Cass., sent. 18.01.2012, n. 651

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Cass., sent. 18.01.2012, n. 651
Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 18-01-2012, n. 651 - Pres. PIVETTI
Marco - Est. TERRUSI Francesco - P.M. GAMBARDELLA Vincenzo
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La commissione tributaria regionale della Sicilia ha accolto, con sentenza n.
4/30/2006, l'appello dell'agenzia delle entrate avverso la decisione con la
quale era stato a sua volta accolto un ricorso di P.P.I. per l'ottenimento del
rimborso dell'Irpef versata negli anni d'imposta 1996, 1997, 1998 e 1999 e
commisurata al canone di locazione di un immobile a uso commerciale.
Come riferisce la sentenza, la tesi del contribuente era stata nel senso che i
canoni non erano stati in realtà percepiti.
A fronte di siffatta tesi, la commissione regionale ha invece affermato che
l'istanza di rimborso era stata per alcune annualità proposta oltre il termine
di decadenza di 18 mesi dai versamenti, previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973,
art. 38, comma 1, inapplicabile essendo alla fattispecie l'elevazione del detto
termine a 48 mesi di cui alla L. n. 133 del 1999; e che la possibilità di non
dichiarare i redditi da locazione non percepiti, in base alla L. n. 431 del
1998, art. 8, aveva riguardo ai soli contratti di locazione a uso abitativo,
così come desumibile anche dalla sentenza n. 362/2000 della Corte
costituzionale. Il contribuente ha chiesto la cassazione della sentenza di
secondo grado sulla scorta di tre motivi.
L'amministrazione intimata ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha infine presentato una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Preliminarmente devesi disattendere l'eccezione in base alla quale
l'amministrazione finanziaria ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del
ricorso per una presunta violazione dell'art. 366 bis c.p.c.. L'eccezione è
legata al fatto che non risultano i motivi conclusi dalla formulazione del
quesito di diritto. Ma è infondata dal momento che la sentenza risulta
pubblicata in data (27.2.2006) anteriore a quella (2.3.2006) di entrata in
vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, cui si deve l'introduzione dell'(attualmente
abrogato) art. 366 bis c.p.c..
2. - Il primo mezzo deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 133 del
1999, art. 5 (rectius, art. 1, comma 5), addebitando alla sentenza di non aver
tenuto conto di quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte a
proposito della retroattività di leggi fiscali favorevoli al contribuente.
Il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 53
Cost., richiamando le sentenze delle sezioni unite di questa Corte n. 15063/2002
e n. 17394/2002 e sostenendo, in relazione a Cass. n. 6911/2003, che i canoni
non percepiti non possono in ogni caso costituire base imponibile di
qualsivoglia imposta.
Il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione "della sentenza della
Corte costituzionale n. 362/2000", sul rilievo che tale sentenza ha affermato
che il riferimento al canone locativo è ipotesi eccezionale a scopo impositivo,
potendo operare solo fin quando risulti in vita un contratto di locazione.
3. - E' di prioritaria rilevanza l'esame del secondo motivo, il quale va
rigettato con statuizione che assorbe nella sostanza tutte le questioni agitate
in causa. Il secondo motivo è invero infondato dovendo in proposito la Corte
soltanto provvedere a correggere la motivazione del giudice di merito.
4. - Riferisce la sentenza che il ricorrente, "in conseguenza dello sfratto per
morosità del conduttore", chiese "il rimborso delle imposte versate sui canoni
non percepiti nonchè il riconoscimento di un credito d'imposta pari all'importo
delle imposte versate".
Il ricorrente stesso sostiene, però, nel ricorso, di aver ottenuto un
provvedimento di convalida di sfratto per morosità solo in data 9.7.1999.
Condividendo la tesi dell'amministrazione finanziaria, la commissione ha
risposto affermando che "la possibilità di non dichiarare i redditi di locazione
non percepiti riguarda esclusivamente quelli che fanno riferimento ai contratti
di locazione di immobili ad uso abitativo e non - come nel caso in esame quelli per uso commerciale (L. n. 413 - rectius 431 - del 9 dicembre 1998, art.
8)". E all'uopo ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale n.
362/2000.
Ma in tal modo, mostrando di non aver compreso il senso della citata pronuncia,
ha eluso la questione posta dal contribuente. La quale riguardava - come
d'altronde emerge dall'esposizione contenuta nell'odierno ricorso - l'art. 23,
comma 1, del T.U.I.R. e l'art. 34, comma 4 bis, del medesimo, nella misura in
cui si assumeva che non potesse costituire base imponibile, ai fini della
tassazione del reddito fondiario di un immobile locato a uso commerciale,
l'importo del canone locativo convenuto in contratto, laddove, a causa della
morosità del conduttore, tale canone non fosse stato effettivamente percepito.
