Patinatura - Istituto Salesiano San Zeno

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Patinatura - Istituto Salesiano San Zeno
XVIII corso di Tecnologia per Tecnici Cartari
edizione 2010/2011
Il processo di
patinatura
nello stabilimento
Fedrigoni di Arco
di Tavernini Marco
Scuola Interregionale
di tecnologia per tecnici Cartari
Istituto Salesiano «San Zeno» - Via Don Minzoni, 50 - 37138 Verona
www.scuolagraficasanzeno.com - [email protected]
INDICE
1.
INTRODUZIONE
1.1 Storia del gruppo Fedrigoni
2.
STABILIMENTO DI ARCO
2.1 Panoramica
2.2 Produzione
2.2.1 Schema del ciclo produttivo dello stabilimento
2.2.2 Descrizione del processo produttivo
3.
CENNI STORICI
3.1 Gli inizi della patinatura
3.2 Le prime tecniche adottate
3.3 Perché patinare?
3.4 Classificazione delle carte patinate
3.5 Il supporto
4.
IL PROCESSO DI PATINATURA
5.
COMPONENTI DELLA PATINA
5.1 Acqua
5.2 Pigmenti
5.2.1 Carbonato di calcio
5.2.2 Caolino
5.3 Leganti
5.3.1 Lattice
5.3.2 Amido
5.4 Coleganti
5.4.1 Alcool polivinilico (PVA)
5.5 Additivi
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 1
6.
METODI DI APPLICAZIONE
6.1 Size Press
6.1.1 Impianto di preparazione dell’amido
6.2 Film Press
6.3 Differenze tra applicazione con Size Press e Film Press
6.4 Patinatrice a lama metallica con cilindro applicatore
6.4.1 Applicazione della patina
6.4.2 Parametri dell’applicatore
6.4.3 Livellamento ed omogeneizzazione
6.4.4 Regolazioni della testa patinatrice: carico e angolo
7.
TIPOLOGIE DI LAME
7.1 Raschianti (Stiff Blade)
7.2 Liscianti (Bent Blad)
7.3 Caratteristiche delle lame
7.4 Tipologie di materiali
7.5 Principali lame utilizzate ad Arco
8.
SISTEMI DI ASCIUGAMENTO
8.1 Cilindri essiccatori
8.2 Raggi infrarossi
8.3 Air Turn
9.
REOLOGIA DELLE PATINE
9.1 Flusso Newtoniano
9.2 Flusso plastico
9.3 Flusso pseudo-plastico
9.4 Flusso dilatante
9.5 Flusso tissotropico
10.
I PROCEDIMENTI INDUSTRIALI DI STAMPA
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 2
1. INTRODUZIONE
1.1 STORIA DEL GRUPPO FEDRIGONI
La famiglia Fedrigoni è presente nel mondo cartario dal 1717, anno in cui fu avviata
l’attività della Cartiera di S. Colombano, ai piedi dell’omonimo eremo in Vallarsa nei pressi
di Rovereto (TN). A seguito delle guerre napoleoniche la cartiera fu ceduta, nel 1814, alla
famiglia Jacob. Giuseppe Antonio Fedrigoni, dopo un lungo periodo dedicato al commercio
della carta, nel 1888 avviò una nuova struttura industriale di produzione cartaria di carte
speciali a Verona; fu in seguito il figlio Antonio, nel 1910, ad ampliare lo stabilimento con
l’installazione di una quarta macchina continua per la produzione di carta bianca per stampa
e con l’acquisto di una quota di partecipazione al consorzio del canale Camuzzoni per
produrre energia elettrica da utilizzare per il funzionamento delle macchine continue.
Dal 1931 Gianfranco Fedrigoni, con l’aiuto dei fratelli Renzo e Arrigo, diede nuovo
impulso allo sviluppo dell’azienda acquistando, nel 1938, lo stabilimento di Varone presso
Riva del Garda (TN) dove la tradizione cartaria risaliva già dal XV secolo; questo
stabilimento fin da subito fu utilizzato per la produzione di carte ad alto contenuto tecnico
come ad esempio per carte da legatoria, alta trasparenza per disegno tecnico e carte per il
rivestimento dei cavi ad alta tensione. Nel 1945 fu ricostruito completamente lo
stabilimento di Verona, distrutto durante la seconda guerra mondiale, che fu in grado già nei
primi mesi del 1946 di riprendere la sua produzione di carta. Nel 1948 fu fondata sempre da
Gianfranco Fedrigoni la S.A. Adamas Fibreboard & Paper Company (P.T.Y.) Ltd in
Sudafrica (ceduta poi alla Sappi nel 1964).
Nel 1963, invece, fu edificato e messo in opera lo stabilimento di Arco (TN) per la
produzione di schede meccanografiche e per la lettura ottica, magnetica e termica. Nel 1979
le tre cartiere vennero fuse nella Cartiere Fedrigoni & C. S.p.A al fine di ottenere un
miglioramento delle attività produttive e commerciali e, in concomitanza, una riduzione dei
costi energetici e di impatto ambientale. Da allora lo sviluppo del Gruppo è proseguito con
particolare attenzione al settore del “converting” con la fondazione di Arconvert per la
produzione di carte adesive e antiadesive, che comportò, di conseguenza, la riconversione
dello stabilimento di Arco alla produzione di carte senza legno patinate per usi grafici e ai
supporti per il settore degli autoadesivi.
Nel 1989 si ha l’acquisizione di Manter SA (Manipulados del Ter SA) in Spagna nei pressi
di Barcellona.
Fedrigoni poi si è concentrato nella distribuzione in Europa con la costituzione delle società
distributrici in Germania (1987), in Spagna (1989), in Francia e in Gran Bretagna (1993).
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 3
Dal 1° Gennaio 2000 il Gruppo Fedrigoni si è dato un nuovo assetto societario con il
conferimento delle attività produttive e commerciali alla neo costituita Fedrigoni Cartiere
S.p.A. e delle attività immobiliari alla Acquaviva S.r.l., riservando alla Cartiere Fedrigoni &
C. S.p.A. il ruolo di holding operativa del Gruppo. Alla fine 2001 il Gruppo Fedrigoni si è
aggiudicato la gara indetta dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato per l’acquisizione
della Cartiere Miliani e Fabriano (eredi della plurisecolare tradizione cartacea italiana) e
delle sue consociate (Cartamano S.r.l., Miliani Immobiliare S.r.l. e S.I.C.M.A. S.r.l.),
arrivando a raddoppiare la sua capacità produttiva e collocandosi tra i primi cinque
produttori di carte speciali in Europa. Dall’Aprile 2004, grazie ad un accordo con la
Mantegazza Arti Grafiche Srl, il gruppo Fedrigoni dà vita alla Fabriano Securities Srl, che
opera nel settore dei sistemi di sicurezza con la produzione di una gamma completa di
prodotti tecnologicamente avanzati quali ologrammi, fili di sicurezza e stampe di sicurezza.
Dall’Aprile 2006 ha iniziato ad operare la Fedrigoni Asia, con sede ad Hong Kong. Questa
società provvede alla commercializzazione delle carte Fedrigoni nei paesi dell’Estremo
Oriente ed in Oceania.
Il Gruppo Fedrigoni conta oggi circa 2000 collaboratori ed è presente con proprie strutture
in 7 paesi, il suo fatturato deriva per il 47% dall’estero ed i suoi prodotti sono distribuiti e
venduti in 70 paesi.
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2. STABILIMENTO DI ARCO
2.1 PANORAMICA
Lo stabilimento Fedrigoni Cartiere di Arco è ubicato nell’area industriale del comune di
Arco (TN).
Venne costruito nel 1963 per la produzione di cartoncino per schede meccanografiche e per
la produzione delle prime carte per lettura ottica (O.C.R.), magnetica e termica.
Nel 1989 si attuò una riconversione produttiva dello stabilimento di Arco con la costruzione
di una macchina patinatrice, in linea alla macchina continua esistente, dotata di quattro teste
di applicazione per la produzione di carte patinate moderne senza legno per usi grafici con
un range di grammatura da 90 g/m2 fino a 400 g/m2.
Copre quindi un settore molto importante della produzione del gruppo Fedrigoni, con carte
di medio-alto valore aggiunto.
Lo stabilimento è dotato, dal 1998, di una centrale termica di cogenerazione con potenza
termica di 20,8 MW ed elettrica di 6.8 MW.
I fumi di scarico della turbina a gas alimentano la caldaia che produce 14 ton/h di vapore a
12 bar; nello stabilimento questo vapore viene immesso però ad una pressione di 3 bar.
Tutte le acque utilizzate nel processo devono essere trattate prima di poterle immettere
nuovamente nel ciclo naturale dell’acqua; l’impianto di depurazione è costituito
inizialmente da un cono di recupero patine per i soli reflui patine, una volta separate le
cariche dall’acqua, essa prosegue nella vasca di equalizzazione di 2000 m3 che opera
l’omogeneizzazione di tutti i reflui, il tamponamento del pH e la costante portata d’afflusso
nel chiariflocculatore.
Vengono quindi aggiunti dei flocculanti all’acqua pompata nella vasca chimico-fisico, dove
il fango per decantazione arriva sul fondo, raschiato, pressato con una pressa fanghi e
successivamente smaltito da ditte esterne, mentre la parte pulita per sfioro passa al
biologico.
La parte biologica è composta da tre biofiltri; ogni vasca lavora in parallelo alle altre, ed è
composta da un letto di biolite dove si fissano i batteri aerobici che mediante ossidazione
abbattono del 70-80% il COD, facendolo raggiungere valori intorno a 20 punti.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 5
2.2 LA PRODUZIONE
Grazie alle esperienze maturate, al know-how accumulato, all’elevato grado di
specializzazione raggiunto e ad una serie molto ampia di prodotti standard di listino, lo
stabilimento di Arco è in grado di produrre e fornire prodotti esclusivi e del tutto
“personalizzati” su specifiche, indicate direttamente dal cliente. Oggi, questo tipo di
proposta riguarda oramai poco meno della metà delle sue produzioni.
Le caratteristiche funzionali dei prodotti di listino sono molteplici, essendo utilizzabili in un
vastissimo campo di applicazioni, ed il loro numero è altrettanto esteso. Ne ricordiamo solo
alcuni tra i principali quali: carte per edizioni, per rivestimenti, per imballaggi primari di
lusso, per etichette, per siliconatura, per francobolli, per manifesti, etc.
Attualmente la produzione annuale è di 110.000 tonnellate (dato di produzione del 2010).
Di recente è stato realizzato (Giugno 2008) un nuovo magazzino spedizioni con 6 baie di
carico per le spedizioni del prodotto finito.
L’area coperta dai capannoni di lavoro è di circa 30.000 m2.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 6
La produzione è a ciclo continuo e il personale occupato è di 189 persone, così ripartite:
Numero dipendenti in forza allo stabilimento
Mansioni
Operai
Impiegati
Dirigenti
Totale
Personale Maschile
161
24
1
186
Personale Femminile Totale
1
162
2
26
0
1
3
189
Numero addetti in orario giornaliero o su turni
Mansioni
Giornaliero
Su due turni
Su tre turni
Totale
Personale Maschile
31
4
151
186
Personale Femminile Totale
2
33
4
1
152
3
189
Numero addetti per Reparto
Reparto
Personale Maschile
Direttore
1
Uff. tecnico
3
Laboratorio
9
Fabbricazione
50
Allestimento
91
Manutenzione/CTE
18
Magazzino M.P.
