Il programma - Cgil Firenze
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Il programma - Cgil Firenze
Zona Sesto - Campi Calenzano RSU COOP ITALIA Sesto Fiorentino in collaborazione con: Il lavoro si rappresenta 20 novembre - 12 dicembre 2006 Associazione Anémic MULTISALA GROTTA Via Gramsci 387, Sesto Fiorentino tel. 055/446600 martedì 5 dicembre ore 21,00 L’AMERIKANO lunedì 11 dicembre ore 20,30 lunedì 20 novembre AMEN ore 21,00 ore 22.30 L’AFFARE DELLA SEZIONE SPECIALE martedì 21 novembre ore 21,00 Z L’ORGIA DEL POTERE sabato 25 novembre BETRAYED TRADITA martedì 12 dicembre ore 20,30 MUSIC BOX ore 22.30 AMEN ore 21,00 CACCIATORE DI TESTE Alla presenza del regista Costa-Gavras ISTITUTO FRANCESE lunedì 27 novembre Piazza Ognissanti 2, Firenze tel. 055/2718820 ore 21,00 LA CONFESSIONE martedì 28 novembre ore 21,00 CHIARO DI DONNA lunedì 4 dicembre ore 20,30 giovedì 23 novembre ore 21,00 ANNA K. giovedì 30 novembre ore 21,00 Z L’ORGIA DEL POTERE MISSING ore 22.30 HANNA K. Interventi critici di Aldo Tassone Giovanni Maria Rossi Claudio Carabba Gabriele Rizza “I l lavoro deve ritornare a essere centrale nelle politiche pubbliche, nelle scelte legislative, negli spazi culturali e nelle rappresentanze sociali”. Questa frase pronunciata dal Segretario Generale della Cgil Guglielmo Epifani al teatro degli Arcimboldi a Milano in occasione delle celebrazioni per il centenario della Cgil, che nel capoluogo lombardo fu fondata il 1 ottobre 1906, sintetizza bene le ragioni di un’iniziativa di cinema che parla di lavoro. Tante sono state le trasformazioni sociali in questi cento anni in campo politico e istituzionale, sia a livello nazionale che internazionale. I cambiamenti tecnologici e la globalizzazione dell’economia hanno coinvolto profondamente tutta la società italiana, trasformandola da società prettamente agricola e poi industriale a società oggi proiettata prevalentemente nel terziario. Anche in presenza di un mutato contesto il filo rosso della memoria ci consegna una società dove il lavoro e la dignità del lavoro sono per la Cgil la stella polare da seguire. Stare nei processi di trasformazione economica e sociale, governarne i cambiamenti e contrastare la concezione di una società dominata esclusivamente dalle leggi del mercato, per invece affermare un modello sociale fatto di coesione e solidarietà che valorizzi le diverse identità per restituire valore al lavoro. Dobbiamo difendere e allargare un modello sociale partecipativo a tutti i livelli e assumere questo come impegno quotidiano per dare prospettiva di sviluppo e diritti alle lavoratrici e ai lavoratori. Tanto abbiamo fatto, e molto ancora resta da fare anche nel nostro territorio. La Cgil con le Camere del Lavoro Confederali, le sue categorie con i dirigenti e i militanti devono essere oggi come ieri punto di riferimento per il giovane precario, per il lavoratore a tempo indeterminato come per il pensionato, soggetti che si riconoscono nei nostri valori comuni di emancipazione sociale e crescita civile. Massimo Falorni - Filcams CGIL N ei film di Costa-Gavras da sempre si coniugano magistralmente spessore artistico e impegno civile e politico. I suoi film indagano e interpretano la storia, ne denunciano le colpe, chiedono al pubblico di pensare e se necessario di indignarsi. I valori della democrazia, della partecipazione non sono mai acquisiti, Costa-Gavras testimonia il proprio personale impegno in difesa di quei valori. Cinema “impegnato” quindi ma non didascalico, cinema d’autore ma non pedante, che affascina e coinvolge. Una grande padronanza della tecnica cinematografica, una felice scelta degli interpreti, al servizio di un cinema che racconta la società. Nessun autore meglio di Costa-Gavras può quindi ricordare il centenario della Cgil e il suo ultimo film Cacciatore di teste, che con graffiante ironia affronta la precarietà del lavoro di oggi, ne è la dimostrazione. L’Istituzione SestoIdee, che con il Comune di Sesto Fiorentino da tempo promuove il cinema di qualità organizzando retrospettive ed incontri, ben volentieri ha dato il proprio contributo alla realizzazione di una rassegna dedicata a Costa-Gavras, ancor più come invito a parlare di lavoro in occasione di un appuntamento importante come il centenario della Cgil. Il percorso di indagine sui temi del lavoro attraverso il cinema è iniziato nel 2005 su proposta della Filcams Cgil e dell’ Rsu Coop Italia con l’organizzazione della rassegna “”Il lavoro si rappresenta” che in poco