Le cinque età

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Le cinque età
NOTA INFORMATIVA: Il presente saggio è stato presentato quale relazione nell’ambito della Tavola rotonda “Da una
generazione all'altra: tradizione ed innovazione”, Università della Terza Età di San Mauro Torinese, San Mauro
Torinese, 27 novembre 2004. Inoltre, è stato pubblicato nel Sito www.unitre.net, organo ufficiale dell’UNITRE
(Associazione Nazionale delle Università della Terza Età), 2005.
Published in www.anthropos-web.it 2007.
Published in www.anthropos1987.org 2009.
LE CINQUE ETA'
Luciano Peirone
La vita? Un ciclo
La vita è un ciclo: parte da zero, e a zero ritorna, con una curva che dapprima sale e poi
scende.
La vita non è una linea retta: il punto di arrivo non è diverso dal punto di partenza. La vita è
una curva, una curva chiusa: in ogni momento ogni punto è differente dagli altri punti, tranne
che per quello iniziale e per quello finale. L’inizio e la fine coincidono.
Inizio, evoluzione, involuzione, fine. E il ciclo si percorre una sola volta. Si parte dall’inorganico,
ci si sviluppa nell’organico, si ritorna nell’inorganico. “Pulvis es, et in pulverem reverteris”: da
polvere a polvere, ed il ciclo si compie.
Il ciclo di vita: criteri di classificazione
Di questo percorso (terreno e ciclico) esistono varie fasi ed almeno un paio di fondamentali
criteri di classificazione.
In accordo con il primo criterio - che si può denominare ”culturale-funzionale” (legato cioè al
senso psicologico, nonché alle funzioni che si esplicano ed alle cose che si fanno) - si può
parlare di tre età.
Nella “prima età” si apprende. Dal punto di vista psico-culturale, si costruiscono le percezioni e
ci si orienta nel mondo esterno. Si vive in una tipica modalità di input.
Nella “seconda età” si mette a frutto quanto si è in precedenza appreso. Si passa dalla teoria
alla prassi, dalla conoscenza all’azione. Si applicano gli strumenti e si diventa operativi. Il
bagaglio cognitivo viene applicato e si cerca di modificare il mondo esterno. Si vive in una tipica
modalità di output.
Nella “terza età” si riflette su quanto è accaduto nelle due fasi precedenti e, facendo il bilancio,
ci si corregge. Dal punto di vista psico-culturale avviene una operazione di feedback, per cui alla luce dell’esperienza maturata in numerosi anni - si tende all’equilibrio ed alla saggezza. Si
vive in una nuova modalità di input ed output, secondo la quale l’obiettivo principale diventa il
mondo interno. Ci si rinnova nell’identità personale.
In accordo con il secondo criterio - che si può denominare “crono-biologico” (legato cioè al
fattore tempo ed alle principali caratteristiche biologico-comportamentali) - si può parlare di
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cinque età distribuite in un arco di anni: da 0 a 30 (il giovane, in senso molto lato), da 30 a 60
(l’adulto), da 60 a 75 (l’anziano), da 75 a 90 (il vecchio), oltre i 90 (il grande vecchio).
Vediamo ora di dare una elencazione sintetica delle fasi della vita, in un modo che riunisce sia il
criterio culturale-funzionale sia il criterio bio-cronologico, in una classificazione che fornisce
l’essenziale in termini sia di definizione sia di descrizione. Ovviamente, a causa della notevole
sinteticità, le caratteristiche attribuite ad ogni età sono da intendersi come “tipiche” (e non
“esclusive”), per cui i contenuti classificatori rispondono a regole di massima comportanti
numerose eccezioni.
La prima età
Si va da zero anni a trenta. Tale ampiezza (sia in termini cronologici sia in termini di fasi
comportamentali) si giustifica in base alle caratteristiche del mondo post-industriale avanzato,
informatizzato, globalizzato: a causa delle particolarità iperspecialistiche assunte dal processo
produttivo, nella prima età di fatto convergono fattori unificanti che rendono fortemente simili
fra loro condizioni in passato assai diversificate.
La scala evolutiva vede questa ricca successione di stadi: embrione, feto, bambino (prima
infanzia, seconda infanzia), fanciullo, preadolescente, adolescente, giovane. Proprio
quest’ultimo termine è pragmaticamente utile per riassumere l’insieme: in senso assai ampio si
può denominare tutto ciò “giovinezza”.
La condizione è per l’appunto quella del giovane, ovvero quella della persona/organismo che
“scalda i motori” della vita.
Si tratta di una fascia d’età non ancora materialmente ed economicamente produttiva. Si
riceve, non si dà.