4
Spedizioni
9
Portineria
1
Totale
186
Personale Femminile Totale
1
2
5
9
50
1
92
18
4
9
1
3
189
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2.2.1 SCHEMA DEL CICLO PRODUTTIVO DELLO STABILIMENTO
Materie prime
(Cellulosa, additivi…)
Spappolamento e
raffinazione
Fabbricazione
carta naturale
Carbonato di calcio,
caolino, additivi
Preparazione
patina
Processo
di patinatura
Calandratura
(per alcune carte)
Bobinatura
Taglio in fogli
Confezionamento
Spedizione
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 8
2.2.2 DESCRIZIONE DEL PROCESSO PRODUTTIVO
L’alimentazione della tina di macchina è costituita da due linee separate: la linea cellulosa e
la linea fogliacci.
Per la linea cellulosa è installato un disimpilatore che, mediante una ricetta selezionata
dall’operatore, carica con 12 balle di cellulosa da 250 kg un pulper a media densità (circa
del 4%); una volta spappolato, l’impasto viene pulito con epuratori a pasta densa, raffinato
mediante un raffinatore conico e successivamente con tre raffinatori a dischi. Una volta
terminata l’operazione di raffinazione l’impasto viene pompato nella tina di riserva.
La linea fogliacci, come dice il nome, è alimentata da fogli di recupero bianchi senza pasta
legno; anche qui troviamo un pulper a media densità (circa del 4%) che lavora in
discontinuo; l’impasto prodotto viene depastigliato mediante due depastigliatori e quindi
mescolato al flusso della linea pasta nella tina di riserva.
Ad ogni cambio impasto, allorché si abbiano significative variazioni di composizione, si
procede ad una radicale pulizia dei pulpers e di tutta la linea successiva fino alla tina di
macchina tramite l’impiego di soda in soluzione e successivi risciacqui i cui reflui saranno
indirizzati all’impianto di depurazione.
Dalla tina di riserva si passa a quella di macchina; da qui il composto viene diluito ad una
concentrazione dell’1 %, epurato mediante quattro stadi a cascata di cleeners e due cestelli
con fessure da 0,25mm. Ora l’impasto è pronto per giungere in cassa d’afflusso.
La cassa d’afflusso a pressione è dotata di un labbro (slice) suddiviso in 29 settori
trasversali indipendenti e regolati in modo automatico dal ponte di scansione Valmet 1,
ottenendo così una costante regolazione sul profilo di grammatura (sistema Jet-matic).
L’impasto viene inizialmente drenato sulla tavola piana, provvista anche di un ballerino per
migliorarne la formazione del foglio, mediante foils e casse aspiranti.
Una volta drenato sulla tela, il foglio passa alla sezione presse mediante il cilindro pick-up;
questa parte di macchina è composta da una pressa aspirante (pressa pick-up da 75 kN/m),
due presse scarpa (smart-nip da 240 kN/m e nipcoflex da 500-700 kN/m) e infine con una
pressa offset, molto valida al fine di diminuire l’effetto di doppio viso (30-50 kN/m).
La seccheria è composta da due batterie a slalom e tre a doppia tela: qui la carta subisce la
prima fase di essiccazione, viene poi esaminata del ponte Valmet 1, che ne misura la
porosità (indica lo stato di raffinazione del foglio) e il profilo di grammatura; passa quindi
nella Metering Size Press, che applica sulla superficie un primo strato di patina oppure un
film di amido (pozzetto).
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 9
Segue la post-seccheria a doppia tela, con cilindri in ghisa alimentati, come i precedenti, dal
vapore prodotto dalla caldaia dello stabilimento e dotati di un sistema per il recupero del
vapore; quest'ultimo viene utilizzato fino ad esaurimento della sua capacità essiccante e
infine pompato nuovamente nella caldaia.
Il foglio viene lisciato e quindi patinato mediante quattro teste di patinatrice con applicatore
a rullo e lama metallica, asportando l’eccesso di patina presente sul foglio. Dopo ciascuna
testa è presente un ponte di scansione Valmet per misurare grammatura, umidità e profilo di
spessore del foglio. La carta viene quindi avvolta all'arrotolatore (pope); qui il formato utile
del nastro di carta risulta di 3,30 metri circa.
Da ogni rotolo vengono prelevati dei campioni, alcuni per analisi di laboratorio conformi al
tipo di prodotto e altri per l’archiviazione.
Ora in funzione al tipo di carta, il prodotto può necessitare di calandratura mediante la super
calandra presente in stabilimento, o essere direttamente ridotto in formato inferiore dalla
bobinatrice per le lavorazioni successive in allestimento.
Nello stabilimento di Arco sono inoltre presenti tre taglierine Bielomatik per taglio in
formato, una taglierina Milltex molto recente per il taglio ed automatico confezionamento di
formati più piccoli, un’impaccatrice, un forno ed una calandra per lisciare la Glassine,
particolare tipologia di carta prodotta dallo stabilimento Fedrigoni di Varone (TN).
Costruito recentemente, è presente un magazzino spedizioni, composto da ben sei baie di
carico.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 10
3. CONTESTO STORICO
3.1 GLI INIZI DELLA PATINATURA
La scoperta della carta risale al 105 d.C., la prima patinatrice, diversa da quella che si
conosce oggi, risale al 1880 ed era eseguita con una Size Press, ma per la prima
installazione industriale bisogna arrivare al 1935 quando, per rispondere alle esigenze di
LIFE, noto periodico americano, furono fatti i primi tentativi per ottenere una carta con una
chiusura superficiale in grado di riprodurre una fotografia facendo risaltare le caratteristiche
chiaroscurali della stessa.
Il primo ad accettare tale sfida fu Peter Massey che diede il suo nome ad un impianto
capace di risolvere, almeno in parte, il problema, applicando sul supporto di carta una
sostanza in grado di migliorare la resa in fase di stampa.
3.2 LE PRIME TECNICHE ADOTTATE
La prima tecnica fu grazie a Peter Massey (patinatrice MASSEY), composta da quattro rulli
dosatori con relativo pozzetto di patina, da rulli di distribuzione patina e due rulli spalmatori
per i due lati del foglio carta: in pratica veniva applicato un film di patina che ancora oggi
usiamo, ma con tecnologie e prodotti all’avanguardia.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 11
3.3 PERCHE’ PATINARE?
La motivazione principale che ha spinto all’utilizzo della patina nella fabbricazione della
carta è stata quella di ottenerne un nuovo tipo di carta che, ad un costo inferiore rispetto alle
carte naturali, offre delle caratteristiche visive, di resistenza e di stampabilità nettamente
migliori. Inoltre al giorno d’oggi si richiedono stampe a più colori con perfetta definizione
dei mezzi toni e massima uniformità dei fondi pieni. Dal momento che la stampa avviene
soltanto se la carta è a contatto col cilindro stampante, è evidente che se questa non è
perfettamente liscia ed uniforme, certi punti dell’immagine possono andar perduti.
Per ottimizzare queste caratteristiche è importante prestare particolare attenzione a tali
fattori:
La qualità del supporto fibroso su cui applicare la patina;
La corretta formulazione della patina;
La corretta conduzione del processo di patinatura;
Le operazioni di rifinitura quali lisciatura, calandratura, spazzolatura, ecc.
La patina è essenzialmente una dispersione acquosa di sostanze minerali, dette pigmenti,
finemente suddivise e legate tra loro da un adesivo, con lo scopo di fissarle sul supporto
fibroso. Oltre a questi elementi troviamo una serie di prodotti complementari, detti
“additivi”, che pur utilizzati in piccole quantità regolano il comportamento della patina
durante la sua preparazione, applicazione ed essiccamento, o migliorano le caratteristiche
del prodotto finito in funzione dell’uso al quale è destinato, o entrambe le cose.
La patina, come anticipato, migliora l’aspetto superficiale e la stampabilità della carta; è
importante sottolineare, però, che se una cattiva patina può rovinare un buon supporto, con
un supporto scadente non si potrà mai produrre una buona carta patinata, anche usando
ottime formulazioni di patina.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 12
3.3 CLASSIFICAZIONE
Lo studio e l’evoluzione delle carte patinate, in base al loro utilizzo, alla composizione
fibrosa, alla grammatura ed alla quantità di patina apportata, hanno permesso la
classificazione in diverse tipologie:
LWC (Light Weight Coated);
Pigmentate;
Patinate classiche;
Patinate moderne;
Cartoncini patinati;
Cast coated.
LWC (LIGHT WEIGHT COATED)
È la carta che viene utilizzata per la realizzazione di riviste settimanali o mensili. Il supporto
presenta pasta legno, è patinato su entrambi i lati, la grammatura è inferiore ai 60 g/m2, la
patina depositata è 10 g/m2 per lato. Questa carta viene stampata solitamente in roto-offet o
rotocalco quindi la composizione delle patine per i due processi saranno molto differenti.
Nel caso di LWC roto-offset la caratteristica principale, dovrà essere la resistenza allo stress
meccanico superficiale e l’uniformità di assorbenza della porosità superficiale. In entrambi i
casi si dovranno avere anche una buona resistenza alle alte temperature dei forni.
PIGMENTATE
È una tipologia di carta nuova, innovativa. Qui l’apporto di patina è minima, 10g/m2 e si
producono carte sempre inferiori ai 72g/m2. Sono particolarmente interessanti per l’editoria
quando si vuole avere stampabilità, volume e opacità a basse grammature.
Queste carte sono quindi destinate all’editoria, soprattutto quella scolastica. La carta è molto
più bianca, e stampabile e permette di creare libri più leggeri, ideali per uno studente.
PATINATE CLASSICHE
Vengono indicate con questo modo quelle carte il cui supporto è interamente di cellulosa.
La grammatura è compresa tra 150-350 g/m2, i grammi di patina sono 25 g/m2 per lato,
presenta un grado di bianco e di lucido elevatissimo. Viene utilizzata per il libri illustrati di
un certo pregio.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 13
PATINATE MODERNE
È in assoluto la tipologia di carta più utilizzata e più indicata per la stampa a foglio in
genere. È presente in tutte le versioni, lucida, opaca, con pasta legno, senza pasta legno.
Il termine moderna gli è stato assegnato nel dopoguerra per indicare appunto le prime carte
patinate stampate ad alta velocità. Lo strato fibroso è il minimo indispensabile, mentre la
patina è molta, fino ad un terzo del peso complessivo. Presenta un buon grado di bianco e
liscio, tutto a favore di un ottima stampabilità.
CARTONCINI PATINATI
È un prodotto di grande consumo e si utilizza per la realizzazione della maggior parte delle
scatole e degli astucci generalmente accoppiati. È quasi sempre formato dal 100% di
macero, può essere bilucido e la patina è stesa in 2-3 mani ma in quantitativi limitati perché
è richiesta molto rigidità.
CAST COATED
Con questo termine si indica una serie di cartoncini generalmente monopatinati (può
comunque essere anche bipatinato) per la realizzazione in offset a fogli di astucci pregiati
molto rigidi, ad esempio le confezioni dei profumi o simili. Ne esistono di svariati colori, e
la patina viene stesa con un una macchina speciale ed essiccato con un monolucido; più
avanti comunque tratteremo più nel dettaglio queste tipologie di macchinari.