più di un anno ha portato a Sesto Fiorentino numerosi registi raccogliendo una calorosa partecipazione del pubblico. Ringrazio la Filcams Cgil, l’Rsu Coop Italia e tutti coloro che hanno partecipato all’ideazione e organizzazione di questa iniziativa. Un ringraziamento particolare al regista Costa-Gavras che ha accettato il nostro invito e ci onorerà della sua presenza. Yvonne Marchese Consigliera delegata per la Cultura - Istituzione SestoIdee L’ Istituto Francese di Firenze è onorato di partecipare all’omaggio che la Cgilrende al grande cineasta Costa Gavras. Dall’uscita di “Z” nel ’69, l’opera di CostaGavras occupa un posto singolare, a testimonianza del suo impegno personale in favore della giustizia e della democrazia. Più che qualsiasi altro, Costa-Gavras ha saputo analizzare i meccanismi del potere e mostrarne i pericoli e le degenerazioni. In questo spirito, ha realizzato alcuni tra i film politicamente più impegnati dei nostri tempi creando al contempo opere di una eccezionale qualità cinematografica. La retrospettiva a lui dedicata a Sesto Fiorentino ci permetterà di riscoprire una opera di grande rilievo che è e sarà sempre fonte di ispirazione per le giovani generazioni. Bernard Micaud Direttore dell’Istituto Francese di Firenze Il cinema di Costa-Gavras U n regista impegnato, che fa cinema politico nel senso alto della parola, bello e avvincente. Un regista che prende in carico le nostre contraddizioni e le analizza, le incalza, le moltiplica, le fa coincidere con la realtà. Costa-Gavras, greco di Atene classe 1933 all’anagrafe Konstantinos Gavras, figlio di un piccolo funzionario di origine russa, si trasferisce presto a Parigi che diventa la sua seconda patria dove frequenta la Sorbona e l’Idhec. Inizia a lavorare come assistente di Allegret, Verneuil, Clair, Demy, Giono, Becker e Ophuls per firmare la prima regia nel 1965, Compartiment tueurs, polar inedito e originale dove l’assassino è lo stesso investigatore. Il gusto della provocazione trasversale, della rivelazione dubbiosa, della verità nascosta da indagare è fin da subito evidente. Via via rincarato dai successivi lavori, antieroi scomodi, spesso sconfitti, uomini e donne che sono prima di tutto testimoni di mutamenti personali e stravolgimenti politici. Un cinema epocale che non ha niente di leggendario ma che vive del respiro affannoso dei suoi protagonisti, ora colpiti dai dissesti della storia, pedine di un gioco più grande che non riescono a controllare, ora mortificati dal dolore privato, come un avvitamento sinuoso che non sai da che parte sciogliere. Ma Costa-Gavras resta prima di tutto il regista che “processa la storia”, in Europa, Stati Uniti, America Latina o Medioriente che sia, dai gulag ai garage olimpo ai campi di sterminio nazisti. Un regista che abbiamo conosciuto e imparato ad amare nei tempi giusti, i tempi delle nostre stagioni del bisogno e dell’accertamento. Come abbiamo conosciuto e imparato ad amare i suoi “attori sovversivi” segnati dal dubbio e dalla malattia del potere, gente che lotta con tenacia contro l’oppressione, l’ingiustizia, i totalitarismi, uomini e donne che spesso naufragano, fra gloria e martirio, che coi loro comportamenti, gestiti o subiti, provocano scandalo culturale e polemica intellettuale, personaggi che sanno o comunque cercano di (r)esistere alle intemperie, ai malanni e alle deviazioni che la società loro “impone”, in pubblico e in privato. Regista politico, che educa alla denuncia civile e all’indignazione morale, come non ce ne sono più, Costa-Gavras ha trascritto il secolo 20esimo, fuggito di corsa come il cinema che lo ha visto nascere e non esiste più. Ha scritto Alain Riou: “Costa ha fatto fin da giovane una scelta definitiva. La chiave del suo atteggiamento sta in un’infanzia attraversata dalla dittatura di Metaxas, la resistenza, l’occupazione tedesca, italiana e bulgara, seguite da una rivolta comunista e dal suo soffocamento da parte dell’esercito: a 15 anni il futuro cineasta aveva già conosciuto dodici anni di guerre, lutti e miserie: ce n’è abbastanza per dedicare la propria arte a cercare di cambiare il mondo piuttosto che divertirsi ad abbellirlo”. Gabriele Rizza Z - L’ORGIA DEL POTERE Z Regia: Costa-Gavras. Soggetto: dal romanzo omonimo di Vassili Vassilikos. Sceneggiatura: Costa-Gavras e Jorge Semprun. Fotografia: Raoul Coutard. Montaggio: Francoise Bonnot. Musica: Mikis Theodorakis. Scenografia: Jacques D’Ovidio. Costumi: Piet Bolscher. Interpreti: Yves Montand, Irene