dal
progresso tecnologico diventano uno status symbol, diventano
cool. Ma la voracità intellettuale dei Millennials, il loro sincretismo
del riuso, che spazia ovunque senza approfondire mai, entra ben
presto in contrasto con la verticalizzazione esasperata e l'approccio rigoroso di Josh.
Attento al dettaglio come un pittore fiammingo, Baumbach non abbandona mai il lavoro di cesello. Non c'è angolo di sceneggiatura o
di dialogo, seppur rapido fino all'inudibile, che non sia studiato e perfettamente consono alla situazione (…). Un Woody Allen 2.0 con
qualcosa in più, benché la fedeltà nello spirito al regista di Manhattan sia totale: sarebbe impossibile pensare a Giovani si diventa
tralasciando il capolavoro dell'amarezza di Woody Crimini e misfatti, richiamato esplicitamente anche da diversi elementi della trama
(il documentario irrealizzabile, l'inganno del purismo e il trionfo della menzogna e del vanesio). Diversamente dall'Alan Alda di allora,
però, l'Adam Driver di oggi non è un personaggio (solo) negativo: fa quello che fa perché naturalmente portato a farlo. A guidarlo è
l'istinto del mescolatore e del manipolatore di influenze, che centrifuga idee e contatti di lavoro superando il concetto di "furto" e la
barriera del cinismo, dove Stiller/Josh appartiene a un mondo in cui esiste ancora un codice, con delle leggi morali, che spesso sono
un mero paravento sotto cui nascondere la propria timidezza creativa o l'accettazione un po' perdente (e molto Generazione X) del
concetto di irrealizzabile. La generazione (che si sente) "saltata" e che vede materializzato il proprio incubo quando il suocero e
decano del documentario incontra l'ambizioso Jamie e scocca la scintilla.
Baumbach gioca con l'ossimoro anagrafico in chiave di commedia intellettuale newyorkese e lo trasforma (apparentemente) in
thriller sull'arte della truffa. Mentendo in entrambi i casi e ingannando Josh almeno quanto lo spettatore. L'unico limite di un'analisi
spietata, meticolosa e assai divertente, benché in agrodolce, è rappresentato dai personaggi femminili, che non godono dello stesso
trattamento approfondito di quelli maschili (…) Preziosa la colonna sonora di James Murphy (LCD Soundsystem), che chiude sul
David Bowie più funk e su un muro di mattoni rossi un'altra storia della Grande Mela, di sogni in frantumi e di vite che rinascono da
quelle ceneri.
Emanuele Sacchi – Mymovies
Quartetto di attori impeccabili, soprattutto Adam Driver, stralunato solo in apparenza, perfetta ambientazione nel cuore
della “bohemian Brooklyn”, ma soprattutto sguardo imparziale, mai schierato, sempre problematico, sono i punti di forza
di “Giovani si diventa”. Un film pieno di domande, immerso nell’aria del tempo, insieme autentico e paradossale. Motore
dell’impresa, confessa il regista, è stata “la consapevolezza di aver raggiunto un punto nella mia vita in cui posso dire di
non essere più “il più giovane del gruppo”.
Fulvia Caprara – La Stampa
Quanta amarezza, tra le pieghe del racconto di While We’re Young, la nuova, divertente commedia di Noah Baumbach che da noi è
stata inspiegabilmente rititolata Giovani si diventa, contraddicendo completamente l’originale e lo spirito del film.
Per carità, non è un film triste, e si ride a più riprese osservando le curiose reazioni della coppia di over 40 composta da Ben
Stiller e Naomi Watts, intellettuali highbrow newyorkesi, generate dalla frequentazione con due 25enni hipster di Brooklyn, Amanda
Seyfried e Adam Driver. Però.
Si diverte, Baumbach, a mettere alla berlina tutte le idiosincrasie di
questi due mondi che s’incontrano: le piccole e grandi nevrosi dei primi,
l’impasse intellettuale, la crisi di mezza età, la paura di diventare
davvero “grandi”; la retorica dell’apparenza dei secondi, il loro gusto
artificiale per il vintage, lo spirito fintamente generoso e ipocritamente
libertario, la spietata ambizione. (…)Ma al di là delle battute e delle
situazioni paradossali, al di là del conflitto generazionale While We’re
Young è qualcosa di più, e di più importante.
Film di quarantenni, diretto da un quarantenne, diretto ai
quarantenni (…) quello di Baumbach dimostra come, non solo in Italia,
quella generazione sia o si senta davvero schiacciata. Perché il
problema di Stiller e Watts (soprattutto del primo) (…)è quello di
tutta una fascia anagrafica che si sente tutt'ora schiacciata dal peso, dalla figura ingombrante e dal giudizio dei padri e dei
maestri (nei confronti dei quali l’ammirazione si mescola indissolubilmente alla rivalità); e allo stesso tempo è pressata dal basso dai
giovani, che sono inevitabilmente più dinamici, più innovativi, più liberi e più spregiudicati di loro. In While We’re Young, poi, il
discorso si fa ancora più complesso se pensiamo come la paura dei giovani coincida con quella figli. Stiller e Watts di figli non ne
hanno, fan finta che vada loro bene così, sono a disagio con le coppie di amici (quelli coetanei) che hanno fatto il passo verso la
procreazione e la genitorialità: metaforicamente, quindi verso una nuova fase della vita. Dei figli, di quella fase, hanno paura, così
come han paura di essere superati a destra da loro nuovi, venticinquenni amici: perché anche i figli cresceranno, e loro più di tutti ci
metteranno di fronte alle nostre inadeguatezze, alle nostre piccolezze, ai nostri fallimenti.
“Non è il diavolo, è solo giovane,” sospira un pacificato Stiller alla fine del film, dopo essere passato per le forche caudine del
confronto con la giovinezza, essere finito più volte al tappeto per poi essersi rialzato armato di nuove e più serene consapevolezze:
la consapevolezza di quello che si è e che si ha, di dove si è nella vita e cosa questo significhi. Perfino, magari, il non comprendere
del tutto il mondo che cambia; e perfino il capire che i figli, di paura, non devono farne.
Federico Gironi – Comingsoon