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Mafia IL LATITANTE Fra covi falsi e veri per Messina Denaro c’è un altro identikit Nuovo blitz per catturare il boss di Castelvetrano: ma nell’oleificio segnalato dai servizi “non c’era nemmeno un topo”. E intanto la polizia ha realizzato un’immagine per le ricerche di Nicola Biondo e Riccardo Lo Verso Il presunto covo di Matteo Messina Denaro, nel quale è fallito l’ultimo blitz L a soffiata sembrava di quelle concrete. La notizia spifferata ai Servizi segreti doveva condurli al latitante di Castelvetrano . E invece gli agenti si sono ritrovati in un edificio dismesso . Un rudere sperduto nelle campagne di Partanna, in mezzo agli ulivi. Mobili e vetri rotti. Balle di paglia putrida . Dell’ultimo dei padrini in libertà neppure una traccia . Solo detriti e segni, tangibili, di abbandono . La caccia resta aperta . Il pool di investigatori composto dagli uomini delle squadre mobili di Trapani e Palermo e del Servizio centrale operativo di Roma possono contare su un nuovo identikit. Tecnicamente si chiama Age Progression. Praticamente, il volto reso noto quattro anni fa nel corso di una conferenza stampa è stato invecchiato con sofisticate tecniche informatiche. A primo acchito, da profano, sembra la faccia di un uomo più grande dei 49 anni, reali, del latitante. Il blitz del 19 maggio lungo la provinciale 4 tra Castelvetrano e Partanna si iscrive, dunque, nella lista dei tentativi andati a male. Eppure la segnalazione era precisa . Matteo Messina Denaro avrebbe dovuto trovarsi in un oleificio in contrada Seggio Torre Staglio . Un blitz di un’ora, dalle quattro alle cinque del mattino, per accorgersi che “era vuoto lì, non ci stava nemmeno un topo”, per usare le parole di un investigatore. La struttura apparteneva a Salvatore Sansone, costruttore palermitano arricchitosi grazie a Cosa nostra . È sta- La struttura dell’ultimo blitz era stata sequestrata e assegnata a Libera . Ma c’è anche un precedente non raccontato: due anni fa i servizi avevano segnalato un altro covo . Anch’esso vuoto 94 S - IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA - S 95 Mafia IL LATITANTE Il vicequestore aggiunto Giovanni Giudice Il presunto covo di Messina Denaro . A sinistra, un murales raffigurante il boss Il blitz del 2009 insospettì molto gli investigatori, che dopo la replica del falso allarme si chiedono se ci sia una regia precisa. Qualcuno che vuole testare i tempi di reazione delle forze dell’ordine ta sequestrata il 20 aprile 1995 dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo e qualche anno dopo confiscata in appello . L’edificio confina con un fondo agricolo, in passato feudo di Francesco Messina Denaro, che oggi viene gestito da Libera e i cui prodotti finiscono nella rete di Libera terra, mentre l’oleificio è andato al Comune di Partanna che non lo ha utilizzato . Per la cronaca, l’anno scorso il terreno adiacente è stato danneggiato da un piccolo incendio doloso . Il blitz di maggio ha un precedente mai raccontato: nel dicembre 2009 i servizi dell’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna, l’ex Sisde, aveva messo in moto la macchina per fare irruzione in un magazzino appena fuori da Castelvetrano . Anche lì nessuna traccia ma la vicenda insospettì molto gli investigatori. Gli stessi che oggi, di fronte alla replica della vicenda, vedono aumentare lo scetticismo e si chiedono se ci sia una regia precisa dietro questi falsi allarmi. Forse qualcuno testerebbe la capacità e i tempi di reazione delle forze dell’ordine. Che presidiano, a tappeto, Castelvetrano e dintorni. Si registrano strani movimenti: capita che in un istante una contrada di campagna si riempia di agenti. Insomma, la taglia messa sulla testa di Messina Denaro, un milione e mezzo di euro, finora non ha prodotto risultati. Forse aveva ragione quel boss bagherese che copriva la latitanza del padrino trapanese. “Ma che pensa- 96 S - IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA Così ci si muove fra segnalazioni reali e presunte tali: il boss si sarebbe trovato in un covo a Palermo nei pressi di piazza Don Bosco, con bastone e occhiali scuri, poi nei dintorni di Terrasini no che lo vendo per i soldi?”, diceva dopo avere intascato, probabilmente, una parte del denaro promesso . Dov’è davvero il boss? Gli investigatori raccolgono segni della sua presenza nel territorio della provincia trapanese. Sarebbe attivo un canale attraverso cui Messina Denaro fa giungere notizie ai familiari. Sanno che si muove nel Trapanese, ma non conoscono, per ragioni di sicurezza, il luogo o i luoghi dove si rifugia, coperto da uno strettissimo gruppo di fiancheggiatori. Due o tre persone al massimo che cambiano periodicamente. In particolare, le sorelle Bice, Patrizia, Giovanna e Rosalia dimostrano grande capacità di adattamento alla situazione di parenti di un uomo braccato . Qualche giorno fa, una di loro ha pure sfidato chi era andato a fare visita nella sua abitazione. Aveva bonificato dalle cimici la casa e lo ha fatto sapere agli agenti. Come dire, se state cercando le microspie le abbiamo fatte sparire noi. Ecco perché la frase pronunciata da un’altra sorella - “Ma unn’è Matteo” - più che lo sfogo di chi si preoccupa per il fratello sembrerebbe un tentativo di mettere fuori strada gli investigatori. La certezza è che Matteo Messina Denaro più che un latitante sembra un fantasma . La sua presenza si fiuta appena . Eppure riesce a comunicare e reggere i fili. Come faccia costituisce il grande interrogativo . Dall’analisi dei “pizzini” è emerso che il boss pretende che l’invio e la raccolta della posta avvenga tre sole volte l’anno e in date prestabilite. Il sistema, però, non può bastare, da solo, a farne perdere le tracce. Qui tornerebbe di grande attualità la sua dimestichezza con le tecnologie. D’altra parte è sempre stato uno attento a non com- mettere passi falsi. Nel 1990, gli anni della dolce vita trapanese che lo hanno reso un mito per una società dai valori rovesciati, Messina Denaro era fidanzato con una ragazza austriaca . Per scriverle affidava la lettera ad un uomo fidato di Brancaccio, che la imbucava nel quartiere palermitano dove il latitante può contare su solide parentele. Come mittente indicava il nome di un residente a Enna . Un tizio che esisteva davvero . Ci vorrà, dunque, tutta la migliore intelligenza investigativa per acciuffarlo . Gli uomini sono al lavoro . Servizi segreti compresi. Ci si deve muovere fra segnalazioni reali e presunte tali. E così Matteo si sarebbe trovato in un covo a Palermo nei pressi di piazza Don Bosco, con bastone e occhiali scuri, poi nei dintorni di Terrasini. Voci incontrollate. Come quelle di chi sostiene che la cattura ha bisogno di una sceneggiatura, di un contesto che va creato ad arte. E il suo essere fantasma farebbe parte di questo piano . Fantasma sì, ma non per tutti. n IL MAGAZINE CHE GUARDA DENTRO LA CRONACA - S 97