Papas, Jean-Louis Trintignant, Jacques Perrin, Charles Denner, Francois Perier. Francia/Algeria 1969, 127’, col., v.it. Film simbolo di Costa-Gavras, in Italia noto come L’orgia del potere, Zeta, una sola lettera, nel segno di Vassili Vassilikos e del suo libro uscito in Grecia nel 1966 e tre anni dopo in Italia da Feltrinelli col sottotitolo Anatomia di un crimine politico, racconta una stagione, una vicenda, una speranza. La stagione è quella degli anni sessanta, la guerra fredda, il duopolio mondiale e la cortina di ferro, i fascismi e i comunismi in lotta e la democrazia che resta a guardare, la speranza sono gli stessi anni, un nuovo orizzonte e un nuovo equilibrio e una nuova gioventù, i fatti sono quelli dell’assassinio a Salonicco nel 1963 del deputato pacifista Gregorios Lambrakis che portarono al colpo di stato militare del 21 aprile 1967, al regime dei colonnelli e alla fine della monarchia parlamentare di re Costantino. Premiato a Cannes e Oscar 1970 come miglior film straniero, Z ovvero la lettera che testimonia la vita e comparve sui muri di Atene dopo la morte di Lambrakis, è l’esempio eclatante di cosa significa girare un film d’attualità e di denuncia, il paradigma del messaggio politico che vuole (anche dopo mille difficoltà e censure d’ogni tipo) attraversare lo schermo e farsi testimonianza. Tutto ciò non sarebbe senza il volto di Yves Montand, alter ego di Costa-Gavras e suo attore feticcio, un complice e un compagno di viaggio con cui condividere progetti di vita (artistica e non solo). Costruito e montato come un film inchiesta, una ricostruzione minuziosa e documentata dei fatti e fattacci, lucido e appassionato, militante con coerenza e fascino cronachistico, fra suspence e sento etico e tocchi di umorismo, Z procede sulla strada (molto costagavrasiana) della solitudine dell’eroe positivo, ancora una volta sconfitto ma non perdente. Costa-Gavras prova indignazione, rabbia, consapevolezza dei torti e ce le trasmette tutte. Come meditazione riflessione compilazione di una delle vicenda più “classiche” di ordinario fascismo che la storia europea del 900 ci ha lasciato in eredità. LA CONFESSIONE L’aveu Regia: Costa-Gavras. Soggetto: dal racconto omonimo di Lise e Artur London. Sceneggiatura: Jorge Semprun. Fotografia: Raoul Coutard. Montaggio: Francoise Bonnot. Musica: Giovanni Fusco. Scenografia: Bernard Evein. Interpreti: Yves Montand, Simone Signoret, Gabriele Ferzetti, Michel Vitold, Monique Chaumette, Guy Mairesse, Laszlo Szabo. Francia/Italia 1970, 140’, col., v.it. Praga 28 gennaio 1951. Artur London, vice ministro degli esteri cecoslovacco, viene arrestato. Novembre 1952, dopo un approssimativo e collettivo processo politico viene condannato all’ergastolo. Autunno 1954, dalla prigione scrive alla moglie denunciando che quanto reso in confessione gli è stato estorto sotto tortura. 11 luglio 1955, il partito comunista lo trasferisce in ospedale, una sorta di arresto domiciliare. 6 febbraio 1956, Artur London è liberato. Nel 1968, durante la primavera di Praga, è riabilitato e pubblica La confessione. Muore nel 1986, prima della caduta del muro di Berlino e la fine dell’impero sovietico. La storia fa il suo corso. A noi non resta che guardare. Per Costa-Gavras, che dichiara di aver girato un’opera comunista denunciante una particolare involuzione ideologica, come voleva Lenin, solo la verità è rivoluzionaria. Quando uscì il film provocò un gran botto a sinistra. Il regista colpiva, meglio svelava, l’apparato, il perverso imperante meccanismo del partito padre padrone, che pensa a te, al tuo bene e al tuo futuro, ti condanna ti assolve ti manda all’inferno e in paradiso, il partito responsabile della tua vita, guida faro stella cometa. I processi sono farse, gli imputati marionette sacrificati sull’altare del complotto giudaico imperialista. L’unica speranza, l’ultima, è la confessione. Il partito non sbaglia mai, le confessioni sono una forma sublime di autocritica e lo spirito autocritico è la virtù principale di un vero comunista. Costa-Gavras, forte di una solida sceneggiatura, traduce in immagini il clima di una tragedia politica. Procede con rigore, implacabile, ossessivo, piano dopo piano, sequenza dopo sequenza, interrogatorio dopo interrogatorio. La marcia verso la “verità” non può non essere dura e dolorosamente coercitiva. Il realismo socialista dei processi stalinisti, trova in Costa-Gavras (e nello sceneggiatore Semprun) un chirurgo preciso e meticoloso, sguardo lucido e