La prima età è quella dell’inizio, è quella della nascita. E’ quella del decollo bio-esistenziale.
Per i bambini, gli adolescenti e i giovani tutto è facile, leggero, veloce.
Il tempo non passa mai, è lento, per cui bisogna in continuazione riempirlo: giocare e fare per
non annoiarsi.
E’ il periodo della fantasticheria, del sogno ad occhi aperti: non si guarda da nessuna parte, se
non al momento contingente.
Si comincia (lentamente) a costruire, ma prevalgono il desiderio e la speranza rispetto
all’obiettività. Il principio del piacere domina sul principio di realtà.
Sono prevalenti il coraggio smisurato, la certezza irrazionale, la irriflessiva convinzione nei
propri mezzi. Si è presuntuosi e pronti a sfidare tutto e tutti, anche l’impossibile.
La seconda età
Si va da trent’anni a sessanta.
La condizione è quella dell’adulto, ovvero quella della persona/organismo che ha raggiunto e
mantiene l’apice del rendimento complessivo.
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Questa è la fascia d’età materialmente ed economicamente produttiva al massimo, in pratica
l’unica fascia d’età finalizzata a produrre nel mondo contemporaneo. Si fa, e in parte si dà. La
funzione di trasmissione culturale e psichica transgenerazionale vale per lo più a beneficio dello
stretto ruolo strumentale del lavoro, però - più che trasmettere ad altri - si produce per se
stessi, con l’importante eccezione delle cure “genitoriali” riservate alla prole (comportamento
questo che oggigiorno vale persino nei riguardi dei figli trentenni).
La seconda età è quella dell’assestamento al vertice bio-esistenziale. Non a caso si parla di “età
matura”, di stadio della “maturità”.
Per gli adulti quasi tutto è facile, leggero, veloce.
Il tempo passa, è veloce, ed è in funzione delle necessità produttive: agire per un risultato,
pensare per pianificare.
E’ il momento della costruzione, e quindi della previsione: si guarda in avanti. Domina il senso
di realtà.
Sono prevalenti il coraggio misurato, la certezza razionale, la ponderata convinzione nei propri
mezzi.
La terza età
Si va da sessant’anni a settantacinque.
La condizione è quella dell’anziano, ovvero quella della persona/organismo che comincia la fase
involutiva.
Questa è una fascia d’età che comincia ad essere non più materialmente ed economicamente
produttiva (almeno ai massimi livelli). Si dà, ma di meno, e si comincia a ricevere. La funzione
di trasmissione culturale e psichica transgenerazionale vale ancora in parte per il ruolo di
leadership professionale, mentre si sviluppa per il ruolo di “memoria storica del passato”, per il
ruolo di anziani genitori, per il ruolo di nonni.
La terza età è quella dell’inizio della perdita dell’assestamento bio-esistenziale.
Per gli anziani quasi tutto è difficile, pesante, lento.
Il tempo passa, è velocissimo: si ha la sensazione di non riuscire a fare tutto.
E’ il momento dei bilanci, e anche dei rimpianti: si comincia a guardare indietro. Il passato
comincia a pesare, a far paura. Riaffiora la speranza, peraltro sentita come debole.
Vacillano il coraggio, la certezza e l’autoconvinzione. Non si accettano più le sfide.
Timore, incertezza, e dubbiosità si fanno strada. Si diventa ansiosi, tristi, irritabili.
La quarta età
Si va da settantacinque anni a novanta.
La condizione è quella del vecchio, ovvero quella della persona/organismo che accelera la fase
involutiva.
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Anche questa è una fascia d’età non più materialmente ed economicamente produttiva. Si
riceve, e si dà ancor meno. Si comincia a diventare un peso, un fardello per gli altri. La
funzione di trasmissione culturale e psichica transgenerazionale resta viva in qualità di nonni.
La quarta età è quella dell’inizio del tracollo bio-esistenziale. E’ quella del marcato
decadimento.
Per i vecchi tutto è difficile, pesante, lento.
Il tempo è già passato: cresce l’ansia di non essere riusciti a fare tutto.
Continua il periodo dei bilanci, crescono i ricordi ed il senso di impotenza. Si guarda sempre più
indietro. Crescono il peso e la paura del passato. La speranza si incrina.
Vengono a mancare il coraggio, la certezza e l’autoconvinzione. Si rinuncia, e si dovrebbe
imparare a rinunciare.
Timore, incertezza, e dubbiosità continuano ad aumentare: si ha paura. Ansia, depressione e
rabbia inquinano l’umore. Peraltro, se si mette a frutto l’esperienza, si riesce a diventare saggi.
