Con te partirò

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Con te partirò
Con te partirò
(racconti “liberi di viaggiare”)
AMINA & GINO
Primo capitolo: All at once (Tutto all’improvviso)
Gino Lonati quello sguardo lo conosceva perfettamente da oltre quarant’anni.
Veniva da due occhi grandi con pupille nerissime, forse rese tali da una sclera bianchissima.
La prima volta l’aveva incrociato attraverso lo spioncino rettangolare della porta posteriore della
sala-riunioni dell’Oratorio di Cisliano.
Era una bellissima serata di fine maggio, un venerdi dal clima dolce con cielo stellato, memorabile
per i fatti che Gino nemmeno immaginava potessero accadere.
Don Giuliano e la sorella Adriana erano stati perentori: la riunione doveva servire per discutere
l’esame della stagione calcistica appena conclusa e mettere in programma il campionato venturo.
Gino era il capitano di quella squadra, il calciatore carismatico del gruppo, per questo godeva
della stima di tutti e non doveva mancare per nessuna ragione.
Per Serafino Pasini, il presidente -nella vita di tutti i giorni negoziante con avviatissima macelleria-,
era un figlio, orfano a 16 anni di entrambi i genitori nel giro di soli sei mesi, senza fratelli, sorelle e
parenti.
Ma era anche figlio per tanti. Della famiglia Marzorati, presso la quale aveva trovato affitto, di Don
Giuliano e della sorella Adriana, di Mario Fumagalli, il costruttore edile che l’aveva assunto, che gli
pagava l’affitto e ne aveva finanziato gli studi serali.
A 19 anni si era diplomato geometra con il massimo dei voti ed il Fumagalli si godeva la crescita
umana e professionale di quel giovanotto, che tutte le mattine era puntuale alle sette a salire in
automobile ed a discutere con lui come programmare e gestire il lavoro dei cantieri.
Aveva avuto buon occhio: sarebbe diventato il suo delfino, anche per la relazione sentimentale
che aveva intrapreso con Donatella, la sua unica figlia; ma qui sbagliava, perché la liason era
incerta e difficile.
Oltre a questo motivo, il rapporto tra il maturo capomastro diventato costruttore ed il trentenne
giovane era proficuo, perché aperto, fatto di un continuo confronto, nel quale venivano immesse le
fresche idee di Gino e la discussione consentiva di far emergere la solida maturità del vaticinato
titolare dell’azienda.
C’erano tutti a quella riunione, perché era la festa per il campionato vinto e l’occasione buona per
trovare nuovi sponsors, in grado di aiutare le ambizioni sportive di quel gruppo di amici.
Non poteva, dunque, mancare a quell’incontro, anche se la dura settimana di lavoro non era
ancora finita ed il mattino successivo era scandito da un impegnativo incontro con una grande
impresa di costruzioni del gruppo Rancilio.
Era in ritardo, si era preparato di corsa, aveva indossato la camicia bianca più elegante e sapeva
che avrebbe ricevuto un premio speciale.
Eccolo, dunque, ignaro di quello che stava per succedere, alla porta dell’Oratorio pronto a
suonare il campanello.
Dopo qualche istante lo spioncino si aprì ed i due occhi grandi dalle pupille nerissime si
mostrarono al ritardatario, che rimase ad occhi spalancati ad ammirarli.
In quel nano secondo milioni di pensieri si fecero vivi nella testa di Gino: è certamente una
ragazza, anzi una bellissima ragazza, no, la più bella perché soltanto lei poteva possedere occhi
così affascinanti.
Per l’incredulità sbattè le palpebre e si accorse che quello sguardo assumeva la forma di un
sorriso e si socchiudeva come quello di uno sguardo orientale.
La reazione di Gino provocò un conseguente sbattere delle palpebre degli occhi con le pupille
nerissime e distintamente si sentì la voce di Adriana : ”Amina, per favore apri; è certamente Gino”.
Mentre il chiavistello veniva lentamente rimosso, Gino ne approfittò per suonare una seconda
volta e così si ripetè il contatto visivo.
“E’ Lei, lo sento, si è Lei, certamente è bellissima, come mi aveva detto Adriana”: questa la voce
che correva nel cervello, mentre la maniglia della porta veniva ruotata dall’interno.
“Grazie, sono Gino”. “Prego, ciao, sono Amina”. E la stretta di mano era la più sicura confessione
della emozione che sbatteva forte nel cuore e del leggero rossore sulle guance di entrambi: erano
diventati complici e si stavano innamorando!
La osservò brevemente, la trovò perfetta come nel più incredibile dei sogni d’amore.
Fu costretto a staccare lo sguardo per salutare i presenti.
Soltanto loro, anzi i loro cuori, sapevano della magia che era iniziata con quel contatto visivo e
quasi per la forza di essa gli occhi ricercavano di reincontrarsi.