asciutto, calato dentro una appassionata costruzione drammatica, fra la cronaca di un processo annunciato, l’introspezione psicologica, la solitudine del prigioniero, la rabbia, la ribellione, il tentato suicidio, l’accettazione del verdetto. Il film decolla in un clima noir di cupa suspence metropolitana, si evolve nei gangli dell’accusa persecutoria, per poi abbandonare la spirale poliziesca e saltare nella corsia del documentario: il nostro eroe è vivo, quello che stiamo vedendo è già successo, è il suo terribile “lieto fine”. L’AMERIKANO Etat de siége Regia: Costa-Gavras. Soggetto: Franco Solinas. Sceneggiatura: CostaGavras e Franco Solinas. Fotografia: Pierre-William Glenn. Montaggio: Francoise Bonnot. Musica: Mikis Theodorakis. Scenografia: Jacques D’Ovidio. Costumi: Piet Bolscher. Interpreti: Yves Montand, Renato Salvatori, O.E. Hasse, Jacques Weber, Jean-Luc Bideau, Maurice Teynac, Yvette Etievant. Francia/Italia/Germania 1973, 122’, col., v.it. Primo capitolo sudamericano. Montevideo primi anni settanta. Il movimento dei tupamaros, la cui esistenza è negata dalle autorità di stato, sequestra due uomini, un cittadino statunitense (agente Cia dietro una nobile copertura) e il console del Brasile. Il film si ispira a una storia vera e tratta la materia con incandescente dosaggio degli eventi. La trattativa comincia, la situazione sembra avviarsi sulla strada del compromesso e della liberazione di ostaggi e prigionieri. Ma poi tutto precipita, la repressione ha la meglio, l’esercito arresta indiscriminatamente e nessuno fa sconti. La storia di questa porzione di impero americano difeso con tutti i mezzi (diplomatici e non) dalla Cia è un lungo incalzante interrogatorio sui metodi, la tortura, la violenza, il meccanismo della prigionia e dell’addestramento militare finalizzato alla sopraffazione e all’annientamento fisico e psicologico dei ribelli. CostaGavras guarda l’evolversi dei fatti, non sposa la strategia della violenza rivoluzionaria che si trasforma in una sorta di annullamento. Dice il regista: “Esistevano altri modi per farsi sentire in quel momento in Uruguay. E’ questo il concetto che sta alla base del film. In un paese in cui certe libertà fondamentali sono garantite, il passaggio al terrorismo è autodistruttivo”. Scritto insieme a Franco Solinas il film si muove su un asse semplice e chiaro, una architettura nitida che tende all’esposizione dei fatti, una trama leggibile, tutta giocata fra campi e controcampi, spessi primi piani, come tanti identikit che devono imprimersi nella memoria di chi guarda e fare da spartiacque, in una sorta di aggressione scomposizione drammatica della vicenda. Perché la lettura degli eventi e la loro postazione nell’equilibrio della storia sia onesta e non deviata dalle smorfie spastiche della ideologia. L’AFFARE DELLA SEZIONE SPECIALE Section speciale Regia: Costa-Gavras. Soggetto: dal romanzo omonimo di Hervé Villeré. Sceneggiatura: Costa-Gavras e Jorge Semprun. Fotografia: Andreas Winding. Montaggio: Francoise Bonnot. Musica Eric Demarsan. Scenografia: Max Douy. Costumi: Helene Nourry. Interpreti: Louis Segnier, Roland Bertin, Michel Lonsdale, Ivo Garrani, Francois Maistre, Jacques Spiesser. Francia/Italia/ Germania 1975, 115’, col., v.it. Parigi agosto 1941. Un gruppetto di giovani filocomunisti uccide in un attentato abbastanza casuale nel centro di Parigi un soldato tedesco (un cadetto della marina). Il governo di Petain decide per una condanna esemplare. Ecco il processo, il processo burla in questo caso, un tema caro e forte a Costa-Gavras, la figura del giudice giustiziere colta di spalle nella sua toga rosso ermellino fiammante, angelo e profeta. La rappresaglia montata con argomentazioni giuridiche senza senso (giustificata dal fatto che altrimenti i nazisti avrebbero ucciso molti più ostaggi) elimina sei francesi scomodi, attivisti comunisti, preferibilmente ebrei. Un caso “difficile” nella Francia collaborazionista di Vichy su cui il regista greco non fa sconti. Un periodo storico che il cinema francese fino a ieri ha rifiutato “per principio”, fumante ancora di vergogne e ipocrisie. Capitolo doloroso e imbarazzante, Vichy resta a lungo nell’ombra della macchina da presa transalpina. Costa-Gavras e il fedele sceneggiatore Jorge Semprun non ammettono riserve. Il film non è una metafora, è una storia vera, quei personaggi sono realmente esistiti e le frasi pronunciate nel film sono autentiche, dice il regista. Quasi un docufilm dagli accenti noir, un