3.5 IL SUPPORTO
Il supporto da patinare deve avere caratteristiche meccaniche sufficienti da permettere una
buona macchinabilità, deve ricevere ed esaltare lo strato di patina applicato, nonché
conferire al prodotto finito alcune proprietà in relazione allo specifico utilizzo.
Tra i requisiti del supporto, quello veramente critico agli effetti del risultato finale è il modo
in cui esso riceve o accetta la patina. E’ quindi necessario realizzare un supporto la cui
struttura, porosità, grado di liscio, umettabilità e grado di collatura permettano fenomeni di
penetrazione selettiva (acqua e adesivi) in funzione ai grammi di patina che verranno
applicati.
Un foglio che presenta fibre scarsamente legate in superficie, darà senz’altro origine ad una
superficie patinata marcata, perché le fibre durante l’umificazione, rigonfiandosi, si
sollevano e il pigmento si addensa intorno a queste, ottenendo così una patinatura non
uniforme.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 14
Con questo non è detto che un foglio con liscio elevato in macchina porti ad un foglio
patinato altrettanto liscio; ciò che viene chiesto è una superficie liscia che non cambi in
misura significativa quando viene umidificata.
Oltra al liscio superficiale in termini di struttura fibrosa, occorre considerarlo anche in
termini di marcature lato tela e lato feltro, perché molto spesso queste persistono attraverso
gli strati della patina rivelandosi come sagomature nella zona inchiostrata di una stampa.
Occorre quindi realizzare un supporto avente una formazione uniforme nel senso della
lunghezza, della larghezza e dello spessore in modo da avere un’uniforme capacità di
umettamento e quindi una distribuzione regolare della patina. Parametri importanti sono
anche peso specifico, porosità, opacità e colore.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 15
4. IL PROCESSO DI PATINATURA
Il processo di patinatura consiste, in genere, nelle seguenti operazioni:
Applicazione della patina sul supporto fibroso;
Rimozione dell’eccesso di patina, tale per cui sul foglio si abbia solo la quantità
voluta, che costituisce l’apporto di patina;
Spalmatura ed omogenea distribuzione dello strato di patina;
Essiccamento del foglio.
Le prime tre fasi possono avvenire simultaneamente oppure in successione a seconda del
sistema di applicazione utilizzato. Immediatamente dopo tali operazioni si verifica, prima
della fase dell’essiccamento, il fenomeno della migrazione della fase acquosa. In questo
momento l’acqua e i prodotti in essa disciolti, quali leganti ed additivi solubili, vengono
assorbiti dal supporto e di conseguenza lo strato di patina a stretto contatto con il supporto si
concentra (aumento del contenuto di secco) fino al punto in cui il fenomeno di migrazione si
blocca.
Oltre alla migrazione verso il supporto, si ha anche una migrazione verso la superficie del
foglio, in quanto seccandosi la patina superficiale, la fase acquosa tende a diffondere
dall’interno dello strato di patina verso la superficie più secca.
Si definisce punto di immobilizzazione lo stadio in cui, concentrandosi la patina, non ha più
luogo migrazione verso il supporto e verso la superficie. La concentrazione in solidi a cui si
raggiunge questo stadio è variabile in funzione della formulazione della patina.
E’ importante che l’immobilizzazione della patina avvenga rapidamente, per non impoverire
eccessivamente la patina dei suoi componenti solubili, ma che tuttavia si verifichi dopo la
corretta stesura della patina in modo da coprire adeguatamente le irregolarità del supporto.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 16
5. COMPONENTI DELLA PATINA
L’utilizzo, in svariati settori, delle carte patinate implica la presenza di molti tipi di patine
applicate ad altrettante tipologie di supporti fibrosi. Ogni patina, in base alla sua
composizione, avrà una diversa lavorabilità, un diverso aspetto e soprattutto apporterà al
supporto delle ben determinate caratteristiche che permetteranno di ottenere il nostro
prodotto con requisiti visivi, meccanici e di stampabilità voluti.
Quello che consente al cartaio di avere una così elevata gamma di prodotti, oltre alla
variabilità delle materie prime fibrose, è quindi la possibilità di ottenere più tipi di patina
cambiando solamente le percentuali di dosaggio dei suoi componenti, quali:
Acqua;
Pigmenti;
Leganti;
Coleganti;
Additivi.
Tra tali prodotti i più importanti sono l’acqua, i pigmenti ed i leganti; l’insieme di questi tre
elementi costituiscono la nostra patina, mentre gli altri sono utilizzati per regolarne il
comportamento nelle varie fasi di preparazione, utilizzo e/o per migliorare il prodotto finito
a seconda dell’uso cui è destinato.
5.1 ACQUA
L’acqua è il “mezzo di dispersione” di tutti i prodotti utilizzati nella produzione delle patine,
ed è il mezzo che ne permette la loro omogenea miscelazione.
Il valore complementare della sua quantità rispetto al totale della patina è definito come
contenuto di secco, normalmente espresso in percentuale; se ad esempio in 100 g di una
formulazione di patina sono contenuti 40 g di acqua, essa sarà una patina al 60%.
Il contenuto di secco ha notevole influenza nello studio di una patina (per la scelta dei
leganti, dei dosaggi di regolatori di viscosità o di coloranti da utilizzare), nel
comportamento della stessa partendo dalla sua produzione alla sua applicazione in
patinatrice e, di conseguenza, anche sulla qualità del prodotto finito.
Si potrà quindi affermare che la quantità d’acqua in una patina è uno dei molteplici
parametri che definiscono la qualità della patina stessa.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 17
5.2 PIGMENTI
Sono i costituenti più abbondanti della patina (70-90% della patina secca). La scelta dei
pigmenti è determinata dalle caratteristiche finali del foglio che si vogliono ottenere in vista
dell’uso cui la carta è destinata, compatibilmente con considerazioni di carattere economico.
Fattori importanti nel valutare un pigmento sono: il grado di bianco, la purezza di tinta,
l’opacità che può impartire al foglio, la granulometria (ossia la grandezza delle particelle,
sia intesa come valore medio, che come distribuzione statistica delle varie grandezze, perché
ovviamente le particelle non hanno tutte la stessa grandezza), la forma delle particelle, la
quantità di legante che richiedono, la ricettività verso l’inchiostro (in genere fattore
determinante per la stampabilità), quest’ultimo influenzato dalla forma delle particelle.
Per esempio, il caolino che possiede particelle piatte e sottili darà una superficie facilmente
lucidabile ma relativamente chiusa e quindi scarsamente assorbente verso gli inchiostri
grassi, mentre bianco satin e carbonati di calcio precipitati, avendo struttura aghiforme
impartiranno alla patina più elevati valori di porosità, caratteristica questa molto importante
per una rapida stabilizzazione degli inchiostri. La farina fossile che ha struttura molto
irregolare è poco lucidabile. La dispersione in acqua avviene prima per azione meccanica in
modo da frantumare gli agglomerati di particelle e poi aggiungendo un disperdente per
creare fra loro una forza repulsiva che ne eviti la riflocculazione compromettendo i valori di
viscosità. La forma e la finezza delle particelle è importante per la precisa determinazione
del disperdente nonché della quantità da impiegarne e così anche per l’adesivo che dovrà
opporre resistenza al tiro degli inchiostri in fase di stampa. Ecco allora che diventa
necessario definire un parametro: il grado di delaminazione (aspect ratio).
In riferimento ad un pigmento rappresenta il rapporto fra la lunghezza e l’altezza delle sue
particelle.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 18
5.2.1 CARBONATO DI CALCIO
Il carbonato di calcio naturale si trova in molte formazioni rocciose. È un altro dei pigmenti
maggiormente utilizzati perché facilmente reperibile e ha un costo molto inferiore al
caolino. A seconda del processo di otteniemento presenterà gradi di lucidabilità,
caratteristiche, e soprattutto finezze (“l’unità di misura del carbonato di calcio”) diverse.
Presenta un grado di bianco elevatissimo, una lucidità direttamente proporzionale alla
finezza (inferiore a quella del caolino) un buon grado di assorbenza.
La luminosità e l’assorbenza sono influenzate dal materiale roccioso da cui proviene il
carbonato: il massimo si ottiene da carbonati provenienti da marmo (esempio Carrara) e i
minimi dal gesso.
Il carbonato di calcio, al contrario del caolino, presenta pochissime impurità (meno del 4%).
Attualmente quasi tutto il carbonato di calcio utilizzato in cartiera è sotto forma di slurry
dato gli elevati vantaggi che ha, quali risparmio energetico, assenza di polveri, facilità di
pompaggio. Per la dispersione si usano solitamente poliacrilati e i polifosfati di sodio in una
percentuale che varia da 0,1% e l’1%.
Si può ottenere per ventilazione del carbonato macinato o per precipitazione con anidride
carbonica da latte di calce (in questo caso viene chiamato precipitato).
Il carbonato di calcio naturale invece si ottiene per macinazione del marmo in mezzo
acquoso, che è anche la tecnica più utilizzata. A seconda della regolazione delle varie
variabili del processo si possono ottenere pigmenti con diverse grandezze. Anche il
carbonato di calcio si classifica in finezza. Un carbonato fino contiene il 95% di particelle
inferiori ai 2 micron. Il carbonato di calcio è già disponibile disperso.
Il carbonato di calcio naturale mostra un ottimo comportamento reologico in virtù
principalmente della forma cristallina romboedrica.
L’utilizzo invece di carbonato di calcio precipitato in assenza di lubrificanti, può invece
portare a problemi per le scarse proprietà reologiche. Il carbonato di calcio precipitato si
presenta sotto forma di cristalli aciculari di aragonite ad alto fattore di forma, con una
distribuzione granulometrica piuttosto stretta. Manifesta una buona ritenzione idrica, ottima
opacità ed una elevatissima luminosità.
I livelli di lucidità dipendono molto dalla dimensione delle particelle utilizzate. Questi
livelli sono comunque limitati rispetto ai valori cui giungono patine di caolino.
Luminosità e opacità del film sono influenzate dal materiale roccioso da cui proviene il
carbonato.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 19
Riassumendo i fattori che portano ad utilizzare il carbonato di calcio come pigmento
sono:
Ottime proprietà reologiche;
Alti livelli di solido raggiungibili;
Risparmio energetico;
Domanda di legante inferiore rispetto al caolino;
Alta luminosità con maggiore efficienza degli agenti ottici;
Buon comportamento nella sezione di seccheria;
Buona qualità di stampa.
Quindi, concludendo, il carbonato di calcio è un ottimo pigmento per il miglior rapporto tra
performances e prezzo. Dato l’elevato grado di “impiccamento” che possiede è possibile
usare molto meno legante. Viene utilizzato molto nelle patine per stampa offset.
Ad Arco viene utilizzato un unico tipo di carbonato, ma di 3 differenti granulometrie:
Carbonato 60;
Carbonato 99;
Carbonato HG.
Il numero riportato successivamente al nome commerciale del carbonato è fondamentale: è
infatti un indicatore della finezza e quindi della granulometria del pigmento fornito.
Determina la percentuale di particelle con dimensioni inferiori a 2 micron.
Il carbonato 60 possiede solamente il 60% di particelle sotto i 2 micron. E’ dunque un
carbonato grossolano che non conferisce lucido, e viene utilizzato per la prima mano di
patinatura, quindi in Metering Size Press e in pre-patina (le prime due teste di patinatura).