Gino era assente dalla discussione, le parole arrivavano mute perché l’attenzione era totalmente
dedicata ad assaporare le sensazioni della felicità ed il pensiero dominante chiedeva di studiare
come avere per sé e per sempre quella felicità.
“Si, la corteggerò, la conquisterò, è Lei quella che ho sempre sognato, l’archetipo, la donna della
mia vita”.
Non sapeva nulla, nemmeno che nome fosse Amina: Adriana gli aveva detto che la compagna di
appartamento era una ragazza bellissima e basta.
Si, Amina (Beniamina) De Vitis, aveva il dono di una bellezza rara, dove quella fisica era esaltata
da un sorriso contagioso e da uno sguardo indimenticabile.
Era ventiquattrenne, studentessa universitaria, prossima a conseguire nell’anno accademico
successivo la laurea in Lingue Moderne presso l’Università Cattolica di Milano.
Aveva letto un annuncio sul tazebao di ricerca di condivisione di un appartamento: così aveva
conosciuta Adriana e Cisliano. Presto erano diventate amiche. Adriana porgeva con gentilezza
domande per capire, conoscere e parlare delle rispettive famiglie aiutando così il superamento
della fase di ambientamento di Amina e la naturale timidezza di chi viene da lontano.
Era nativa di Carovigno, un piccolo paese pugliese della provincia brindisina, confinante con la
rinomata Ostuni, la città bianca salentina.
Si era iscritta all’ultimo anno presso la Cattolica perché questa era dotata di un avanzato
laboratorio linguistico ed aveva lasciato a malincuore l’Università di Lecce, dove aveva ultimato i
primi tre anni di Facoltà.
Era figlia unica e le perplessità di mamma Maria, professoressa di Lettere presso un liceo di
Brindisi, e papà Vincenzo, ingegnere in pensione, erano state moltissime.
Non mancavano neppure le preoccupazioni economiche rese palesi dai primi giorni di soggiorno
presso un albergo non distante dalla Stazione Centrale di Milano.
La breve permanenza a Milano era per poter espletare le formalità dell’iscrizione e prendere
contatto con l’Università e la città tramite la ricerca di un alloggio.
L’annuncio del tazebao era stato un vero colpo di fortuna e così il lungo passo da Carovigno a
Cisliano si era compiuto.
Per Adriana la presenza di Amina rappresentava una piccola grande fortuna.
Era vicina al conseguimento della seconda Laurea: dopo quella in Psicologia aveva optato per
quella –molto impegnativa- in Filosofia.
Aveva passato ampiamente i trent’anni, decisa a riservare - dopo la morte dei genitori- tutto il suo
affetto al fratello minore don Giuliano, diventato da un anno coadiutore della parrocchia di
Cisliano: a lui era affidata la gestione dell’Oratorio, in tutte le molteplici attività di educazione e di
svago.
Abitava in un appartamento ampio, troppo grande per una sola persona e così maturò l’idea di
una condivisione con una studentessa da comunicare sul tazebao universitario.
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I vantaggi di tale scelta furono molti: riduzione delle spese di affitto e di riscaldamento, pulizie
effettuate a quattro mani, cucina alternata e soprattutto la fortuna di trovare l’amicizia di Amina.
Avrebbe così potuto conciliare l’attività di insegnante presso le scuole elementari con il desiderio
di concludere gli studi universitari, conservando inoltre il tempo per aiutare il fratello a sbrogliare la
matassa delle attività oratoriali.
Per la verità Adriana sentiva di avere due fratelli minori di età, quello naturale e quello acquisito,
Gino, a cui si era affezionata quasi subito per poterlo aiutare.
Non era riuscita a raccontargli quasi nulla di Amina perché l’aveva intravisto per un istante una
mattina presto in attesa dell’arrivo di Mario Fumagalli.
Gli aveva detto soltanto che era bellissima e che erano diventate amiche in un amen.
Ad Amina aveva decantato le virtù (e i difetti) di Gino: atletico, aperto, gran lavoratore, uomo vero,
incapace di fingere.
Questo lasciava intravedere il lato debole, quello della ferita del dolore per la perdita precoce dei
genitori e la dura quotidianità della solitudine: spesso la notte per lui si trasformava in un
pellegrinaggio tra i ricordi.
Mentre la discussione calcistica procedeva a strappi, tra battute ed applausi, il povero Gino si
spaccava il cervello nel ricercare la strategia idonea per “agganciare” il cuore di Amina.
Non bastavano gli sguardi reciproci che s’incrociavano furtivamente ed i sorrisi compiaciuti della
ragazza: di questo se ne accorta la sola Adriana.
No, non era sufficiente questo, Gino desiderava trovare il modo per poter conoscere Amina, a tu
per tu. E l’occasione venne al momento della premiazione.
Serafino disse: ” A Gino, il capitano vittorioso di tante battaglie, consegno il boccale di birra
Guiness accompagnato dal bacio della miss!”
Tale compito sarebbe toccato ad Adriana, ma costei spinse Amina a prendere il boccale per la
consegna.
