1 ALVIN AILEY Il Petruzzelli ospita la `Alvin Ailey American Dance

Transcript

1 ALVIN AILEY Il Petruzzelli ospita la `Alvin Ailey American Dance
1
ALVIN AILEY
Il Petruzzelli ospita la ‘Alvin Ailey American Dance Company’ (una delle pochissime compagnie
di modern-dance composta esclusivamente da neri) proprio nell’anno della scomparsa del suo
fondatore (1989): è l’occasione irripetibile di rendere omaggio ad un protagonista della danza
contemporanea e autore, in questa circostanza barese, di uno spettacolo pari alla sua fama.
Nato nel 1931 a Rogers, piccola città della profonda provincia americana, Ailey iniziò diciottenne
lo studio della danza a Los Angeles con il coreografo Lester Horton, entrando presto a far parte
della sua compagnia e diventandone direttore subito dopo la morte del maestro (1953). L’anno
seguente si trasferisce a New York dove partecipò a musical, film e commedie, perfezionandosi
nello stesso tempo con Martha Graham, Doris Humphrey e Hanya Holm. Nel 1958 fonda la sua
compagnia e da allora si impone nel panorama internazionale. Fu attivo come coreografo anche per
il Joffrey Ballet, l’Opéra di Parigi e l’Amsterdam Ballet; per il Teatro alla Scala ha allestito La Dea
delle acque (1988, con protagonista Luciana Svignano).
La danza di Ailey è stata definita una “danza-messaggio”: la sensibilità che egli, nero americano,
dimostra per i problemi razziali fa tutt’uno con l’apertura dei suoi interessi culturali. Autore
considerato “impegnato” ma senza messaggi ideologici predefiniti da comunicare, Ailey è riuscito
con le sue opere a emancipare culturalmente il ballo nero americano e a farlo apprezzare in tutto il
mondo, mettendo in comunicazione la cultura alta con le tracce popolari di una memoria musicale
secolare come quella dei ghetti e della segregazione razziale. Il suo stile coreografico è appunto
all’insegna dell’ibridazione e della mescolanza: una mistione innovativa e avvincente di tecnica
classica e modern dance, modulata sulle note di blues, jazz e spirituals.
Nei suoi capolavori come Revelations (1960) e Cry (1971), ad esempio, si confondono movenze
classiche e più moderne nell’interpretare e dare corpo a musiche popolari ispirate a fonti religiose e
a motivi sociali. La passione per il jazz, sempre riletto nel quadro di una ricerca sulle forme
espressive della cultura afroamericana, culmina con la scelta di musiche di Duke Ellington per
alcuni suoi lavori a partire dal 1975.
________________________________________________________________________________
Lo spettacolo che Ailey presenta al ‘Petruzzelli’ è la summa di una carriera lunga e costellata di
successi. La compagnia statunitense si produce in un programma variegato di stili e musiche
all’insegna, appunto, della mescolanza di generi. La messa in scena pesca dai “classici” del
2
repertorio come Cry, Revelations, Night Creature e The Stack-up, ma propone anche nuovi
esperimenti come Suite Otis e Come Get the Beauty of it Hot.
La stampa lodò la tecnica sopraffina che i danzatori di Ailey sanno mettere al servizio di un
movimento coreografico sempre in bilico tra atmosfere popolari e riferimenti colti alla tradizione
della cultura nera: basta scorrere le musiche scelte come colonna sonora dello spettacolo messo in
scena al Petruzzelli che vanno da Béla Bartók a Otis Redding, agli Earth, Wind and Fire.