Il carbonato 99 ha ben 99% di particelle sotto i 2 micron: è senz’altro un carbonato fine che
conferisce un lucido basso-medio. E’ utilizzato in ogni fase di patinatura: in Metering Size
Press, in pre-patina e in patina top (ultime due teste di patinatura).
Infine, il carbonato HG possiede più del 99% di particelle sotto i 2 micron. Ovviamente è il
più costoso, viene utilizzato solamente nell’ultima mano di patinatura in testa 3 e 4 (patina
top) ed è caratterizzato da un lucido elevato. Essendo un carbonato finissimo ha un’ottima
capacità coprente.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 20
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 21
5.2.2 CAOLINO
È uno dei pigmenti maggiormente utilizzato nelle patine. I caolini sono silico alluminati
idrati presenti nel sottosuolo, è il prodotto di un alterazione naturale delle rocce. È di colore
bianco ed è facile ridurlo in particelle molto fini. Esistono diversi tipi di caolino, quello
americano (70% di secco) e quello inglese (65% di secco).
Le particelle di caolino sono costituite da una serie di lamelle esagonali. Proprio questa sua
particolare forma lo ha reso tanto utilizzato, infatti grazie alla sua morfologia esso si
dispone con la sezione esagonale in posizione parallela al foglio garantendo una serie di
caratteristiche. Tra queste, le più rilevanti sono sicuramente un elevato grado di lucido, una
buona capacità riflettente e, a contatto con l’inchiostro, forma una barriera contro
quest’ultimo che penetrando con fatica nella patina resta in superficie ottenendo così una
stampa brillante. I giacimenti di caolino sono classificati come primari o secondari.
Quelli primari sono associati ad altri minerali non utilizzabili, come la mica, e quindi deve
essere sottoposto ad un lungo procedimento di lavorazione, che consiste nell’estrazione
dalla cava con getti di acqua ad alta pressione. Si filtra tutto in idrocicloni (per separare le
particelle indesiderate) e sedimentare in apposite vasche; i materiali più grossi si depositano
per primi mentre il caolino, che è più fine, si deposita molto più lentamente, viene quindi
fatto addensare e seccato in forni rotanti. Con questo procedimento il caolino che si ottiene è
solo il 10%.
Invece i caolini secondari sono trasportati dall’acqua e depositati per sedimentazione, e
quindi sono più puri e più facile da estrarre rispetto ai primari. A questo punto il caolino può
subire dei trattamenti termo-chimici di calcinazione per aumentare le sue proprietà ottiche.
Si può ottenere il caolino calcinato riscaldando il caolino a 1000°C. Così facendo si avrà un
aumento del grado di bianco, una forte opacità (dato che le particelle si agglomerano in
maniera voluminosa) ma per contro ha un’alta abrasività. Il caolino calcinato ha un 50% di
secco.
Un altro tipo è il caolino delaminato in cui gli agglomerati sono ridotti a singole lamelle
ottenendo un pigmento con alte caratteristiche di coerenza, per contro ci possono essere
problemi reologici. Per la particolare struttura chimica del caolino si possono effettuare due
tipi di dispersioni: in fase acquosa a pH 9 con soda, o sempre in fase acquosa ma a 7.5 con
disperdenti anionici. La quantità dei prodotti dipende dalla forma e distribuzione
granulometrica delle particelle. Il caolino viene molto utilizzato nelle carte rotocalco.
Ad Arco viene utilizzato un unico caolino, con una percentuale di secco del 68%. Viene
usato solamente per 2 tipologie di carta, ovvero per la Tatami e la Francobolli.
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5.3 LEGANTI
I leganti sono tutti quei prodotti che vengono aggiunti alla patina, con lo scopo di legare tra
loro i pigmenti e di farli aderire al supporto cartaceo in modo che, durante la fase di stampa,
non vengano asportati per effetto dello strappo superficiale esercitato dal tiro degli
inchiostri.
Sono il secondo componente per percentuale all’interno della patina dopo i pigmenti. La
quantità di legante che verrà aggiunta sarà molto importante per la buona riuscita del
prodotto.
Questi devono avere delle funzioni ben precise che sono:
Legare i pigmenti al supporto fibroso;
Legare i vari pigmenti tra di loro;
Capacità di confluire delle caratteristiche particolari alla patina, in modo da
modificare la reologia e la ritenzione;
Trattenere l’acqua della patina in modo da evitare che penetri nel supporto.
Le caratteristiche di un legante sono:
Ottimo potere legante;
Buona ritenzione idrica;
Influenza desiderata sulle proprietà reologiche del sistema;
Elevata solubilità o miscelabilità in acqua;
Buona compatibilità con gli altri componenti della patina;
Buona stabilità chimica;
Buona resistenza meccanica;
Buone proprietà ottiche;
Scarsa tendenza alla formazione di schiuma;
Atossicità;
Resistenza all’attacco da parte di batteri;
Basso costo e buona disponibilità sul mercato.
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5.3.1 LATTICE
I lattici sono molto importanti e utilizzati, perché possiedono buona parte delle
caratteristiche sopra elencate. Il lattice da in genere anche rigidità finale e crea un film che
limita lo spolvero in fase di patinatura. Sono definiti come dispersioni acquose o non
acquose di particelle colloidali di polimeri aventi dimensioni comprese tra 0.01μm e 1μm.
I lattici appaiono di colore bianco, perché le particelle disperse diffondono la luce incidente.
Ciò avviene in seguito al diverso indice di rifrazione tra particelle polimeriche e l’acqua.
All’aumentare della concentrazione di solidi o della dimensione delle particelle disperse, il
lattice apparirà blu acceso, giallo o tendente al rosso.
5.3.2 AMIDO
L’amido è un polimero di origine naturale del glucosio che viene prodotto dalle piante come
riserva energetica. L’amido è molto simile alla cellulosa, di differenza solamente per la
configurazione spaziale che nella prima è una struttura fibrosa, mentre nella seconda è una
struttura granulare.
A seconda che le catene siano ramificate o non ramificate prendono il nome di amilopectina
o amilosio. Per l’uso in cartiera si utilizza amido proveniente da mais, patate e frumento. Gli
amidi che vengono utilizzati sono però modificati mediante conversione enzimatica o
termochimica per ottenere una reologia migliore e altre proprietà specifiche (ad esempio
esterificati, ossidati ecc), ma solitamente si acquista già amido modificato.
Va sempre tenuto in agitazione e ad una temperatura elevata per evitare che solidifichi
diventando inutilizzabile.
Naturalmente l’amido viene dosato in funzione del tipo di prodotto che poi si realizzerà. Ad
esempio nella produzione di patine per carte patinate l’amido non si usa: questo perché nella
stampa rotocalco, è essenziale il liscio e la comprimibilità della carta, indispensabile per il
buon trasferimento dell’inchiostro, dato che la forma è costituita da delle cellette e questa
caratteristica non può essere conferita dall’amido.
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5.4 COLEGANTI
La loro funzione principale è quella di aumentare la ritenzione d’acqua della patina in modo
che, essendoci un ricircolo nella stazione finale, essa mantenga invariate le sue
caratteristiche di contenuto di solidi e di viscosità affinché restino costanti i parametri di
applicazione. Il controllo di ritenzione d’acqua è di fondamentale importanza ai fini di una
buona patinatura: una ritenzione troppo elevata rende precario l’ancoraggio della patina al
supporto, mentre una ritenzione d’acqua troppo bassa comporta un successivo
addensamento della patina durante l’applicazione.
5.4.1 ALCOOL POLIVINILICO (PVA)
L’alcool polivinilico viene prodotto in un processo che comprende la polimerizzazione
radicalica dell’acetato di vinile e un alcolisi. Il prodotto di reazione viene quindi liberato dai
componenti volatili e dai sottoprodotti prima di essere essiccato e macinato. Il polimero che
si ottiene è completamente solubile in acqua.
Il PVA viene utilizzato come addensante e per questo viene mantenuto sotto forte agitazione
meccanica e a temperature elevate. Svolge un’ottima azione stabilizzante sulla sospensione,
è un buon agente di ritenzione, ma principalmente il suo compito è quello di creare una
struttura resistente nel film di patina.
Le patine che contengono PVA sono di colore più bianco e brillanti. Un altro suo compito
molto importante, oltre ad avere un elevato potere legante, è quello di aiutare la buona
azione dell’imbiancante ottico, disperdendolo meglio e potenziandone il suo effetto, che
altrimenti di per sé sarebbe poco efficiente.
In cartiera ad Arco viene utilizzato un alcool polivinilico con grado di viscosità pari a 4 ed
una granulometria del 98% (percentuale di particelle con dimensioni inferiori ai 2µm).
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5.5 ADDITIVI
Gli additivi sono sostanze ausiliarie che si aggiungono alle miscele di patina per migliorare
le proprietà dello strato di patina applicato o per evitare il sorgere di difficoltà operative nei
processi di miscelazione, applicazione, essiccamento.
Tutti gli additivi provocano una variazione più o meno marcata nelle caratteristiche di flusso
delle patine, alcuni hanno la funzione specifica di modificare le caratteristiche di flusso
(disperdenti, fluidificanti, addensanti), altri vengono utilizzati per preparare patine con
maggiore uniformità e maggiore possibilità di applicazione, nonché per conferire
determinate proprietà al prodotto finito (lubrificanti, antischiuma, insolubilizzanti).
Gli additivi più importanti ed utilizzati sono:
Lubrificanti che servono per far scorrere meglio le particelle;
Disperdenti che aiutano ad una buona disposizione del preparato;
Antischiuma che appunto evitano la formazione di micro-bolle nella patina;
Addensanti (viscosizzanti) per aumentare la viscosità della patina;
Fluidificanti che hanno la funzione opposta degli addensanti;
Insolubilizzanti, i quali rendono la patina più resistente all’acqua (utilizzati per carte
da stampa in cui il processo prevede l’utilizzo di acqua);
Biocidi, che evitano la formazione e/o riproduzione di funghi e batteri e dunque
favoriscono la conservazione della patina.
Stabilizzatori di pH (in particolar modo la soda, per ottenere il pH voluto);
Coloranti (viola e blu) che impartiscono, anche quando la patina è bianca, una
sfumatura di tinta per una questione estetica e per coprire particolari colori dei
pigmenti;
Agenti ottici come sbiancanti o candeggianti ottici.
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6. METODI DI APPLICAZIONE
6.1 SIZE PRESS
Questo sistema era stato originariamente congeniato ed impiegato per collare la carta in
superficie, tramite appunto Size Press, nel caso in cui la collatura in massa non fosse
sufficiente per gli impieghi che la tipologia di carta doveva assolvere al tempo.
Oggi come oggi nell’applicazione a Size Press non è previsto l’utilizzo di barrette dosatrici
come avviene invece per la Film Press; infatti l’alimentazione dei cilindri è garantita da
molteplici rubinetti che provvederanno a creare un vero e proprio pozzetto di liquido, molto
spesso di amido, utilizzato nella produzione di particolari tipologie di carte. Questo pozzetto
andrà a bagnare per un determinato lasso di tempo il nastro di carta che in entrata alla Size
Press sarà costretto a transitarvi dentro.