In quell’istante Gino pensò: ”Se faccio traballare il boccale, poi chiederò di lavarmi la camicia”.
Al momento del bacio sulla guancia urtò volontariamente il braccio che reggeva il boccale e
l’incidente provocato si verificò.
Tale fatto mise in imbarazzo Amina, a cui disse: ”Nessun problema: domani me la lavi” e la
risposta fu un secondo bacio.
Adriana si accorse del trucco di Gino e sottovoce lo comunicò all’orecchio del fratello, che rimase
sbalordito.
Quella notte fu una delle tanti insonni, ma questa volta per la felicità: non si era mai sentito così,
quasi una febbre assidua della mente mai provata prima per Donatella.
Nei momenti di lucidità capiva che la sua non era una scelta, ma la scelta! Non c’era rinuncia a
qualcosa, c’era tutto!
Esaminò mille modi, strategie, proposte per camminare, no, per correre verso il cuore di Amina, in
quel continuo girarsi e rigirarsi nel letto.
Il cuscino veniva massacrato dai pugni quando scopriva il lato debole di ciascuna “tattica”
pensata.
Alla fine decise di giocarsi la felicità con un pizzico di incoscienza: di vivere l’incontro con la donna
giusta come quando decidi di partire e non sai dove andare.
Il sabato pomeriggio si sarebbe presentato con un mazzo di rose all’uscio di Amina ed avrebbe
chiesto ad Adriana la cortesia di lasciarli soli.
Per essere sicuro di non lasciare nulla di intentato programmò persino di passare da Don Giuliano
e confessarsi; voleva avere cuore e mani pulite per quell’incontro: i sentimenti puri regalano pace
a se stessi, come quando si è rilassati e felici.
Dopo tanto lavoro mentale, finalmente si addormentò.
All’apertura dei negozi al sabato pomeriggio entrò dalla fiorista Giovanna, che stava preparando
una corona funebre.
“Per favore preparami un mazzo di 18 rose con un pizzico di bianco” disse Gino. ”Ripasso a
prenderle fra un’ora”.
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“Ti costa una fortuna e poi non so se ci sono tutte. Qualcuna la devo mettere in questa corona”
rispose Giovanna, che ovviamente si chiese a chi erano destinate.
“Vedi di fare il meglio possibile. Ciao. ” E si allontanò di poco, perché il negozio era nella piazza
antistante la chiesa, dove entrò con passo spedito mentre era in corso la settimanale pulizia.
Incontrò don Giuliano, al quale disse:”Per favore, mi voglio confessare”. L’amico rispose: ”Come
mai? Sei caduto da cavallo come Saulo sulla via di Damasco?”.
Non raccolse la provocazione, si inginocchiò e con una lunga spontanea dichiarazione si liberò.
Alla fine, dopo l’assoluzione, gli disse: ”Mi sono innamorato di Amina e prima di andare a casa sua
volevo la coscienza pulita per meglio capire quello che sta capitando”.
Don Giuliano ammiccò: ”La confessione vale per quelli fatti e non per quelli che farai.
In bocca al lupo”.
Giovanna non aveva ancora finito di preparare il mazzo di rose quando Gino ritornò.
“Non posso dartene più di quindici. Mi dispiace, ma non ne ho di più”.
“Ma devono essere pari o dispari” chiese.
“Bello mio, l’importante è il sentimento”.
Pagò e ritornò a casa, senza incrociare lo sguardo di nessuno. Decise di aspettare per poter
ripassare mentalmente quello che aveva intenzione di dire.
Non riusciva a stare seduto nonostante la stanchezza, camminava intorno al tavolo, si metteva
per qualche minuto su una sedia e poi riprendeva a camminare, come un leone in gabbia,
beninteso un leone innamorato!
Finalmente, dopo una rapida sistemata alla maglietta ed ai capelli, uscì con passo deciso tenendo
nella mano destra il mazzo di rose, che veniva quasi strisciato per terra.
Prese la via più breve per arrivare alla casa di Adriana, che era praticamente accostata a quella di
Don Giuliano, con un piccolo giardino antistante comune, dietro l’Oratorio.
Era un piano rialzato, al quale si accedeva tramite quattro scalini. Suonò il campanello una, due
volte; allora bussò chiamando : ”Adriana” e poi “Amina”, senza successo.
Decise di aspettare sedendosi sui gradini, appoggiando trasversalmente il mazzo di rose sulle
ginocchia.
Dopo un po’ reclinò la testa contro la ringhiera della scala e la stanchezza ebbe il sopravvento con
un sonno pesante.
Il viso era sereno, quello di un ragazzo diventato uomo attraverso la dura prova del dolore : come
se reclamasse di poter avere la sua parte di felicità.
Adriana ed Amina non avevano risposto, perché erano andate a riportare la camicia lavata
passando per l’unica altra strada possibile e siccome non l’avevano trovato, si erano rivolte a
Martina Marzorati, la padrona di casa, che abitava al piano terra.