Una simile tematica non era in verità direttamente incisa dalla L. n. 431 del
1998, art. 8, relativa alla disciplina delle locazioni di immobili a uso
abitativo, da un lato perchè questa disciplina è entrata in vigore nel mese di
dicembre 1998 (sicchè la questione profilata con riguardo alle domande relative
alle imposte versate anteriormente era di per sè esclusa dall'ambito temporale
di efficacia della medesima), e dall'altro perchè giustappunto trattavasi di
reddito dei fabbricati commisurato al canone locativo di una locazione
commerciale, per ciò solo al di fuori dell'ambito applicativo della nuova norma.
Ciò ancorchè un'incidenza indiretta potesse individuarsi alla stregua delle
considerazioni che seguono, in termini però del tutto diversi dalla
semplicistica soluzione offerta dal giudice d'appello.
5. - Il cuore del problema attiene al profilo della mancata percezione dei
canoni locativi, dovuta alla morosità del conduttore.
E in proposito nella giurisprudenza di questa Corte non si registrano soluzioni
omogenee.
Il ricorrente richiama l'indirizzo espresso dalle sezioni unite nelle note
sentenze nn. 15062/2002 e 17393/2002, circa la (oramai pacifica) emendabilità
della dichiarazione tributaria. E richiama altresì la soluzione offerta da Cass.
n. 6911/2003, la quale ha affermato che la mancata percezione dei canoni, per
morosità del conduttore, ne impedisce l'assoggettamento a Irpef, con la
conseguenza che nel caso di immobile concesso in locazione, deve essere
assoggettata a tassazione agli effetti delle imposte sui redditi la relativa
rendita catastale - e non il canone previsto dal contratto - qualora il
contribuente provi (nella specie documentando la procedura di sfratto per
morosità) la mancata percezione dei canoni; questo perchè, a giudizio della
richiamata decisione, "i dati contrattuali forniscono solo un'indicazione
presuntiva" in ordine alla percezione del reddito locativo, donde "deve essere
consentita la prova contraria". Questa tesi non è però pacifica, dal momento che
alla stessa si oppone l'interpretazione che, invece, "la intervenuta risoluzione
del contratto di locazione per inadempimento del locatario, unitamente alla
circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla
risoluzione, non è idonea di per sè ad escludere che tali canoni concorrano a
formare la base imponibile Irpef, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917,
art. 23" (Cass. n. 12095/2007); così come si assume che il solo fatto della
intervenuta risoluzione consensuale del contratto di locazione, unito alla
circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla
risoluzione, non è idoneo di per sè a escludere che tali canoni concorrano a
formare la base imponibile Irepf, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917,
art. 23, salvo che non risulti la inequivoca volontà delle parti di attribuire
alla risoluzione stessa efficacia retroattiva (Cass. n. 24444/2005).
Ancora in opposizione alla logica dell'orientamento per primo evocato, si è
rammentato che, ai fini Irpef, il reddito fondiario è correlato alla titolarità
del diritto reale sul bene immobile, indipendentemente dalla effettiva
percezione dei canoni (Cass. n. 19166/2003), e, in termini, è stato deciso che,
per esempio, in tema di imposte sui redditi, il reddito fondiario derivante
dalla locazione di un immobile sottoposto a pignoramento concorre alla
formazione del reddito dell'esecutato prescindendo dalla percezione dei canoni
stessi (v. Cass. n. 20764/2006).
Giova dire che può prescindersi, ai fini indicati, dal filone giurisprudenziale
(invece compatto) che riguarda le condizioni di esclusione dei canoni non
percepiti quanto ai redditi derivanti da contratti di locazione stipulati da
persona non proprietaria, nè titolare di altro diritto reale sul bene (sulla
distinzione v. Cass. n. 19166/2003, cui adde, per quel che sembra, Cass. n.
15171/2009, richiamata dal procuratore generale nel corso della discussione in
pubblica udienza). Il quale filone qui non interessa giustappunto perchè non
riferito al concetto insuscettibile di interpretazione estensiva - di reddito
fondiario.
6. - Tanto considerato, v'è da notare che la problematica posta dal contribuente
sì agitava anche in rapporto alle locazioni commerciali; e anche prima della L.
n. 431 del 1998 (v. del resto C. cost. n. 318/2004, ord.), essendo dagli artt.
23 e 34 del T.U.I.R. complessivamente desumibile che il riferimento del reddito
da fabbricati al canone locativo era da ritenere in rapporto di eccezionalità
rispetto all'ordinaria disciplina facente riferimento (nel sistema degli artt.