In questo processo la quantità di amido applicata è sostanziosa, risulta perciò importante il
controllo del secco dello stesso, per evitare un consumo troppo elevato del prodotto, nonché
per consentirne una buona regolazione ed un conseguente assorbimento eccellente.
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6.1.1 IMPIANTO DI PREPARAZIONE DELL’AMIDO
Il laboratorio per il controllo e la qualità si occupa della preparazione di tutte le patine
utilizzate in macchina, più la preparazione dell’amido applicato in patinatrice, per alcune
tipologie di carta. Nel caso in cui l’applicazione d’amido avvenga in Size Press, è compito
del reparto fabbricazione il rifornimento di amido in questa sezione della Macchina
Continua. Il seguente schema è utile per comprendere il funzionamento dell’impianto di
preparazione dell’amido.
E’ così che l’amido stoccato nel silos esterno alle mura dello stabile, grazie ad una serie di
processi automatizzati, giunge cotto e diluito in soluzione ai coni sottostanti la Metering
Size Press:
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 29
Alla realizzazione di ciascuna “cotta” di amido si susseguono nell’ordine i seguenti passi:
L’amido di fecola stoccato nel silos alimenta la bilancia finché questa non misura un
peso netto pari a 400 kg;
A questo punto una coclea trasporta tale quantità nella tina di dissoluzione in cui
precedentemente è stato versato un volume di acqua di 650 lt: un mescolatore
agevola lo scioglimento dell’amido;
La soluzione viene inviata alla tina da 120hl finché non viene raggiunto un valore
limite pre-impostato e conseguentemente il dissolutore è nuovamente riempito con
amido e acqua;
Entrambe le tine sono provviste di mescolatore che, grazie alla loro azione
continuativa di fondamentale importanza, non permette all’amido di decantare. Se
l’amido non venisse mescolato per tempi superiori ai 20/30 minuti decanterebbe
verso il fondo dei recipienti andando a formare una massa densa a tal punto da
rendere impossibile l’avvio in un secondo tempo della girante e costringendo gli
operatori ad eliminare, attraverso gli scarichi, il prodotto.
La soluzione contenuta nella 120hl viene pescata dalla pompa Slurry e attraversando
uno dei due filtri a colonna viene inviata al cocitore Jet Kooker, il quale non fa altro
che far incontrare la soluzione amidacea con del vapore a 120°C.
L’amido in questo modo viene cotto e subito prima di andare a riempire la tina da
15hl viene ulteriormente diluito: questo contenitore, a differenza dei precedenti, è
sprovvisto di mescolatore visto che, a cottura avvenuta, non sussiste più il problema
di precipitazione da parte dell’amido.
Dopo ogni cottura la valvola del tubo pescante nella 120hl viene chiuda ed in tutta la
tubazione, fino alla 15hl, viene effettuata una pulizia facendo scorrere acqua, in
modo da impedire il formarsi di incrostazioni di amido.
Dalla 15hl la soluzione viene travasata nella tina da 30hl quando il livello in
quest’ultima scende al di sotto dell’88%, in cui staziona prima di venir pompata
verso i due coni che alimenteranno la Size Press: una volta che la 15hl si svuota è
pronta a ricevere l’amido dalla 120hl.
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6.2 FILM PRESS
Il processo di patinatura con Film Press è contraddistinto dall’applicazione di un
determinato quantitativo di patina tramite due cilindri; gli stessi sono alimentati dalla patina
che su di essi viene opportunamente dosata in maniera omogenea tramite barrette filettate
che provvedono, essendo a contatto con i cilindri applicatori, a distribuire sui cilindri stessi
una ben definita quantità di patina, che verrà poi applicata sul nastro fibroso.
Solitamente la patina utilizzata tramite Film Press si differenzia dalle altre per la viscosità,
che dev’essere mantenuta opportunamente bassa per evitare d’inceppare in difetti quali ad
esempio la “buccia d’arancio”, molto temuta da cartari e stampatori.
Infatti, il punto critico di questa operazione sta nella dinamica che contraddistingue l’uscita
del foglio dai due cilindri pattinatori: qui, il film di patina applicato dovrebbe rimanere
spalmato in maniera uniforme, tuttavia la patina viene sollecitata e sottoposta al fenomeno
di “splitting”, ossia una parte della stessa tenta di stare attaccata al nastro fibroso ed un’altra
al cilindro applicatore, dando luogo a difetti decisamente spiacevoli.
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I parametri di regolazione della quantità di patina da applicare sono i seguenti:
Filettatura della barretta;
Pressione delle barrette esercitata sui cilindri applicatori;
Nip presente tra i due cilindri applicatori stessi.
I fattori principali che influenzano la qualità dell’applicazione sono:
Le caratteristiche del supporto, quali assorbenza e rugosità su tutte;
La concentrazione, la viscosità e le proprietà reologiche della patina;
La velocità del foglio e la tensione dello stesso.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 32
6.3 DIFFERENZE TRA APPLICAZIONE CON SIZE PRESS E FILM PRESS
Come accennato in precedenza, il principio base del funzionamento della Size Press è la
formazione del pozzetto (nel nostro caso di amido) attraverso il quale la carta, nel momento
del suo passaggio, viene impregnata completamente fino in profondità prima di passare tra i
due cilindri. È la pressione di quest’ultimi a determinare la quantità di collante da applicare.
Con il sistema della Film Press, invece, avviene un pre-dosaggio di patina sulle presse stesse
per poi trasmettere un “film” sul foglio di carta.
Con l’utilizzo della Size Press si avrebbe quindi un’ottima ritenzione, che con la Film Press
non si riuscirebbe a raggiungere; lo svantaggio principale è il fatto di non poter lavorare a
velocità elevate: se la macchina lavorasse ad una velocità di oltre gli 800 m/min, con l’uso
della Size Press, si creerebbero una serie di problemi come ad esempio la “buccia d’arancia”
e lo “splashing”; inoltre si dovrebbe disporre di una lunga post-seccheria, oppure garantire
costantemente altissime temperature nella stessa post-seccheria, per poter asciugare bene il
foglio in precedenza impregnato.
Per effetto “buccia d’arancia” si intende la tendenza del foglio, ad alte velocità, a seguire
una pressa al momento del distacco all’uscita del Nip.
Questo problema viene a crearsi anche in caso si voglia utilizzare la Size Press per patinare
provocato dalla viscosità della patina al punto tale da applicare al massimo 5-6 g/m2 di
patina per lato, per avere un’accettabile distribuzione di patina. È per questo motivo che la
Size Press viene normalmente utilizzata solo per la pre-patinatura.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 33
Il problema dello “splashing”, provocato dall’aumento di velocità della macchina continua,
consiste nella fuoriuscita di soluzione dal bagno. Si tratta di un fenomeno provocato dalle
forze idrodinamiche del fluido viscoso e non comprimibile, accelerate dal contatto con i
rulli della Size Press e forzate a cambiare direzione nel punto dove il foglio entra nel Nip.
E’ per questi motivi che è stata immessa sul mercato la Film Press, mediante la quale la
regolazione del film può essere effettuata con lama o barretta (come nel nostro caso). Il
principio è quello di laminare un film su ogni pressa prima del contatto con la carta,
regolando lo spessore in modo che venga totalmente assorbito dal foglio e non si crei il
pozzetto, limitando così i problemi di schizzi e fuoriuscita dal Nip, anche con soluzioni ad
alta viscosità e concentrazioni elevate.
Mentre per l’applicazione fatta con lama lisciante, che è basata su un principio
idrodinamico, le variazioni dello spessore di film sono molto legate alla velocità e alla
durezza della gomma delle presse ed alla rigidità della lama, nell’applicazione fatta con la
barra, basata su un principio volumetrico, lo spessore di tale film dipende dall’area libera fra
i fili della barra e di conseguenza dal diametro del filo.
La finezza di una barra và scelta in base alla durezza della gomma delle presse perché con
rivestimenti più teneri, a parità di barra e di pressione, questa penetra più profondamente nel
cilindro causando la riduzione dell’area aperta e di conseguenza del film applicato.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 34
In conclusione, utilizzando la Film Press si avrebbero i seguenti vantaggi:
Risparmio energetico;
Minor tendenza alla formazione della “buccia d’arancia”;
Incremento notevole della velocità;
Applicazione di soluzioni ad alta viscosità;
Possibilità di applicare simultaneamente due differenti trattamenti al foglio: una da
un lato ed uno dall’altro.
Gli svantaggi sarebbero sostanzialmente due:
Il costo è sensibilmente più elevato di una normale Size Press;
Non è possibile raggiungere un trattamento che interessi totalmente il foglio nel
senso dello spessore (anche se si può arrivare molto vicino), perché normalmente
l’applicazione deve rimanere 3-5 ml/m2 per faccia, inferiori alla capacità
d’assorbimento del foglio.
Size Press a pozzetto
Film Press con barretta
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 35
6.4 PATINATRICE A LAMA METALLICA CON CILINDRO APPLICATORE
Come già accennato, dopo l’applicazione di amido o patina in Metering Size Press, la
stesura di un ulteriore strato di prodotto tramite una patinatrice a lama, va a migliorare
sensibilmente la superficie della carta, conferendo a quest’ultima le caratteristiche di liscio,
di lucido, e quindi di stampabilità richieste.
Questo, come del resto il sistema precedentemente descritto in MSP, consiste nella gestione
del processo di patinatura tramite l’applicazione sul supporto cartaceo d’un eccesso di
patina che verrà successivamente ri-dosato e livellato in un secondo momento tramite
l’azione meccanica di lame contraddistinte da differenti geometrie.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 36
6.4.1 APPLICAZIONE DELLA PATINA
L’applicazione della patina viene effettuata tramite un cilindro applicatore d’acciaio
rivestito in gomma immerso per metà in una vasca contenente patina (la bacinella è rifornita
continuamente grazie ad un’apposita pompa). Il rullo applicatore, ruotando nel senso di
marcia della carta, dosa sulla superficie del foglio, che si infila tra l’applicatore e il
patinatore, una quantità di prodotto in sovrabbondanza.
Subito dopo, la carta passa tra il patinatore ed una lama che, esercitando su di essa una
pressione opportuna, stende uniformemente la patina sull’intero formato.
Il prodotto in eccesso viene raschiato e si va a depositare in una bacinella di recupero
inserita nel circuito di ricircolo. Infatti, in seguito allo stress subito sotto la pressione della
lama, le proprietà reologiche della patina si degradano ed è meglio mescolare quest’ultima
con una quantità molto maggiore di prodotto “fresco”.
Alle estremità del cilindro applicatore vi sono dei raschietti il cui compito è quello di
limitare l’area di applicazione della patina in senso trasversale, quest’area dell’applicatore
viene lubrificata con acqua per limitarne l’usura.
In seguito la carta passa attraverso una serie di forni con lo scopo di asciugare la patina
appena applicata. Nella fase di applicazione gioca un ruolo importante il rullo applicatore e
ancor di più la lama utilizzata.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 37
6.4.2 PARAMETRI DELL’APPLICATORE
Per quanto riguarda il rullo applicatore, le impostazioni regolabili dall’operatore sono:
Velocità di rotazione [rpm];
Distanza dal patinatore [mm].
La regolazione ed il controllo di questi parametri è atta a garantire una corretta distribuzione
di prodotto sulla carta.