umorismo bunueliano, un dramma istruttorio che consuma in fretta un rituale svuotato di ogni contenuto, la giustizia vista dall’interno, riconsegnata (in una dimensione storica decisamente scomoda come quella di Vichy) al suo “sporco dialogo interno”, raccapricciante e accomodante, una messinscena che è essa stessa una farsa, come un macabro gioco di marionette che scat- tano sull’attenti e perlustrano le stanze del potere fra porte chiuse e chiavistelli stridenti. Scrive Claudio Carabba: “L’ottima compagnia di attori contribuisce a creare l’atmosfera da satira alla Grosz. Nel folto gruppo spiccano Michel Lonsdale e Claude Pieplu mentre fra i condannati in attesa del fatale giudizio tocca a Bruno Cremer il compito di pronunciare la più appassionata orazione”. CHIARO DI DONNA Clair de femme Regia: Costa-Gavras. Soggetto: dal romanzo omonimo di Romain Gary. Sceneggiatura: Costa-Gavras, Christopher Frank e Milan Kundera. Fotografia: Ricardo Aronovich. Montaggio: Francoise Bonnot. Musica: Jean Musy. Scenografia: Mario Chiari e Eric Simon. Interpreti: Yves Montand, Romy Schneider, Romolo Valli, Catherine Allegret, Gabriel Jabbour, Daniel Mesguich, Francois Perrot. Francia/Italia/Germania 1979, 102’, col., v.it. Non un film dei “suoi”, impegno politica storia denuncia. Un film inconsueto nella filmografia del regista, che fotografa due esistenze sconsolate e sconfitte dalla malattia della morte che per caso si incrociano in una Parigi spettrale e neutrale, si uniscono per una notte e ripartono l’indomani chissà se riconfortati o rifocillati dal flusso della vita che ha ripreso a scorrere nelle loro vene. Un film di sentimenti e di travagli interiori, tratto dal romanzo omonimo di Romain Gary, un film d’amore filtrato dalle rispettive tragedie dei protagonisti, anime in viaggio e in disordine, costellato di luci al tramonto e inclinazioni alla tenerezza e alla perdita di sè. Felicità mancate e infelicità trovate, consumate nel dolore che affiora ogni tanto e subito con pudore sparisce. Un film su un bilancio esistenziale che si riscalda di altre passioni, e poi una riflessione sulla morte, il rapporto fra uomo e donna, la fine di un amore, il nutrimento mancante. Tutte cose, disagi e malesseri che ciascuno di noi ha vissuto almeno una volta in prima persona, conferma il regista. Un film letterario, col ritmo lento dell’immersione, la pausa e l’attesa, la silenziosa rivelazione che confina nella confessione e che diventa un dialogo stretto e continuo, serrato e non sussurrato, come darsi aiuto reciproco, una città che non è né fuga nè appiglio, solo un’alba forse non più tragica, un attraversamento e una deriva, estranea e straniera. Nel chiaro degli occhi ingenui e feriti di Romy Schneider, in una delle sue prove più forti e mature, si specchia il volto segnato dal trauma di Yves Montand, mentre una particina Costa-Gavras riserva a un inedito (irriconoscibile) Roberto Benigni. MISSING – SCOMPARSO Missing Regia: Costa-Gavras. Soggetto: dal romanzo omonimo di Thomas Hauser. Sceneggiatura: Costa-Gavras e Donald Stewart. Fotografia: Ricardo Aronovich. Montaggio: Francoise Bonnot. Musica: Vangelis. Scenografia: Linda Spheeris. Costumi: Joe I. Tompkins. Interpreti: Jack Lemmon, Sissy Spacek, Melanie Mayron, John Shea, Charles Cioffi, David Clennon, Richard Venture. USA 1982, 122’, col., v.it. La storia e la macchina da presa di Costa-Gavras tornano per la seconda volta in America Latina, continente difficile di contraddizioni estreme, dove la legalità è spesso una parabola insensata, la democrazia una utopia, la dittatura militare una concreta gestione del potere in funzione antipopolare, un colpo di stato di efferatezze e ignominie, il controllo del governo americano attraverso la Cia sui relativi governi fantocci un dato di fatto e una accettazione dello status quo sulle rispettive sfere di influenza. Il buon cittadino a stelle e strisce, allevato a ideali di libertà e anticomunismo, che esiste e ogni tanto lotta, scopre sulla sua pelle questo meccanismo di morte in nome della salvezza dell’occidente e del suo capitale, all’ombra del Pentagono e della cupola del Campidoglio. Insomma Jack Lemmon, in una delle sue interpretazioni più risolute e magistrali, si sente abbandonato dal suo paese nel quale ha riposto fiducia senza condizioni, quando in Cile, all’indomani del golpe militare (si sa ma non si dice esplicitamente, né Pinochet né Allende sono mai citati), suo figlio si trasforma in desaparecido, un giovane corpo da