“Ho sentito che camminava avanti ed indietro. Poi deve essere uscito di fretta, perché non l’ho
visto”.
Erano ritornate verso casa ed intanto Adriana aveva mostrato dove si trovava il piccolo
appartamento di Gino al primo piano, con accesso da una scala a ringhiera.
“L’ha sistemato con le sue mani ed è proprio carino”.
Dopo quattro passi si ritrovano davanti al bell’addormentato con il gran mazzo di rose.
Adriana dice sottovoce ad Amina: ”Ti lascio la camicia, le chiavi e la casa fino a domani. Non ti
preoccupare per me” e poi, alzando la voce per svegliarlo : ”Ecco il capitano vittorioso” e si
allontanò con un furtivo sorriso. Gino si svegliò imbarazzato ed entrarono in casa.
Di tutto quello che aveva immaginato di poter dire, gli uscì un flebile : ”Scusa per ieri sera, sono
per te”, mentre porgeva il mazzo di rose.
Amina le sistemò con cura in un grande vaso e gli disse : ”Siediti ed aspetta”.
Entrò in camera e ritornò con uno strano abbigliamento: indossava la larga camicia bianca appena
lavata ed una strana, forse vecchia, gonna da contadina.
Infilò la spina della corrente, mise nel mangianastri una cassetta musicale e disse: ”Questa è la
taranta ed io sono la tarantata”.
Una musica totalmente nuova per le orecchie di Gino, un misto incredibile di suoni, con
percussioni crescenti, quasi strappi di rock ed Amina prese a ballare.
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Cosa poteva sapere il povero Gino di questa taranta?. Del suo significato liberatorio dal veleno
della serpe?
Della Grecìa salentina, di Calimera di Lecce, di Corigliano d’Otranto, di Melpignano nella cui
piazza maggiore, a metà agosto si celebrava la “pizzicata”? E del pozzo della cappella di San
Paolo in Galatina, dove la tarantata si dissetava e stordita dalla musica si ritrovava guarita,
sputando il veleno nel pozzo?
Nulla di nulla sapeva Gino, che però aveva intuito che quello era un modo antico e serio di
corteggiamento.
Aspettò pazientemente la fine della musica, anche se per due volte fece per alzarsi dal divano,
ma Amina con una mano lo respingeva dolcemente.
Il ballo scatenato finalmente terminò ed Amina con un coreografico inchino si mise, con un
ginocchio piegato, davanti a Gino, che l’aiutò a rialzarsi stringendole la mano.
Seguì un lungo, appassionato bacio e fu una lunga serata di dialogo e di sentimenti dolcissimi.
La cena fu preparata tra un bacio ed una carezza: così la spaghettata aglio, olio e peperoncino
trovò il capitano vittorioso tramortito dalla stanchezza e dalla felicità.
E la bella camicia bianca fu lavata un’altra volta!
Secondo capitolo: I will always love you (Ti amerò per sempre)
Gino aveva dormito nella stanza di Adriana. Alle cinque di mattino la sveglia suonò, diede un
bacio ad Amina dicendole: ”Ripasso alle nove, facciamo una corsetta fino a Cusago e poi
colazione insieme”.
Una volta tornato a casa, si diede una rinfrescata, si tagliò accuratamente la barba e si stese sul
letto, senza riuscire a prendere sonno. Era al colmo della felicità.
Ripensava alle tante notti vissute con tristezza ed in solitudine, quando il buio ed il silenzio
affinano i sensi e le riflessioni; ricordava il senso di isolamento e di smarrimento che ogni risveglio
provocava.
Finalmente questo poteva finire, perchè c’era Amina, c’era il presente ed il futuro in quel
dolcissimo incontro di sguardi, di affetto, di sentimento e d’amore.
Alle nove si ripresentò con abbigliamento da corsa: pantaloncini corti, maglietta e scarpe adatte.
Analogamente Amina si fece trovare preparata e così l’occhio di Gino potè ammirare la splendida
figura della ragazza.
Con corsa lenta e costante, stando fianco a fianco, utilizzando i sentieri in terra battuta arrivarono
presto al Caffè della Posteria di Cusago, che allora era l’unico vero negozio del paese (in seguito
sarebbe diventato, per la bravura e la passione della famiglia Antonini, anche un ottimo ristorante
a cucina prevalentemente lombarda).
Amina consumò una fetta di torta con il caffè, mentre Gino si fece preparare un panino con
salame ed aranciata.
Ritornarono camminando, tenendosi per mano e parlando del programma dei giorni seguenti.
Il ritorno a Carovigno era già stato prenotato per il dieci giugno e presto si accorsero che il
distacco sarebbe durato circa due mesi.
“Ti aspetterò a casa mia: vedrai quanto è bella la Puglia, Ostuni, il mare” disse Amina.
“Saprò presto circa le ferie, verrò ad accompagnarti a Milano e prenoterò il treno per agosto. Ma
c’è qualche albergo conveniente?” chiese Gino.