La quinta età
Si va dai novant’anni in avanti (teoricamente all’infinito, praticamente no: si vorrebbe
l’immortalità, ma nessuno l’ha ancora trovata).
La condizione è quella del grande vecchio, ovvero quella della persona/organismo che “spegne i
motori” della vita.
Ovviamente, anche questa è una fascia d’età non più materialmente ed economicamente
produttiva. Si riceve, senza quasi dare più nulla. Anzi, si diventa un peso, un gravissimo
fardello per gli altri. La stessa funzione di trasmissione culturale e psichica transgenerazionale
si affievolisce, ed il beneficio per le altre generazioni risulta ben poco concreto, quasi solo più
simbolico.
La quinta età è quella della fine, è quella della morte. La quinta età è quella del definitivo
tracollo bio-esistenziale. E’ quella del conclusivo decadimento. Si è in fondo alla strada della
vita (o, se si preferisce un’altra espressione, il tutto sta per compiersi); non ci si attende più
nulla.
Per i grandi vecchi tutto è difficilissimo, pesantissimo, lentissimo.
Il tempo non ha più importanza: si vive un eterno presente sempre più povero di stimoli.
Non si fanno più bilanci, svaniscono i ricordi, il passato non fa più paura, si è sempre più
impotenti, ma fortunatamente diminuisce sempre più la consapevolezza. La speranza si
annulla.
Coraggio, certezza e convinzione: che cosa sono ormai?
L’umore si acquieta: tutto diventa distante e poco significativo. Le emozioni, sia positive sia
negative, progressivamente perdono impatto. La pace dei sensi si dispiega in toto.
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Giovinezza, maturità, anzianità, vecchiaia, grande vecchiaia: in un batter d’occhio
“Life is very short”: la vita è molto breve. E si può coglierne il senso in poche battute.
La prima età risulta caratterizzata da impotenza e dipendenza. La seconda età vede invece
subentrare potenza, indipendenza ed autonomia. La terza età è potenzialmente il tempo del
rinnovamento, il tempo del rilancio: la libertà dal lavoro diventa libertà per se stessi, al fine di
cercare nuove identità e nuove relazioni, al fine di rinnovare il Sé e di risocializzare, al fine di
superare il rallentamento delle funzioni muscolari e mentali, l’impoverimento sociale,
l’isolamento, l’insicurezza. La quarta età è caratterizzata dal riposo, dal declino e dalla
dipendenza (con il tempo che diventa malattia): emergono il bisogno di sostegno (“altri ti
cingeranno le vesti”), il senso di fragilità, la vulnerabilità. La quinta età vede la vecchiaia stessa
diventare malattia (con gli acciacchi cronicizzati e ormai senza tempo): ritornano in toto
impotenza e dipendenza; l’affievolimento delle forze converge con la rassegnazione; il
diventare “decrepiti” fa tornare all’origine attraverso il ”rim-bambimento”; il tutto mentre la
non autosufficienza si stempera nell’attesa della morte.
Vivere in salute il ciclo dell’esistenza
Dopo l’apice raggiunto con la seconda età, lo scorrere del tempo comporta - inevitabilmente una involuzione, dapprima lenta, poi sempre più veloce.
Quale antidoto per questa china discendente? Quale “farmaco esistenziale” per rallentare
l’inevitabile caduta?
Il corpo comincia ad invecchiare per primo. La mente resiste un po’ di più. L’anima, forse, non
invecchia mai. Fondamentale risulta l’azione della mente: se costruita e mantenuta vigile,
attenta, preparata, attiva, operativa, la mente può in misura non trascurabile aiutare l’essere
vivente a percorrere la discesa.
Se si riesce ad essere - con continuità - se stessi, se in altre parole il fattore tempo viene
sostanzialmente neutralizzato da una identità psichica che permane e continua ad orientare il
comportamento quotidiano (legando fra loro il passato, il presente ed il futuro; nonché
cominciando dalla prima età e proseguendo sino alla quinta), allora il cammino evolutivoinvolutivo trova comunque una “guida”, una auto-regolazione cognitiva ed emozionale, in grado
di far fronte ai numerosi e diversi problemi esistenziali.
Inoltre, se questo “software mentale” - incentrato sul Sé - riesce a modulare tanto la salute
fisica (cioè la sanità) quanto la salute psichica (cioè la serenità), allora - vivendo ogni età nella
saggia ottica della salute consapevole ed operativa - il benessere, pur non potendo sconfiggere
la morte, vince comunque la lotta contro il malessere.
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