Fondamentalmente devono essere rispettate le seguenti indicazioni:
Velocità e distanza dell’applicatore devono essere regolate in primis in funzione della
velocità della macchina e della grammatura della carta prodotta;
All’aumentare della velocità di macchina cresce il fabbisogno di patina da applicare e
quindi dev’essere aumentata la velocità di rotazione dell’applicatore;
Per uno stesso tipo di carta, al crescere della grammatura si assiste all’aumento del
suo spessore, di conseguenza la distanza dell’applicatore dal patinatore dev’essere
aumentata. Spesso nel passare a grammature più pesanti si è costretti a ridurre la
velocità di macchina per motivi di macchinabilità, mentre la velocità dell’applicatore
dev’essere abbassata, la distanza dal patinatore dev’essere aumentata.
Dev’essere mantenuto un minimo ma costante deflusso di prodotti dalla bacinella al
ricircolo. Lo scopo è quello di impedire lo svuotamento della vaschetta, quindi di
garantire una quantità sufficiente di prodotto da “raccogliere” con l’applicatore:
questo per evitare il formarsi delle cosiddette “fiamme”, zone sulla superficie della
carta in cui la patina è assente.
Le fiamme costituiscono un difetto evidenziabile tramite il “test porometrico”: spalmando
dell’inchiostro tramite scatoletta o rullino sulla zona difettosa, e una volta trascorsi circa 30
secondi, passando tale area con del cotone idrofilo è possibile verificare l’omogeneità della
distribuzione superficiale di patina.
VELOCITA'
STANDARD
APPLICATORI
[rpm]
[m/min]
110
120
130
140
160
VTela < 300
300 < VTela < 400
400 < VTela < 530
VTela > 530
Amido
DISTANZA
STANDARD
APPLICATORI
[mm]
[gr/m2]
0,6
0,8
0,9
1,0
1,2
Amido
90 - 130
150 - 170
200 - 250
270 - 400
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 38
La velocità degli applicatori è regolabile sia dai pulpiti di fronte ai rispettivi patinatori, sia
dalle postazioni riguardanti gli azionamenti della Siemens posti in sala di comando.
La distanza è regolabile manualmente in loco agendo su due martinetti, uno per ciascuna
delle due estremità degli applicatori.
In seguito alla taratura eseguita durante la fermata, le lancette di entrambi vengono
posizionate sullo zero. Rotazioni in senso orario portano la lancetta verso valori positivi (+)
indicanti l’allontanamento del rullo rispetto al settaggio iniziale (riportato in decimi di
millimetro); nel senso contrario, invece, si avvicinerà l’applicatore al patinatore.
6.4.3 LIVELLAMENTO ED OMOGENEIZZAZIONE
Questo principio fisico è ottenuto tramite l’impiego di lame metalliche, siano esse applicate
con tecnologia raschiante o lisciante, costituite da una lamiera elastica di 0,3 – 0,5 mm di
spessore, che possono essere utilizzate sino alle più alte velocità di patinatura (1500 m/min).
Importante in questa particolare tecnologia è il comportamento delle patine nella fase in cui
vengono sollecitate dall’azione delle lame. Sotto elevati gradienti della lama, la patina deve
mantenere un comportamento pseudoplastico ed in parte tissotropico, come vedremo in un
paragrafo successivo dedicato, comportamento necessario affinché vi sia uno scorrimento
subito dopo la lama al fine di minimizzare l’insorgenza di difetti d’applicazione e
disuniformità.
Sotto la lama appaiono due difetti che portano ad un arricchimento d’acqua:
L’effetto parete, che fa aumentare i volumi di vuoti sulla lama;
L’effetto Fahraeus, il quale contribuisce a far migrare le particelle solide all’interno
della soluzione; il quantitativo di solidi in superficie perciò diminuisce.
Subito dopo la lama, le particelle che compongono lo strato superiore della patina vengono
accelerate alla velocità di produzione: ciò da luogo ad un turbinio di particelle di patina che
contribuisce a formare una “gobba” di patina.
Se durante lo sviluppo successivo del processo si riesce a mantenere questa struttura in
movimento vorticoso, il risultato sarà una patina contraddistinta da elevato volume e qualità.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 39
Nella figura sottostante è schematizzato il sistema di caricamento della lama (coltello)
contro il patinatore: tra i due si interpone il foglio di carta.
La funzione di tale sistema è quella di rendere possibile la regolazione dell’applicazione di
patina sulla carta, sia in termini di quantità che in termini di omogeneità sull’intero formato
del foglio. Tutto questo potendo agire sia sulla pressione (carico di lavoro) esercitata dalla
lama sul nastro di carta, sia sull’angolo compreso tra la tangente del patinatore e l’asse della
lama (angolo di lavoro, o di patinatura).
E’ facile dimostrare come, utilizzando lame con limitati angoli di lavoro (quindi piuttosto
liscianti che raschianti) e contenendo la pressione da esse esercitata, si ottiene una maggior
applicazione di patina sul foglio, guadagnando lucido e liscio della superficie e allo stesso
tempo limitando i costi di produzione; per contro, così facendo, si rende più difficile la
regolazione del profilo trasversale di grammatura.
Il sistema è in grado di variare l’angolo di lavoro del coltello, adottando come perno attorno
al quale avviene la rotazione la punta della lama stessa: ciò al fine di mantenere inalterato il
carico. Per quanto riguarda quest’ultimo, in stabilimento non avviene un’operazione di
misura diretta della pressione esercitata dalla lama sulla carta; esiste solo una misura
riguardante la posizione alla quale il coltello viene portato.
La regolazione di carico e angolo vengono effettuate agendo su due comandi situati sul
pulpito davanti al patinatore. In patinatrice, inoltre, vi è la possibilità di operare su delle viti
micrometriche su cui sono installati dei martinetti idraulici che consentono di aggiustare la
distanza ed il profilo del portalama rispetto al patinatore a livello “locale”. In tal modo si
imposta la patinatrice affinché vi sia un’applicazione pressoché uniforme nel senso
trasversale alla direzione di macchina.
Nello stabilimento di Arco, lungo i 350cm di formato, operano 35 martinetti regolatori,
quindi vi sono 35 settori autonomamente regolabili ampi 10cm circa.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 40
6.4.4 REGOLAZIONI DELLA TESTA PATINATRICE: CARICO E ANGOLO
I bracci della testa patinatrice sono collegati da un distanziale su cui è montato un martinetto
centrale che permette d’effettuare la regolazione dell’angolo della lama da 15° (con angolo
di caricamento a 0°) fino a 60°. Il martinetto centrale è azionato tramite un giunto calibrato.
Il sistema permette il movimento della testa patinatrice tramite due eccentrici su due diversi
assi di rotazione in modo da poter agire separatamente sia sulla pressione, sia sull’angolo di
incidenza della lama. Ciò può essere eseguito sia a macchina ferma che durante il
funzionamento della stessa.
Il campo d’angolo di incidenza della lama va da 20° a 35°: la regolazione delle teste dopo
che si è impostato un angolo di lavoro avviene sia sul martinetto centrale che agisce sulla
rotazione della testa, che su quelli laterali che agiscono sulle bussole eccentriche della testa.
Il campo d’angolo di caricamento va da 5° a 20°: in questo caso una volta impostato il
valore desiderato il sistema agisce solamente sul martinetto centrale.
Vi sono due modalità di utilizzo e di regolazione delle lame, ossia:
La modalità Stiff Blade, ossia lama raschiante;
La modalità Bent Blade, vale a dire lama lisciante (o spalmante).
Nella modalità con lama raschiante per diminuire l’apporto di patina è necessario aumentare
la pressione e diminuire l’angolo della lama. Un cambiamento della pressione lineare
provoca un cambiamento stabile mentre una variazione dell’angolo va ad agire sulla
superficie della lama in contatto con il foglio; è necessario dunque attendere che la lama si
usuri per constatare le reali variazioni del peso della patina applicata.
Importante parametro per ottenere una buona applicazione della patina è la pressione
specifica della lama, determinata dalla superficie della stessa a contatto con il foglio.
Risulterà infatti che con lo stesso angolo di caricamento ed una lama più spessa, la quantità
di patina applicata sarà inferiore.
Alcune regolazioni permettono di passare in modalità Bent Blade (lama lisciante): in questo
caso l’angolo di caricamento oscilla tra 5° e 12° mentre l’angolo lama e le caratteristiche
intrinseche delle lame (dimensioni e materiali di costruzione) sono le variabili che devono
essere combinate per trovare la configurazione corretta. La quantità di patina è ottenuta
variando l’angolo della lama: maggiore è l’angolo maggiore è la pressione della lama, e la
riduzione della lunghezza di contatto della stessa, maggiore sarà perciò la riduzione della
quantità di patina applicata.
Il controllo dei parametri della patina viene effettuato dal Laboratorio Controllo Qualità, che
provvede tramite prelievi della patina utilizzata nelle teste, ad estrapolare dati quali i secchi
e la viscosità della patina, essenziali per poter sviluppare le caratteristiche desiderate.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 41
7. TIPOLOGIE DI LAME
7.1 RASCHIANTI (STIFF BLADE)
Nell’utilizzo di una lama raschiante si ha la trave con un’angolazione di lavoro tra i 35° ai
50° circa, in questo caso la lama presenterà un lato pre-affilato detto bisello, 30-50°, un’
estensione fatta ormai su misura per ogni macchina per avere un controllo delle geometrie
accurate. L’utilizzo continuo della lama nella stessa posizione di lavoro fa si che si
modifichi o affili l’angolo del bisello e di conseguenza bisognerà agire per riportare il prima
possibile il variare del peso patina che sarà aumentato, in casi estremi si effettuerà il cambio
della stessa. Solitamente si lavora in modalità raschiante per grammature leggere.
La scelta della lama non si ferma all’estensione del bisello ma anche al suo angolo, stickout,
spessore, altezza, tutti questi fattori possono influire positivamente o negativamente a
seconda del lavoro svolto in ogni singola Cartiera.
Lavorando in modo raschiante si ha il vantaggio di gestire i profili patina con più facilità e
la quasi assenza di righe sul foglio carta; d’altro canto avremo una macchinabilità
difficoltosa a causa dell’angolo di lavoro accentuato che causa rotture al passaggio di difetti
(ad esempio fori). Anche l’applicazione della patina stessa sarà difficoltosa per via del forte
raschiamento tra lama e supporto; avremo un foglio con una buona finitura ma con
l’accentuazione di eventuali difetti.
7.2 LISCINATI (BENT BLADE)
Lavorando in modo lisciante avremo una lama senza bisello, solo in alcuni casi troveremo
questa lavorazione ma molto più leggera, da 2° a 5°, chiamata pre-bisello studiata per
facilitare l’inizio lavoro (attacco teste) causa di bruciature della stessa; il suo angolo di
lavoro è tra 10° e 25°. La superficie di contatto aumenta di continuo per l’usura della lama
con un conseguente aumento di applicazione patina.
Con questo tipo di applicazione si ha una macchinabilità migliore, una buona stuccatura del
supporto, una maggiore applicazione patina, e soprattutto un maggior lucido della carta.
Risulta però difficoltoso il controllo dei profili a causa dell’elasticità della lama.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 42
7.3 CARATTERISTICHE DELLE LAME
Forma e dimensioni della lama sono determinanti nella scelta di quest’ultima a seconda del
tipo di carta prodotta; qui di seguito è riportato lo schema di un coltello per patinatrice.