“Non ti preoccupare. Tu vieni e poi sarai a casa mia o a casa di mio cugino Nicola” rispose la
ragazza.
Nel vedere passare una bicicletta, la ragazza ammise di non saperla utilizzare e Gino propose
subito: “Sabato prossimo ti insegnerò come fare. Adriana ne ha una un po’ scassata, ma vedrai
che sarà un attimo ad imparare”.
E così quella settimana passò con il pensiero di entrambi alla lezione di bicicletta.
Nel giro di poche ore Amina riuscì ad imparare (aveva un fisico sportivo forgiato da corsa e
pallacanestro ) e la domenica fecero una biciclettata fino a Bestazzo.
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Gino voleva raggiungere Gaggiano, ma la ragazza preferì limitare la fatica, dovuta alla incertezza
della pedalata.
L’ultima settimana a Cisliano li vedeva sempre insieme di sera ed Adriana, non desiderando fare
la figura della intrusa, si assentava con varie scuse.
Venne il giorno della partenza, un sabato mattina con un cielo grigio ed appiccicoso sopra il
marciapiede della Stazione Centrale semideserta ed il treno pronto a portare lontano, via da Gino,
la donna della sua vita.
Ripetè: ”Ti amo, ti amo, ti amo” centinaia di volte ed ogni volta Amina rispondeva: ”Ti amo
anch’io”.
La accompagnò sul vagone, sistemò la valigia e poi l’ultimo bacio con una forte voglia di piangere
ed il biglietto, già pagato, per il viaggio d’agosto in mano.
“Ti aspetto a Carovigno. Quando puoi telefonami, anche per dirmi soltanto ciao. ”
Il treno si mosse lentamente e Gino ebbe modo di smanacciare il suo ciao ad Amina, che si
sporgeva dal finestrino.
Al ritorno, di pessimo umore, trovò Adriana, che gli chiese di cenare a casa sua con don Giuliano.
“Sarà una prossima volta: preferisco stare solo” fu la risposta.
Due mesi di inferno interrotti dalle telefonate domenicali a gettoni, presso la cabina della piazza di
Cisliano.
Parlò a lungo con Donatella e spiegò la situazione che si era creata: la reazione della ragazza si
manifestò con : ” Resteremo sempre amici”.
Amina aveva preparato i genitori circa l’arrivo di Gino e così fu superato il problema dell’alloggio:
la casa dell’ingegnere De Vitis era quella ricevuta in eredità dal padre, che alla figlia Nunzia aveva
invece destinato i terreni di campagna.
Era una casa singola, grande, con giardino, occupata per la metà, a piano terra, mentre il primo
piano, lasciato senza cura, richiedeva una robusta mano di manutenzione come pure il giardino
con le due palme altissime.
L’operazione di sistemazione della stanza per Gino rimase incompiuta per l’indisponibilità
dell’imbianchino a causa di un infortunio ed al conseguente ricovero in ospedale.
Finalmente arrivò il giorno della partenza: la valigia era stata preparata con cura ed anche con un
piccolo regalo per la mamma di Amina.
Il treno locale (aveva trasbordato a Bari) non era ancora fermo quando Gino si precipitò ad
abbracciare Amina: gli sembrava più bella, abbronzata, con un vestito estivo a fiori ed un fiocco
rosso tra i capelli.
Durante il breve tragitto a piedi verso casa, Amina lo informò che la camera non era pronta per via
della imbiancatura.
Gino disse: ”Vedrai al lavoro l’imbianchino più bravo del mondo e tu mi aiuterai”.
Dopo la conoscenza dei genitori ed una abbondante merenda, si mise al lavoro e la prima mano
di pittura fu stesa senza problemi il giorno stesso.
Il giorno dopo andarono con Nicola ad Ostuni, alla spiaggia di Rosa Marina, che offriva ampi spazi
per l’ombrellone ma anche aguzze schegge di roccia.
Gino non aveva occhi che per Amina, per quel costume verde-smeraldo che rendeva
evidentissima la bellezza delle sue forme, delle sue lunghe gambe e della splendida
abbronzatura. E così non si accorgeva che il sole violento ed implacabile stava rendendo la sua
schiena rossa come un peperone.
Come per la stesura della pittura, Amina provvide a spalmare con mano leggera una pomata
rinfrescante e la pelle del malcapitato provò un immediato sollievo.
Per non aggravare la scottatura il giorno dopo evitarono il bagno a mare e Gino dette prova di
essere un abile imbianchino provvedendo anche per il bagno e le altre due stanze del primo
piano. Per non perdere il prezioso insegnamento ricevuto Amina recuperò due biciclette con
l’aiuto di Nicola e decise di visitare insieme la grande azienda agricola chiamata “lo Spagnulo”,
ad Ostuni.
Una distesa di uliveti con al centro il castello fortilizio, la masseria circostante, la chiesetta, campi
coltivati a verdura ed ortaggi, il tutto segnato da muretti a secco e dai binari della ferrovia locale
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che attraversava la proprietà: ecco questa è “Lo Spagnulo”, che era dotato di camere d’affitto
stagionale, bar e ristorante. Bevvero una bibita e poi si incamminarono verso la chiesetta.