immolare sulla pratica burocratica della violenza e sull’altare degli interessi geopolitici economici della casta al potere a Washington. Da una esperienza vera di Ed Horman, il film lavora sul crescendo emozionale, la scoperta tragica della verità, la distanza fra le illusioni e le percezioni, il montante distacco fra quello che è e ciò che non vorremmo che fosse. E procede dritto sulla strada della denuncia, l’impegno nel rivoltare le coperte ammuffite e sanguinanti delle verità di comodo, dei silenzi complici e colpevoli, in un racconto serrato fra il pubblico e il privato dei protagonisti, che diventa una discesa nell’inferno delle torture, le violenze, la prigionia, il ricatto, la menzogna, il terrore, nel gorgo delle paure di un mondo che inesorabilmente si scopre fragile, malato e senza speranze, amante della morte più che della vita. HANNA K. Regia: Costa-Gavras. Soggetto: Costa-Gavras e Franco Solinas. Sceneggiatura: Costa-Gavras e Franco Solinas. Fotografia: Ricardo Aronovich. Montaggio: Francoise Bonnot. Musica: Gabriel Yared. Scenografia: Pierre Guffroy. Costumi: Edith Vesperini. Interpreti: Jill Clayburgh, Jan Yanne, Gabriel Byrne, Mohammed Bakri, David Clennon, Oded Kotler. Francia/Israele 1983, 108’, col., v.o. Un dramma esistenziale incastonato nella più imprevedibile sacca della storia contemporanea, la polveriera mediorientale. Immigrata in Israele, l’avvocato Hanna Kaufman viene incaricata di difendere un palestinese accusato di essere un terrorista. Riesce a farlo assolvere ma non può impedire la sua espulsione dallo stato di Israele come immigrato clandestino. Le vicende professionali di Hanna si intersecano con quelle sentimentali. Gli uomini della sua vita sono un fardello, lei aspetta un figlio, al termine della prova le restano la solitudine, l’abbandono, il neonato. Scritto da Franco Solinas il film attraversa l’identità inquieta di un paese in guerra riflessa nello stato d’animo della protagonista, le sue angosce, i dubbi, gli interrogativi etici, le riflessioni sull’individuo, le ragioni del suo popolo e quelle della causa palestinese. Gli intrecci sono evidenti, la storia e le sue contraddizioni sono ancora al centro della mdp di Costa-Gavras. La crisi esistenziale e la crisi professionale di Hanna si sovrappongono, sono spinte contrapposte che tendono alla deflagrazione, all’annullamento della personalità. Fra dilemmi e rovelli interiori, il cinema di Costa-Gavras rimette ancora una volta in bilico le sue fonti d’ispirazione, la centralità del processo come sismografo di più profonde alterazioni, un contatore geiger che scopre i lati oscuri della storia collettiva e della psiche individuale. Un sismografo immerso nella tragedia di un popolo mancante e mutilato, disastrato e frantumato, vigilato a vista, lacerato da tutte le parti. E se vogliamo anche una lettura femminista dei fatti, l’eterno conflitto arabo israeliano: la libertà che passa alla fine solo attraverso la maternità. BETRAYED – TRADITA Betrayed Regia: Costa-Gavras. Soggetto: Joe Eszterhas. Sceneggiatura: Joe Eszterhas. Fotografia: Patrick Blossier. Montaggio: Joele van Effenterre. Musica: Bill Conti. Scenografia: Patrizia von Brandestein. Costumi: Joe I. Tompkins. Interpreti: Debra Winger, Tom Berenger, John Heard, Betsy Blair, John Mahoney, Ted Levine, Jeffrey DeMunn. USA 1988, 127’, col., v.it L’America rurale, profonda, contadina e conservatrice. L’America che ti aspetti e sai di poter vedere al cinema. Colori espansi e paesaggi di frontiera. L’America delle praterie, i grandi spazi e le enormi contraddizioni. Qui i ruoli sono forti, le matrici affondano nelle radici della terra, i contrasti bruciano, le passioni si abbeverano di rabbia e odio razziale mentre l’atmosfera rasserenante e armoniosa dei tramonti infuocati, i campi di grano, la pace rigogliosa della natura, si trasforma in delirio, la caccia all’uomo nero, il seme della violenza sparso e fecondato. Una bella e brava e giovane e appetitosa e sensibile agente dell’Fbi solca questa pianura e finisce nel bivio amore e dovere. Il Ku Klux Klan fa i suoi porci comodi, tesse le sue trame politiche fra protezione e immunità, perché ha “l’ordine morale” di una certa America (aggressiva, reaganiana, bushiana), di difendere l’onore e il patriottismo della sua parte “migliore” e giustificare fatti, figure, comportamenti. Nello scontro fra bene e male Costa-Gavras usa lo strumento del montaggio alternato, una dicotomia che esalta le contraddizioni della partitura e