I parametri dimensionali di una lama sono i seguenti:
L (Lunghezza) [mm];
H (Altezza) [mm];
S (Spessore) [mm];
α (Bisello) [°].
La lama viene montata su un supporto fissato sul corpo della testa; questo supporto è dotato
di due canali d’acqua che permettono di mantenere una temperatura controllata.
Come elemento di supporto lama vi è un tubo gonfiabile, la cui pressione è regolata tramite
la valvola poppet; ciò consente di mantenere il punto d’appoggio della lama stabile e di
regolarne il carico.
Il sistema di bloccaggio è composto da una parte fissa che serve da sede della lama e da un
labbro mobile di bloccaggio azionato da tubi gonfiabili montati sulla testa della patinatrice.
In reparto è esposta la tabella indicante i tipi di lame a disposizione nello stabilimento di
Arco e sugli standard operativi riguardanti le varie tipologie di carta da produrre sono
indicati i tipi di lama da utilizzare.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 43
7.4 TIPOLOGIE DI MATERIALI
Il primo materiale ad essere utilizzato è stato l’acciaio, che a tutt’ora viene largamente
usato, con un costo relativamente basso. Oggi sempre alla ricerca di nuove tecnologie e
materiali i fornitori in collaborazione con le cartiere hanno messo sul mercato lame con
rivestimenti come la ceramica ed i carburi di tungsteno, con effetti positivi sul lavoro
finito, come il lucido della carta ed il lucido di stampa.
Anche la macchinabilità è migliorata grazie a minori attriti, che di conseguenza aumentano
la durata della lama stessa, con migliori applicazioni di patina e stuccatura senza dover
intervenire sulle formulazioni delle patine. Ovviamente tutto questo ha un prezzo
economico: il costo di queste lame può arrivare fino a dieci volte rispetto a quello di una
lama in acciaio.
7.5 PRINCIPALI LAME UTILIZZATE AD ARCO
LAME RASCHIANTI SEMPLICI
Tipo Angolo [°] Lunghezza [mm]
A
B
C
D
30
30
25
30
3520
3520
3520
3520
Altezza [mm]
Spessore [mm]
76
76
76
76
0,381
0,300
0,390
0,490
LAME RASCHIANTI INDURITE
Tipo Angolo [°]
E
F
H
K
Y
25 / 15
25 / 17
30 / 15
25 / 00
20 / 12
Lunghezza [mm]
Altezza [mm]
Spessore [mm]
3520
3520
3520
3520
3520
76
76
76
76
76
0,400
0,381
0,450
0,305
0,457
LAME LISCIANTI
Tipo Angolo [°]
LM
LH
LR
90 / 06
90 / 06
90 / 06
Lunghezza [mm]
Altezza [mm]
Spessore [mm]
3520
3520
3520
86
86
86
0,457
0,390
0,381
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 44
8. SISTEMI DI ASCIUGAMENTO
Successivamente alle operazioni di applicazione, dosaggio e corretta stesura dello strato di
patina, avviene la fase di “essiccamento” del foglio; questa operazione consiste nella
elementare evaporazione dell’acqua contenuta nella patina, che aumenta il contenuto di
umidità della carta e quindi ne peggiora le sue caratteristiche.
Questa operazione è possibile attuarla sfruttando tre diversi principi fisici:
Conduzione, tramite cilindri essiccatori;
Convezione, usando soffi d’aria calda o cappe ad aria surriscaldata;
Irraggiamento, utilizzando i raggi infrarossi;
In Macchina Continua ad Arco vengono utilizzati i principi di conduzione ed irraggiamento.
Si fa uso anche della convezione tramite l’Air Turn, presente dopo la Metering Size Press;
in patinatrici non è presente alcun sistema che sfrutti questo principio, ma solamente raggi
infrarossi (forni Krieger e Solaronics).
8.1 CILINDRI ESSICCATORI
I cilindri essiccatori costituiscono la parte finale dell’asciugamento: questi estraggono
l’ultima quantità di umidità rimasta nel foglio fino a raggiungere il 3-5%.
Si tratta di vere e proprie batterie di cilindri scaldati con vapore a differenti pressioni per
raggiungere la temperatura necessaria. Essi sono avvolti da feltri (superiori ed inferiori), per
garantire un miglior contatto tra la carta e i cilindri riscaldati e per migliorare lo scambio
termico. E’ infatti fondamentale mantenere stabile la conduzione al nastro carta.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 45
8.2 RAGGI INFRAROSSI
Gli infrarossi sono costituiti da elementi a piastra, assemblabili per le varie larghezze dei
nastri di carta e costituiti in file normalmente accoppiate. Vengono usati raggi infrarossi con
alte percentuali di lunghezza d’onda corta e sviluppano temperature che superano i 2000°C,
con ventilazione forzata per la asportazione di vapori.
L’impianto ad infrarossi è basato sulla combustione di una miscela di aria e gas che riscalda
una piastrella di ceramica ed irradia un’onda infrarosso che si trasforma in energia calorica
quando entra in contatto con la carta.
Questo sistema, permette un rapido trasferimento dell’energia termica direttamente sul
foglio senza riscaldare l’aria di circolazione. L’efficienza di tale asciugamento è calcolata
fra 40% e 1’80% dell’energia impiegata. Bisogna trovare un giusto equilibrio, prima di
arrivare al punto di gel della patina perché il lattice, sotto l’azione di forze intermolecolari,
ha la tendenza a migrare per punti: ciò avviene all’interno del foglio oppure in superficie
creando l’indesiderato problema del mottling, (la cattiva stesura della patina, causa una
distribuzione irregolare dell’inchiostro). Se l’evaporazione è troppo veloce, il lattice tende a
seguire l’acqua di evaporazione e si accumula irregolarmente in superficie, mentre, se è
troppo lenta, tende a penetrare per punti nel supporto, compromettendo di conseguenza la
regolarità superficiale.
In uscita dalla Metering Size Press si trova la cappa dei forni Solaronics: questi sono
disposti su 4 settori (gruppi di 2 o 3 file), ciascuno attivabile separatamente. Il 1° e il 3°
agiscono sul lato feltro, mentre il 2° e il 4° sul lato tela: per questo se si accendono solo due
forni, è necessario attivare i primi due o gli ultimi due, altrimenti l’essiccamento della patina
agirebbe solo su uno dei due lati, provocando difettosità.
La carta in uscita da ciascun patinatore incontra 2 cappe di formi Krieger, in tutte e quattro
le patinatrici la prima cappa è formata da 4 file di forni, mentre la seconda cappa ha 6 file
per la prima patinatrice, 5 per la seconda, 4 per la terza e 2 per la quarta.
Quindi il numero totale di file per ogni patinatore va da un massimo di 10 per il primo
patinatore, fino ad un minimo di 7 per il quarto. Per aumentare l’asciugamento sui bordi
esterni della carta è possibile usufruire di ulteriori piccole file di forni laterali.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 46
8.3 AIR TURN
Un dispositivo in cui è possibile gestire la tensione della carta in modo automatico è l’Air
Turn. Il controllo automatico del tiro di quest’ultimo è solitamente utilizzato quando in Size
Press vi è un’applicazione di amido su carte di bassa grammatura (in cui si ha a che fare con
carte piuttosto elastiche). Viceversa, in caso di applicazione di patina con Film Press, la
rigidità assunta dalla carta è tale da impedire al sistema di controllo di applicarvi una
tensione costante; oscillazioni di una certa entità del tiro comporterebbero un rischio
concreto di rottura della carta.
L’Air Turn supporta il passaggio della carta ancora “bagnata” dal prodotto appena
applicato, che sia amido o che sia patina, senza che ci sia alcun contatto tra le rispettive
superfici; al suo posto, un comune cilindro, sarebbe soggetto ad un continuo imbrattamento.
Tale dispositivo si trova tra la Metering Size Press e la post-seccheria; esso mantiene in
tensione la carta grazie a dei soffi d’aria calda che generano una pressione sufficiente a
supportare il foglio al suo passaggio senza che ci sia un contatto diretto tra la superficie del
dispositivo e la carta stessa.
Se la distanza tra carta e Air Turn (solitamente pari a qualche centimetro) non è sufficiente,
è possibile che la prima sporchi la superficie del secondo e di conseguenza il resto della
macchina, aumentando così il rischio di rompere la carta.
Man mano che si aumenta la pressione dell’aria calda iniettata dall’Air Turn, aumenta la
distanza tra le due superfici, quindi è sempre più l’aria che fuoriesce dal cuscinetto.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 47
9. REOLOGIA DELLE PATINE
La reologia studia le deformazioni che subisce la materia sotto l’azione di una forza esterna.
Consideriamo un elemento cubico di un liquido (come può considerarsi la patina) di cui una
faccia ABCD sia immobile.
Se tangenzialmente alla faccia opposta EFGH, una forza P agisce sul bordo FE, l’elemento
cubico si deforma: la faccia EFGH scorre nel senso della forza applicata con velocità v.
La resistenza allo scorrimento viene misurata con la forza P applicata all’area unitaria del
piano superiore EFGH, ed è denominata forza di taglio T.
Quindi: T = P / A
dove con A si intende l’area delimitata dai punti EFGH.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 48
Le sezioni parallele intermedie dell’elemento cubico, scorrono con velocità via via minore
quanto più si avvicinano alla base fissa. L’angolo FAB se sottoposto alle sollecitazioni non
è più retto e assume un valore w che diventa sempre più piccolo col trascorrere del tempo.
Potremo perciò definire una velocità di deformazione D, ponendola uguale alla variazione
di w col tempo.
La viscosità assoluta (Va) corrisponde alla forza per unità di superficie necessaria a
mantenere un gradiente di scorrimento unitario.
Quindi: Va = T / D
Usando le unità di misura SI (sistema internazionale), si misura in Pa (Pascal) e D in s
(secondi). 1 mPa (millipascal) equivale a 1 cps (centipoise) nel sistema di misura che si
usava in passato. Il coefficiente coincide con buona approssimazione con il coefficiente di
viscosità e si misura in mPas (millipascalsecondo).
Pertanto più la viscosità è elevata, minore risulta la velocità di deformazione D a parità di
sforzo di taglio: la viscosità misura dunque la tendenza del liquido a opporre resistenza al
movimento. Per caratterizzare il comportamento di un liquido sotto l’aspetto reologico, si
deve esaminare come varia la velocità di deformazione in funzione della forza di taglio
applicata.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 49
9.1 FLUSSO NEWTONIANO
Aumentando T, D cresce proporzionalmente; la pendenza della curva è costante, perché
costante rimane la viscosità al variare della forza di taglio. Infatti la pendenza rappresenta
l’inverso della viscosità. Il flusso newtoniano si ha nel caso dell’acqua, delle soluzioni, delle
sospensioni molto diluite nelle quali non vi è interazione fra le particelle disperse.
D
T
9.2 FLUSSO PLASTICO
Si deve applicare una forza ben definita prima che abbia inizio il movimento. È il caso di
certe dispersioni che richiedono una fase iniziale in cui le particelle vengono divise le une
dalle altre per azione dello sforzo applicato; oltrepassata tale soglia, il flusso assume
andamento newtoniano.