Amina ne approfittò per giocare uno scherzo: lo lasciò andare avanti sul viale degli oleandri e si
nascose.
“Dove sei? Rispondi. ” Il lungo viale a perdita d’occhio era un perfetto fondale di teatro, dove
l’orizzonte veniva chiuso dai giganteschi cespugli rosso-bordeaux di oleandri.
La ragazza si ripresentò con un fiore rosso tra le mani,il fazzoletto a mo’ di velo in testa,
camminando con passo da cerimonia. Indossava una veste completamente bianca, lunga, che
esaltava la splendida abbronzatura e la sua figura femminile.
Lui capì, restò immobile, confuso; lei lo abbracciò e, sottovoce, disse : ”Amore mio: questo è il
posto giusto per sposarci!”.
Gino disse : ”Si, si, si. Sarà esattamente tra un anno il 10 Agosto, giorno di San Lorenzo”.
In qualche minuto entrambi fecero l’inventario delle cose da fare. Lui si sarebbe occupato di
sistemare l’appartamento in cui viveva, di ottenere una stanza in più dai Marzorati da adibire a
camera e di rifare completamente il bagno.
Lei si impegnava a terminare gli studi nella sessione estiva dell’Anno Accademico che sarebbe
iniziato ai primi di ottobre.
Entrarono nella chiesetta e suggellarono il loro patto con una preghiera recitata in uno stretto
abbraccio.
All’uscita Amina,stringendo forte la mano di Gino, confidò: ”Sabato prossimo mamma e papà
parteciperanno ad una cerimonia a Brindisi e saremo soli tutto il giorno”. ”Ti desidero tanto” disse
Gino. ”Anch’io”, rispose Amina.
I giorni seguenti furono utilizzati a visitare l’interno di Carovigno ed Ostuni: Amina conosceva ed
illustrava la bellezza di quei luoghi dal fascino inebriante: le ripide salite ed i panorami ora verso il
mare ora verso le colline.
Visitarono Lecce, la Venezia del sud per via della presenza storica-economica della repubblica
marinara : città con un barocco straordinario, dove la piazza del Duomo, il Palazzo Vescovile ed il
Seminario creano una spettacolare coreografia.
Gino rimase colpito dalla bellezza della facciata di Santa Croce ed acquistò un souvenir
riproducente tale facciata con un orologio incorporato, poi scoprì Piazza Sant’Oronzo con
l’anfiteatro romano e la affabilità di quella gente.
Amina insegnò ad assaggiare l’olio d’oliva extra vergine su friselle gustossime, a distinguere i
taralli secchi da quelli friabili ed a gustare tutte le verdure.
Ma la vera sorpresa doveva ancora arrivare. Durante una biciclettata impegnativa si diressero
verso Cisternino, il paese ad ovest di Ostuni e di Carovigno.
La visita permise di scoprire un piccolo villaggio interamente costituito da trulli e lamie.
Era una novità assoluta per il geometra del Nord: si fece spiegare la differenza tra i due tipi di
costruzione e poterono vedere l’interno di alcuni trulli ancora abitati.
Un anziano illustrò la difficoltà nel realizzare il tetto a cupola, dove la chiave di volta svolge la
funzione di bilanciare i pesi e le spinte per realizzare l’equilibrio statico.
Rimase sbalordito e si convinse che la manualità di quei contadini, capaci di costruire muretti a
secco, trulli, lamie meritava l’intero rollino fotografico.
Gli ultimi giorni furono dedicati al mare, alla spiaggia con sabbia finissima nel centro di Marina di
Ostuni, che già al mattino presto si presentava piena di ombrelloni.
Il distacco da Carovigno e da Amina fu meno doloroso rispetto al primo: sarebbe ritornata a
Cisliano a fine settembre.
Gino si rimise a lavorare con entusiasmo ed il buon Mario Fumagalli non profferì parola sulla
rottura del rapporto con la figlia; gli voleva bene ed, in cuor suo, sperava che la sua azienda
passasse un giorno nelle sue mani.
La signora Marzorati seppe da Adriana del nuovo amore del suo inquilino e da perfetta padrona di
casa disse: ”Ora mi chiederà di avere la stanza vuota confinante e magari di pagare lo stesso
affitto”.
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E ci azzeccò perché Gino compensò le spese per la ristrutturazione della stanza e del bagno con
un congruo periodo di franchigia, nel nuovo contratto di locazione.
I lavori iniziarono presto: il sabato e la domenica vedevano impegnati il geometra con due
muratori.
A fine settembre Amina raggiunse Cisliano ed il suo Gino: anche per lei iniziava un duro anno di
studio e pochi erano i momenti da dedicare al progetto matrimoniale.
Passavano le giornate ed i fidanzati si concedevano soltanto il pomeriggio della domenica.