incrina il personaggio principale “diviso fra la fiducia in un sistema di valori condivisi, che sembra però sfaldarsi, e le tensioni di un sentimento meno razionale e tuttavia presente”, come scrive Chiara Tognolotti. In questo quadro preciso, geograficamente e culturalmente, Costa Gavras rimette in piedi, secondo il suo stile dialettico e brectiano, il territorio del dubbio, l’inquietudine dei fatti, il suo entrare e uscire dal cono di luce della colpa e delle ragioni della colpa, riaccende il passo del suo obiettivo nel ventre molle dell’America oggi, ne scopre il lato oscuro, le nervature segrete, il patto col diavolo del consenso. MUSIC BOX - PROVA D’ACCUSA Music Box Regia: Costa-Gavras. Sceneggiatura: Joe Eszterhas. Fotografia: Patrick Blossier. Montaggio: Joele van Effenterre. Musica: Philippe Sarde. Scenografia: Jeannine Claudia Oppewall. Costumi: Rita Salazar. Interpreti: Jessica Lange, Armin Muller-Stahl, Frederic Forrest, Donald Moffat, Lucas Haas, Cheryl Lynn Bruce. USA 1989, 126’, col., v.it. Altra riflessione sull’olocausto, altro processo alla storia del novecento, la più terribile e orrorifica. Con l’aggiunta del dolore familiare, il più acuto e non digeribile, la perdita dell’identità, la conquista di un nuovo benessere, il passato da cancellare, la verità da nascondere, il sogno fatto di notte e nebbia che non si dirada. Orso d’Oro a Berlino, premio alla protagonista Jessica Lange, il film mette in moto il meccanismo della memoria e della sua ricostruzione, viaggia dall’America all’Europa sulle tracce del nazismo e delle sue negazioni, una sporca storia di famiglia, un padre colpevole di abominio e una figlia che non lo sa, lo crede innocente, lo intuisce colpevole e alla fine lo scopre, e finisce davanti alla giustizia del “nuovo mondo”. Una storia avvincente che rispetta i codici e i canoni del racconto classico, coi suoi colpi di scena, il pedinamento, l’imprevisto, il dettaglio insignificante che diventa decisivo, i dubbi, le attese, le conferme, la tensione, la bilancia della verità che ora sembra pendere da una parte ora dall’altra. Il processo alla storia di Music Box è il film stesso nel suo svolgimento, dall’inizio alla fine. Una lunga indagine preliminare per arrivare alla scoperta di quello che si nasconde dietro la facciata di questo new american man, persona irreprensibile e per bene utile alla società e al foyer domestico, già contadino ungherese emigrato in Usa nel 1945 durante la guerra, padre e nonno affettuoso, ma abile manovratore di prove, depistatore di pedine e manipolatore di fatti, fra denunce e riconoscimenti che alla fine lo inchiodano al suo passato nero di boia e criminale nazista. Un thriller giudiziario e un film politico che diventa anche e soprattutto una tragedia edipica, una figlia che scende in trance negli inferi di una “storia” che non ha conosciuto ma di cui il padre è stato primattore, un guardarsi dentro fino in fondo e perdersi nell’abisso, nell’incubo, nel terrore magnetico della verità. AMEN Regia: Costa-Gavras. Soggetto: dal testo teatrale Il vicario di Rolf Hochhuth. Sceneggiatura: Costa-Gavras e Jean-Claude Grumberg. Fotografia: Patrick Blossier. Montaggio: Yannick Kergoat. Musica: Armande Amar. Scenografia: Ari Hantke e Maria Miu. Costumi: Edith Vesperini. Interpreti: Ulrich Tukur, Mathieu Kassovitz, Ulrich Mühe, Michel Duchaussoy, Ion Caramitru. Francia 2002, 132’, col., v.it. Dalla pièce teatrale Il vicario di Rolf Hochuth, testo di impianto fortemente brechtiano, lunghe scene di estrema sottigliezza dialettica e complessità morale, un manuale di sentenze storiche e archiviazione concettuale, Costa-Gavras tira fuori un film incalzante, secco e coinvolgente, quasi un film d’azione che sembra un thriller bagnato nel sangue immutabile della tragedia. L’olocausto e i crimini nazisti sullo sfondo delle responsabilità dell’occidente, l’indifferenza e il silenzio, l’ipocrisia diplomatica, l’omertà della comunità internazionale e non ultima la prudenza delle alte gerarchie ecclesiastiche (cattoliche e non), la forza della morale e il cinismo della ragion di stato, la pavidità del Vaticano e i governi che con il loro atteggiamento di estraneità e insipienza non hanno condannato e fermato il genocidio degli ebrei. Un tema estremo che attraversa la storia e il giudizio del novecento che il regista greco affronta con la consueta “correttezza” ideologica e formale, lavorando per concisione e determinazione, senza sbavature, sottraendo e raffreddando il campo