D
T
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 50
9.3 FLUSSO PSEUDO-PLASTICO
Si ha il movimento da subito, ma vi è inizialmente una forte resistenza (viscosità elevata). È
il caso dei polimeri che richiedono inizialmente un forza maggiore, in quanto parte di questa
viene spesa per l’allineamento delle molecole. Più l’allineamento procede, via via che
aumenta lo sforzo, più la viscosità diminuisce e il flusso diviene più rapido.
D
T
9.4 FLUSSO DILATANTE
È caratteristico di alcune dispersioni molto dense con forti attriti fra le particelle. La
viscosità aumenta col crescere dello sforzo di taglio, e la massa tende ad assumere
consistenza sempre più pastosa. Lo sforzo di taglio aumenta più rapidamente della velocità
di flusso.
D
T
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 51
9.5 FLUSSO TISSOTROPICO
Supponiamo ora di applicare una forza di taglio a un liquido non newtoniano. Se al cessare
dell’azione il liquido riacquista subito le condizioni che aveva prima di applicare la forza, il
liquido si definisce non tissotropico. Se invece si manifesterà un’ isteresi, cioè occorrerà un
intervallo di tempo prima che il liquido riassuma lo stato originario, il liquido si definisce
tixotropico. Il diagramma che si ottiene aumentando lo sforzo di taglio fino a un certo valore
e riportandolo quindi a zero, presenta, per un liquido tixotropico, una configurazione ad
anello allungato.
D
T
È evidente che per lo stesso valore di forza di taglio si hanno due valori di D a seconda che
si stia incrementando o che lo si stia diminuendo. Diagrammi di tipo simile si possono
tracciare rapidamente con appositi strumenti (Hercules, Venema, Rotovisco, ecc.) con i
quali si misura il momento torcente al variare della velocità angolare e danno preziose
informazioni su quello che sarà il comportamento di una particolare formulazione durante la
patinatura. Il comportamento tipico di una buona patina è pseudoplastico/tissotropico.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 52
10. I PROCEDIMENTI INDUSTRIALI DI STAMPA
Nel formulare una patina si deve dare grande importanza al processo di stampa: lo scopo
principale della patinatura con pigmenti è quello di realizzare una superficie più omogenea
possibile al fine di ottenere un buon trasferimento dell’inchiostro sulla carta.
Sebbene una superficie liscia sia sempre desiderabile, esistono però altre caratteristiche
fondamentali ai fini della stampabilità, che variano a seconda del processo di stampa.
Ciascuna patina va pertanto studiata e formulata in funzione alle esigenze dello stampatore e
alla metodologia con il quale effettua la stampa.
I sistemi di stampa più utilizzati sono i seguenti:
Stampa Offset;
Stampa Roto-Offset;
Stampa Rotocalco;
Stampa Flessografica.
L’offset è un procedimento di stampa planografico a trasferimento indiretto (da cui il
termine off-set). La forma da stampa è costituita da una lastra in alluminio: il principio si
basa sulla repulsione tra acqua e inchiostro. Il grafismo è reso liofilo da un particolare
prodotto fotosensibile, la lastra in alluminio è idrofila.
La stampa offset utilizza soprattutto inchiostri grassi nelle zone delle immagini da stampare.
Non sono quindi presenti dei grafismi veri e propri, ma viene sfruttato il principio
dell’idrorepellenza. Durante il processo di stampa la lastra viene prima a contratto con un
rullo umidificatore e successivamente con una serie di rulli inchiostratori: in questo modo
l’inchiostro si depositerà solamente nelle zone idrofobe, dove non è presente acqua, ossia le
immagini che verranno poi stampate.
Il passaggio successivo è il trasferimento dell’inchiostro presente sulla lastra ad un cilindro
di gomma, denominato caucciù, in quale ha il compito di trasferire a sua volta l’immagine
sul foglio di carta. E’ fondamentale questo cilindro: essendo realizzato con un materiale
deformabile è in grado di adattarsi alla superficie della carta, riuscendo così a trasferire
l’inchiostro anche dove la superficie non è perfettamente lineare.
Gli inchiostri utilizzati in questo procedimento sono fortemente viscosi e sollecitano
fortemente la carta al momento del distacco tra la stessa e il caucciù dopo la stampa. Risulta
quindi necessario utilizzare carte con una resistenza superficiale relativamente alta, e quindi
patine contenenti una quantità di adesivo piuttosto elevata.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 53
Poiché nella stampa offset si ha un leggero trasferimento di acqua sulla carta, questa deve
possedere una buona stabilità dimensionale e la patina deve avere un’adeguata resistenza
allo sfregamento ad umido. Meno rilevante è il grado di liscio della carta, perché come
anticipato la deformabilità del caucciù consente di compensare piccole disuniformità
superficiali.
La stampa offset è l’unico procedimento che può facilmente stampare anche su carte
leggermente ruvide. Ovviamente il risultato migliore rimane comunque quello ottenuto su
carte con un liscio elevato.
La presenza di materiali abrasivi nella carta non causa difficoltà, salvo il caso in cui si
trasferiscano, per distacco, nell’inchiostro o nell’acqua con conseguente abrasione della
forma da stampa, ossia la lastra di alluminio.
Un altro difetto che si incontra in questo procedimento di stampa, oltre allo scarso lucido e
allo spolvero causato dalla patina, è quello della marezzatura: una carta marezzata presenta
una superficie stampata maculata, dovuta ad un assorbimento dell’inchiostro non uniforme.
La causa principale è dovuta alla migrazione del legante presente nell’inchiostro verso la
superficie della carta durante la fase di asciugamento. Infatti l’acqua contenuta nel supporto
e nella patina, evaporando trascina l’adesivo in superficie: si formano così delle aree
superficiali ricche di legante che funge da barriera agli inchiostri.
Per evitare l’incombere di questi problemi si può agire sul secco della patina, aumentandolo
per quanto possibile in modo da avere una minor quantità di acqua da evaporare o agire sul
tempo di asciugamento, in modo che il lattice, quando l’acqua comincia ad evaporare, sia
già ben fissato al pigmento e al supporto.
Altre cause che possono provocare una marezzatura sono riconducibili ad una cattiva
formazione del supporto, nonché ad una cattiva distribuzione della patina.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 54
Stampa offset a fogli
Il procedimento di stampa con roto-offset è molto simile al precedente, cambia solamente il
tipo di alimentazione della macchina da stampa: in stampa offset l’alimentazione è a fogli,
vale a dire bancali di carta già tagliati nel formato desiderato dallo stampatore, mentre nella
stampa roto-offset viene utilizzata unicamente la bobina di carta.
La velocità e la stampa contemporanea sui due lati del foglio rendono questo procedimento
adatto a lavori di lunga tiratura; per contro, la scarsa flessibilità dell’impianto (tempi di
avviamento macchina, formato) lo rendono poco versatile.
I difetti che presenta la carta stampata in roto-offset sono analoghi a quelli della offset a
foglio. A questi, come difetto si può aggiungere il “blistering”, poiché si deve far passare la
carta in un forno di essiccazione. Il difetto si presenta sulla superficie della carta con delle
bolle causate dall’acqua evaporata in seguito ad un forte e repentino riscaldamento, che non
trovando via d’uscita ha rotto lo strato superficiale. Questo può essere conseguenza di un
supporto o di una patina troppo chiusi, oppure dall’eccessiva umidità della carta, rendendo il
supporto più aperto agendo sul tipo di fibre e sulla quantità di amido, formulando una patina
più porosa agendo soprattutto sui leganti e coleganti.
In entrambi i casi, la stampa offset viene utilizzata principalmente per depliant, editoria,
quotidiani, periodici e in genere riproduzioni di alta qualità.
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 55
La rotocalco è un procedimento di stampa incavografico a stampa diretta, la cui forma è
sostituita da un cilindro di acciaio rivestito di rame, inciso e cromato. I passaggi di tonalità,
cioè i chiaro scuri della stampa, sono dati dalla diversa profondità di incisione.
In tale processo la forma stampante, ossia un cilindro con anima in acciaio e superficie in
rame per essere lavorato, possiede i grafismi in incavo: le incisioni vengono riempire
d’inchiostro, che viene poi trasferito sulla carta per contatto diretto. Questo processo
richiede una carta ad elevato grado di liscio e, quando possibile, anche con una buona
comprimibilità, in modo che si abbia un contatto, tra forma stampante e carta, e si ottenga
una perfetta riproduzione dell’immagine senza nessun punto mancante.
Poiché gli inchiostri per stampa rotocalco, a differenza della stampa offset, sono molto
fluidi e a base di solventi volatili che essiccano per evaporazione, non è necessario disporre
di carte con elevata resistenza superficiale allo strappo. La qualità di adesivo utilizzata può
quindi essere minore che nelle carte offset.
E’ invece molto importante che la patina non sia abrasiva per evitare l’usura della forma
stampante. Solitamente una patina per rotocalco contiene, come pigmento, solo il caolino, in
quanto conferisce alla superficie un buon grado di liscio e bassa abrasività. Ultimamente
però sono state prodotte patina contenente una percentuale di talco, che rendono le superfici
della carta molto lisci e non troppo lucide, perfettamente adatte per questa metodologia di
stampa. E’ la stampa regina per periodici ad elevata tiratura e per imballaggio flessibile.
Carta
stampata
Carta
bianca
Pressore in gomma
Racla
Serbatoio
Cilindro forma
a
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 56
La flessografica è un procedimento di stampa rilievografico a stampa diretta, la cui forma
da stampa è costituita da un polimero o da una gomma che presenta zone stampanti in
rilievo rispetto alle zone non stampanti. I passaggi di tonalità, cioè i chiaro scuri della
stampa, sono dati grazie alla resinatura delle immagini.
Le matrici (cliché) sono fissate sui cilindri lastra e sono inchiostrate mediante un rullo
dosatore “anilox” strutturato a celle che trasferisce loro inchiostro liquido a rapido
essiccamento stampabile su qualsiasi supporto, assorbente o non assorbente.
All’interno del gruppo di stampa flessografico, l’inchiostro si sposta da un rullo al
successivo, fino ad arrivare al supporto da stampare, grazie alla diversa tensione superficiale
dei componenti con cui viene a contatto.
L’inchiostro di consistenza liquida, si stacca dalle cavità delle cellette dell’anilox e “bagna ”
la superficie del cliché che ha una tensione superficiale superiore a quella della ceramica di
cui è composto l’anilox. Allo stesso modo, il film di inchiostro si stacca dal cliché per
bagnare il film da stampare che avrà una tensione superficiale superiore a quella del
fotopolimero. Grazie alla pressione così morbida che si genera dal contatto che avviene tra
il cliché, il rullo anilox e il supporto da stampare, unita alle caratteristiche di elasticità della
matrice, la superficie stampante del cliché si adatta ai diversi tipi di materiali da stampare.
Questa versatilità di applicazioni che caratterizza il sistema flessografico ha determinato il
successo di questo procedimento di stampa.
La flessografica viene utilizzata per stampe a bobina di non elevatissima qualità (sacchetti,
carta da parati, carte regalo, …) in quanto le immagini ottenibili presentano una bassa
risoluzione dei punti. Viene anche utilizzata, in alternativa alla roto-offset, per la stampa di
quotidiani, cartone ondulato, la stampa di alluminio, e perfino legno.
Carta
Cilindro forma
Rullo anilox
Cilindro
pressione
Marco Tavernini – Il processo di patinatura nello stabilimento Fedrigoni di Arco – 57