In bicicletta frequentavano Cusago, Bareggio, Abbiategrasso, Morimondo: agli occhi di Amina la
nebbia autunnale appariva come una magia che creava atmosfere, paesaggi e colori nuovi.
Il loro sentimento cresceva come il desiderio di essere sempre una coppia: in questo Amina
giocava la sua sensibilità di giovane donna innamoratissima e riscuoteva la simpatia generale.
Spesso la signora Marzorati invitava, a mezzogiorno di domenica, i due fidanzati e così riusciva a
conoscere i piccoli segreti di Amina.
“Per fortuna verrai ad abitare qui, dove sono la sola donna fra quattro uomini” ripeteva spesso la
padrona di casa.
Già perché in quel cortile con un piccolo ingresso privato c’era il laboratorio di falegnameria dei tre
fratelli, seguiti ed aiutati dalla sorella, nubile convintissima.
Dopo i lavori edili, Gino ordinò ai Marzorati l’arredamento: con fatica riuscì a pagare tutto.
Amina, dal canto suo, si impegnò allo stremo, sostenne tutti gli esami e riuscì a preparare la tesi
nei termini previsti per la discussione entro la sessione estiva, da sostenere il dieci luglio.
La foto che ritraeva i fidanzati con i genitori di lei nel chiostro universitario divenne il ricordo di quel
periodo febbrile, vissuto con gioia ed impegno assoluto.
Prima di ripartire per Carovigno ci fu la prova delle fedi nuziali presso la gioielleria Sbarbori di
Bareggio e così i genitori, che avevano conosciuto Adriana, don Giuliano, Serafino, i signori
Marzorati, capirono che per la loro unica figlia il futuro a Cisliano sarebbe diventato definitivo e
felice.
Amina aveva un disperato bisogno di recuperare dallo stress fisico e psicologico: spesso di notte
riviveva la tensione della vigilia degli esami con improvvisi risvegli ed incubi.
C’era Gino con le sue telefonate quasi giornaliere ,presto la fatica si dileguò e cominciarono
i preparativi del matrimonio.
Per gli invitati provvide la mamma Maria che compilò la lista e gli annunci; il papà concordò
l’arredamento della chiesetta e la composizione del pranzo presso il Ristorante de “Lo Spagnulo”.
Amina ebbe la fortuna di trovare uno straordinario vestito da sposa classico: sembrava fatto su
misura e conferiva una eleganza unica, che la trasformava in una principessa uscita da una
favola.
Mancava il viaggio di nozze, a cui doveva provvedere Gino: purtroppo i soldi erano finiti.
Serafino intuì la difficoltà, ne discusse con l’amico Fumagalli e fu trovata la soluzione.
Decisero di porre fine al rapporto di lavoro con riconoscimento della liquidazione, così da poter
stipulare un nuovo contratto con sostanzioso adeguamento di stipendio, senza più pagare il conto
dell’affitto.
Questa splendida novità consentì di programmare venti giorni di vacanza e di trascorrere la luna di
miele nella località desiderata: Venezia.
Ai primi di agosto Gino partì con la sua valigia: aveva le fedi, il vestito da cerimonia, la
scaramantica camicia bianca e soprattutto la gioia che usciva da tutti i pori.
Il giorno prima, a sua insaputa, arrivarono Adriana, don Giuliano e Serafino con la Giuletta nuova
di questi:trovarono tutti ospitalità presso le stanze pitturate l’anno precedente da Gino. Che
allegria la sera con tutti a tavola! La signora Maria aveva dovuto allungare il tavolo con quello da
giardino ed “aggiustare” due tovaglie affiancate e sovrapposte per arredare adeguatamente.
Il mattino seguente Gino era pronto già alle dieci ed alle 10, 30 camminava sorridente davanti alla
chiesetta.
Guardava ripetutamente l’orologio e quella mezzora prima sembrava lunga come l’eternità.
Stringeva le mani dei convitati e scrutava verso il fondo del viale, nella direzione del ristorante,
sperando che apparisse la sua Amina al braccio del padre.
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Entrò in chiesa ed aspettò vicino all’altare, dopo aver consegnato gli anelli ai testimoni: Adriana
per la sposa e Serafino per lo sposo.
La cerimonia fu concelebrata da don Giuliano e da don Vito, un lontano parente dei De Vitis, che
aveva battesimato la loro figlia: il tutto in un clima di dolcissima commozione, esaltata alla fine
dalla dichiarazione scandita, ad alta voce, prima dallo sposo e poi dalla sposa : ”Ti amerò per
sempre” e dalla struggente “Ave Maria” di Schubert cantata dalla voce tenorile di Nicola.
Partirono il giorno dopo dall’aeroporto di Brindisi per Venezia: era il primo volo per entrambi; le
loro mani rimasero sempre intrecciate per un pizzico di paura e per la felicità di sposini innamorati
più che mai!
Gino era riuscito a prenotare in un albergo di proprietà del comune di Venezia nell’isola di San
Clemente in laguna.