22 e seg. del T.U.I.R., e in particolare dell'art. 34) alla nozione di reddito
medio ordinario, determinato in base alle risultanze dei dati catastali e
all'applicazione delle tariffe d'estimo. In tale contesto, reputa il collegio di
non poter condividere la soluzione offerta da Cass. n. 6911/2003, per
l'essenziale ragione che, nella specie trattandosi di reddito fondiario,
l'assunto che ravvisa dietro la tassazione parametrata al canone locativo una
presunzione di percezione del canone non possiede alcuna base, nè testuale, nè
teorico-sistematica. In contrario va ribadito che la tassazione del reddito
locativo è agli specifici fini collegata alla mera maturazione del diritto di
percezione di un reddito. Difatti, come ha chiarito la Corte costituzionale
(nella citata sentenza n. 362/2000), la congruenza del metodo valutativo del
reddito fondiario, ai fini dell'Irpef, richiede necessariamente un "sistema
catastale modernamente attrezzato". E tanto è bastevole a spiegare l'esistenza
di eccezioni del tipo di quella suddetta, connaturale alla constatazione che il
valore catastale spesso non corrisponde all'effettiva evoluzione della rendita
immobiliare.
Sicchè in tal senso è da spiegare - anche per le locazioni commerciali e anche
prima della L. n. 431 del 1998 (ancorchè riferita alle sole locazioni abitative)
- il riferimento al canone locativo, il quale trova giustificazione in
conformità al principio di capacità contributiva (sebbene qui richiamato dal
ricorrente a opposto fine).
7. - Peraltro, il riferimento al canone rimane rilevante, quanto alle locazioni
non abitative, in un'ottica di eccezionalità rispetto alla "naturale forza
espansiva del precetto generale che utilizza il reddito medio catastale" (così
C. cost. n. 362/2000). Per cui devesì poi armonizzare con la regola in base alla
quale i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo
indipendentemente dalla percezione (art. 23 T.U.I.R.).
L'armonizzazione suppone il correttivo che il riferimento al reddito locativo
opera nel tempo solo fin quando risulta in vita un contratto di locazione;
mentre, allorchè la locazione sia cessata (per qualsivoglia motivo), il ripetuto
riferimento non è più praticabile, tornando in vigore la regola generale. In
quanto - come ancora trovasi affermato in C. cost. n. 362/2000 - "la risoluzione
del contratto impedisce di configurare il pagamento, effettivo o solo presunto,
come effettuato a titolo di canone, cui possa essere commisurata la base
imponibile ai fini dell'imposta sul reddito".
Simile conclusione è oggi avvalorata dalla regola concernente le locazioni
abitative - e da ciò la rilevanza che prima s'è definita indiretta di tale
regola ai fini di causa -, stando alla quale (art. 23, comma 1, T.U.I.R., come
modificato dalla L. n. 431 del 1998, art. 8, comma 5) "i redditi derivanti da
contratti di locazione ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a
formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento
giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore"; mentre
"per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da
accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giurisdizionale di convalida
di sfratto per morosità è riconosciuto un credito d'imposta pari al loro
ammontare". 8. - Ebbene, nel caso di specie, l'impugnata sentenza ha previamente
affermato (nell'incipit) che il contribuente aveva agito in conseguenza
dell'ottenuto sfratto per morosità; vale a dire in conseguenza dello speciale
procedimento di convalida (il che è precisato nell'odierno ricorso con
affermazione non ulteriormente contestata) al quale comunemente si annette
qualificazione giuridica mista, diretta sia alla risoluzione del contratto (in
funzione costitutiva) che al rilascio del bene. E il ricorrente medesimo ha
allegato essere tale provvedimento stato ottenuto il 9.7.1999.
Consegue che solo per il periodo successivo a tale data potevasi fondatamente
discorrere di intassabilità quanto all'immobile adibito a uso commerciale - del
reddito parametrato al canone locativo.
Tanto osta all'accoglimento del secondo motivo dell'odierno ricorso per
cassazione, dal momento che l'istanza di rimborso attenne - per quanto accertato
dal giudice di merito - in massima parte all'imposta commisurata ai canoni
antecedenti (annualità 1996, 1997 e 1998); e atteso che, quanto all'annualità
1999, il motivo non contiene alcuna deduzione in merito alla circostanza decisiva - dell'avvenuto assoggettamento a tassazione del reddito locativo anche
in rapporto al periodo successivo al mese di luglio.
9. - Il rigetto del secondo motivo assorbe l'esame di tutti gli altri.
Di conseguenza l'intero ricorso è rigettato.
L'oggettiva complessità della questione di diritto, al centro di una
giurisprudenza non univoca, induce il collegio a compensare le spese
processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.