per renderlo ancora più disponibile al confronto e al dialogo. Lo sterminio nazista resta al di fuori della commercializzazione più o meno spettacolare della morte al cinema, i tanti film sulla shoah, e si fa contrappunto dialettico, scontro verbale, accettazione delle proprie responsabilità individuali che rimbalzano fuori da sé e ricadono sul terreno minato delle scelte e delle sequenze storiche del secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle. Al centro del “dibattito” il nazista doppiogiochista e il gesuita che finisce in un lager. La sconfitta è ancora una volta cattiva maestra di vita. CACCIATORE DI TESTE Le couperet Regia: Costa-Gavras. Soggetto: Donald Westlake. Sceneggiatura: Costa-Gavras e Jean-Claude Grumberg. Fotografia: Patrick Blossier. Montaggio: Vannick Kergoat. Musica: Armand Amar. Scenografia: Laurent Deroo. Costumi: Laurence Marechal. Interpreti: Jose Garcia, Karin Viard, Ulrich Tukur, Olivier Gourmet, Yvon Back, Christa Theret. Belgio/Francia/Spagna 2005, 122’, col., v.it. “Mi interessa sempre realizzare storie semplici che hanno a che fare con la nostra società. Questo film, spiega Costa-Gavras, riflette l’ideologia di oggi, il dogma del mondo del commercio internazionale. La disoccupazione è diventato il problema della classe media. Una volta si licenziavano facilmente gli operai ma venivano rispettati i quadri. Oggi circolano tanti di quei soldi che non c’è rispetto per nessuno. Basta che un’impresa voglia guadagnare di più, si trasferisce all’estero e lascia a casa un bel po’ di disoccupati”. La storia del dirigente che per (ri)guadagnarsi il posto di lavoro deve eliminare (fisicamente fare fuori) i possibili concorrenti diventa una terribile metafora del mondo contemporaneo e della straripante competitività, un mondo che dentro e fuori, la casa, la famiglia, la società, il paese, lo stato, dichiara guerra e si affida al diritto del più forte e/o del più furbo. Il nostro eroe vive in Belgio e si chiama Bruno Davert, ha 40anni ed è stato appena licenziato dopo 15 di lavoro sodo e ben remunerato. Ha una bella casa, una bella famiglia (moglie e due figli, un maschio e una femmina), una routine, una rispettabilità, tutti i confort della borghesia occidentale. Ora, solo e disperato, difende tutto questo benessere, la sua vita, il suo posto di lavoro, il suo futuro. Il suo è un piano semplice e diabolico. Lo porta avanti con metodo e con una sorta di allegra disinvoltura. Lo fa senza odio, senza sensi di colpa, senza strategie precise, improvvisando e affidandosi al caso. Con una vecchia pistola trovata in soffitta e facendosi un po’ male al braccio ogni volta che spara a bruciapelo. Costa- Gavras dal canto suo non fa “spettacolo”. E’ immediato, diretto, semplice, diritto di cronaca e cronaca di un delitto non annunciato. Tutto nel film scorre sui binari della lucida normale giustificabile follia. Con dissolutezza malinconica, con un senso di umorismo nero che fa quasi simpatia e tenerezza, il nostro Bruno continua per la sua strada. I suoi delitti sono freddi ma non maniacali e sono tutto meno che opera di un serial killer. Il regista li restituisce nella loro essenziale fattibilità. Quasi un nuovo corso di sopravvivenza del terziario avanzato nel quale gli ostacoli sono altri essere umani. Birilli da abbattere a sangue freddo perché superarli non basta più. Dostoiewski e il suo rovello sono ormai scaduti. Ma lo sono anche il video game e la sua virtuale impotenza. Si affaccia ora una nuova allarmante umanità. Amorale, scorretta, legittimamente postmoderna. Come questo film apolide e geniale. Rassegna e redazione a cura di: Gabriele Rizza Gianna Bandini Organizzazione: Gianna Bandini - Servizio Attività Culturali - SestoIdee Massimo Falorni - Filcams Cgil Alessandra Sarri - Coop. Italia Multisala Grotta Istituto Francese di Firenze Si ringraziano: Associazione Anémic Premio Fiesole Maestri del Cinema 2001 Aldo Tassone, France Cinéma Mediateca Regionale Toscana Piero Matteini Marco Conti Il lavoro si rappre sen ta RASSEGNA CINEMA COSTA-GAVRAS CACCIATORE DI STORIE 20 NOVEMBRE - 12 DICEMBRE 2006 Sabato 25 novembre, Cinema Multisala Grotta, ore 21.00 Incontro con il regista Costa-Gavras Proiezione del film Cacciatore di teste Multisala Grotta Via Gramsci 387 Sesto Fiorentino Tel. 055/446600 Biglietti: 4 euro Per informazioni: www.cgil.it/firenze www.sestoidee.it www.grotta.it www.istitutofrancese.it Istituto Francese Piazza Ognissanti, 2 Firenze Tel. 055/2718820 Ingresso libero