Ad attenderli presso il pontile c’era una piccola lancia da 8-10 posti e la breve navigazione
consentì di ammirare il fascino di una città unica al mondo.
L’albergo era enorme, un antico ospedale ristrutturato, che negli anni a venire sarebbe passato di
proprietà ai Benetton, poi al loro socio Del Vecchio, per diventare un prestigioso cinque stelle
frequentato dal jet-set internazionale.
Alle ferie Gino aveva aggiunto le due settimane di periodo matrimoniale, così da arrivare alla
prima domenica di settembre, il giorno della regata storica.
Scoprirono prima San Clemente con la sua chiesa, il suo giardino: ogni mattina, prima di
colazione, inanellavano di corsa il perimetro fino ad essere completamente sudati.
Poi la lancia delle nove li portava a San Marco; Amina aveva una fornitissima guida della città e
della laguna: visitarono la Giudecca, San Servolo, il Lido, Murano, Burano, il Torcello, San Giorgio
Maggiore.
Infinite furono le mete raggiunte e fotografate con i loro sorrisi, abbracci, baci: Palazzo Ducale con
la scala dei Giganti, Basilica di San Marco, la Torre dell’Orologio, Ca’ d’Oro, Palazzo Vendramin –
Calergi, il Teatro della Fenice, il Ponte dei Sospiri, Ca’ Foscari, il Ponte di Rialto, Palazzo Grassi,
l’Arsenale, il Mulino Stucky, Santa Maria della Salute, il ghetto ebraico con le diverse sinagoghe
corrispondenti ai rispettivi riti.
Poi i musei stracolmi di capolavori di Tiziano, Tintoretto, Tiepolo, Palladio, Carpaccio, Giorgione,
Veronese, Antonello da Messina offrirono agli sposini squarci indimenticabili di arte raffinata.
Presero conoscenza di alcuni piatti tradizionali, quali la granseola veneziana,le “sardelle in saor”
(che la tradizione indica come il piatto del sabato notte della terza domenica di luglio, in barca per
la festa del Redentore), il baccalà mantecato, le seppioline in nero, i dolci come le fritole e la
crema alla veneziana.
Trovarono il modo di scoprire come poter attraversare a piedi la città, partendo da Piazza San
Marco fino allo stadio di Sant’Elena.
Con non poca fatica Gino riuscì a convincere un giovane gondoliere, di nome Marco, a concedere
una breve, economica “gondolata”, verso fine giornata.” Torna dopo le cinque,quando smetto e vi
porto verso casa mia”. Marco era appassionato di musica classica ed il mestiere l’aveva imparato
dal papà : sapeva perfettamente come regalare emozioni ai turisti con la sua gondola,chiamata
Ninetta. L’aveva dotata di un piccolo apparecchio stereo, dal quale veniva soltanto musica
classica. Per i due sposini scelse la romanticissima “La barcarole” (la gondola) , che ritma il suono
della musica con quello dei remi (parecchi anni dopo George Pretre, al concerto di
Capodanno,alla Fenice, diresse una esecuzione memorabile di tale brano musicale). Il tragitto era
breve e per canali stretti che conducevano verso Riva degli Schiavoni,dove abitava il gondoliere,
che improvvisamente lasciò i remi, scattò una foto a sviluppo istantaneo e la regalò ad Amina.
Era la foto di un bacio appassionato, come quello che solo gli sposini sanno regalarsi!
Marco ad un certo punto indicò casa sua ed urlò :”Mamma , xe gli sposini”.
Una paciosa signora si affacciò dalla finestra, a sua volta chiamò le vicine ed insieme fecero un
augurale applauso alla giovane coppia.
“Presto, correte ,perché alle sei e mezza avete l’ultima corsa per San Clemente” ,disse Marco.
Quella corsa ,tenendosi per mano, resterà un momento indimenticabile di quella vacanza.
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Venne la prima domenica di settembre e la regata storica in costume incantò per i colori e per la
passione delle gare.
Partirono il lunedì successivo dalla Stazione di Santa Lucia e mentre il treno percorreva
lentamente il Ponte della Libertà si strinsero in un lungo tenerissimo abbraccio per attutire la
perdita di quell’incantesimo donato da Venezia e dalla luna di miele.
Del loro arrivo era a conoscenza Adriana, che si premurò di far trovare Serafino, nel giorno di
chiusura del negozio, ad attenderli alla Stazione Centrale con la propria vettura per riportarli
velocemente a Cisliano.
All’ingresso nel cortile privato un colpo di clacson richiamò l’attenzione e così la sposina fu accolta
dagli auguri dei Marzorati e dal bacio affettuoso di Martina.
Poco dopo si fece viva Adriana che abbracciò Amina e Gino, al quale disse: ”Mario ti aspetta
domani alle sette”.
P. S. : Il titolo dei capitoli è quello di due celebri canzoni di Whitney Houston
Agosto 2012-Effegi46
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